Il “male minore” non significa compromesso

Condividi su:

di Matteo Castagna per www.informazionecattolica.it

I grandi maestri della tradizione cattolica S. Tommaso d’Aquino, S. Agostino, S. Alfonso hanno insegnato un aspetto della teologia morale che è il “male minore”. L’assolutismo morale di altri, in ambito cattolico, non appartiene al concetto classico stabilito dai Dottori della Chiesa.
Chi ignora la dottrina tomista inerente l’analogia, non riesce a cogliere la definizione di male come assenza di bene, in tutte le sue implicazioni.
“Un artefice sapiente produce un male minore per evitarne uno maggiore: come il medico taglia un membro perché l’intero corpo non perisca” (S. Tommaso, Summa Teologica I, q. 48, art. 6).
Saggiamente, il ricercatore e scrittore, dottore in Scienze religiose, Prof. Fabrizio Cannone, nel suo “Per una resistenza cattolica” (Ed. Solfanelli, 2016) afferma che in certa pubblicistica cattolica, poco accorta nella pratica, si è consolidata “l’idea peregrina” secondo cui il male minore non esisterebbe o, comunque da evitare, perché indice di compromesso.
Invece, infinite volte, la Chiesa, i Santi, i Pontefici e i prìncipi cattolici ne hanno fatto ricorso, optando, nello stato di necessità, per qualcosa che non era esente dal male, che lo rendeva privo di qualche o molte perfezioni.
L’intera questione 49 della prima parte della Summa Teologica è dedicata alle cause del male, con la premessa della questione 48 sull’esistenza di due mali: quello della colpa e quello della pena. Quest’ultimo è anche un bene, e senza alcuna contraddizione. Chi non comprende l’analogia intesa dell’Angelico non valuterà mai il fatto che il male minore possa essere, altresì, il bene maggiore che si può praticare in un determinato momento storico.
Il male, in quanto assenza di Bene, più che una realtà positiva, è una privazione di giustizia, di carità, di purezza, di fede, di umiltà, di moralità, di continenza, di potere e ricchezze leciti ecc., che viene da ciò che già esiste, come la natura o l’uomo. Così, paradossalmente, il male deriva dal bene. S. Agostino scrive, infatti, che “non c’è altra sorgente che il bene da cui possa derivare il male”.  Ovviamente lo è accidentalmente e indirettamente. S. Tommaso stabilisce che dio non è causa del male morale, ma può essere causa del male (analogico) , della corruzione o distruzione di una cosa. Infatti, il Signore “fa morire e fa vivere” (1, Sam 2,6).
Ad esempio, sul tema dell’aborto, sappiamo tutti che la legge 194 è male e andrebbe abolita. Inserirla come “diritto universale” è ancor peggio. Perciò il legislatore che si opponesse ad esso e che favorisse la presenza dei cattolici nei consultori, salverebbe moltissime vite. Questa opzione per il male minore, che produce il maggior bene possibile, è assolutamente conforme alla morale cattolica, così come concepita dal tomismo. Questo atteggiamento non va visto come compromissorio, ma come prudente e, soprattutto, metafisicamente fondato.
Ammettiamo che vi siano dei candidati (democraticamente) alle elezioni, che nella loro storia personale e politica si siano distinti più di altri nel rispetto dei princìpi cristiani, sebbene in altre occasioni, per vari motivi, abbiano sbagliato e optato per il male. Altri, invece, si sono sempre comportati da anti-cristiani, amorali, immorali, oppressori del popolo, giungendo perfino al satanismo, proponendo disvalori che gridano vendetta al cospetto di Dio.
Dovrei – si chiede p. Eriberto Jone, OFM, nel suo “Compendio di Teologia morale”, dotato di imprimatur, sotto il Pontificato di Pio XII (Ed. Marietti, 1955) – astenermi dal votare il candidato migliore, poiché comunque non buono in tanti aspetti, rischiando di contribuire all’elezione del candidato nettamente peggiore, come fanno quelli che non votano mai, non essendoci attualmente alcun partito conforme alla dottrina sociale della Chiesa? Evidentemente no. E’ doverosa la scelta del “male minore”, suffragata dalle risposte di S. Tommaso d’Aquino, del Magistero e della prassi secolare della Chiesa. Padre Dragone, nella sua “Spiegazione del catechismo di San Pio X”, Sodalitium, 2009, pag. 296-297, che dispone di imprimatur, dice: “Dio è padrone della vita. Non è quindi lecito uccidere. eccetto in tre casi: in guerra, per legittima difesa, per decisione dell’autorità competente. Ci sono, dunque, delle “eccezioni” in casi particolari.
“La cooperazione nell’approvazione di una legge cattiva è peccato. Si fa eccezione soltanto quando i deputati, con la loro cooperazione possono impedire qualche male peggiore” – continua p. Dragone (pag. 155, n. 295). Il massimalismo moralista, dunque, non è mai appartenuto alla storia ed alla dottrina cattolica, quanto è molto presente nella dimensione protestante e puritana, di cui non abbiamo bisogno, soprattutto in questi tempi in cui i veri cattolici non sono molti e vengono messi in un angolo dalla secolarizzazione.

 

Studi antimassonici: rigore e verità!

Condividi su:

Segnalazione del Centro Studi Federici

Ripubblichiamo un articolo della rivista francese “Héritage”, tradotto e pubblicato dalla rivista “Sodalitium” (nn.70-71, settembre 2020), sullo spinoso problema della credibilità di certa documentazione utilizzata da alcuni studi anti-massonici.
PROBLEMI DI DOCUMENTAZIONE IN ALCUNI LIBRI ANTI-MASSONICI.
I casi di Pio XII e di Albert Pike. A proposito di una citazione di Pio XII

Calendario Sodalitium 2024: San Tommaso d’Aquino a 750 anni dalla sua morte

Condividi su:

Editoriale

di don Francesco Ricossa

Il 18 luglio 1323 il grande pontefice Giovanni XXII, con la Bolla Redemptionem misit, canonizzava Tommaso d’Aquino iscrivendolo nell’albo dei Santi. Ricorreva quindi nell’anno che sta per concludersi il settimo centenario dell’elevazione alla gloria degli altari del grande teologo domenicano. Durante l’anno 2024 festeggeremo invece il 750° anniversario della morte di san Tommaso, avvenuta nell’abbazia cistercense di Fossanova il 7 marzo 1274, mentre il Santo si recava al Concilio di Lione. Il prossimo anno ricorrerà infine l’ottavo centenario della sua nascita, avvenuta a Roccasecca, nella contea di Aquino, nel 1225 appunto. Il nostro Istituto Mater Boni Consilii e la nostra rivista Sodalitium non potevano certo non unirsi alla gioia di tutta la Chiesa nei festeggiamenti indetti per questo triplice anniversario, tanto più che la festività di san Tommaso d’Aquino era uno dei “giorni di preghiera speciali” del Sodalitium Pianum di Mons. Benigni (a proposito di anniversari: il 27 febbraio cade il 90° della morte del nostro prelato!) secondo la circolare del 12 marzo 1913 dello stesso Sodalizio. Né poteva essere altrimenti giacché la magna carta della lotta al modernismo, l’Enciclica Pascendi, denunciava nella lotta alla Scolastica l’arte insidiosa dei modernisti, e proponeva nella fedeltà a san Tommaso il rimedio a questa sintesi di tutte le eresie che ancor oggi combatte la Chiesa: “Deridono perciò continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica (…) la smania di novità va sempre in essi congiunta con l’odio della Scolastica; né vi ha indizio più manifesto che taluno comincia a volgere al modernismo, che quando incominci ad aborrire la Scolastica. Ricordino i modernisti e quanti li favoriscono la condanna che Pio IX inflisse alla proposizione che diceva (Sillabo, proposizione 12): ‘Il metodo e i principi, con cui gli antichi dottori scolastici trattarono la teologia, più non si confanno ai bisogni dei nostri tempi ed ai progressi della scienza’”. San Pio X quindi proseguiva – al seguito del suo predecessore Leone XIII – imponendo qual primo rimedio al modernismo “che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica”. “Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino. (…) Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno”. Non a caso il Santo Pontefice insiste sulla filosofia scolastica e la metafisica di san Tommaso, che dietro suo ordine la Sacra Congregazione degli Studi fissò, contro il Suarez, nelle famose XXIV Tesi, quasi avvertendo che i modernisti e dopo di loro il neo-modernismo della Nouvelle théologie avrebbero cercato di sostituire una filosofia all’altra pretendendo di non mutare il deposito della Fede, mentre invece il deviare dai retti principi della retta ragione naturale avrebbe immancabilmente condotto ad adulterare lo stesso concetto di Fede e le verità rivelate. Già nel passato, infatti, prima il volontarismo e poi il nominalismo, allontanandosi dai principi di san Tommaso, avevano guastato la filosofia scolastica aprendo la via agli errori ben più gravi, alle vere eresie, di Lutero e di Calvino.

