Il limite della pazienza russa

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QUINTA COLONNA

di Alexandr Dugin

La storiella del Tribunale dell’Aia è simbolica. La Russia non si è mai chiesta prima che tipo di istituzione sia. In realtà, fa parte dell’attuazione del Governo Mondiale, un sistema politico sovranazionale creato sugli Stati nazionali che sono invitati a cedere parte della loro sovranità a favore di questa struttura. Ciò include la Corte europea dei diritti dell’uomo e la stessa UE, ma anche la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’OMS, ecc. La Società delle Nazioni, e in seguito l’ONU, è stata concepita come un’altra fase preparatoria sulla via dell’istituzione di un governo mondiale.

La verga del liberalismo

Trattiamo del liberalismo nelle relazioni internazionali, componente dell’ideologia liberale nel suo complesso. I liberali considerano la legge del “progresso” irreversibile, la cui essenza è che il capitalismo, il mercato, la democrazia liberale, l’individualismo, l’LGBT, i transgender, le migrazioni di massa, ecc. si stanno diffondendo in tutta l’umanità. Nella dottrina liberale delle relazioni internazionali, per “progresso” si intende la transizione da Stati nazionali sovrani a istanze di potere sovranazionali. L’obiettivo di questo “progresso” è l’istituzione di un governo mondiale. È dichiarato esplicitamente e inequivocabilmente nei libri di testo di Relazioni Internazionali. Tutti i Paesi che non vogliono il “progresso” sono, secondo questa teoria, nemici del “progresso”, “nemici di una società aperta”, quindi sono “fascisti” e devono essere giudicati (al Tribunale dell’Aia) e distrutti (“infliggere loro una sconfitta strategica” – Blinken) e al posto dei leader sovrani mettere dei liberali – preferibilmente transgender.

Questa è la posizione ideologica su cui si reggono il Partito Democratico statunitense, l’amministrazione Biden e la maggior parte delle élite europee. Anche tutte le forze dei Paesi non occidentali, che sostengono l’Occidente collettivo e i globalisti americani, giurano su questa ideologia. Ed è proprio questa l’ideologia: radicale, rigida, totalitaria.

La sfida è accettata

È un po’ sorprendente che la Russia, da 23 anni sotto un leader pienamente sovrano, non si sia preoccupata di affrontare il liberalismo e abbia, fino a un certo punto, accettato la legittimità delle sue regole, strutture e istituzioni.

Non sono loro a cambiare, la Russia è cambiata con l’avvio della SMO, e ne è seguita una legittima escalation da parte dei liberali globali. Non c’è nulla di casuale: è solo liberismo. Finché non rovesceremo questa ideologia, sia internamente che esternamente, l’escalation non potrà che aumentare.

Non possiamo semplicemente andare oltre senza la nostra ideologia.

La decisione del Tribunale dell’Aia di arrestare il presidente russo Vladimir Putin e l’ombudsman per i diritti dei bambini Maria Lvova-Belova è così oltraggiosa che è semplicemente impossibile non rispondere. È un insulto al Paese, al popolo, alla società, a ogni persona, a ogni donna russa, a ogni madre, a ogni bambino. Come si può rispondere a tutto questo con dignità?

A mio parere, ci sono dei veri colpevoli in tutta questa situazione e non sono a Washington o all’Aia: sono nella stessa Russia. Si tratta di un gruppo di liberali che da 23 anni convincono in tutti i modi possibili il Presidente che l’amicizia con l’Occidente è d’obbligo, che è l’unica via di sviluppo e che l’adozione dell’ideologia liberale, così come l’integrazione nelle strutture e nelle istituzioni liberali globaliste internazionali (compreso il riconoscimento della Corte penale internazionale, della CEDU, dell’OMS, ecc.) non hanno alternative. Hanno anche screditato il campo patriottico, sia di destra che di sinistra, convincendo il capo dello Stato che si starebbe solo sognando di inscenare un “Maidan”. In realtà, i patrioti, sia di destra che di sinistra, sono il popolo e il principale sostegno di Putin. Sono il suo sostegno, i suoi strenui sostenitori, ma i liberali al potere hanno sempre lodato l’Occidente e diffamato i patrioti. Questo accade da 23 anni, da quando Putin è salito al potere.

L’ora della resa dei conti

Siamo logicamente arrivati al punto in cui il lodato Occidente si è rivelato una struttura terroristica che ci assassina, fa esplodere i gasdotti, ruba i soldi, e noi, dopo essere stati ai suoi ordini per così tanto tempo, ci siamo ritrovati in una dipendenza umiliante; 23 anni fa avremmo dovuto seguire la rotta per stabilire la nostra civiltà russa eurasiatica.

Putin ha puntato sulla sovranità. Si presumeva – proprio sotto l’influenza dei liberali – che l’Occidente avrebbe accettato questa sovranità a patto che Mosca rimanesse nel contesto generale della civiltà occidentale, a patto che venisse coinvolta nelle sue strutture e istituzioni, a patto che accettasse i valori occidentali (capitalismo, democrazia liberale, digitalizzazione, cultura dell’annullamento, “wokismo”, cioè l’obbligo di denunciare chiunque non sia d’accordo con il liberalismo, LGBT). Si è trattato di un inganno fin dall’inizio e suddetto inganno ha degli individui specifici: il blocco liberale nella cerchia ristretta del Presidente. Sono loro che hanno contribuito a ciò che sta accadendo oggi, che hanno ostacolato il risveglio patriottico, che hanno fatto tutto il possibile per separare il Presidente dal popolo, dal nucleo russo, dai portatori della coscienza patriottica.

È arrivato il momento di regolare i conti. O sta per arrivare. Non so cos’altro debba accadere perché i liberali al potere siano chiamati al tappeto e interrogati severamente. Forse manca anche qualcos’altro, ma in ogni caso non ci vorrà molto. La spada della vendetta è sulla testa dei liberali russi al potere e nulla può impedire la naturale punizione, si può ritardare un po’ ma non si può evitare.

I liberali russi devono rispondere di tutti i loro crimini. Senza questo non ci sarà purificazione né vittoria.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Foto: Idee&Azione – Fonte: https://www.ideeazione.com/il-limite-della-pazienza-russa/

19 marzo 2023

La Chiesa tedesca sfida il Vaticano, è ufficiale: “Benedire le coppie gay”

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BARUFFE NELLA “CONTRO-CHIESA” CONCILIARE? (N.D.R.)
Terremoto nella Chiesa: il sinodo tedesco approva il documento per la benedizione delle coppie omosessuali. Il Papa contrario

La rivoluzione è servita, o giù di lì. La Chiesa Cattolica tedesca ha aperto alla celebrazione di cerimonie per benedire le coppie di stesso sesso. Lo ha deciso l’Assemblea sinodale con 176 voti a favore, 14 contrari e 12 astensioni. Si inizia dal marzo del 2026.

Si tratta di una notizia importante, che farà sicuramente discutere, come già successo negli anni scorsi con scontri neppure troppo velati tra tradizionalisti e progressisti le cui tensioni sono riemerse in tutta la loro forza in occasione della morte di Benedetto XVI. Il sinodo tedesco ha superato la maggioranza dei due terzi dei vescovi che era necessaria per approvare il provvedimento (38 a favore, 9 contrari, 11 astenuti). I tre anni che dividono la decisione dalla sua applicazione saranno dedicati a definire il formato liturgico di questo tipo di cerimonia. La benedizione dell’unione riguarda sia le coppie gay chi si è risposato dopo un divorzio. Come si legge nel documento, rifiutare la benedizione di due persone “che vogliono vivere il loro amore nell’impegno e nella responsabilità reciproca verso Dio” sarebbe una sorta di discriminazione che “non può essere giustificata in modo convincente in termine di teologia della grazia”. E questo nonostante una nota esplicativa della Congregazione della dottrina della fede avesse nel 2021 precisato che la benedizione per le coppie omosessuali non fosse possibile. 

