Il Riflusso Rosa o di come l’America Latina ha perso la sua sinistra

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La polizia del Boss mi ha afferrato in stile gringo – Corrido, “Cananea”, 1917

Il Cile caldo

La caduta del Muro di Berlino ha lasciato numerosi orfani, tra cui, in primo luogo, i quadri dei partiti comunisti in tutto l’Occidente. Le scosse di assestamento arrivarono ovunque, in particolare alla periferia dell’Occidente: l’America Latina. Tradizionalmente riformisti, parlamentari e piccolo-borghesi, molti burocrati comunisti del continente – una volta scartati dall’improvviso ritiro sovietico – si riciclarono in ONG finanziate da Washington, sostenendo i diritti umani, la democrazia e il femminismo. Era il momento in cui Mosca, sprofondata nella sua crisi di legittimità, aveva abbandonato l’arena internazionale apparentemente per sempre. Ma il vuoto professionale doveva essere colmato in un modo o nell’altro: così un giorno, per necessità, il marxismo scolastico ha lasciato il posto al postmodernismo scialbo nei salotti ufficiali e nel mondo accademico. Il periodo in questione coincide grosso modo con la fine delle dittature neoliberali in Sudamerica, in particolare in Cile, il cui ritorno alla democrazia è stato segnato da ondate di protesta sociale simili a maratone nella seconda metà degli anni Ottanta.

Ora si va avanti di trent’anni

Generazioni dopo la scomparsa di Pinochet, il Cile ha riproposto un ciclo simile di insurrezione popolare proprio alla vigilia dell’esplosione del COVID-19: città invase da quasi due milioni di manifestanti, alcuni dei quali muniti di molotov e fervore luddista. Fino a quel momento, le sedie musicali elettorali erano state divise tra socialdemocratici dalla parlantina pulita e neoliberali draconiani, anche se l’economia trickle-down rimaneva sempre la stessa. Era un gioco di conchiglie giocato in successione da volpi e leoni di Pareto, “sinistra” e “destra” sul modello americano. Tutto questo mentre l’economia cilena, che mescola il PIL della Finlandia e il GINI del Lesotho, trascinava un arretrato di disperazione tra il precariato. Alla fine, la Rivoluzione colorata cilena del 2019 portò a un duplice processo. Da un lato, ha facilitato la futura vittoria presidenziale di un’alleanza di sinistra a metà, formata sia da progressisti di professione che da comunisti di pura razza.

Dall’altro lato, la mobilitazione di strada ha dato vita a un’Assemblea costituzionale, originariamente prevista dall’establishment come valvola di sicurezza per mitigare la volatilità dei cittadini. Tuttavia, come si è visto, l’Assemblea ha acquisito una logica propria e ha fatto avanzare la bozza di una nuova Costituzione che assomiglia a un mosaico multiculturalista – anche se, bisogna ammetterlo, i diritti dei lavoratori hanno ottenuto un residuo riconoscimento nelle sue ultime deliberazioni. Attualmente, l’Assemblea Costituzionale e la nuova amministrazione rappresentata da Boric, anch’egli ex leader studentesco, sembrano poco sincronizzate, in parte perché quest’ultima, scrollandosi di dosso le promesse della campagna elettorale, ha abbracciato l’austerità di bilancio e le misure deflazionistiche. In effetti, a un mese dall’investitura del Presidente Boric, la consueta luna di miele tra elettorato e nuovo gabinetto lascia presagire un divorzio burrascoso.

La causa è semplice. Il Cile detiene virtualmente il monopolio dell’estrazione del rame a livello mondiale, anche se lo Stato non riesce – a causa di accordi geopolitici che risalgono alla Dittatura – a catturare la rendita generata dal proprio sottosuolo. Per questo motivo, l’imposizione fiscale si riversa sulle masse lavoratrici, i cui risparmi per la pensione finiscono anch’essi sequestrati da portafogli Ponzi imposti dalla legge che finiscono nel labirinto dei broker finanziari americani – i famigerati Amministratori di Fondi Pensione (PFA).

Durante le recenti quarantene, i sussidi pubblici per i disoccupati sono stati così esigui che la gente ha chiesto di incassare i registri delle pensioni, da cui è scaturito un braccio di ferro tra i PFA e la loro clientela anziana e prigioniera. Presumibilmente, gli investimenti sono così illiquidi e opachi da rasentare la letterale inesistenza. Tuttavia, l’attuale amministrazione progressista-comunista, “rosa-rossa”, si è schierata fortemente con la lobby finanziaria locale, legata a doppio filo con Wall Street. Così, l’elettorato di sinistra di Boric oscilla tra lo stupore e la rabbia, rispondendo al tradimento percepito con la minaccia di una defenestrazione politica. Il buon senso suggerisce che, ancora una volta, la ribellione popolare cova sotto di sé. Ma questa volta sarà peggiore, poiché il governo non ha nessuno a sinistra, nessun antagonista formale con cui confrontarsi, appellarsi o negoziare, se non una folla amorfa, marea, per lo più giovanile, che affolla le barricate e i picchetti onnipresenti. Naturalmente, un nemico istituzionale può diventare un alleato fedele, e quindi una fonte di legittimazione. Purtroppo, questa non è più un’opzione. Invece, l’agenda multiculturale del signor Boric pretende di placare la penuria materiale e il rancore sociale invocando e propagandando il mantra dei diritti sessuali, dell’ambientalismo da boutique e della riabilitazione delle minoranze. Ma forse l’impresa è piuttosto stucchevole e la sua attualità abbastanza passata. Perché? Perché l’Assemblea Costituzionale, che corre in parallelo con obliqua complicità, si è già appropriata di tutti questi temi. Tutto sommato, il Cile è una barzelletta politica per ora senza finale.