La Chiesa invece, seguendo saldamente i lumi della Fede e della Ragione, ha sempre custodito fedelmente le verità rivelate grazie anche al pensiero di san Tommaso: così al Concilio di Firenze (1439), a quello di Trento (1545-1563) e a quello Vaticano (1870), specialmente nella costituzione Dei Filius. L’11 aprile 1567, con la Bolla Mirabilis Deus, san Pio V lo proclamò dottore della Chiesa, al pari dei quattro grandi dottori della Chiesa latina, Ambrogio, Agostino, Girolamo e Gregorio Magno, dichiarati tali da Bonifacio VIII. San Pio V – nella sua bolla – notava come già durante la sua vita il suo confratello domenicano aveva “illustrato la Chiesa apostolica infinitis confutatis hæresibus: avendo confutato un’infinità di eresie”. E così anche in seguito “con la forza e la verità della dottrina dell’angelico dottore” venivano confutate e convinte d’errore le nuove eresie ed il mondo intero liberato da questi pestiferi errori: non ci piacciono i tomisti a parole che di san Tommaso non hanno lo spirito di “pugil fidei” e nemico delle eresie.

San Tommaso è dottore comune della Chiesa, pertanto. E questo nella metafisica, come abbiamo visto, come nella teologia, la quale, essendo una scienza “una”, abbraccia la dogmatica quanto la morale, e nell’una e nell’altra branca della “sacra dottrina” san Tommaso è sempre dottore indiscusso.

Del grande dottore vogliamo ricordare in particolare la sua dottrina sulla dimostrabilità dell’esistenza di Dio, così necessaria ai nostri giorni, dottrina impugnata o abbandonata dalla moderna filosofia, dal Tradizionalismo ottocentesco e dal Modernismo; la sua difesa dei primi principi metafisici; la sua lotta al Naturalismo che ne ha fatto, con san Paolo e sant’Agostino, il dottore della Grazia. Nell’attuale, diabolico attacco al Santo Sacrificio della Messa, al Santissimo Sacramento e al Sacerdozio Cattolico, san Tommaso è guida sicura come esimio teologo, santo, mistico e poeta, cantore dell’Eucarestia e baluardo contro tutti gli errori nel definire il dogma della Transustanziazione. All’opposto dello spirito moderno, mise a principio e ultimo fine del suo pensiero Iddio Santissimo, Uno e Trino, e Gesù Cristo come Via, Verità e Vita, e non l’uomo, come si iniziò sventuratamente a fare fin dal XVI secolo.

Perciò ritengo che non a caso la Divina Provvidenza, in questa tempesta che sta attraversando la Chiesa scossa dai flutti dell’eresia modernista, abbia dato alla Chiesa un valido aiuto nel pensiero di un confratello e discepolo di san Tommaso, nella persona di Mons. Michel-Louis Guérard des Lauriers o.p.

Il presente calendario permetterà al lettore di seguire, lungo i mesi di quest’anno 2024, la vita di questo Santo a noi così caro, ma soprattutto caro al Signore: che sia un anno colmo di grazie divine, di meriti abbondanti, di amore di Dio e dei fratelli. San Tommaso, intercedi per noi!

FONTE: https://www.sodalitium.biz/calendario-sodalitium-2024-san-tommaso-daquino-a-750-anni-dalla-sua-morte/

Lezioni della giornata di Vignola (MO) 2023 sul Modernismo

Condividi su:

Le tre lezioni tenute da don Francesco Ricossa al seminario di studi tenuto sabato 7/10/2023 alla giornata per la regalità sociale di Cristo che si è svolta a Vignola (MO), cui ha partecipato una nutrita delegazione del nostro Circolo Christus Rex:

DAL MODERNISMO DOGMATICO AL MODERNISMO SOCIALE E RITORNO. Per le altre due lezioni cliccate su: https://www.sodalitium.biz/lezioni-della-giornata-di-vignola-mo-2023/

In difesa di mons. Umberto Benigni

Condividi su:

Segnalazione del Centro Studi Federici

Avviso ai nostri lettori. Sodalitium n° 74 numero speciale
Il numero 74 di Sodalitium è un numero speciale della nostra rivista: si tratta di un numero monografico, scritto da don Ricossa, in difesa di mons Umberto Benigni. Questo numero ripercorre la storia del modernismo durante la prima metà del novecento permettendo al lettore di comprendere meglio come questa terribile eresia abbia potuto affermarsi nella Chiesa a causa del Concilio Vaticano II.
Si tratta di un lavoro corposo, un vero libro di 180 pagine che ha costi di stampa e spedizione triplicati rispetto al solito. Per questo motivo il numero è disponibile per tutti scaricabile dal nostro sito in formato PDF, sarà spedito in formato cartaceo soltanto ai lettori “attivi” cioè che inviano regolarmente offerte per l’abbonamento e distribuito gratuitamente a tutti nelle nostre chiese ed oratori nelle varie città. Chi non l’avesse ricevuto, e desidera riceverlo in formato cartaceo, lo può ordinare sul nostro sito al prezzo forfettario di € 10,00 comprensivo delle spese postali.
Editoriale
Cari lettori di Sodalitium, nell’editoriale dello scorso numero della rivista (il n. 73, quindi) annunciavo che avrei dedicato alla “difesa di mons. Benigni” (di cui già avevo parlato nel n. 70-71, specie alle pagine 5-6, e poi nel n. 72 alle pagine 52-53) un libro a parte o un numero speciale della rivista. La soluzione “libro” era già stata scelta in due occasioni: con la pubblicazione de “Cristina Campo o l’ambiguità della Tradizione” (2005) e de “La vergogna della tradizione” (2018). Anche in quelle due occasioni, quelli che dovevano essere degli articoli di Sodalitium divennero, strada facendo, dei volumi a parte.
Questa volta, ho preferito invece pubblicare la mia risposta alla serie di articoli contro la memoria di mons. Benigni e dei cattolici integrali che collaborarono con san Pio X nella lotta al modernismo in un numero monografico di Sodalitium che possa essere letto da tutti, nel nostro sito, in formato pdf, oppure ricevuto su semplice richiesta nella versione cartacea (con una auspicabile libera offerta per le notevoli spese sostenute). Non troverete quindi in questo n. 74 le consuete rubriche (come la “Vita dell’Istituto”) e tanti articoli di nuovi o vecchi collaboratori della rivista che saranno pubblicati, a Dio piacendo, nel prossimo numero.
Al di là del motivo occasionale che mi ha spinto a prendere la penna in difesa, appunto, di mons. Benigni e, con lui, di san Pio X, il presente articolo è un’occasione per approfondire lo studio, da un punto di vista storico, del diffondersi dell’eresia modernista nella Chiesa (e contro la Chiesa) sotto tre pontificati: quelli di san Pio X, di Benedetto XV e di Pio XI. Assieme alla recensione che trattava dei prodromi della crisi sotto Leone XIII (Sodalitium n. 72, pp. 36-43), possiamo dire di aver dato una valutazione complessiva della crisi modernista dal punto di vista del nostro Istituto.
Mi rendo conto del fatto che non tutti i nostri lettori saranno interessati ai temi trattati e potrebbero essere delusi da questo numero speciale: un po’ di pazienza, e riceveranno il nuovo numero ove ognuno potrà trovare un argomento più confacente ai propri interessi; ma confido anche nel fatto che per alcuni le considerazioni di queste pagine saranno importanti, e prima di tutto per i membri del nostro Istituto.
Affido quindi questo lavoro al patrocinio di san Pio X e dei patroni celesti dell’antico Sodalitium Pianum: Maria Ausiliatrice, i santi Pietro e Paolo e san Pio V; che si degnino di benedirlo e di renderci degni eredi di chi ci ha preceduto nella stessa lotta per il trionfo del cattolicesimo romano integrale contro tutti i nemici – interni ed esterni – della Chiesa.
Don Francesco Ricossa
 