La discussione sinodale era iniziata nel 2019. La preoccupazione del Vaticano per il percorso intrapreso dalla Chiesa tedesca non è certo un mistero. Il segretario di Stato Parolin, nel 2022 durante un incontro con Georg Bätzing, vescovo di Limburg e presidente della Conferenza Episcopale di Germania, aveva sottolineato il rischio di “riforme della Chiesa e non nella Chiesa”. Pochi giorni fa, anche Papa Francesco aveva lanciato il suo allarme: “Il pericolo è che trapeli qualcosa di molto, molto ideologico. E quando l’ideologia viene coinvolta nei processi ecclesiali, lo Spirito Santo torna a casa perché l’ideologia supera lo Spirito Santo”, aveva detto all’Associated Press. “L’esperienza tedesca non aiuta, perché non è un Sinodo, un cammino sinodale serio, è un cosiddetto cammino sinodale, ma non della totalità del popolo di Dio, ma fatto di élite”.

Sempre nell’incontro del novembre del 2022, il presidente dei vescovi tedeschi aveva già fatto capire che la chiesa di Germania non avrebbe tolto la possibilità di benedire le coppie omosessuali. “Noi siamo cattolici e lo restiamo cattolici – disse – ma vogliamo essere cattolici in modo diverso e sentiamo questa responsabilità”. Per il sinodo tedesco “non si può andare avanti come prima, si tratta di trasmettere il messaggio del Vangelo qui e ora, e non guardare sempre al passato, anche correndo il rischio di una Chiesa ammaccata”. Da più parti però si avanza l’ipotesi di un vero e proprio scisma. Nel luglio del 2022 la Santa Sede arrivò a pubblicare una nota ufficiale in cui “per tutelare la libertà del popolo di Dio” chiariva che “il cammino sinodale in Germania non ha la facoltà di obbligare i vescovi e i fedeli ad assumere nuovi modi di governo e nuove impostazioni di dottrina e di morale“.

Le novità intanto non finiscono qui. I vescovi hanno infatti approvato un testo che chiede a Bergoglio di “riesaminare il legame tra la concessione delle ordinazioni e l’impegno al celibato”. In sostanza, la possibilità per i preti di sposarsi. Quasi il 95% dei membri dell’Assemblea ha votato a favore del testo, come riporta infocattolica. Dei 60 vescovi presenti all’assemblea sinodale, 44 hanno votato a favore, 5 contrari e 11 si sono astenuti.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/la-chiesa-tedesca-sfida-il-vaticano-e-ufficiale-benedire-le-coppie-gay/

Robot con la coscienza? L’ultima sfida dello scientismo contemporaneo

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/02/13/robot-con-la-coscienza-lultima-sfida-dello-scientismo-contemporaneo/

L’INGEGNERIA SOCIALE È UN PILASTRO ESSENZIALE DELLA METAPOLITICA DELL’OPEN SOCIETY DI GEORGE SOROS

Tutti concordano sul fatto che stiamo vivendo un periodo di cambiamenti epocali, sul piano economico e politico, ma soprattutto sul piano sociale ed antropologico. Non si tratta di mutamenti fisiologici, dovuti al progresso o a naturali processi di trasformazione delle abitudini e del sentire comune. E’ un progetto che viene prodotto nei circoli delle élites sovranazionali da persone che hanno un nome ed un cognome nonché un fine, che è fatto di arricchimento e potere. Tale programma ha un nome: “società aperta”. Il padre nobile è Karl Popper, che inizia ad elaborare il suo pensiero negli anni quaranta del secolo scorso.

Secondo Popper, nelle società aperte, si presume che il governo sia sensibile e tollerante, i meccanismi politici trasparenti e flessibili al cambiamento, permettendo a tutti di partecipare ai processi decisionali. Nella convinzione che l’ umanità non disponga di verità assolute, ma solo approssimazioni, la società dovrebbe dare così massima libertà di espressione ai suoi individui e l’autoritarismo non è giustificato. Egli sostenne che solo la democrazia liberale offrirebbe un meccanismo istituzionale per evolvere ed essere riformata o subire cambi di potere senza il bisogno di spargimenti di sangue.

Il miliardario e attivista politico George Soros, autodefinitosi discepolo di Popper, sostiene che l’uso sofisticato di tecniche persuasive ed ingannevoli come la moderna pubblicità e le scienze cognitive, attuato da politici come Frank Luntz e Karl Rove, ponga dubbi sulla originale concezione popperiana di società aperta. Poiché la percezione della realtà dell’elettorato può essere facilmente manipolata, il discorso politico democratico non porta necessariamente ad una migliore comprensione della realtà.

Soros sostiene che, oltre alla separazione dei poteri, libertà di espressione e di pensiero, è necessario anche rendere esplicita una forte devozione alla ricerca scientifica della verità. L’ingegneria sociale diviene un pilastro essenziale della metapolitica dell’Open Society di Soros, attraverso, soprattutto, l’influenza di Popper, dell’antropologo e psicologo Gregory Bateson, padre della cibernetica. Con essa si inseriscono il controllo mentale e la riprogrammazione psicosociale delle masse.

Lo scrittore Lucien Cerise diede questa definizione di ingegneria sociale: “è il nome dato ad un approccio interventista e meccanicista dei fenomeni sociali. Si tratta di lavorare alla trasformazione della società come se si trattasse di un edificio, di un’architettura, facendo ad esempio “demolizioni controllate”, o utilizzando una sorta di “caos controllato” per provocare cambiamenti che altrimenti non si produrrebbero da soli. […] L’ingegneria sociale è la trasformazione furtiva e metodica dei soggetti sociali (individui o gruppi).” Di fronte ad un programma così inquietante, che include l’intelligenza artificiale ed annulla l’anima con la religione, azzerando il pensiero e demandando tutto alle macchine, mi sono imbattuto in un articolo di Giorgia Audiello su l’Avanti.it del 10/02/2023, dal titolo: “Robot con la coscienza? L’ultima sfida del razionalismo scientista”.

Esordisce la giornalista: “Indagare, simulare e “creare” la coscienza attraverso la robotica: è l’ultima frontiera del culto del progresso tecno-scientifico materialista e meccanicista che pervade la modernità.

Tentare di conferire autocoscienza alle macchine è il paradosso più estremo del razionalismo positivista che vorrebbe ridurre il pensiero – compresi la creatività, le emozioni e la sensibilità – a mero processo meccanico attraverso l’uso di algoritmi e deep learning.

L’obiettivo è conferire alle macchine autocoscienza per mezzo di quella che viene chiamata auto-simulazione artificiale e arrivare utopisticamente alle “macchine coscienti”: una contraddizione in termini in quanto macchina e coscienza risultano di per se stesse incompatibili, essendo la prima materiale e programmata e la seconda – in quanto collegata al pensiero e all’anima – immateriale e, per questo, sommamente libera e non programmabile.

Se indagare i grandi misteri della vita, dell’universo e della coscienza è da sempre oggetto della filosofia, oggi è diventato soprattutto interesse dell’ingegneria, delle neuroscienze e della biochimica, poiché esse cercano il modo di riprodurre questi processi artificialmente in un impulso prometeico che porta l’uomo non solo a voler dominare la realtà, ma direttamente a crearla, nella velleitaria illusione di dimostrare – attraverso la tecno-scienza – che non vi sono “misteri” e che tutto è riducibile a leggi meccaniche e materiali, compresa la vita stessa.

È quanto afferma implicitamente Hod Lipson, ingegnere meccanico che dirige il Creative Machines Lab alla Columbia University con lo scopo di creare macchine dotate di autocoscienza. Con riferimento a quest’ultima, Lipson ha affermato che «è quasi una delle grandi domande senza risposta, al pari dell’origine della vita e dell’origine dell’universo. Cos’è la sensibilità, la creatività? Cosa sono le emozioni? Vogliamo capire cosa significa essere umani, ma vogliamo anche capire cosa serve per creare queste cose artificialmente».