Antinomie andine

L’anno scorso, dopo essere arrivato in testa al ballottaggio presidenziale, il maestro di scuola rurale con il cappello da cowboy Pedro Castillo, alias El Profesor, ha dovuto improvvisare un patto con la rappresentante della sinistra accademica, l’antropologa Verónika Toledo, per affrontare l’imminente ballottaggio elettorale. Alla fine Castillo ha vinto, ma non prima di aver subito un calvario giudiziario volto a inficiare il numero dei suoi voti, suffragi concentrati soprattutto nel retroterra indigeno.

Benché sostenuto dal partito leninista Perú Libre, Castillo è rimasto un classico populista della varietà latina, orientato verso i contadini e con un radicato ethos cattolico. Inutile dire che questo profilo metteva in imbarazzo i suoi alleati progressisti a Lima. La sinistra urbana istruita disapprovava la maggior parte del programma di Castillo e guardava con sospetto anche al suo stesso personaggio politico, rustico e moralista. Peggio ancora, l’iperbolica fraseologia da “ritorno alla terra” di El Profesor non si sposava, tra l’altro, con lo slancio pro-aborto della cricca accademica di Toledo. Il socialismo-familismo strideva con le orecchie del conformismo di sinistra. Ma dovrebbero saperlo bene.

Le famiglie contadine sono state duramente decimate dall’eugenetica neoliberale durante il regime autoritario di Fujimori (1990-2000), che ha perpetrato sterilizzazioni disinformate e non consensuali su decine di migliaia di donne indigene. La crociata di depopolamento, sponsorizzata e finanziata sia dalla NED che da enti di beneficenza ufficiali giapponesi (lo stesso Fujimori è nato in Giappone), ha traumatizzato profondamente le giovani donne, il cui ambiente nativo apprezza molto la gravidanza e il parto.

Paradossalmente, questa politica punitiva di pianificazione familiare è stata attuata in un Paese a bassissima densità demografica, il che solleva sospetti sul reale scopo di una simile iniziativa.

Tuttavia, la riduzione dei tassi di natalità è attualmente perseguita dalla lista della lavanderia abortista, a partire dall’epurazione postmoderna del cosiddetto patriarcato e della mascolinità operaia: prima il bastone, poi la carota… In realtà, fino a poco tempo fa, il blocco di governo peruviano ha avuto una traiettoria accidentata ed erratica, e sembra improbabile che la chimerica coabitazione tra populisti di campagna e mezza tacca universitaria possa funzionare comunque. Per cominciare, il ministro delle Finanze appartiene all’entourage liberale di Verónica Toledo, da cui deriva la continuità del capitalismo delle materie prime.

Tango e contanti

Dopo una tortuosa incubazione, il dissenso proletario in America Latina ha raggiunto l’apice intorno al primo decennio del XX secolo, una congiuntura che ha inaugurato la moderna politica di classe a sud del Rio Grande. Il famoso Sciopero di Cananea in Messico e lo Sciopero Generale in Argentina, entrambi avvenuti all’inizio degli anni Novanta, segnano l’ascesa politica della fabbrica sottoproletaria, protagonista di ardue lotte sociali culminate rispettivamente negli esperimenti redistributivi di Cárdenas e Perón. Per quanto riguarda quest’ultimo processo, l’Argentina stessa, nonostante l’ingente immigrazione transatlantica riversatasi sulle sue coste, non ha mai sviluppato partiti di massa marxisti di stampo europeo, come invece è avvenuto nel vicino Cile. Al contrario, il fascismo paternalistico e plebeo dell’Argentina sotto il generale Perón (1945-1955) servì da surrogato e da catalizzatore per la contestazione della classe operaia negli anni a venire. Fino ad oggi, l’epoca di Perón ha rappresentato in modo vivido l’età dell’oro dell’industrializzazione sostitutiva delle importazioni e del sindacalismo verticale.

Una volta sconfitto da una giunta militare di destra, il peronismo confluì presto nel guevarismo, formando una sottocultura di carisma macho rivoluzionario, che in seguito si evolse verso la guerriglia urbana. Questo contesto emergente indusse i partiti marxisti convenzionali all’introversione riformista. Il tropismo era così intenso che il Partito Comunista locale si alleò con i conservatori terrieri e sostenne persino brevemente la dittatura del generale Videla durante gli anni Settanta. Nel frattempo, il peronismo rivoluzionario degenerò in una serie di gruppuscoli putschisti, i cui militanti furono a loro volta massacrati dagli scagnozzi della Giunta. Durante questo periodo di effervescenza, la sinistra rivoluzionaria coltivò una prassi nativista e sacrificale. Pertanto, solo con il ritorno dei governi civili i movimenti anticapitalisti hanno acquisito un senso di vittimismo e passività. Certo, questo è stato possibile solo grazie all’installazione dell’ideologia-discorso sui diritti umani, il cui epicentro è stato l’amministrazione Carter. Da qui la tragica ironia: i repressori militari argentini hanno ricevuto istruzioni da Fort Benning e dal Pentagono, mentre le loro vittime sono state assistite e sermoneggiate dai missionari laici delle ONG americane.