Per cancellarsi dalla lista di distribuzione:  

L’elezione del Papa

Condividi su:

di Redazione

Questo articolo di don Francesco Ricossa scrive cose di grande interesse ed attualità, soprattutto ora, che qualcuno si appresta a indire un “conclave”, dopo la morte del “non-papa” Benedetto XVI. Don francesco, con grande franchezza e carità, trae spunto da alcune affermazioni di Mons. Mark Pivarunas (del quale noi non siamo fedeli) per allargare una critica ai sedevacantisti simpliciter, quali noi siamo per la maggior parte. I vescovi residenziali nel 2022 non esistono più perché, come spiega don Anthony Cekada, il rito di consacrazione episcopale del 1968 è “del tutto invalido e assolutamente nullo” (Ed. Sodalitium). Sul piano strettamente personale (da dottori o semplici studiosi privati) riteniamo plausibile che il Concilio imperfetto composto da vescovi non residenziali possa eleggere un legittimo sovrano Pontefice, proprio per la motivazione addotta da don Francesco, ovvero la situazione di assoluta straordinarietà del momento presente. E’ chiaro che non è nostra intenzione rimbeccare il Superiore dell’Istituto al quale ci rivolgiamo come fedeli, ma semplicemente porre una nostra rispettosa osservazione, tra “non una cum”.   

di don Francesco Ricossa

Articolo pubblicato su Sodalitium n 55 (dicembre 2002)

Mons. Mark Pivarunas CMRI (un vescovo consacrato da Mons. Carmona) invia periodicamente ai suoi fedeli una lettera intitolata Pro grege (1). Quella del 19 marzo 2002 ha particolarmente attirato la mia attenzione. Il prelato statunitense – che segue la tesi della sede vacante – risponde (a pag. 5) a due obiezioni del locale superiore di distretto della Fraternità San Pio X, padre Peter Scott.

Scrive Padre Scott: “Ciononostante è assurdo dire, come fanno i sedevacantisti, che non c’è stato nessun Papa da almeno 40 anni, perché questo distruggerebbe la visibilità della Chiesa, e la possibilità stessa dell’elezione canonica di un futuro Papa”.

Le obiezioni non sono nuove (2); più interessante è la risposta di Mons. Pivarunas.

Quanto alla prima difficoltà (quella del prolungarsi della vacanza della sede apostolica) Mons. Pivarunas risponde allegando l’esempio storico del Grande Scisma d’Occidente. Padre Edmund James O’Really S.J. (3), nel suo libro, edito nel 1882, intitolato The Relations of the Church to Society, scriveva a questo proposito: “Possiamo ora smettere di indagare su che cosa è stato detto in quel tempo della posizione dei tre pretendenti e dei loro diritti riguardo al papato. In primo luogo c’era sempre, dalla morte di Gregorio XI nel 1378, un Papa – con l’eccezione naturalmente delle vacanze creatisi tra le morti e l’elezioni. C’era, penso, in ogni momento un Papa, realmente investito della dignità di Vicario di Cristo e Capo della Chiesa, sebbene opinioni diverse possano esistere circa la sua legittimità; non nel senso che un interregno che coprisse l’intero periodo sarebbe stato impossibile o inconciliabile con le promesse di Cristo, perché questo è evidente, ma che di fatto non ci fu questo interregno” (Pivarunas, p. 5).

La cosa appunto è talmente evidente che non vale la pena di insistere.

Più difficile è invece rispondere alla seconda difficoltà. Vediamo quanto scrive al proposito Mons. Pivarunas:

«Quanto alla seconda ‘difficoltà’ proposta dalla Fraternità San Pio X contro la posizione sedevacantista, in altre parole quella dell’impossibilità dell’elezione di un futuro Papa se la sede è vacante dal Vaticano II, si può leggere ne ‘La Chiesa del Verbo Incarnato’ di Mons. Charles Journet: “Durante la vacanza della sede apostolica, la Chiesa ed il Concilio non possono contravvenire alle disposizioni prese per determinare il modo valido dell’elezione (Card. Gaetano o.p., De comparata…, cap. XIII, n°202). Tuttavia, in caso di permesso, per esempio se il Papa non ha previsto niente che vi si opponga, o in caso di ambiguità, per esempio se si ignora quali siano i veri cardinali, o chi è vero Papa, com’è accaduto ai tempi del grande scisma, il potere di ‘applicare il papato a tale persona’ è devoluto alla Chiesa universale, alla Chiesa di Dio (ibid., n° 204)”» (4).

Con questa citazione Mons. Pivarunas pensa di aver sufficientemente risposto a Padre Scott: in assenza di cardinali – e solo in assenza di cardinali (5) – il Papa può essere eletto, per devoluzione (6), dalla Chiesa.

Ma in realtà la difficoltà cambia solamente di oggetto: cosa si intende, infatti, in questo contesto, per “Chiesa universale”?

Mons. Pivarunas, nella sua lettera, non lo precisa. Neppure lo precisa Journet nel luogo citato. Ma poiché Journet fa propria la posizione del Cardinal Gaetano (7), citando la sua opera De comparatione auctoritatis Papæ et Concilii cum apologia eiusdem tractatus (8), possiamo facilmente stabilire il significato di questa espressione consultando il Gaetano stesso.

Il Card. Gaetano, col termine “Chiesa universale”, intende designare il Concilio generale

Abbiamo visto come, in casi straordinari, il Papa possa essere eletto, in assenza di cardinali, dalla “Chiesa universale”; ma cosa intende il Cardinale Gaetano con questo termine?

Basta sfogliare il De comparatione per trovare la risposta – indubitabile – al nostro quesito. Già il titolo lo indica: De comparatione auctoritatis Papæ et Concilii, seu Ecclesiæ universalis (n° 5) (Sulla comparazione dell’autorità del Papa e del Concilio, ovvero della Chiesa universale): la Chiesa universale ed il Concilio sono tutt’uno. Ma è nel capitolo V (n° 56) che Gaetano procede ad un’esplicita definizione dei termini:

“Dopo aver esaminato la comparazione tra il potere del Papa e quello degli apostoli in ragione del loro apostolato, dobbiamo adesso comparare il potere del Papa e il potere della Chiesa universale, ovvero del Concilio universale, adesso da un punto di vista generale, in seguito, come abbiamo annunciato, in alcuni casi ed eventi (particolari). E poiché gli opposti, messi a confronto, diventano più chiari, apporterò prima di tutto le ragioni principali nelle quali si trova il valore (degli argomenti) con il quale è provato [dagli avversari, N.d.T.] che il Papa è sottomesso al giudizio della Chiesa, ovvero del Concilio universale. E affinché non capiti più spesso di mettere assieme Chiesa e Concilio [preciso che] sono presi come sinonimi, poiché si distinguono solo come chi rappresenta e chi è rappresentato” (9). Il contesto generale dell’opera, d’altronde, ci indica chiaramente che il Gaetano per “Chiesa universale” intende il Concilio generale; il De comparatione in effetti risponde alle obiezioni dei conciliaristi, secondo i quali il Papa è inferiore alla Chiesa, cioè al Concilio (9). Ma c’è di più. Proprio quando parla dell’elezione del Papa, il Gaetano usa promiscuamente i termini “Chiesa” e “Concilio”: “in Ecclesia autem seu Concilio” (n° 202). Anzi, quando si tratta di presentare il caso concreto di elezione straordinaria di un Papa, il Gaetano non parla tanto di “Chiesa universale” ma piuttosto di Concilio generale: “si Concilium generale cum pace Romanæ ecclesiæ eligeret in tali casu Papam, verus Papa esset ille qui electus sic esset” (n° 745) (“se in questo caso il Concilio generale eleggesse il Papa con la pace [l’accettazione pacifica] della Chiesa romana, chi fosse eletto in questo modo sarebbe un vero Papa”).