Conclude, a ragione, la Audiello: “Se da un lato, dunque, si assiste sempre più al tentativo di snaturare l’uomo riducendolo a meri processi biochimici, dall’altro, paradossalmente, vi è la volontà di attribuire caratteristiche intrinsecamente umane come la coscienza alle macchine, nella vana illusione di elevare l’uomo al rango di “creatore”. Tuttavia, questa volontà di potenza che ha a che fare con l’orgoglio umano di imitare goffamente “Dio”, non solo rischia di allontanare sempre più l’uomo dalla comprensione di concetti che sono già stati indagati profondamente e magistralmente dalla filosofia antica, ma anche di alterare e mettere a rischio la libertà umana sempre più in balia del controllo digitale e dell’IA che può dare vita ad un vero e proprio reticolato di sorveglianza ineludibile, rendendo l’umano schiavo delle sue stesse “creazioni””.

LA SFIDA DELLA “DECOLONIZZAZIONE” E LA NECESSITÀ DI UNA RIDEFINIZIONE GLOBALE DEL NEOCOLONIALISMO [2]

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“Colonialismo”: un tentativo di chiarimento

Nel 1960, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la “Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai Paesi e ai popoli coloniali” su impulso dell’Unione Sovietica, era chiaro a tutti i partecipanti ai processi internazionali quali fossero i territori in questione, ovvero le terre dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina e delle isole del Pacifico, sottomesse e sfruttate da europei e americani. Si trattava di territori d’oltremare, di norma stranieri ed etnicamente estranei alla metropoli, che venivano sfruttati come mercati o fonti di materie prime necessarie alla metropoli.

Oggi, su impulso degli studiosi occidentali, anche nell’ambito del discorso postcoloniale, la comprensione del colonialismo viene ingiustificatamente ampliata. Se il colonialismo è definito come “la conquista delle terre e delle ricchezze di altri popoli” (Loomba, 1998, p. 3), è logico concludere che il “colonialismo” è stato un qualsiasi episodio della storia umana in cui sono state create entità statali estese. “Quando la nozione si estende a tutto il mondo, perde il suo significato”, osserva il russofilo americano contemporaneo John LeDonne (LeDonne, 2002, p. 765).

In questo caso, o si dovrebbe interrompere qualsiasi discussione accademica sul colonialismo (cosa impossibile, e il termine stesso non scomparirà dalla sfera politica e pubblica), oppure si dovrebbe restringere il più possibile la nozione di colonialismo, cercando di renderla più precisa. Ovviamente, il discorso postcoloniale, così come è emerso, va esattamente nella direzione opposta.

Per rendere più significativa la comprensione del “colonialismo”, è necessario, innanzitutto, partire dalla realtà storica concreta di cosa sia stato esattamente il “colonialismo”. In secondo luogo, chiarire quali sono i processi storici di cui il “colonialismo” ha fatto parte, perché è avvenuto, quali sono stati i suoi presupposti economici, politici, giuridici e filosofici (visione del mondo) e quali sono i processi attuali dovuti agli stessi fattori, cioè qual è la continuazione del “colonialismo”. In terzo luogo, capire qual è il posto del “secondo mondo”, della “semiperiferia” e dei grandi Stati storicamente imperiali della periferia nel “colonialismo”: sono colonialisti o vittime del colonialismo?

Il colonialismo, nel senso della “Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai Paesi e ai popoli coloniali”, è un fenomeno New Age. È dubbio che possa essere applicato al Medioevo o all’Antichità, o ai sistemi statali che si sono sviluppati al di fuori dello Jus Publicum Europaeum. Questo aspetto è descritto in dettaglio da C. Schmitt in The Nomos of the Land (Schmitt, 2008, p. 616). Ciò che si associa al colonialismo: il razzismo, le idee di superiorità, il considerare il territorio di culture straniere come un libero campo di espansione delle potenze europee, è inestricabilmente legato alla specificità della concezione europea dello spazio in epoca moderna, a partire dall’epoca delle Grandi Scoperte Geografiche.

Il diritto internazionale westfaliano e la sovranità si applicavano solo agli europei (Schmitt, 2008, pp. 150, 236-264). Le colonie non erano soggette all’ordine che definiva la vita nelle metropoli. Inoltre, l’esistenza stessa delle colonie forniva questo ordine normativo europeo – le regole di guerra da osservare in Europa non si applicavano alle colonie. Un certo equilibrio in Europa fu mantenuto spostando le lotte delle potenze europee per le terre libere in territori disponibili per l’espansione coloniale (Schmitt, 2008, p. 199).

Una concezione simile del “colonialismo”, ma nel contesto dello spostamento delle contraddizioni del capitalismo dal centro alla periferia, è stata proposta alla fine degli anni Cinquanta dal filosofo francese di origine russa Alexander Kozhev. Egli definì il “colonialismo” come una forma moderna del “capitalismo” di Marx del XIX secolo – un sistema in cui “il plusvalore, come nel capitalismo, è investito dai privati piuttosto che dallo Stato, ma viene ritirato non all’interno dello stesso Paese, ma al di fuori di esso” (Kozhev, 2006, p. 394). Un’idea simile, ma in una direzione diversa, è stata sviluppata in precedenza da alcuni autori marxisti, che hanno interpretato il capitalismo come un sistema estensionale basato sullo sfruttamento delle colonie (Luxemburg, 1934, pp. 177-181). Questo approccio ha influenzato le teorie dell’analisi del sistema mondiale e dello sviluppo dipendente.

Storicamente, quindi, il fenomeno che viene chiamato “colonialismo” è l’espansione del sistema-mondo occidentale, sotto forma di economia mondiale basata sullo sfruttamento ineguale, su scala globale nell’epoca successiva alle Grandi Scoperte Geografiche. Si è passati da una moltitudine di economie e imperi mondiali a un’unica economia mondiale globale attraverso l’espansione economica, civile e culturale dell’Occidente. Il colonialismo è una forma di conquista di altre culture da parte dell’Occidente e la loro integrazione (“incorporazione”) nel suo sistema mondiale. I. Wallerstein ha giustamente osservato: “L’incorporazione nell’economia mondiale capitalista non è mai stata un’iniziativa di coloro che vi sono stati inclusi. Piuttosto, il processo è scaturito dalla necessità dell’economia mondiale di espandere le proprie frontiere – una necessità che a sua volta era il risultato di influenze interne all’economia mondiale” (Wallerstein, 2016, p. 159).

È interessante notare che il subcontinente indiano, l’Impero ottomano, l’Impero russo e l’Africa occidentale erano ugualmente candidati all’”incorporazione” all’inizio del “lungo XVI secolo” (Wallerstein, 2016, p. 159). Ciascuna di queste regioni ha affrontato la stessa minaccia da parte dell’”economia mondiale”, i cui egemoni hanno cercato di porre queste regioni in una posizione di dipendenza. Tuttavia, le reazioni a questa minaccia sono state diverse in ogni caso.

Alcuni Paesi non occidentali sono diventati colonie sotto pressione. Un’altra parte ha dovuto adattarsi, in parte occidentalizzarsi, per sopravvivere e contrastare l’Occidente stesso. Si tratta di Russia, Impero Ottomano, Persia, Giappone, Abissinia in Africa e in parte Cina. Di norma, questi Paesi sono stati in grado, nel migliore dei casi, di mantenere un punto d’appoggio nella semiperiferia del sistema mondiale occidentale, senza essere integrati nel nucleo centrale. L’eccezione è il Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma il prezzo era la rinuncia alla sovranità. Secondo J. Wallerstein (Wallerstein, 2016, p. 231), nel XVIII secolo la Russia, dopo essere entrata a far parte del sistema mondiale, andò in una direzione diversa – sacrificò la possibilità di una più stretta integrazione economica nel suo nucleo per il bene del potere imperiale, facendo la scelta della semi-periferia: o il potere e la sovranità, o un (possibile) posto più alto nel sistema economico al costo della de-sovranità.