Contemporaneamente, la crisi di default messicana del 1982 – originariamente causata dal colpo di mano di Volcker sui tassi di interesse – ha innescato il cortocircuito finale del paradigma keynesiano-fordista in America Latina. Decisamente, questa inflessione ha aperto la cupa bonanza dei programmi di aggiustamento strutturale (SAP) del FMI, che hanno intaccato il vigore economico della maggior parte dei Paesi dell’emisfero. A questo proposito, il debito estero dell’Argentina costituisce una lezione trasparente. La Repubblica del Sud ha mostrato una relativa solvibilità fino al 1976, anno in cui la Dittatura ha sestuplicato il livello di debito precedente. Da allora, i numeri rossi sono saliti alle stelle, sottoponendo i contribuenti argentini a un cronico peonaggio del debito di fronte ai creditori internazionali. Col senno di poi, ci si potrebbe chiedere se l’ideologia dei diritti umani – e in seguito il multiculturalismo e i suoi tropi concomitanti – sia stata solo una consolazione machiavellica, un trucco per addomesticare, neutralizzare e depoliticizzare la società civile, in particolare le organizzazioni dei lavoratori.

Se vogliamo chiarire le cose, è necessaria una vignetta giornalistica. A metà del 2002, l’obbligazionista avvoltoio Paul Singer ha fatto causa a Buenos Aires per inadempienza del debito sovrano, riuscendo così a sequestrare legalmente la nave scuola argentina attraccata al largo del Ghana, con un equipaggio di 22 giovani marinai. Si è trattato di un riscatto virtuale imposto da lontano, in seguito all’ordine di disarmo di un tribunale del New Jersey, il cui effetto extraterritoriale appare oggi discutibile. Ma il ricatto ha avuto successo e l’investitore attivista Singer ha finalmente spremuto 2,4 miliardi di dollari dal Tesoro argentino, quattro volte il suo investimento iniziale. Nel frattempo, i dibattiti parlamentari a Buenos Aires sono stati dominati dalle guerre culturali, dai presunti diritti degli omosessuali o da altre controversie del momento, per cui solo voci marginali hanno discusso il nodo dell’odioso debito.

Curiosamente, lo stesso Singer è un gigantesco finanziatore dei diritti degli omosessuali su scala globale, un’impresa caritatevole che potrebbe non essere così disinteressata come si dice.

Riflettendoci, si nota gradualmente uno schema. Come già osservato, la retorica dei diritti umani e del multiculturalismo rafforza l’inerzia della disciplina del debito e dell’estrattivismo economico, una volta che gli attori politici dell’America Latina sono diventati vittime istituzionalizzate che chiedono ospitalità. Non si può cambiare questo corso delle cose se non si sfida l’egemonia liberale nella cultura e non la si riduce alla banalità che comporta. La nuova sinistra postmoderna in America Latina, innestata artificialmente su una ricca tradizione populista, di cui la prima parassita astutamente la memoria, può solo portare disillusione e anomia. Gli esempi in tal senso abbondano.

Cavalli di Troia

Ad oggi, appare chiaro che il capitalismo atlantico ha scelto la sinistra progressista come percorso agevole per controllare il suo tradizionale cortile geostrategico di materie prime. In effetti, la sinistra socio-liberale, priva di qualsiasi allusione proletaria, si presenta come un perfetto cavallo di Troia per portare avanti l’agenda globalista nella sua nuova incarnazione estrattivista. I recenti sviluppi confermano questi sospetti. Petro, ex guerrigliero convertito in sicofante clintoniano, ha riaffermato il ruolo della Colombia all’interno della NATO e ha esteso la virtuale occupazione militare americana del Paese caraibico, con decine di basi finanziate dal Pentagono. Nel frattempo, Boric in Cile ha accelerato l’approvazione del Partenariato Trans-Pacifico (TPP11), un’iniziativa precedentemente scaricata da Trump ma ora guidata dalla diplomazia di Biden. È interessante notare che una sinistra più tradizionale, nata da veri e propri processi rivoluzionari in Messico (1910), Cuba (1959) e Nicaragua (1979), mantiene ancora uno slancio antiglobalista. Il Brasile di Lula è un esempio per il futuro del populismo di sinistra nel continente. Il Partito dei Lavoratori (PT) brasiliano deriva dal sindacalismo cristiano e dalle cooperative contadine. Per questo motivo, la sua ideologia tendeva a esprimersi in termini nazionalistici, comunitari e sviluppisti. Tuttavia, finora il primo governo di Lula è stato ancora un esperimento neoliberale con una patina di ridistribuzione inflazionistica. Non c’è da stupirsi che i ministri delle finanze e i controllori delle banche centrali di Lula provengano sempre dalla porta girevole del FMI-GoldmanSachs.

Tuttavia, grazie al suo peso demografico, il Brasile vanta un mercato interno che consente una borghesia nazionale minimalista, che aspira a consolidare il proprio posto all’interno del blocco BRIC. Da qui la posizione neutralista di Bolsonaro nei confronti della Russia, da cui il Brasile ottiene la maggior parte dei fertilizzanti per la soia che alimenta la Cina. Attualmente, Lula può abbracciare o meno il progetto BRIC. Il bivio è tra l’economia reale e quella finanziaria: il motore della crescita del Brasile dipende dalla domanda cinese di colture, mentre i meccanismi anglo-atlantici del debito in dollari incatenano ancora il Brasile alla subordinazione emisferica.