È evidente quindi che, per Mons. Journet ed il Cardinal Gaetano, è il Concilio generale imperfetto (10) che ha il compito, in assenza di cardinali, di eleggere il Sommo Pontefice.

I vescovi residenziali, in quanto membri di diritto di questo Concilio generale, potrebbero eleggere il Papa

Appurato che gli elettori straordinari del Papa (in assenza di cardinali) sono i membri del Concilio generale, resta da vedere chi possa partecipare, di diritto, al Concilio generale. Il Codice di diritto canonico – trattando del Concilio ecumenico – elenca i membri di diritto del Concilio con voto deliberativo, al canone 223:

§ 1. Sono chiamati al Concilio ed hanno in esso il diritto al voto deliberativo:

1° I Cardinali di Santa Romana Chiesa, anche se non sono Vescovi;

2° I Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi residenziali, anche se non consacrati;

3° Gli Abati o prelati nullius;

4° L’Abate Primate, gli Abati Superiori di Congregazioni monastiche, i Superiori generali delle congregazioni clericali esenti, ma non delle altre religioni, a meno che il decreto di convocazione non disponga diversamente;

§ 2. Anche i Vescovi titolari, chiamati al Concilio, ottengono il voto deliberativo, a meno che non sia previsto esplicitamente il contrario nella convocazione.

§ 3. I teologi e i canonisti, eventualmente invitati al Concilio, hanno solo un voto consultivo.

Questo canone non esprime solo il diritto positivo, ma anche la natura stessa delle cose. Notiamo infatti che i Vescovi titolari, privi di giurisdizione, possono non essere convocati al Concilio o non avere diritto di voto. Al contrario, i Cardinali, i Vescovi residenziali, gli Abati o i prelati nullius (11) anche se non consacrati vescovi partecipano di diritto al Concilio, perché hanno giurisdizione su di un territorio (12). Questo significa che di per sé il criterio per essere un membro del Concilio è quello di appartenere alla gerarchia in ragione della giurisdizione e non dell’ordine sacro (per questa distinzione, di diritto divino, vedi il can. 108§3).

Stando così le cose, ci sembra che Mons. Pivarunas (e con lui tutti i sedevacantisti simpliciter, quelli cioè che non seguono la tesi di padre Guérard des Lauriers) non abbia sufficientemente risposto alla difficoltà posta dalla Fraternità San Pio X. Infatti, in una posizione strettamente sedevacantista, non si vede dove siano i vescovi residenziali cattolici che possano e vogliano eleggere il Papa, giacché tutti i vescovi residenziali (ed altri prelati che avrebbero giurisdizione) o sono stati nominati invalidamente da degli antipapi o sono comunque formalmente eretici e fuori della Chiesa – aderendo agli errori del Vaticano II – o sono in ogni caso in comunione con Giovanni Paolo II, capo della nuova “Chiesa conciliare”. La Chiesa gerarchica insomma sarebbe totalmente scomparsa, non solo in atto e formalmente, ma anche in potenza e materialmente (13).

I Vescovi senza giurisdizione non possono eleggere il Papa

Abbiamo visto che l’elezione del Papa in circostanze anormali – secondo il pensiero dei teologi che hanno trattato della questione – spetta al Concilio generale imperfetto, ovverosia ai Vescovi ed ai prelati che godono, nella Chiesa stessa, di giurisdizione. Il Papa, infatti, è Vescovo della Chiesa universale: è quindi normale che eccezionalmente lo eleggano quei prelati della Chiesa universale che, con lui e sotto di lui, governano una porzione del gregge. Abbiamo visto altresì che per la natura stessa delle cose, ed in conseguenza di quanto detto, sono esclusi dal novero degli elettori per accidens del Papa i Vescovi titolari, Vescovi consacrati col mandato romano, ma privi di giurisdizione nella Chiesa.

A più forte ragione sono esclusi dal numero degli elettori – proprio perché esclusi dal Concilio generale – i Vescovi consacrati senza mandato romano nelle condizioni eccezionali dell’attuale vacanza (formale) della Sede Apostolica. Tali Vescovi, infatti, sono stati consacrati validamente e persino, a nostro parere – almeno in alcuni casi – lecitamente; tuttavia essi sono però – nel modo più assoluto – privi di giurisdizione, in quanto la giurisdizione del Vescovo deriva da Dio solo tramite la mediazione del Papa che, nel nostro caso, è esclusa (14). Poiché sono privi di giurisdizione, non appartengono alla Gerarchia della Chiesa secondo la giurisdizione, non sono perciò membri di diritto del Concilio e pertanto non sono abilitati ad eleggere validamente il Papa, neppure in casi straordinari.

Questo punto di dottrina, già assodato in sé stesso, è confermato dall’impossibilità pratica di eleggere un Papa certo e non dubbio seguendo questa via. Chi stabilirà in maniera certa, tra i molti Vescovi che sono stati e saranno ancora consacrati in questo modo, quelli che hanno diritto di partecipare all’elezione e quelli che non lo hanno? Chi ha il diritto di convocare il Conclave e chi no? Chi è da considerarsi legittimamente consacrato e chi no? Non essendoci un criterio di discernimento (il mandato romano, la sede residenziale) non vi è di per sé limite a queste consacrazioni né da parte di chi le può autorizzare (il Papa) né da parte della porzione di territorio da governare (la diocesi). Il numero degli elettori può quindi crescere a dismisura senza nessuna garanzia della loro cattolicità, come è avvenuto in concreto. E, di fatto, si è già proceduto a svariate elezioni che non hanno avuto alcun seguito, neppure tra i sostenitori del “conclavismo”, sempre pronti a “fare il passo”, ma solamente in teoria.

A maggior ragione, i laici non possono eleggere il Papa

Se i Vescovi titolari, pur nominati dal Papa non possono eleggere il Papa, se non lo possono neppure i Vescovi puramente consacrati, senza mandato romano, ancor meno lo potranno i semplici sacerdoti. In maniera ancora più radicale sono esclusi da ogni elezione ecclesiastica i laici.

Questa conclusione è confermata dal diritto positivo della Chiesa, sia per quanto riguarda ogni elezione ecclesiastica in genere, sia per quanto riguarda l’elezione del Papa.

A proposito di ogni elezione ecclesiastica, il canone 166 stipula che “se i laici, contro la canonica libertà, si fossero immischiati in qualunque modo in un’elezione ecclesiastica, l’elezione è invalida per il diritto stesso” (Si laici contra canonicam libertatem electioni ecclesiasticæ quoque modo sese immiscuerint, electio ipso iure invalida est).