Non ha senso usare il termine “colonialismo” in relazione ai Paesi imperiali semiperiferici e periferici di cui fa parte il “secondo mondo” (Russia, spazio post-sovietico e Cina), se intendiamo il colonialismo come una politica volta a incorporare i Paesi non occidentali nel sistema mondiale dell’Occidente in ruoli subordinati.  Il sistema chiamato “impero subalterno” (Morozov, 2015), che si suppone sia oggetto di colonialismo per l’Europa e soggetto di colonialismo per i suoi sudditi, può anche essere descritto nei termini del rappresentante della teoria russa dei sistemi mondiali A.I. Fursov (Fursov, 1996) attraverso la contraddizione tra la componente funzionale (Stato di tipo moderno, burocrazia, sistema finanziario) del capitalismo, costretta ad essere assimilata dal potere della semiperiferia per preservare la propria indipendenza, e la sua componente sostanziale (società civile borghese capitalista). Qualsiasi potenza semiperiferica, se vuole mantenere la propria indipendenza politica, è destinata a essere un “impero subalterno”, adattando alle proprie esigenze la componente funzionale del capitalismo e le istituzioni dello Stato moderno, e ora adattandosi alle specificità del Postmoderno.

Tuttavia, una tale forma di fuga dalla diretta sottomissione coloniale dovrebbe essere chiamata “colonialismo” o si dovrebbe sostenere che un tale “impero peripatetico” è solo uno “Stato coloniale” (Kagarlitsky, 2009, p. 247), in cui le classi superiori europeizzate sfruttano le classi inferiori? Oppure, come scrive il pubblicista russo E.S. Kholmogorov, ha senso considerare questa esperienza di semiperiferia come “l’ingresso nell’economia mondiale capitalista, ma non come una periferia che cambia a piacimento la sua divisione del lavoro, la sua struttura economica, ecc. ma come un beneficiario consolidato, abbastanza resistente (soprattutto militarmente e politicamente) all’espansione europea”.16 16 Tale resistenza non sarebbe un esempio non di colonialismo, ma di qualcosa di completamente opposto?

Il colonialismo è il globalismo occidentale, europeo e americano nella sua fase iniziale, finché il sistema globale moderno è ancora il sistema mondiale europeo della modernità e non un altro. È difficile non essere d’accordo con l’affermazione che “la colonizzazione è stata il modo principale per rifare il nuovo mondo secondo le linee europee” (Lieven, 2007, p. 500). Da questo punto di vista, gli sviluppi dell’approccio postcoloniale e i concetti di “colonialismo interno” sono adeguati, ma solo quando si cerca di criticare i meccanismi di occidentalizzazione e modernizzazione, che sono stati accompagnati dalla distruzione di sistemi alternativi di coordinate e modi di essere “non occidentali” (Fituni, Abramova, 2020, p. 32).

Da un punto di vista culturale, il colonialismo può essere inteso come un sottoprodotto della civiltà occidentale moderna che, come nota lo storico italiano contemporaneo Franco Cardini, è consumata da idee di costante trasgressione, di abolizione di tutti i confini, di costante espansione, che si concretizza sia nell’idea di storia come progresso infinito, sia nell’espansione territoriale, economica e culturale.17

Il colonialismo è la Modernità, il sistema socio-culturale della Nuova Era, o meglio, una delle forme di imposizione della Modernità occidentale al resto di noi come un destino inevitabile. Il colonialismo è inconcepibile senza lo “spirito faustiano” occidentale, l’”uomo predatore” di Spengler, la sua superiorità tecnica18.

Il colonialismo è anche inseparabile dal concetto di missione civilizzatrice. Una delle caratteristiche più importanti dello Jus Publicum Europaeum era l’idea che un popolo “incivile” non potesse diventare membro di questa comunità giuridica internazionale (Schmitt, 2008, p. 616). La percezione europea e americana della politica mondiale durante il periodo coloniale si basava sulla gerarchizzazione dei popoli e delle regioni del mondo (Hobson, 2012, pp. 8-9), la cui espressione formale era la tricotomia dell’americano Lewis Morgan (“barbarie – barbarie – civiltà”). Al livello più alto c’erano le nazioni europee “bianche” “civilizzate”, al di sotto – i “dispotismi” asiatici “barbari”, ancora al di sotto – i “neri” “selvaggi”. La Russia, anche se considerata un Paese civile “bianco”, era comunque più in basso nella gerarchia rispetto, ad esempio, alla Gran Bretagna, la Turchia era più in basso della Russia, ecc. Non è difficile notare la coincidenza dei “barbari” con quella che in futuro diventerà la “periferia” della teoria del sistema-mondo, in parte il “secondo mondo”.

Dal punto di vista dei colonialisti occidentali, gli illuminati e i civilizzati avevano il diritto di interferire negli affari dei “selvaggi” e dei “barbari”. Non è la stessa cosa che stiamo facendo ora? La “civiltà” ora si chiama “democrazia”. L’”ingerenza” negli affari delle “democrazie” è imperdonabile, mentre gli stessi Paesi occidentali hanno il diritto di intervenire a livello umanitario o di imporre sanzioni in nome della democrazia e di un “ordine mondiale basato sulle regole” accettato da una ristretta cerchia di “Paesi civilizzati” e “democratici”. Inoltre, il concetto stesso di “intervento umanitario” si è storicamente evoluto in Europa e negli Stati Uniti da idee razziste e colonialiste sulla giustificazione dell’interferenza negli affari dei Paesi “incivili” (Heraclides & Dialla, 2015, pp. 33-56).

Infine, è sorprendentemente scarsa l’attenzione dedicata all’aspetto geopolitico più evidente del colonialismo. Le colonie sono sempre possedimenti d’oltremare. Negli studi postcoloniali questo punto viene relegato in secondo piano, fino a descrivere le province degli imperi terrestri (o parti di metropoli) come colonie. In Edward Said, tuttavia, si può trovare l’intuizione che “l’idea di dominio d’oltremare, il salto oltre i territori vicini” è specifica delle culture di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Questo li distingue dagli imperi russo e ottomano (Said, 2012, p. 27, 52). Per Dominique Lieven, la principale differenza tra la Russia e gli imperi coloniali marittimi è la “continentalità”. Continentalità significa lo sviluppo all’interno di un “sistema ecologico” di spazi simili, non paragonabile alla scoperta di veri e propri nuovi mondi d’oltremare. Si tratta di un’espansione in un “mondo che non era veramente nuovo”, e quindi le differenze che separavano gli abitanti delle colonie d’oltremare dalla metropoli non esistevano o erano meno pronunciate nell’impero continentale (Lieven, 2007, p. 365).

Il fondatore della geopolitica britannica, Halford John Mackinder, nella sua opera “Democratic Ideals and Reality” ha introdotto due concetti: “seaman’s point of view” e “landman’s point of view” (Mackinder, 1996, p. 38). “L’uomo del mare vede la terraferma come una catena di coste che cerca di sviluppare e controllare dall’esterno. È così che è avvenuta la colonizzazione europea di altri continenti. L’”uomo della terra” vede il continente dall’interno come una vasta massa continentale a cui egli stesso appartiene. In termini geopolitici, il colonialismo può essere inteso come parte della politica delle potenze marittime per il controllo delle terre emerse, compreso il controllo e l’opposizione agli imperi continentali. “La visione marittima, esterna alla terraferma, vede i territori costieri come potenziali colonie, come strisce di terra che possono essere strappate al resto della massa continentale e trasformate in una base, uno spazio strategico”, osserva il geopolitico russo Alexander Dugin (Dugin, 2000, p. 15).