Inutile dire che la politica internazionale è più di un semplice riflesso degli affari interni, quindi la prevista extraterritorializzazione e denazionalizzazione del bacino di Amazonas, con il pretesto della gestione ambientale globale, sarà un momento decisivo per il nuovo governo di Lula. Un altro punto in discussione è il futuro ruolo di Petrobras, l’impresa pubblica petrolifera continuamente penalizzata da vicende di clientelismo e corruzione. L’autosufficienza energetica è cruciale per lo sviluppo nazionale, dato che il Brasile è un esportatore netto di petrolio greggio, anche se i prezzi locali per i consumatori nazionali sono molto alti. In questo momento, si spera solo che Lula possa avvicinarsi a una sorta di nazionalismo delle risorse economiche, rafforzando la diplomazia neutralista dei BRIC.

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/il-riflusso-rosa-o-di-come-lamerica-latina-ha-perso-la-sua-sinistra

Traduzione di Costantino Ceoldo

Telenuovo, Castagna (C.R.): “Quatargate? Chiudere Ue e Nato per un mondo multipolare di un’Europa dei Popoli”

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di Redazione

Come ogni mese, il nostro Responsabile Nazionale Matteo Castagna viene invitato a partecipare a “Rosso&Nero”, programma di approfondimento politico e di attualità condotto da Mario Zwirner su Telenuovo.

Negli studi di Padova gli ospiti sono: Nereo Tiso del PD, Lisa Bregantin di FdI e Andrea Frizzera del PSI. Matteo Castagna, come sempre, è collegato via Skype dal suo studio di Verona.

Il dibattito è iniziato alle 12.40 e terminato dopo circa un paio d’ore. Tema del giorno il “QUATARGATE” che sta facendo scricchiolare il sistema di potere delle sinistre in Europa:

ecco la registrazione integrale: https://play.telenuovo.it/rosso-e-nero/tit-13236824

 

La solidarietà verso gli immigrati non è un obbligo morale

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/11/14/la-solidarieta-verso-gli-immigrati-non-e-un-obbligo-morale/

LA “CIVILTÀ” DELLA SOLIDARIETÀ IMMIGRAZIONISTA DELLE SINISTRE, NON È ALTRO CHE IL COMPIMENTO DEL TERZO “VALORE” DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE, QUELLO PIÙ UTOPICO DELLA “FRATERNITÉ” SENZA IL CRISTIANESIMO

La parola solidarietà viene, spesso, abusata o utilizzata a sproposito per far apparire il Cattolicesimo come una grande O.N.G. (Organizzazione Non Governativa) col fine di favorire il mondialismo. Questa è la versione social-democratica del Magistero della Chiesa. L’interpretazione centrista è, altresì, ancor più incline ad un buonismo che afferisce all’umanesimo integrale, tanto sbandierato dai liberali, che non riconosce alcun ruolo a Dio, quanto ad un’etica materialista della comune famiglia globale.

La solidarietà come pseudo-virtù è un’invenzione del positivismo ottocentesco, e di August Comte in particolare, per il quale la solidarietà è “l’intrinseca e totale dipendenza di ogni uomo dalle precedenti generazioni” , in una prospettiva totalmente deterministica, che non gli riconosce alcuna libertà.

Il problema di entrambe le ideologie, che spesso hanno radici e caratteristiche che si incrociano, come, del resto, il progressismo marxista e il conservatorismo liberista, in tema di immigrazione di massa, è che dimenticano o rifiutano il destino soprannaturale degli esseri umani.

Il lavoro illuminista, fatto proprio dalle logge massoniche, è stato quello di convincere, nell’arco di almeno tre secoli, il mondo che vi possa essere una solidarietà senza carità, ossia la filantropia senza Dio, propria dei nemici di Cristo e della Chiesa. Questa confusione terminologica e fattuale è così intrinsecamente perversa da essere riuscita, nel tempo, a traghettare nel suo campo molti cattolici in buona fede.

Del resto, è risaputo che i figli del serpente sono più scaltri dei figli della Luce. Il grande G.K. Chesterton mise in guardia, a pieno titolo, dall’ambiguità, che porta sempre al male.

E’ per evitare spiacevoli equivoci che il Magistero ecclesiastico è intervenuto per fare chiarezza.Il primo di tali perniciosi errori, oggi largamente diffuso, è la dimenticanza di quella legge umana di solidarietà e carità, che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine e dalla eguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, sia dal sacrificio di redenzione offerto da Gesù Cristo sull’ara della Croce al Padre suo celeste in favore dell’umanità peccatrice” (Pio XII, Lettera enciclica Summi pontificatus, n. 15).

Nella sfera sociale la carità è “un’amicizia tra Dio e l’uomo [che] suppone necessariamente la Grazia che ci fa figli di Dio ed eredi della gloria (Padre Antonio Royo Marìn, Teologia della perfezione cristiana, Edizioni Paoline, Torino 1987, p. 602).