A proposito dell’elezione papale, fa testo l’apposita costituzione Vacante Sede Apostolica promulgata da San Pio X il 25 dicembre 1904. Il principio generale è espresso al n. 27: “Il diritto di eleggere il Romano Pontefice spetta unicamente ed esclusivamente (privative) ai Cardinali di Santa Romana Chiesa, essendo assolutamente escluso ed allontanato l’intervento di qualsiasi altra dignità ecclesiastica o laica potestà di qualunque grado e ordine”. Al numero 81, San Pio X rinnova la condanna già da lui sancita, con la Costituzione Commissum nobis del 20 gennaio 1904, del cosiddetto diritto di Veto o di Esclusiva da parte del potere laico, concludendo: “Questa proibizione vogliamo sia estesa a qualunque intervento, intercessione o altro modo con il quale le autorità laiche di qualunque ordine e grado volessero immischiarsi nell’elezione del Pontefice”. Il Santo Papa fa riferimento a quanto accadde durante il Conclave che lo elesse al Sommo Pontificato, quando l’Imperatore Francesco Giuseppe, tramite il Cardinale Arcivescovo di Cracovia, pose il suo veto all’elezione del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, già segretario di Stato di Leone XIII. Nella Costituzione Commissum San Pio X afferma che questo presunto diritto di “Veto”, già condannato dai suoi predecessori Pio IV (In eligendis), Gregorio XV (Aeterni Patris), Clemente XII (Apostolatus officium) e Pio IX (In hac sublimi, Licet per Apostolicas e Consulturi) è contrario alla libertà della Chiesa. Il suo ufficio, scrive il Santo Pontefice, è quello di far sì che “la vita della Chiesa si svolga in modo del tutto libero, allontanato ogni intervento esterno, come volle che si svolgesse il suo Divino Fondatore, e come lo richiede assolutamente la sua eccelsa missione. Ora, se c’è una funzione nella vita della Chiesa che richiede più di ogni altra questa libertà, essa deve essere considerata senza dubbio quella che riguarda l’elezione del Romano Pontefice; in effetti ‘non si tratta di un membro, ma di tutto il corpo, quando si tratta del capo’ (Gregorio XV, Aeterni Patris)”. L’esclusione dell’intervento delle autorità civili include naturalmente quello di qualunque altro membro del laicato: “Stabiliamo che non è lecito ad alcuno, neppure ai capi di stato, sotto qualsiasi pretesto, interporsi o ingerirsi nella grave questione dell’elezione del Romano Pontefice”.

Come si vede, l’esclusione di ogni intervento laicale è considerato da San Pio X non come una disposizione transitoria, ma come assolutamente necessario perché la Chiesa sia come l’ha voluta il suo Fondatore, Cristo Gesù.

Quanto disposto dal Codice di diritto Canonico e da San Pio X è perfettamente conforme a tutta la tradizione. Il Codice stesso rinvia al Corpus iuris canonici (l’antico diritto ecclesiastico) ove le decretali di Gregorio IX (libro I, titolo VI, de electione et electi potestate) prevedono l’invalidità dell’elezione fatta dai laici: il cap. 43 cita il IV Concilio Lateransense del 1215 (Costituzione XXV: “Chiunque acconsentisse alla propria elezione fatta abusivamente dal potere secolare, contro la libertà canonica, perda l’elezione e diventi ineleggibile…”); il cap. 56 cita un documento di Gregorio IX del 1226 col quale si dichiara invalida l’elezione di un vescovo fatta dai laici e dai canonici, secondo una consuetudine che è piuttosto chiamata una “corruttela”.

Potremmo citare altri documenti ecclesiastici al proposito, tra i quali vari Concili Ecumenici: il secondo di Nicea, dell’anno 787 (DS 604), il secondo di Costantinopoli dell’anno 870 (DS 659), il primo del Laterano, dell’anno 1123, contro le investiture dei laici (DS 712)…

Se nel passato la Chiesa doveva difendere la sua libertà dall’influenza dei Principi nelle elezioni, con la Rivoluzione dovette difenderla dalla pretesa democratica di far eleggere i Vescovi dal popolo. Fu così che Papa Pio VI condannò la Costituzione civile del clero votata dall’Assemblea Nazionale, con il Breve Quod aliquantulum del 10 marzo 1791. Non a caso, Papa Braschi collegava le decisioni in materia dei rivoluzionari francesi, coi più antichi errori di Wiclif, Marsilio da Padova, Jean de Jandun e Calvino (cf Insegnamenti Pontifici, La Chiesa, 81-82, e Pie VI, Ecrits sur la Révolution française, Ed. Pamphiliennes, pp. 16-20).

Qual è il valore, allora, della partecipazione popolare ad alcune antiche elezioni? Lo ricorda ancora il Journet: “Nei tempi passati hanno preso parte all’elezione, a titoli diversi: il clero romano (per un titolo che sembra primo e diretto), il popolo (ma nella misura in cui dava il suo consenso e la sua approvazione all’elezione fatta dal clero), i principi secolari (sia lecitamente, dando solamente il loro consenso e il loro appoggio all’eletto; sia in maniera abusiva vietando, come fece Giustiniano, che l’eletto fosse consacrato prima dell’approvazione dell’imperatore), infine i cardinali, che sono i primi tra i chierici romani, in sorta che è al clero romano che è di nuovo affidata, oggi, l’elezione del Papa” (op. cit., p. 977) (15).

Un voto solo consultivo o approvativo, quindi, quello del popolo fedele; e le cose stanno così per una esigenza dogmatica fondata sulla distinzione e subordinazione nella Chiesa tra clero e fedeli, distinzione che è di diritto divino. Lo ricorda, tra gli altri, il teologo romano Cardinal Mazzella: “In terzo luogo, dai medesimi documenti, ne segue sia la distinzione tra i Chierici e i Laici, sia il fatto che la gerarchia costituita nell’ordine clericale è di diritto divino; e quindi che per il medesimo diritto divino la forma democratica è esclusa dal governo della Chiesa. Questa forma democratica sussiste quando la suprema autorità si trova in tutta la moltitudine; non in quanto tutta la moltitudine comandi e governi in atto, il che sarebbe impossibile; ‘ma in quanto – come dice Bellarmino (de Rom. Pont. l. 1, c. 6) – dove vige il regime popolare, i magistrati sono costituiti dallo stesso popolo, e ricevono da esso la loro autorità; non potendo il popolo legiferare da se stesso, deve almeno costituire altri che lo facciano in suo nome’. Ma, supposta una gerarchia divinamente costituita nell’ordine clericale, è ad essa e non a tutto il popolo che l’autorità è stata comunicata da Cristo; e perciò per istituzione di Cristo non risiede nel popolo il diritto di costituire i governanti, e questi non reggono la Chiesa in nome del popolo. Per una migliore comprensione di quanto detto, osserviamo:

come dice Bellarmino (de mem. Eccles. l. 1 c. 2), ‘nella creazione dei Vescovi sono contenute tre cose: l’elezione, l’ordinazione e la vocazione o missione; l’elezione non è nient’altro che la designazione di una persona determinata alla prelatura ecclesiastica; l’ordinazione è una sacra cerimonia con la quale, mediante un rito determinato, viene unto e consacrato il futuro Vescovo; la missione o vocazione conferisce la giurisdizione, e per il fatto stesso fa il Pastore e il presule’

Per cui sono cose molto diverse l’eleggere, il chiedere e il rendere testimonianza. Infatti, chi rende testimonianza in favore di qualcuno o chiede che questi sia eletto, non gli conferisce un diritto a ottenere una dignità; ma svolge solo il ruolo di una persona che loda e che chiede. Colui invece che elegge, chiama canonicamente alla dignità, e conferisce un vero diritto a riceverla (…)” (16).

Riassumendo: nelle elezioni ecclesiastiche il popolo può rendere testimonianza delle qualità di un soggetto (testimonium reddere) e chiederne l’elezione (petere) ma non può assolutamente votare in una elezione canonica, e quindi eleggere un candidato a una carica ecclesiastica dandogli il diritto a ricevere – in quanto persona eletta – la medesima carica. E questa conclusione si fonda su di un principio che appartiene alla fede e alla volontà del Signore: il fatto cioè che la Chiesa non sia una società democratica, ma gerarchica (e persino monarchica) (17) fondata sulla distinzione – di diritto divino – tra il Clero e i Laici. I “tradizionalisti” che attribuiscono a persone che non fanno parte della gerarchia di giurisdizione, e persino a dei semplici fedeli, il potere di eleggere persino il Sommo Pontefice, sono paradossalmente inquinati dall’eresia di una Chiesa democratica così diffusa tra i “modernisti” stile “comunità di base” o “la Chiesa siamo noi”.

Il Clero romano e l’elezione del Papa

Abbiamo escluso dal potere di eleggere il Papa i laici ed i Vescovi senza giurisdizione (a maggior ragione i semplici sacerdoti). Ci resta da vedere un soggetto particolare del diritto di eleggere il Papa: il clero romano. Se “per natura delle cose, e quindi per diritto divino” – scrive Journet a p. 977 – “il potere di eleggere il Papa appartiene alla Chiesa presa assieme al suo capo, il modo concreto in cui si farà l’elezione, dice Giovanni di San Tommaso, non è stato determinato in qualche luogo della Scrittura: è il semplice diritto ecclesiastico che determinerà quali persone nella Chiesa potranno validamente procedere all’elezione”.