In questo contesto, la decolonizzazione può essere vista come un rafforzamento delle formazioni continentali, un’integrazione a livello continentale che permette di superare la pressione politica, economica e militare delle potenze marittime. Può anche spiegare l’interesse per l’integrazione continentale tra i sostenitori dei movimenti anticoloniali e avvicinare le loro idee ai progetti di integrazione del “secondo mondo” (“One Belt, One Road”, Unione economica eurasiatica (UEE), progetti panafricani).

Conclusione

Gli studi postcoloniali offrono spunti di riflessione rivelando i meccanismi epistemologici del colonialismo, dell’egemonia e della dominazione occidentale dopo la dichiarazione formale di indipendenza delle ex colonie. Non si può fare a meno di riconoscere che essi sollevano domande acute sulla combinazione di modernizzazione e colonialismo, sulla modernizzazione come forma di colonizzazione, sul “lato sbagliato della modernità” (Vasiliev, Degterev & Shaw, 2021, p.11). La sfida più dolorosa è rappresentata dai tentativi di interpretare come “coloniali” le politiche dei Paesi semiperiferici nei confronti delle proprie periferie. La risposta a questa sfida dovrebbe essere un esame più approfondito del colonialismo e del neocolonialismo dalla prospettiva dell’economia politica (teoria dei sistemi mondiali), della filosofia, della geopolitica, degli studi di diritto internazionale, della storia e degli studi culturali. I Paesi del “secondo mondo” condizionato devono costruire una propria teoria postcoloniale contro-egemonica. La domanda a cui rispondere è fino a che punto l’esperienza del “secondo mondo” sia unica e legata a fattori geopolitici e storici, alla continentalità di Russia e Cina (Fursov, 2001) e alla specificità dei sistemi di potere in entrambi i Paesi, e fino a che punto sia universale come risposta alla pressione coloniale occidentale e, quindi, di interesse per il “terzo mondo”.

Il discorso anticoloniale può essere pienamente scientifico se si libera dalla malattia della sinistra – la percezione postcoloniale di ogni sistema solidale complesso come repressivo, di ogni espansione e violenza (inevitabile nel corso della storia) come “colonialismo”. Il colonialismo ha una genealogia distinta e aspetti di formazione e trasformazione nell’ordine internazionale moderno, il cui potenziale di studio non è esaurito.

1 См.: To Receive a Briefing on Decolonising Russia // Congress.gov. June 23, 2022. URL: https://www.congress.gov/event/117th-congress/joint-event/332780?s=1&r=11 (accessed: 14.10.2022); Decolonizing Russia: A Moral and Strategic Imperative // YouTube. June 23, 2022.  URL: https://www.youtube.com/watch?v=-iGtFXs9gvo (accessed: 14.10.2022).

2 Bosnic D. US Government Openly Advocates Destroying Russia // BRICS Information Portal. June 27, 2022. URL: https://infobrics.org/post/36034/ (accessed: 14.10.2022).

3 Decolonisation of Russia To Be Discussed at Upcoming Helsinki Commission Briefing // Justice for North Caucasus. June 22, 2022. URL: https://justicefornorthcaucasus.info/?p=1251683963 (accessed: 14.10.2022).

4 Ashby H., Sany J. On Ukraine, Africa Needs a Clearer U.S. Message // United States Institute of Peace. May 17, 2022. URL: https://www.usip.org/publications/2022/05/ukraine-africa-needs-clearer-us-message (accessed: 15.10.2022).

5 Eisenhower D. Proclamation 3303 — Captive Nations Week // UC Santa Barbara. The American Presidency Project. Documents. July 17, 1959. URL: https://www.presidency.ucsb.edu/documents/proclamation-3303-captive-nations-week-1959 (accessed: 15.10.2022).

6 Sinness M. Empire of the Steppe: Russia’s Colonial Experience on the Eurasian Frontier // UCLA International Institute. May 5, 2014. URL: https://www.international.ucla.edu/apc/centralasia/article/139315 (accessed: 15.10.2022).

7 Ключевский В. О. Курс русской истории. Лекция II // Федеральное государственное бюджетное учреждение науки Государственная публичная научно-техническая библиотека Сибирского отделения Российской  академии наук. URL: http://www.spsl.nsc.ru/history/ kluch/kluch02.htm (дата обращения: 15.10.2022).

8 Webster R. Western Colonialism // Britannica. URL: https://www.britannica.com/topic/Western-colonialism (accessed: 15.10.2022).

9 Inozemtsev V. Russia, the Last Colonial Empire // The American Interest. June 29, 2017. URL: https://www.the-american-interest.com/2017/06/29/russia-last-colonial-empire/ (accessed: 15.10.2022).

10 Caschetta A. J. Why Are Academics Ignoring Iran’s Colonialism? // National Review. December 27, 2019. URL: https://www.nationalreview.com/2019/12/academics-ignore-iranian-colonialism/ (accessed: 15.05.2022).

11 Mergo T. Ethiopia’s Problems Stem From Internal Colonialism // Foreign Policy. July 22, 2021. URL: https://foreignpolicy.com/2021/07/22/ethiopias-problems-stem-from-internal-colonialism/ (accessed: 15.05.2022).

12 Macron Calls Russia ‘One of the Last Imperial Colonial Powers’ on Africa Visit // France24. July 28, 2022. URL: https://www.france24.com/en/africa/ 20220728-marcon-calls-russia-one-of-last-imperial-colonial-powers-in-benin-visit (accessed: 15.10.2022).

13 Turkey Slams Macron for Describing Ottoman Rule in Algeria as Colonialism // Duvar.English. October 08, 2021. URL: https://www.duvarenglish.com/turkey-slams-macron-for-describing-ottoman-rule-in-algeria-as-colonialism-news-59123 (accessed: 15.10.2022).

14 San Juan Jr. The Limits of Postcolonial Criticism: The Discourse of Edward Said // Marxist Internet Archive. November-December, 1998. URL: https://www.marxists.org/ history/etol/newspape/atc/1781.html (accessed: 15.10.2022).

15 Gottfried P. Critical Race Theory Is Worse Than Marxism // The Chronicles. May 26, 2021. URL: https://chroniclesmagazine.org/web/critical-race-theory-is-worse-than-marxism/ (accessed: 15.10.2022).

16 Холмогоров Е. С. Очерки Смутного Времени. Очерк второй. Два мира — две системы // Русская народная линия. 18.10.2007. URL: https://rusk.ru/st.php? idar=24000 (дата обращения: 15.10.2022).

17 Nieri D. Le esercitazioni NATO nel Baltico sono una minaccia per la Russia. Intervista di Umberto De Giovannangeli // Il blog di Franco Cardini. June 12, 2022. URL: https://www.francocardini.it/minima-cardiniana-382-2/ (accessed: 15.10.2022).

18 Шпенглер О. Человек и техника // Гуманитарный портал. URL: https://gtmarket.ru/library/articles/3131  (дата обращения: 15.10.2022).

Оригинал публикации: Бовдунов А.Л. Вызов «деколонизации» и необходимость комплексного переопределения неоколониализма // Вестник Российского университета дружбы народов. Серия: Международные отношения. – 2022. – Т. 22. – №4. – C. 645-658. doi: 10.22363/2313-0660-2022-22-4-645-658

Pubblicato sulla rivista scientifica Vestnik Rudn – International Relations

Bovdunov A.L. Challenge of “Decolonisation” and Need for a Comprehensive Redefinition of Neocolonialism // Vestnik RUDN. International Relations. – 2022. – Vol. 22. – N. 4. – P. 645-658. doi: 10.22363/2313-0660-2022-22-4-645-658

 

LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO:

07.02.2023
Le domande sulla necessità di una “decolonizzazione” del “secondo mondo” e dei Paesi della semiperiferia (secondo la terminologia dell’analisi dei…

Schei! Farli tornare e investirli è la sfida della prossima amministrazione

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di Matteo Castagna per Verona news del 3/6/2022

Gian Antonio Stella intitolava un famoso ritratto del Veneto degli anni d’oro, ovvero il ventennio ’80 e ’90 del secolo scorso con un emblematico: SCHEI! Quelli che hanno reso felice l’intero Nord-Est grazie alla laboriosità ed all’iniziativa imprenditoriale, ad una visione politica d’insieme che mirava, da un lato a valorizzare le migliori offerte del territorio e, dall’altro, a trarne anche un profitto personale, non privo d’avidità ed egoismo.