Dopo Dio, occorre amare il bene spirituale dell’anima propria e di quella del prossimo, più che il nostro e altrui bene corporale. Solo se riferita al suo oggetto primo, cioè a Dio, la carità è veramente tale perché “senza la Fede è impossibile piacere a Dio” (San Paolo, Lettera agli Ebrei, II,6).

La solidarietà riguarda, dunque, i beni spirituali, molto di più di quelli materiali, come il venerabile Papa Pio XII spiega mirabilmente nella costituzione apostolica Exsul Familia del 1° agosto 1952.

Quanto alla carità sociale internazionale, quale principio della dottrina sociale della Chiesa enunciato dal Magistero di Pio XI, nella meravigliosa enciclica Quadragesimo anno (n. 87-88) rientra la “solidarietà delle nazioni”, per cui Pio XII giustifica il principio dell’intervento armato a difesa di un altro popolo ingiustamente aggredito, che non sia in grado di difendersi da solo. Ma, “nessuno Stato ha l’obbligo di assistere l’altro, se per questo deve andare in rovina o compiere sacrifici, sproporzionatamente gravi” (Padre Eberhard Welty o.p. vol. II, pag. 404).

Un popolo minacciato o già vittima di una ingiusta aggressione, se vuole pensare ed agire cristianamente, non può rimanere in una indifferenza passiva; tanto più la solidarietà della famiglia dei popoli interdice agli altri di comportarsi come semplici spettatori in un atteggiamento d’impassibile neutralità. […] Ciò è così vero, che né la sola considerazione dei dolori e dei mali derivanti dalla guerra, nè l’accurata dosatura dell’azione e del vantaggio valgono finalmente a determinare, se è moralmente lecito, od anche in talune circostanze concrete obbligatorio (sempre che vi sia probabilità fondata di buon successo) di respingere con la forza l’aggressore. […] La sicurezza che tale dovere non rimarrà inadempiuto, servirà a scoraggiare l’aggressore e quindi ad evitare la guerra, o almeno, nella peggiore ipotesi, ad abbreviarne le sofferenze” (Pio XII, Radiomessaggio natalizio 1948).

Secondo il prof. Roberto de Mattei la civiltà della solidarietà, cui si richiama la nuova sinistra, altro non sarebbe che il compimento del “terzo valore della Rivoluzione, quello più utopico della fraternité”, l’inveramento della triade giacobina di liberté, egalité e fraternité nella prospettiva naturalistica e totalmente secolarizzata della cosiddetta società multietnica e multireligiosa.

Questa solidarietà consisterebbe nella coscienza di una progressiva convergenza sociale dell’umanità verso un futuro unitario, verso un mondo caratterizzato dall’interdipendenza sempre più stretta dei rapporti sociali. […] L’etica della solidarietà, intesa come pura etica relazionale, porterebbe come conseguenza necessaria la realizzazione dell’uguaglianza assoluta e anche dell’assoluta libertà nel regno della fratellanza. […] Queste teorie ricevono conferma ideologica dalle sponde del progressismo cattolico, dove un teorico della solidarietà quale Josef Tischner ci presenta l’uomo non come persona individuata e distinta, ma come ente confuso in una “complessa rete relazionale” (1900-2000 Due sogni si succedono la costruzione la distruzioneEdizioni Fiducia, Roma 1990, pp. 121 e 122).

Oggi si tace il fatto che il Magistero della Chiesa pone dei limiti all’accoglienza verso gli stranieri ed al diritto naturale di emigrare, inteso come l’inalienabile volontà di interagire con altri popoli, secondo i principi di legalità e reciprocità di rispetto e dignità.

Nessuno parla mai del dovere di carità cristiana e solidarietà di comportamento nel cercare e rimuovere le cause che provocano la necessità di trasferirsi in massa in un nuovo Continente.Nessuno Stato, in forza del diritto di sovranità, può opporsi in modo assoluto a una tale circolazione, ma non gli è interdetto di sottoporre l’esodo degli emigranti o l’ammissione degli immigrati a determinate condizioni richieste dalla cura degli interessi, che è suo ufficio tutelare” (AA.VV., Codice di morale internazionale, La civiltà cattolica, Roma 1943, pp. 53-54).

Una politica di puro protezionismo o di egoismo nazionalistico o etnico non è invece ammissibile.Il Creatore dell’Universo, infatti, ha creato tutte le cose in primo luogo ad utilità di tutti; perciò il dominio delle singole nazioni, benché debba essere rispettato, non può venir tanto esagerato che, mentre in qualsivoglia luogo la terra offre abbondanza di nutrimento per tutti, per motivi non sufficienti e per cause non giuste ne venga impedito l’accesso a stranieri bisognosi ed onesti, salvo il caso di motivi di pubblica utilità da ponderare con la massima scrupolosità” (Pio XII, Lettera In fratres caritas all’Episcopato degli Stati Uniti, 24 dicembre 1948, in A. A. S. XXXXI, 1949, pag. 15 e seg.).

Padre Antonio Messineo S.J. sostiene che lo Stato di destinazione possa impedire che gli stranieri ”non rimangano a suo carico e non compromettano l’ordine e la sicurezza pubblica (sanità, istruzione, moralità, mezzi pecuniari ecc.), AA.VV. Codice di morale internazionale, cit., pag.55.

Infine, Papa Pio XII appare profetico, quanto dimenticato.