Il diritto ecclesiastico attuale (e questo a partire dal 1179) prevede che solo i Cardinali possono eleggere validamente il Papa. In questo modo si mantiene in fondo la più antica tradizione ecclesiastica, che vuole che il Vescovo sia eletto dal suo clero e dai Vescovi circostanti. I Cardinali infatti sono i membri principali del Clero romano (diaconi e sacerdoti), uniti ai Vescovi delle diocesi limitrofe, dette suburbicarie (anch’essi Cardinali). Il Gaetano scrive che è normale che il Papa sia eletto dalla sua chiesa, che è la chiesa Romana e la Chiesa universale, in quanto il Papa è il Vescovo di Roma ed il Vescovo della Chiesa Cattolica (n° 746). Anzi, Gaetano prevede che “morti tutti i Cardinali, succede in maniera immediata [nel potere di eleggere il Papa] la Chiesa Romana, dalla quale è stato eletto [il Papa San] Lino prima di ogni disposizione di diritto umano a noi conosciuto” (n° 745). “La Chiesa Romana” infatti “rappresenta la Chiesa universale nel potere elettivo” (n° 746). Come ci siamo chiesti a proposito della “Chiesa universale”, così ci dobbiamo chiedere chi sono i membri della “Chiesa Romana” che potrebbero eleggere il Papa in mancanza dei cardinali, che della Chiesa Romana sono i membri principali. Gaetano spiega (n° 202): che l’elezione spetti a tale o tale diacono o sacerdote delle chiese romane, detti Cardinali, e non ad altri (come ad esempio i canonici di San Pietro o di san Giovanni in Laterano), o a tale o tal altro Vescovo suburbicario, e non ad altri, è disposizione di diritto positivo ecclesiastico, e non di diritto divino. La Chiesa non può mutare queste disposizioni di diritto ecclesiastico (n° 202), ma in caso di scomparsa di tutti i Cardinali si può supporre che gli altri membri del clero romano potrebbero eleggere il proprio Vescovo. È evidente che per essere membri del clero romano non basta essere nati o risiedere a Roma! Occorre essere incardinati nella diocesi e probabilmente avere cura pastorale del popolo romano o delle diocesi vicine. È facile rendersi conto che anche in questo caso non si vede chi mai potrebbe, concretamente, potere o volere eleggere il papa dato che il clero romano (parroci, vescovi limitrofi, ecc.) è attualmente in comunione con Giovanni Paolo II.

Il Papa non può essere designato direttamente dal Cielo (perché Dio non lo vuole)

Di fronte alla situazione gravissima che sta vivendo la Chiesa, che ha portato alla privazione dell’Autorità, c’è chi ha pensato che la soluzione poteva solo venire da un intervento – eccezionale – di Dio. Questo pensiero si fonda su di una intuizione vera: la Storia e la Chiesa sono nella mani di Dio, e “nulla è impossibile a Dio” (Lc I, 37). Alcuni hanno pensato a un intervento di Enoch e Elia, identificati (a mio parere, a torto) nei due testimoni dell’Apocalisse. Altri hanno ipotizzato la sopravvivenza dell’Apostolo Giovanni. Altri ancora immaginano un’elezione papale fatta direttamente da Cristo e dagli Apostoli Pietro e Paolo (18). A questo proposito non sono mancati coloro che hanno pubblicato profezie di Santi in favore di questa opinione (19).

Mons. M.-L. Guérard des Lauriers, nella sua intervista a Sodalitium (n. 13, p. 20) affermava a proposito del sedevacantismo stretto: “La persona fisica o morale che ha, nella Chiesa, qualità per dichiarare la vacanza totale della Sede Apostolica è identica a quella che, nella Chiesa, ha qualità per provvedere alla provvisione della stessa Sede Apostolica. Chi dichiara attualmente: ‘Mons. Wojtyla non è affatto Papa [neanche materialiter] deve: o convocare il Conclave [!] o mostrare le credenziali che lo costituiscono direttamente ed immediatamente Legato di Nostro Signore Gesù Cristo [!!]”. Abbiamo finora dimostrato l’impossibilità, rebus sic stantibus, di convocare un Conclave; vediamo nel presente capitolo se è possibile a qualcuno presentarsi con le credenziali che lo costituirebbero Legato di Gesù Cristo o suo Vicario.

Al di là dell’improbabilità fattuale di un simile avvenimento, sottolineata dai due punti esclamativi apposti da Mons. Guérard dopo avere esposto questa ipotesi, mi sembra che riguardo alla possibilità teologica di questa ipotesi abbia correttamente risposto Mons. Sanborn:

“I sedevacantisti completi propongono una seconda soluzione alla crisi attuale: è Cristo stesso che designerà un successore, con un intervento miracoloso. Se Nostro Signore agisse in tal modo, e certamente lo potrebbe, l’uomo che sceglierebbe per essere Papa sarebbe certamente il suo vicario sulla terra, ma non sarebbe successore di san Pietro. Scomparirebbe l’apostolicità, perché quest’uomo non potrebbe risalire fino a san Pietro mediante una linea di successione legittima ininterrotta. Certo, come san Pietro sarebbe scelto da Cristo. Ma in realtà Nostro Signore creerebbe una nuova Chiesa.

D. Ma Nostro Signore non potrebbe essere un elettore legittimo? Perché non potrebbe scegliere un Papa che sarebbe anche successore di san Pietro?

R. Si, evidentemente Nostro Signore potrebbe scegliere un Papa, esattamente come ha scelto san Pietro. Ma un intervento divino come quello che immaginano i sedevacantisti completi equivarrebbe a una nuova rivelazione pubblica, il che è impossibile. La rivelazione pubblica è definitivamente chiusa con la morte dell’ultimo apostolo. È un articolo di fede. Tutte le rivelazioni che si sono svolte dopo la morte dell’ultimo Apostolo appartengono all’ambito delle rivelazioni private. Per i sedevacantisti completi quindi, è una rivelazione privata che rivelerebbe l’identità del Papa.

Non c’è bisogno di dire che una tale soluzione distrugge la visibilità e la legalità della Chiesa cattolica, e rende la sua stessa esistenza dipendente da dei veggenti. Non c’è bisogno di aggiungere neppure che essa abbandona il papato alle elucubrazioni degli apparizionisti.

La missione della Chiesa consiste nel far conoscere al mondo la divina rivelazione. Se la designazione del Papa – proprio colui che fa conoscere questa rivelazione – dipendesse da una rivelazione privata, crollerebbe l’intero sistema. La più alta autorità della Chiesa sarebbe allora il veggente, che potrebbe fare o disfare i Papi. Non ci sarebbe più alcun principio di autorità per poter determinare se il veggente è o non è un mistificatore. Ogni atto di fede dipenderebbe, alla fin fine, dall’onestà di un veggente.

La Chiesa cattolica, al contrario, è una società visibile ed ha una vita legale. Nostro Signore è il capo invisibile della Chiesa. La Chiesa non potrebbe più attribuirsi la visibilità se la sua gerarchia fosse designata da una persona [a noi] invisibile, fosse pure Nostro Signore in persona.

Anche ammettendo per un istante questa possibilità: la persona che Nostro Signore designerebbe in tal modo non sarebbe un successore legittimo di san Pietro. La successione è legittima solo se soddisfa le esigenze del diritto ecclesiatico o della consuetudine. Ma una successione per intervento divino non soddisfa alcuna di queste esigenze. Conseguentemente il Papa così designato non sarebbe il legittimo successore di san Pietro” (20).

Gesù potrebbe quindi (di “potenza assoluta”) scegliere nuovamente un Papa, ma non lo farà mai (21) (è impossibile di “potenza ordinata”) poiché Egli stesso ha stabilito che la Sua Chiesa, fondata su Pietro, sarebbe stata indefettibile: “le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa”. E questa verità dell’indefettibilità della Chiesa ci dà di già il motivo di fondo di quanto sosteniamo nel titolo del prossimo capitoletto.