All’epoca la finanza veronese era tra le più importanti del Belpaese e “i schei” erano davvero tantissimi. Dal 2000 in poi la città è rimasta silenziosa di fronte ad un declino terribile: Verona ha perso la direzione della Cassa di Risparmio e della Banca Popolare, mentre Cattolica Assicurazioni andava incontro a perdite rovinose, come sanno bene anche i piccoli risparmiatori della Popolare. I nostri storici gioielli finanziari e il bancomat per gli investimenti di pregio come la Fondazione Cariverona sono andati alla malora, assieme al turismo, all’ente lirico ed al terzo settore, mentre la politica pensava a cimiteri verticali e alle coppole sull’arena.

Due anni di Covid ed una comunicazione pubblica non proprio all’altezza di una città come Verona non hanno agevolato il sindaco uscente, Federico Sboarina, che è apparso, in troppe occasioni, assente, tanto che dal solito bar Liston 12, in Brà, un capannello di persone di mezza età si ferma e dice: “va ben, ma, insomma, sa alo fato sto’ Federico in sinque ani? L’è un bon butèl, ma èlo bon de far politica?” L’impegno non è mancato, ed il coraggio di fare scelte importanti, anche se inizialmente impopolari, potrebbe essere il frutto positivo dei prossimi 5 anni, delle polemiche che lo hanno investito in questo primo mandato.

Se poi ci si sposta nelle zone in cui i lavoratori, spesso devono prendere l’aereo per viaggiare, non si sono sentite solo le lamentele per le problematiche relative alle restrizioni governative contro la pandemia. “E sto’ qua sarésselo n’aeroporto? Al massimo i te porta fin a Zevio co’ un volo scancanà, na olta al mese…” 

Poi, dopo, se si passeggia in Corso Porta Nuova, all’altezza del bar “Ai Duchi”, c’è gente in giacca e cravatta che si chiede che differenza passi tra i 22 anni di incontrastato potere assoluto di Paolo Biasi e il suo successore, il cardiochirurgo Alessandro Mazzucco, indicato, a tal ruolo, proprio da Biasi. Si parlò di “continuum tosiano” perché tale operazione fu benedetta dall’allora sindaco Flavio Tosi. Vicepresidente vicario resta l’avvocato Giovanni Sala, uomo molto vicino a Biasi. Ma Mazzucco dirà ad Alessio Corazza sul Corriere di Verona del 5/11/2017 che “la Fondazione cui guarda è un ente che vuole dire quel che fa e vuol dire quel che dice” perché non deve essere un centro di potere (come poteva sembrare prima) ma un’azienda che realizza profitti e li investe in operazioni senz’altro virtuose, ma destinate a rendere profitti.

Il periodo di queste elezioni amministrative non è dei migliori. Se, da un lato, stanno pian piano scomparendo le restrizioni, dall’altro il clima estivo favorisce la voglia di uscire e di viaggiare, di andare al mare, piuttosto che in montagna o sul lago. Si ricordi che il partito dell’astensionismo è una sciocchezza, perché non c’è quorum alle elezioni amministrative: chi va a votare decide anche per chi sceglie di andare in spiaggia. Invece, il quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto è indispensabile per i 5 Referendum sulla Giustizia, che dobbiamo votare per iniziare una riforma del sistema giudiziario, che in Italia manca da troppo tempo.

Verona è una città piccolo-borghese e conservatrice. Non ha troppa simpatia per i cambiamenti repentini, ma pretende risposte concrete ai problemi di tutti i giorni: dal traffico ai parcheggi, dai servizi alla tutela dell’ambiente, dalla sicurezza al decoro. In fondo, si aspetta una visione di città in prospettiva, senza tentennamenti, che superi l’atavico provincialismo e alzi il livello alla portata che merita, facendo rinascere i suoi gioielli finanziari e storico-culturali, che debbono tornare a luccicare fino ad abbagliare, con progetti fattibili ma molto attenti al sociale. La ricchezza di Verona è la sua gente, che va amata, pregi e difetti, e messa in condizione di risorgere dagli anni bui delle crisi e della “città fantasma” alle nove di sera.

Damiano Tommasi, in questa campagna elettorale è sembrato un pesce fuor d’acqua. La politica non pare il suo ambiente. Il Palazzo non è l’oratorio. Le partite per il bene comune non si giocano in uno stadio, ma nel confronto con le categorie, sapendo trovare una sintesi, che è il miglior assist per il più bel gol. Ascoltatolo, non appare un candidato da nazionale, quanto da campionato dilettanti: sempre i soliti slogan, tre frasette in croce per compiacere i catto-progressisti, gli ambientalisti e poi? Dio ha dato a ciascuno dei talenti, siamo sicuri che questo sia il suo o lo vedremmo meglio al Coni?

Flavio Tosi è una eccellente macchina da voti. Non avendo mai lavorato, se non per il consenso personale, è quello che ha più esperienza di tutti. Però, ha già dimostrato in un doppio mandato e con una clamorosa sconfitta quanto sia bravo a fare il barbecue, producendo tantissimo fumo e un po’ di arrosto, da dividere con gli amici e i benefattori. L’impressione è che la sua grande spinta sia dovuta maggiormente ad un isterico spirito di rivalsa rispetto alla fila dei suoi fallimenti politici, dalla cacciata dalla Lega in poi nel 2015, piuttosto che all’amore per la città. Ma, qualcuno, a distanza di 7 anni, nel partito di Salvini pare sentirne, inspiegabilmente, la mancanza. Chissà…

Infine, ci sono gli outsider. Con buona pace di Paolo Berizzi, non si presenta alcuna lista di “estrema destra” nella città “laboratorio-fantasma” del neo-fascismo. Ci sono, però, ben tre liste della galassia “no vax” o “free vax” che, disgraziatamente per loro, si presentano divise. Sarebbe stato curioso vedere una civica unica e compatta sui diritti costituzionali e le libertà individuali quale risultato avrebbe potuto dimostrare a tutt’Italia. Fra di esse, colpisce il coraggio e la determinazione di Paola Barollo che si candida sindaco per la civica Costituzione Verona Libero Pensiero. Alla luce dell’incidente che ha subito 20 anni fa, Barollo si propone come sindaco per rimettere al centro le esigenze delle persone più fragili, come disabili e anziani e per costruire una Verona più inclusiva e accessibile per tutti. Io sono vaccinata e quindi non mi considero assolutamente una No Vax. Non voglio essere assolutamente citata in questo senso, perché non lo sono. La nostra lista è a favore della libertà di pensiero e bisogna rispettare chi non vuole vaccinarsi perché siamo un Paese civile e democratico e quindi è giusto che ogni persona decida cosa fare nella sua vita”. 

Anna Sautto per il Movimento 3 V sembrerebbe più decisa sulla questione “no vax”, mentre Alberto Zelger, ex consigliere comunale uscente della Lega, si presenta con Verona per le libertà e altre due civiche sempre della galassia “no vax, no green pass”. Con lui, Mario Adinolfi, presidente del Popolo della Famiglia e alcune frange minoritarie del mondo cattolico conservatore, che, forse, hanno fatto venire qualche mal di pancia al vescovo Giuseppe Zenti.

E’ d’uopo ricordare che si può esprimere il voto disgiunto, ossia barrare il nome di un candidato sindaco e dare la preferenza ad una lista ed un candidato consigliere comunale di un partito o civica che ne sostiene un altro.