Rivolgendosi, in particolare, ai popoli africani e al Terzo Mondo in generale, li “avvertivamo […] a riconoscere all’Europa il merito del loro avanzamento; all’Europa, senza il cui influsso, esteso in tutti i campi, essi potrebbero essere trascinati da un cieco nazionalismo a precipitare nel caos o nella schiavitù. […] Non ignoriamo, infatti, che in molte regioni dell’Africa vengono diffusi i germi di turbolenza dai seguaci del materialismo ateo, i quali attizzano le passioni, eccitano l’odio di un popolo contro l’altro, sfruttano alcune tristi condizioni per sedurre gli spiriti con fallaci miraggi o per seminare la ribellione nei cuori” (Pio XII, Lettera enciclica, Fidei donum del 21 aprile 1957, nn. 6-7).

 

Verso le elezioni: agenda gender o agenda identità?

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI 

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/08/29/verso-le-elezioni-agenda-zan-o-agenda-identita/

I PRIMI PUNTI DEL PROGRAMMA ELETTORALE DEL PD RIGUARDANO L’AGENDA GENDER ANCOR PRIMA DI QUELLA DI DRAGHI…

I primi punti del programma elettorale del Pd riguardano l’”agenda gender” ancor prima di quella di Draghi. Per la moderna sinistra la priorità è costituita dal ddl Zan e dal matrimonio egualitario, con utero in affitto, eutanasia e indottrinamento dei bambini attraverso la teoria secondo cui ogni fanciullo possa scegliere la sua sessualità, al di là del proprio sesso biologico.

Il diritto al lavoro in tempi di crisi giunge secondariamente, nello stupore di molti operai, che, per questo, smetteranno di votare Letta e compagni. Le persone che, nel corso della vita, si sono sentite attratte sessualmente da una persona del loro stesso sesso sono il 5,9% (uomini) e il 6,6% (donne) (Fonte: Neodemos, 2019).

L’ISTAT dice che il numero dei lavoratori dipendenti è pari a 18.063.000. La sinistra italiana cambia, allora, il suo elettorato principale e, di fatto, non ne rappresenta più le istanze, in favore della politica dei desideri di una minoranza, facendosene paladina ed assurgendoli, addirittura a “diritti”.

La spiegazione plausibile, riferita a questa radicale trasformazione è nell’essenza delle sinistre globaliste. La loro missione è quella di creare un mondo nuovo, quindi una nuova antropologia fluida che, attraverso la moda, i media, e a partire dagli insegnanti, condizioni la maggioranza, fin dalla tenera età. I fini sono due: confondere i minori per aumentare il numero degli allineati alla scelta di genere e far accettare al popolo la “nuova normalità”, pena il reato della post-modernità, che è la cosiddetta omofobia.

La sovversione dell’ordine naturale si muove sempre per gradi e nel tempo, con una macchina propagandistica totalitaria, che inizia all’asilo e non finisce più. Quando negli anni ’50 Claude Lévy Strauss (1908-2009) e Michel Foucault (1926-984) iniziarono a differenziare il “sesso” dal “genere”, essi riprendevano teorie già note da almeno un secolo, espresse da studiosi che, sempre a livello accademico, individuavano una nuova antropologia sociale del vestito e del genere, che si identifica nel cosiddetto unisex. “Gli abiti non rispecchiano più la propria identità biologica, di classe sociale, età, mestiere“. Tutti allineati allo stesso livello, con pantaloncini corti e jeans.

Negli anni ’70, i Gender Studies americani mettono al centro del loro approccio concettuale la negazione di una reale differenza fra uomo e donna. Il “genere” non è più un dato biologico e reale, ma una costruzione sociale fluttuante e soggettiva. Con lo stile unisex la donna si mascolinizza mentre l’uomo tende all’effeminatezza. In Italia, Giorgio Armani inizia la sua carriera con l’inversione dei codici maschili e femminili, effeminando l’uomo e mascolinizzando la donna.

Oggi si giunge all’interscambiabilità “uomo-donna”, tramite la medicina e la chirurgia. La corruzione della gioventù deve iniziare subito dai bambini, per avere dei servi del potere globale e della sua nuova antropologia, convinti lungo gli anni della “bellezza” del transumanesimo che è più bello chiamare “amore”, così da ingannare i più semplici con l’utilizzo di un vocabolario positivo.

Le Sinistre seguono primariamente quest’ agenda perché alle forze che fin dalla Rivoluzione francese furono baluardo della Sovversione, è stato assegnato il compito di procedere con l’agenda “gender-fluid”. Solo una destra con una classe dirigente all’altezza di fronteggiare attraverso l’Ordine naturale e divino, si potrà condurre una battaglia per la salvezza dell’umanità, per il suo bene, per vero Amore di essa.

Nel discorso ai partecipanti al I Congresso Internazionale di Alta Moda dell’8 novembre 1957, Papa Pio XII richiama il cristiano a fare molta attenzione ai pericoli e alle rovine spirituali “seminate dalle mode immodeste, specialmente pubbliche, per quella coerenza che deve esistere tra la dottrina professata e la condotta anche esterna” (cit. in “La moda cristiana nell’insegnamento della Chiesa“, Edizioni Fiducia, Roma 2022, p. 98).