La Chiesa non può restare totalmente priva di elettori del Papa

Il Concilio Vaticano I ha solennemente definito:

Se dunque qualcuno dirà che non è per istituzione dello stesso Cristo Signore ovvero per diritto divino che il Beato Pietro ha sempre dei successori nel primato della Chiesa universale; o che il Romano Pontefice non è il successore del Beato Pietro in questo primato, sia anatema” (D.S. 3058, Cost. dogmatica Pastor Aeternus, canone del capitolo 2).

È una verità di fede, pertanto, che “per sempre” vi sarà un Successore di Pietro: questa verità fa parte di quella concernente l’indefettibilità della Chiesa: se la Chiesa fosse priva di Papa, non esisterebbe più quale l’ha fondata Gesù. Per tornare al cardinal Gaetano, “Christus Dominus statuit Petrum in successoribus perpetuum: Cristo Signore ha stabilito (che) Pietro (sia reso) perpetuo nei suoi successori” (n. 746).

Naturalmente, questa definizione non può e non deve essere intesa nel senso che vi sarà sempre, in ogni istante, in atto, un Papa seduto sulla Cattedra di Pietro: durante la Sede vacante (ad esempio nel periodo che passa tra la morte di un Papa e l’elezione del suo successore). Ciò non conviene. In che senso dunque bisogna intendere la definizione vaticana?

Ce lo spiega ancora – per anticipazione – il Gaetano: “impossibile est Ecclesiam relinqui absque Papa et potestate electiva Papæ: è impossibile che la Chiesa sia lasciata senza Papa e senza il potere di eleggere il Papa” (n. 744). Durante la Sede vacante, pertanto, deve rimanere in qualche modo la persona morale che può eleggere il Papa: “papatus, secluso Papa, non est in Ecclesia nisi in potentia ministraliter electiva, quia scilicet potest, Sede vacante, Papam eligere, per Cardinales, vel per seipsam in casu: il Papato, tolto il Papa, si trova nella Chiesa solo in una potenza ministralmente elettiva, poiché essa può, durante la Sede vacante, eleggere il Papa mediante i Cardinali o, in un caso (accidentale) per mezzo di sé stessa” (n. 210).

È assolutamente necessario, pertanto, che – durante la Sede vacante – sussista ancora la possibilità di eleggere il Papa: lo esigono l’indefettibilità e l’apostolicità della Chiesa (22).

L’elezione del Papa nella situazione attuale della Chiesa

Era appunto questa l’obiezione mossa da Mons. Lefebvre ai sedevacantisti, e ripresa da don Scott contro Mons. Pivarunas. Certamente, una obiezione non può annullare una dimostrazione, e Mons. Pivarunas ha ragione – e don Scott torto – sul fatto che la Sede sia attualmente vacante. Abbiamo visto però che il sedevacantismo simpliciter, se è capace di dimostrare la vacanza della Sede, non è però capace di spiegare come sussista ancor oggi il potere di eleggere un successore. I vari tentativi di spiegazione, fin qui analizzati, risultano tutti inconcludenti: non possono eleggere il Papa i semplici fedeli, e neppure i semplici sacerdoti, e neanche i Vescovi non residenziali. D’altra parte, nella prospettiva strettamente sedevacantista, non sussisterebbero più attualmente dei cardinali o dei Vescovi residenziali cattolici, in quanto tutti quelli esistenti avrebbero aderito alla “Chiesa conciliare”, divenendo formalmente eretici.

L’unica soluzione possibile a questa difficoltà viene, ci sembra, dalla Tesi detta di Cassiciacum, esposta da Padre Guérard des Lauriers, Tesi che i sedevacantisti si ostinano a rifiutare senza rendersi conto che essa è l’unica che permetta di difendere veramente la tesi della Sede vacante.

Secondo questa Tesi, nella situazione attuale dell’autorità nella Chiesa, il potere di eleggere il Sommo Pontefice sussiste ancora nella Chiesa non in atto, formalmente, ma in potenza, materialmente, e questo è sufficiente per assicurare la continuità della Successione Apostolica e per garantire l’indefettibilità della Chiesa.

Un’elezione del Papa è per il momento impossibile sia perché la Sede è ancora occupata materialmente e legalmente da Giovanni Paolo II, sia perché, e lo abbiamo dimostrato in questo articolo, non vi sono, in atto, elettori capaci di procedere a questa elezione.

L’elezione è però possibile in potenza, sia perché in principio non può essere altrimenti, come abbiamo visto prima, sia perché di fatto, sussistono materialmente gli elettori canonicamente abilitati ad eleggere il Papa. Secondo la Tesi, infatti, i Cardinali creati dai “papi” materialiter conservano il potere di eleggere il Pontefice, come pure i Vescovi, nominati dai “papi” materialiter alle varie sedi episcopali, le occupano materialmente e potrebbero, ritornati alla pubblica ed integrale professione della Fede, essere elettori del Papa in assenza di Cardinali. Lo stesso “papa” che occupa solo materialmente la Sede potrebbe, anatematizzando tutti gli errori e professando integralmente la Fede, divenire a tutti gli effetti Papa anche formalmente. Come si vede, la Tesi di Cassiciacum risponde alle obiezioni sollevate dai “modernisti” e dai “lefebvriani” al sedevacantismo, mentre le altre tesi sedevacantiste non ne sono capaci. Per la dimostrazione di questo punto della Tesi, rimandiamo il lettore a quanto già scritto al proposito (23).

Il dovere dei cattolici

Giunti al termine di questa esposizione, naturalmente sommaria, della questione dell’elezione del Papa nella situazione attuale della Chiesa, possiamo tirare alcune conclusioni da quanto scritto.

Qual è il dovere dei cattolici, attualmente? Innanzitutto, conservare la fede. Questo dovere (conservare la fede) ne implica (di per sè) immediatamente un altro: quello di non riconoscere “l’autorità” di Giovanni Paolo II e del Concilio Vaticano II. Riconoscere l’autorità di Giovanni Paolo II e del Concilio Vaticano II implica, infatti, l’adesione al loro insegnamento che è – su alcuni punti – in contraddizione con la fede cattolica infallibilmente definita dalla Chiesa.

Il semplice cattolico però non può e non deve andare oltre. Non spetta al semplice fedele (e neppure ai sacerdoti e ai vescovi senza giurisdizione) dichiarare con autorità, ufficialmente e legalmente, la vacanza della Sede Apostolica e provvedere all’elezione di un autentico Pontefice. Il dovere del cattolico però è quello di pregare e lavorare, ciascuno al proprio posto e secondo le proprie competenze, affinché questa dichiarazione ufficiale – ad opera del collegio dei cardinali o del concilio generale imperfetto – divenga possibile. La tragedia dei nostri tempi – che detta la gravità della crisi presente – consiste proprio nel fatto che nessuno dei membri della gerarchia ha finora svolto questo ruolo. Attualmente, sembra impossibile che i Vescovi o i Cardinali giungano a condannare gli errori del Vaticano II e pongano l’occupante della Sede apostolica nella condizione di anatematizzare anch’egli questi errori, sotto pena di essere dichiarato formalmente eretico (e pertanto deposto, anche materialmente, dalla Sede); ma ciò che è impossibile agli uomini, ricordiamolo, è possibile a Dio. Ed in questo caso, sappiamo che Dio non può abbandonare la Sua Chiesa, perché le porte dell’inferno non prevarranno contro di Essa, ed Egli sarà con Essa fino alla fine del mondo.

Appendice

Esulano direttamente dalla nostra questione (la possibilità di eleggere un Papa allo stato attuale) due argomenti riguardanti pur sempre l’elezione del Papa: quello della certezza della validità dell’elezione papale a causa dell’accettazione pacifica di questa elezione da parte della Chiesa, e quello della santità dell’elezione. Di entrambi parla Journet nell’opera citata. Ne parlerò brevemente anch’io, poiché si tratta di due argomenti che possono servire da obiezione alla nostra posizione (la vacanza formale della Sede Apostolica).