Ad esempio, chi volesse votare Fratelli d’Italia potrebbe scrivere, che so, Daniele Polato, accanto al simbolo e, se non gli piace Sboarina, mettere una “X” sul nome di Paola Barollo. Alle amministrative, è importantissimo guardare alle persone ed esprimere la preferenza. Se non piace Sboarina, ma si vuol votare la Lega, si può scrivere, ad esempio, Damiano Buffo accanto al simbolo e apporre una “X” su un altro candidato sindaco, mentre se si lascia solo la preferenza, il voto va direttamente anche a Federico Sboarina. Sono molte le donne che si mettono in gioco in questo agone elettorale, ma un giovane, promettente ristoratore e agricoltore veronese, che desta particolari attenzioni per l’entusiasmo di questi giorni. Lui è Achille Carradore e si presenta per la civica Verona Domani a sostegno di Sboarina. I sondaggi danno per vincente la riconferma di Sboarina. La lista del sindaco, per i più affezionati di Federico Sboarina, vede in campo un volto noto come Riccardo Caccia, che si candida col centrodestra in dissenso col suo partito, Forza Italia, che ha deciso di spaccare la coalizione e di sostenere Flavio Tosi con le sue civiche, ove spicca il nome di De’ Manzoni, fratello di Massimo, caporedattore del quotidiano La Verità.

I veronesi scelgano con retto discernimento il loro destino dei prossimi 5 anni, siano esigenti, pretendendo progettualità e concretezza, visione politica di medio e lungo periodo, rinascita del meglio di questo territorio. L’esperienza di Polato, la tenacia di Buffo e l’entusiasmo di Carradore potrebbero essere molto utili in questa prospettiva.

Pensateci su e non delegate le scelte agli altri: andate a votare!

Fonte: https://www.veronanews.net/schei-farli-tornare-e-investirli-e-la-sfida-della-prossima-amministrazione/

Quali forze potranno attaccare, come lo faranno e dove. E perché Putin ha scatenato questa sfida (Repubblica)

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LA SATIRA PUNGENTE

di Alfio Krancic

Questo è lo scoop di Repubblica. Svelati i piani dello Stavka russo. Gli ucraini e i contractors della Nato hanno preso immediatamente le contromisure, quindi per Putin saranno dolori. La sua sconfitta è assicurata. Ma come ha fatto Repubblica ad avere i piani dell’offensiva russa? Pare che tutto sia nato grazie all’infiltrazione di due giornalisti di Fanpage, fintisi neofascisti e novacs che, contattato l’ineffabile Barone Nero, sono riusciti, grazie alla sua presentazione, ad entrare nel giro, dei leghisti filo-russi, guidati dal famigerato Savoini. I due giornalisti, sotto copertura, arrivati a Mosca, hanno preso alloggio nell’equivoco Hotel Metropol. Qui si sono incontrati con il Barone Nero, il Savoini e due emissari del Cremlino.

Da loro i due spioni fanpagisti hanno ottenuto i piani dell’invasione dell’Ucraina e della UE e con loro hanno stabilito i piani della sollevazione neofascista e novacs in Italia. A guidare i neofascisti si sono fatti i nomi di Castellino e Fiore, che sarebbero stati liberati dal carcere di Poggioreale con un blitz di novacs. Ad ascoltare e a registrare la conversazione del gruppetto di cospiratori, seduti ad un tavolo vicino, opportunamente camuffati, vi erano Andrea Scanzi e il noto cacciatore di fascisti di Repubblica, Paolo Berizzi. I filmati, girati all’insaputa dei filo-putiniani, 200 h di video, sono ora al vaglio della trasmissione Piazza Pulita, che manderà le clamorose anticipazioni nella prossima trasmissione, e della magistratura. Naturalmente il compenso pattuito con il Barone Nero, 10 milioni di euro in contanti in un trolley per finanziare il partito di FdI, si è rivelato l’ennesimo pacco. Nel trolley infatti vi erano libri con le biografie di Joe Biden, Draghi, Mattarella, Gentiloni, Letta etc.

Fonte: https://alfiokrancic.com/2022/02/14/quali-forze-potranno-attaccare-come-lo-faranno-e-dove-e-perche-putin-ha-scatenato-questa-sfida/

Green pass, i portuali sfidano Draghi: “Blocchiamo tutto”

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Comunque la si pensi, i portuali dimostrano di essere una categoria di lavoratori compatta e coraggiosa, in grado di trattare, proprio grazie a questo binomio di caratteristiche, direttamente col Governo, avendo anche la forza di poter dettare le condizioni. Un loro comunicato spiega come stiano arrivando loro migliaia di messaggi di sostegno da parte di lavoratori e famiglie italiane che ritengono ingiusto il Green Pass. Le azioni concrete di seria protesta sono queste, e si differenziano di gran lunga da proclami, libelli, scontri e raduni, facilmente strumentalizzabili e/o palesemente inutili (N.d.R.)

Se le trattative non andranno in porto, saranno guai seri. Non solo per il sistema portuale italiano, che non può certo fare a meno di Trieste. Ma anche per l’economia nostrana, in un periodo in cui la filiera della logistica mondiale è in subbuglio. E soprattutto per il governo, che si trova sul piatto una grana enorme che rischia di esplodere nel giorno del battesimo del green pass obbligatorio.  I lavoratori portuali di Trieste lo hanno detto chiaro e tondo: il 15 ottobre ci sarà il “blocco delle operazioni del porto” se “non sarà tolto l’obbligo“ del lasciapassare verde, non solo per loro “ma per tutte le categorie di lavoratori”.

Un ultimatum a Draghi in cui non sembrano esserci spazi di mediazione. Ieri il Viminale aveva provato a trovare una soluzione, chiedendo alle aziende di pagare i tamponi ai dipendenti sprovvisti di green pass. Una sorta di “privilegio” rispetto al resto dell’Universo mondo, visto che la linea Draghi è sempre stata quella di non avvallare le tesi “no vax” a suon di test molecolari gratuiti. Infatti, i portuali hanno respinto al mittente pure questa ipotesi. Niente da fare. Neppure le paventate dimissioni del presidente dell’Autorità, Zeno d’Agostino, li ha scalfiti. I 950 operai triestini non scendono a patti: se anche un solo lavoratore italiano dovesse essere escluso dal lavoro, si metteranno a braccia conserte fermando – di fatto – l’intera macchina organizzativa del porto. Il 40% di loro non è vaccinato, e dunque è sprovvisto del pass, in una città in cui il movimento 3V dei No Vax ha sfiorato il 5% dei consensi. In città le manifestazioni anti green pass vanno avanti da settimane. Mentre gli occhi d’Italia erano puntati sugli assalti romani alla Cgil, qui sfilavano 15mila persone capitanate proprio dai portuali. “Siamo venuti a conoscenza – ha scritto il leader della protesta  Stefano Puzzer – che il Governo sta tentando di trovare un accordo, una sorta di accomodamento riguardante i portuali di Trieste, e che si paventano da parte del Presidente Zeno D’Agostino le dimissioni. Nulla di tutto ciò ci farà scendere a patti fino a quando non sarà tolto l’obbligo di green pass per lavorare. Non solo noi, ma tutte le categorie di lavoratori”.

Una guerra senza esclusione di colpi, che dimostra come il governo si sia presentato impreparato all’appuntamento col green pass. Non solo i portuali, infatti. I poliziotti da giorni sono sul piede di guerra perché la possibile esclusione dal servizio di 15-19mila divise non vaccinate rischia di paralizzare il sistema di sicurezza italiano. Chi occuperà i turni dei colleghi rimasti a casa, vista la cronica mancanza di organico? E se la durata del tampone dovesse “scadere” in mezzo al servizio, il poliziotto che fa: lascia scappare il ladro? Draghi ora dovrà trovare una soluzione. Non semplice. I portuali triestini gli hanno lanciato il guanto di sfida. E per ora hanno loro il coltello dalla parte del manico: la ripresa italiana non può permettersi di perdere un porto. Col rischio che la protesta contagi anche gli altri scali. A partire da Genova.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/green-pass-i-portuali-sfidano-draghino-green-pass-o-blocchiamo-tutto-i-portuali-sfidano-draghi/ 

Dalla Polonia una sfida al cuore del potere di Bruxelles

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La corte costituzionale polacca deciderà se alcune disposizioni dei trattati dell’UE sono compatibili con la costituzione polacca e se la corte suprema dell’UE può costringere il paese a sospendere parte delle sue riforme giudiziarie. I funzionari governativi  polacchi insistono sul fatto che i casi, che saranno esaminati martedì e mercoledì, sono necessari perché gli organi dell’UE hanno oltrepassato i loro poteri, violando quindi i diritti definiti dalla costituzione polacca.