Moralisti con Morisi, garantisti con Lucano: l’ipocrisia dei manettari

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di Giuseppe De Lorenzo

Andatevi a ripescare alcuni pezzi di Repubblica dell’aprile del 2018. Precisamente il 20-21 aprile, quando cioè nell’aula bunker di Palermo venne emessa la sentenza di condanna sulla Trattativa Stato-Mafia che solo tre anni più tardi sarebbe stata ribaltata, anzi sbugiardata, dalla corte di Appello. “La Trattativa non è più solo un’ipotesi di quei quattro pm”, scrivevano i cronisti. “Non c’è più distinzione fra i mafiosi, il politico, i carabinieri. Sono solo imputati, colpevoli”. Erano tutti lì a parlare di “sentenza storica”. A riportare le grida festanti dei procuratori. A dire che “a trattare ci pensa dell’Ultri”, poi assolto con formula piena. Rep titolò: “Dalla sentenza una verità controvento”, così controvento da cadere poi nel ridicolo pochi anni dopo.

Ecco, perdonate la carrellata. Serve però a mostrare, più che a dimostrare, il solito doppiopesismo giudiziario di certa stampa. Così brava a trascinare i nemici nel fango, tipo Achille con Ettore, e a trattare coi guanti bianchi gli amici incappati in una condanna. Perché “le sentenze si rispettano”, ripetono all’unisono. Ma non proprio tutte tutte.

Tra queste rientra il verdetto di primo grado che oggi ha dichiarato colpevole Mimmo Lucano, accusato di associazione per delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La storia è nota, e non staremo qui a ripercorrerla. Però a leggere le reazioni alla pesante condanna si resta basiti. Solidarietà è arrivata da Emergency, Sinistra Italiana, Pd, Leu, Rifondazione Comunista e chi più ne ha più ne metta. Un coro unanime di sdegno, peraltro prevedibile. Per Letta addirittura la sentenza “farà crescere la sfiducia nei confronti della magistratura” (la Trattativa invece no?) Ma Repubblica stavolta si è superata: prima si straccia le vesti per “il sindaco che voleva essere umano”; poi fa ironia sui pm che considerano “reato persino gli asinelli che venivano condotti a mano”; infine critica quelle indagini che “non sono riuscite a far saltare fuori un euro intascato indebitamente”. Per delegittimare la sentenza, ciliegina sulla torta, il quotidiano s’è pure avventato a ricordare come il Gip avesse “demolito buona parte delle ipotesi accusatorie più gravi, bollandole come inconsistenti”, pur sapendo che il Gip, così come il Riesame e la Cassazione, si erano espressi solo sui domiciliari. Mentre i giudici, oggi, sono entrati nel merito delle accuse. Confermandole.

Ora, noi siamo e resteremo garantisti. Sempre. Dunque Lucano va considerato innocente come lo è il figlio di Grillo e come lo erano Mori, dell’Utri e De Donno. E lo saranno fino a sentenza definitiva, per quanto ci riguarda. Fa specie però scoprire l’avversione di certi giornaloni alle sentenze. Gli stessi che da tre giorni si gettano come sciacalli sul corpo sfregiato di Luca Morisi, pizzicato a consumare droga e fare festini in casa propria (per ora senza accuse di reato). Gli stessi, peraltro, che hanno ignorato il caso della figlia della Bocassini o sminuito i soldi nella cuccia del cane della Cirinnà. Moralisti con la “Bestia”, garantisti con Lucano&friend. Benvenuti nel magico mondo sinistro dei due pesi e delle due misure.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/moralisti-con-morisi-garantisti-con-lucano-lipocrisia-dei-manettari/

È permesso dire Befana?

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Ma si potrà nominare la Befana invano, almeno per oggi, o si rischia di urtare la suscettibilità di qualcuno, che so, le femministe, l’Anpi, la Murgia, il Colletivo Lesbiche? Si potrà parlare di un personaggio che certamente non ispira Bella Ciao? È un insulto alle donne rappresentarla in quel modo indecente, con la scopa tra le gambe, le scarpe tutte rotte e il sacco gravoso sulle spalle? Penderà sui bambini l’accusa di molestie sessuali e sfruttamento femminile per la petulante richiesta di prestazioni alla suddetta vegliarda e la pretesa di estorcerle calze piene di regali? E gli adulti consenzienti rischieranno l’imputazione di tentato befanicidio perché lei è costretta a mettere a repentaglio la sua incolumità volando a rischio smog su mezzi molto precari, nella fascia notturna e calandosi in canne fumarie e camini accesi? Si risentirà il Sindacato Trasporti Aerei, che so, la Cgil-Befane? O una volta all’anno, almeno, è lecito restare nella tradizione senza nessuna regolamentazione politicamente corretta e sindacalmente protetta?

Si potranno poi citare, almeno oggi, i Re Magi o si devono prima dimettere dal regno e sottoporsi alle primarie? E se insistono a rivendicare la loro regalità dovremo subito seppellirli a Vicoforte? Si potrà dire che i suddetti tre regnanti vanno al presepe seguendo la stella cometa o devono per forza scaricare l’app col navigatore e lasciare le corone ai metal detector e proseguire a piedi perché la grotta è nella ztl? E non rischiano di essere fermati ai controlli doganali, uno per contrabbando di valuta (l’oro), l’altro per detenzione stupefacenti (incensi) e passa solo il terzo perché nessuno sa cosa sia la mirra? Ma soprattutto la loro presenza offende i migranti perché sono facoltosi e non bisognosi, portano doni e non chiedono aiuti, arrivano con mezzi autonomi e non con barconi di fortuna e accorrono per adorare il nostro Dio e non per imporne uno loro? E il Papa cosa dice, che dobbiamo trasformare i Re Magi in Poveri Migranti, di religione islamica magari, accolti nel presepe non da spaesati angeli ma da Organizzazioni non governative?