“Non si tratta solo della Polonia. Il problema è che alcuni funzionari europei stanno cercando di conferire all’UE maggiori competenze senza modificare i trattati”, ha affermato Sebastian Kaleta, viceministro della giustizia polacco. “Questo è molto pericoloso, perché potrà far implodere l’UE dall’interno”. nello stesso tempo però questa causa rischia di far saltare la costruzione europea ed anche molti dei poteri informali di Bruxelles. Didier Reynders, commissario per la giustizia dell’UE, ha dichiarato al Financial Times che esiste il rischio di una “vera minaccia per l’architettura stessa della nostra unione” a causa di sfide legali simili da parte degli Stati membri, tra cui Francia e Germania. “Se non  fermi queste cause, avrai sempre più possibilità per i diversi Stati membri di contestare il primato del diritto dell’UE e la competenza della Corte di giustizia europea”, ha affermato Reynders.

Il mese scorso, la Commissione europea ha avviato un’azione legale contro la corte costituzionale tedesca a Karlsruhe per una sentenza del 2020 secondo cui la Corte di giustizia europea aveva agito oltre le sue competenze in un caso relativo all’acquisto di obbligazioni della Banca centrale europea. Reynders ha quindi scritto anche al governo polacco chiedendo formalmente di ritirare una delle mozioni davanti alla sua corte costituzionale, affermando che sembrava contestare i principi fondamentali del diritto dell’UE e l’autorità della Corte di giustizia europea. Alla base del contendere vi sono le modifiche costituzionali polacche, compresa la riforma della Suprema Corte, che, secondo Bruxelles, avrebbero toccato dei punti facenti parte dei trattati europei e che poi sono state anche contestate dalla maggioranza di sinistra del Parlamento europeo, con le note accuse di “Violazione dello stato di diritto”.

Funzionari polacchi respingono le critiche dell’UE a Varsavia come un doppio standard. “Questo non è – come stanno cercando di dire alcuni funzionari della Commissione europea – un precedente”, ha affermato Kaleta, aggiungendo che altri tribunali costituzionali “hanno affermato agli organi dell’UE che stanno interferendo negli affari interni senza competenza”.

Tuttavia, Kim Lane Scheppele, professore di diritto a Princeton, ha sostenuto che c’era una differenza fondamentale tra le sfide polacche e quella lanciata in Germania. Il tribunale di Karlsruhe ha contestato il modo in cui la Corte di giustizia europea aveva svolto il proprio lavoro nel valutare la validità dell’acquisto di obbligazioni da parte della BCE; i casi polacchi si chiedevano se il diritto dell’UE si applicasse alla Polonia e fosse superiore al diritto costituzionale nazionale. Un putno essenziale che , se chiarito a favore di Varsavia, permetterebbe a tutte le corti costituzionali nazionali di opporsi alle decisioni europee e della Corte di Giustizia Europea. Purtroppo per noi non cambierebbe molto, perchè i giudici della Corte Costituzionale sono noti per la loro totale flessibilità nei confronti della Commissione.

Fonte: https://scenarieconomici.it/dalla-polonia-una-sfida-al-cuore-del-potere-di-bruxelles/

E allora, da che parte stanno i cattolici?

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RECENSIONE DEL LIBRO DI MATTEO CASTAGNA

di Mattia Rossi per Il Giornale OFF de Il Giornale

Ha fatto scalpore, qualche tempo fa, la copertina di Famiglia Cristiana contro il Ministro degli Interni Matteo Salvini («Vade retro Salvini», campeggiava in copertina sotto la fotografia del leader leghista). Poco dopo, però, il sondaggio del quotidiano Libero: l’85% dei cattolici sarebbe favorevole alle politiche del Ministro

E allora, da che parte stanno (o devono stare) i cattolici? Con quello che, comunemente, viene definito il populismo o con il mondialismo europeista? E sul fascismo? Dove posizionarsi per quanti si professano cattolici? Ma poi, quali cattolici? Quelli delle gerarchie ufficiali moderniste o quelli “integrali” e fedeli al Magistero cattolico di sempre?

Le risposte le prova a dare Matteo Castagna, giornalista e cattolico militante (responsabile del Circolo “Christus Rex – Traditio” di orientamento sedevacantista) nel suo Cattolici tra europeismo e populismo. La sfida al nichilismo (Solfanelli, pagg. 248, euro 17) da poco in libreria.

Appurato subito, da parte di Castagna, che «non può esistere un “cattolicesimo progressista”» e che «l’unico cattolicesimo possibile è quello “integrale”», sono numerose le dottrine che il giornalista veronese passa in rassegna (il savonarolismo, il contro-riformismo, il secondo franchismo, il neo-luteranesimo del nazismo) per poi spostarsi sul versante cattolico nel capitolo Cattolici integrali, gesuiti, modernisti, clerico-fascisti.

L’integrismo cattolico, spiega Castagna, «percepisce nell’internazionalismo bianco-gesuitico, democristiano-modernista lo strumento politico e teologico mediante il quale si va manifestando il più grande attacco, mai concepito, alla cristianità». Ne deriva che, secondo l’autore, «il pericolo fondamentale del connubio gesuitico-modernista sarebbe rappresentato, per mons. Benigni, dal fine della disgregazione sociale della Tradizione costantiniana e gregoriana occidentale; dall’antifascismo assoluto e dogmatico; dal democristianismo di sinistra; dall’antropocentrismo fanatico e relativistico tecnico-pragmatico e politicistico; dal rigetto delle XXIV tesi del tomismo; tutto ciò, se realizzato con la vittoria dell’antifascismo internazionale, avrebbe condotto al nichilismo neo-modernista e alla secolarizzazione”. Continua a leggere

La sfida sociale ha bisogno di “pensieri lunghi”

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di Mario Bozzi Sentieri

La sfida sociale ha bisogno di "pensieri lunghi"

Fonte: Mario Bozzi Sentieri

C’è bisogno di pensieri lunghi. A destra e a sinistra. Pensieri lunghi sui quali innervare i processi di cambiamento, politici e sociali. Pensieri lunghi che siano l’esatto contrario delle vecchie visioni ideologiche, dei rigidi (ed irrealistici) “manifesti” di stampo ottocentesco. C’è  bisogno soprattutto di rinnovati strumenti rappresentativi, in grado di dare voce alle istanze concrete della società, proiettandole su scenari più ampi. In questo ambito tutto da ripensare è il ruolo dei sindacati. E’ tema di questi giorni. Ed è un tema cruciale che non permette ambiguità.

Quando il Ministro per lo Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, pone la questione  della rappresentanza sindacale, con l’idea di “stimolare un processo di aggiornamento”, che cosa intende ? Vuole continuare a perseguire i percorsi di delegittimazione del mondo sindacale, portati avanti, negli ultimi anni dalla sinistra di governo, o  ipotizza altre ipotesi di lavoro ?  Intende assecondare le vecchie logiche conflittuali o guarda a più organiche soluzioni partecipative ?

In attesa di capire gli orientamenti del Ministro e più in generale dell’attuale esecutivo non ci sembra banale rilanciare il tema della cogestione, nel suo più ampio e compiuto significato. Continua a leggere

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