E il presepe, già il presepe, si potrà smantellare domani con l’idea di usarlo l’anno prossimo o si dovrà farlo esplodere gridando Allah Akbar e l’anno prossimo sostituirlo con una struttura polivalente, un po’ moschea, un po’ museo dell’olocausto, un po’ centro ricreativo per non credenti? Si potrà salvare solo l’albero per ragioni ambientaliste? E Gesù Bambino dovrà prima passare dall’anagrafe, Erode permettendo, per registrarlo come Perù Bambino e per escludere ogni paternità surrogata, anche divina, e ogni intrusione dello Spirito Santo? E la Madonna dovrà denunciare San Giuseppe perché lei è minorenne e lui maneggia seghe e bastoni e dunque è un potenziale violento? Tra i pastori adoranti dovremmo prevedere anche una quota gay e trans, più una percentuale di neri e di clandestini? Nel presepe sarà obbligatorio un insediamento rom? E tra i Re Magi almeno uno dovrà essere disabile? E come la mettiamo con tutte quelle pecore, quelle mucche e quegli agnelli che gremiscono il presepe, di cui è prevedibile la brutta fine, non teniamo conto dei vegani e degli animalisti? Il prossimo presepe si dovrà fare solo con i cereali? Apprensioni legittime soprattutto perché, come è noto, l’Epifania ogni festa porta via e da domani si torna alla realtà, che pressapoco è questa qua.

Ora il Pd vuole incriminare Salvini: “Ai funerali claque pro governo”

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“ROSICONI DI STATO”

GOVERNO APPLAUDITO, SINISTRE FISCHIATE. NON SI ERA MAI VISTO AD UN FUNERALE DI STATO. 

Ai funerali di Stato volano fischi per il Pd e applausi per Salvini e Di Maio. L’ira dei renziani. E Anzaldi attacca: “La polizia apra subito un’indagine”

di Andrea Indini

“A sostegno del governo ci sarebbe stata una rumorosa claque organizzata”. All’indomani del funerale delle vittime del drammatico crollo di Ponte Morandi a Genova, il piddì Michele Anzaldi è già pronto a presentare una interrogazione al ministero dell’Interno

Dopo essere stati sommersi dai fischi, i dem si sono convinti che quella che è riecheggiata ieri nel padiglione B della Fiera non fosse la rabbia delle vittime di un disastro annunciato o, più in generale, l’ira dagli italiani che accusano il Pd di aver rinnovato le concessioni ad Autostrade per l’Italia, ma una claque organizzata a sostegno del governo Conte.

“Ma come si fa a pensare certe cose?”Matteo Salvini è sbigottito nel sentire le ultime accuse mosse dal partito che ieri mattina si è beccato una selva di fischi dalle persone presenti ai funerali di Stato. Non appena Maurizio Martina e l’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti sono arrivati in Fiera per portare il proprio omaggio alle famiglie delle vittime, sono stati sommersi dalle critiche. Questo perché è al Partito democratico che i più rinfacciano i (continui) rapporti con la famiglia Benetton che, attraverso Atlantia, controlla Autostrade per l’Italia. Dall’ex premier Enrico Letta all’ex ministro Paolo Costa, passando per Romano Prodi e Massimo D’Alema, la liaison tra le politiche democratiche e gli affari ai caselli ha radici lontane. “Per la prima volta – ha detto nei giorni scorsi lo stesso Luigi Di Maio ai microfoni di RaiNews – c’è un governo che non ha preso soldi da Benetton, e siamo qui a dirvi che revochiamo i contratti e ci saranno multe per 150 milioni di euro”. A torto o a ragione, le persone presenti ai funerali erano appunto convinte che una parte della colpa del drammatico crollo del 14 agosto sia da imputare proprio a quel partito che negli ultimi cinque anni ha governato il Paese. Continua a leggere

Tg1, nuove polemiche per Marina Nalesso in onda con crocifisso

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I GLOBALISTI VOGLIONO LA CANCELLAZIONE DEL CRISTIANESIMO

Segnalazione di Luca Sbroffoni

di Francesco Curridori

La giornalista del Tg1 Marina Nalesso, dopo due anni, torna nuovamente al centro delle critiche dei laici che sui social la contestano di condurre l’edizione pomeridiana del telegiornale con addosso un crocifisso

Ci risiamo. La giornalista del Tg1 Marina Nalessodopo due anni, torna nuovamente al centro delle critiche dei laici e dei “laicisti” che sui social la contestano di condurre l’edizione pomerdiana del telegiornale con addosso un crocifisso.

Ora i suoi oppositori tornano alla carica. “L’ostentazione dell’occupazione della #Rai da parte dia una fazione politica. Un affronto alla #laicità dello #Stato. Una grave mancanza di rispetto nei confronti de #cittadini. Se questi son cattolici autentici o carrieristi? #tg1 #Rai1 #Rai #ServizioPubblico #MarinaNalesso”, scrive un utente su Twitter. Continua a leggere