L’accettazione pacifica come certezza della validità dell’elezione papale

Un’elezione, fosse anche l’elezione papale, può essere invalida o essere dubbia; lo ricorda lo stesso Journet, al seguito di Giovanni di San Tommaso (L’elezione del Papa. V. Validità e certezza dell’elezione). “La Chiesa – scrive Journet – possiede il diritto di eleggere il Papa, e quindi il diritto di conoscere con certezza l’eletto. Finché persiste il dubbio sull’elezione e che il consenso tacito della Chiesa universale non ha rimediato ai vizi possibili dell’elezione, non c’è il Papa, ‘Papa dubius, Papa nullus’. In effetti, fa notare Giovanni di San Tommaso, finché l’elezione pacifica e certa non è manifesta, è come se essa durasse ancora” (p. 978). Tuttavia, ogni incertezza sulla validità dell’elezione è dissipata dall’accettazione pacifica dell’elezione fatta dalla Chiesa universale: “l’accettazione pacifica della Chiesa universale, che si unisce attualmente a tale eletto come al capo al quale essa si sottomette, è un atto nel quale la Chiesa impegna il suo destino. E’ quindi di per sè un atto infallibile, ed è immediatamente conoscibile come tale. (Conseguentemente e mediatamente, risulterà che tutte le condizioni pre-richieste alla validità dell’elezione sono state realizzate)” (pp. 977-978). Quanto affermato da Journet si ritrova in quasi tutti i teologi.

Questa dottrina include un’obiezione gravissima contro ogni sedevacantismo (inclusa la nostra Tesi). L’abbé Lucien non nascondeva questa difficoltà, scrivendo: “Senza rispondere ai nostri argomenti, alcuni dichiarano che [la nostra tesi] è certamente falsa, poiché la sua conclusione, secondo loro, è contraria alla fede o almeno prossima all’eresia. Ricordano in effetti che la legittimità di un Papa è un fatto dogmatico, e aggiungono che il segno infallibile di questa legittimità è l’adesione della Chiesa universale. Ora, fanno notare, svariati anni dopo il 7 dicembre 1965 [data a partire della quale Paolo VI non era certamente più Papa formalmente] nessuno ha messo in causa, pubblicamente, nella Chiesa, la legittimità di Paolo VI. È quindi impossibile, concludono, che abbia cessato di essere papa legittimo in questa data, poiché la Chiesa universale continuava a riconoscerlo. Questi obbiettori affermano parimenti che ancor oggi la Chiesa universale aderisce a Giovanni Paolo II, poiché nessun membro della gerarchia di magistero lo ha ricusato: ora, questa gerarchia (l’insieme dei vescovi residenziali uniti al Papa) rappresenta autenticamente la Chiesa universale” (24). Rinvio il lettore alla magistrale risposta che dà l’abbé Lucien a questa obiezione. Da un lato, egli ricorda che la Costituzione Cum ex apostolatus di papa Paolo IV – che se non ha più valore giuridico è pur sempre un atto del magistero – insegna una dottrina contraria (la tesi dell’accettazione pacifica della Chiesa come prova certa della validità di una elezione è quindi solo un’opinione teologica). D’altro canto, sottolinea come questa opinione si fondi sul fatto che è impossibile che la Chiesa intera segua una falsa regola di fede aderendo ad un falso pontefice: ciò sarebbe in contraddizione con l’indefettibilità della Chiesa. Ora, nel nostro caso, tra coloro che riconoscono la legittimità di Paolo VI e Giovanni Paolo II, ve ne sono molti che non aderiscono alle novità del Vaticano II; essi, di fatto, non riconoscono Paolo VI e Giovanni Paolo II come regola della fede e quindi, sempre di fatto, non ne riconoscono la legittimità (cf pp. 108-111). Insomma, il fatto che molti cattolici, implicitamente o esplicitamente, non abbiano recepito il Vaticano II, toglie alla tesi dell’accettazione pacifica della Chiesa la sua forza dimostrativa quanto alla legittimità di chi il Concilio ha promulgato.

La santità dell’elezione

Se l’obiezione precedente è effettivamente importante, quella fondata sulla santità dell’elezione non lo è affatto; ma poiché molti fedeli me l’hanno citata, mi sembra opportuno rispondere con le parole stesse di Journet. Molte persone, infatti, credono a torto che sia lo Spirito Santo che garantisce l’elezione ispirando i cardinali, per cui l’eletto del Conclave sarebbe stato scelto direttamente da Dio. Journet ricorda che, quando si parla di santità dell’elezione papale, “non si vuol dire con queste parole che l’elezione del papa si compia sempre con una infallibile assistenza, poiché ci sono dei casi nei quali l’elezione è invalida, nei quali rimane dubbia, nei quali resta quindi in sospeso. Non si vuol neppure dire che sia scelto necessariamente il miglior soggetto. Si vuole solo dire che, se l’elezione è fatta validamente (il che, in sè, è sempre un bene) anche quando fosse il risultato di intrighi e di interventi spiacevoli (ma allora ciò che è peccato resterà peccato davanti a Dio), si è certi che lo Spirito Santo, il quale, al di là dei papi, veglia in modo speciale sulla sua Chiesa, utilizzando non solo il bene, ma anche il male che essi possono fare, non ha potuto volere o almeno permettere questa elezione che per dei fini spirituali la cui bontà si manifesterà a volte senza tardare nel corso della storia, oppure sarà conservata segreta fino alla rivelazione dell’ultimo giorno. Ma son questi misteri nei quali la fede sola può penetrare ” (pp. 978-979). Insomma, la divina Provvidenza veglia in maniera specialissima sulla Chiesa, ma non impedisce che a volte l’elezione papale possa essere nulla, dubbia, oppure, se valida, abbia per oggetto una persona meno degna di questa carica di un’altra. Negli ultimi conclavi quindi Dio ha potuto permettere, per motivi inscrutabili, che fossero eletti dei soggetti che non avevano oggettivamente la volontà abituale di procurare il bene ed il fine della Chiesa, e che pertanto, pur essendo gli eletti del Conclave (“papi” materialiter), hanno posto e pongono tuttora un ostacolo alla ricezione, da parte di Dio, dell’assistenza divina e dell’autorità pontificia (non sono “papi” formaliter) che, se non ci fosse quest’ostacolo sarebbe stata conferita all’eletto del conclave che accetta realmente l’elezione.

Note

1) La lettera Pro grege può essere richiesta al seguente indirizzo: Most Rev. Mark A. Pivarunas, Mater Dei Seminary, 7745 Military Avenue, Omaha, NE 68134-3356, U.S.A.
2) Peter Scott non fa altro che riprendere le due obiezioni già addotte da Mons. Lefebvre nel 1979: “la questione della visibilità della Chiesa è troppo necessaria alla sua esistenza perché Dio possa ometterla durante delle decadi. Il ragionamento di quanti affermano l’inesistenza del Papa mette la Chiesa in una situazione inestricabile. Chi ci dirà dov’è il futuro Papa? Come potrà essere designato, poiché non ci sono più cardinali?” (Fraternité Sacerdotale Saint Pie X, Position de Mgr Lefebvre sur la nouvelle messe et le pape, supplemento a Fideliter, 1980, p. 4).
3) Padre O’Really fu professore dell’Università cattolica di Dublino.
4) Mons. Pivarunas non dà i riferimenti della citazione di Journet. Si tratta dell’Excursus VIII, L’élection du pape dell’opera L’Eglise du Verbe Incarné, Vol. I La Hiérarchie apostolique, p. 976, Ed. Saint Augustin Saint Just-la-Pendue 1998. Il grassetto è di Mons. Pivarunas.
5) Pio IX, con la Costituzione apostolica Cum Romani Pontificibus del 4 dicembre 1869, avendo indetto il Concilio Vaticano I, si preoccupò di precisare le condizione dell’elezione pontificia, in caso di sua morte durante il Concilio. Sull’esempio di Giulio II (durante il quinto concilio lateransense) e di Paolo III e Pio IV (in occasione del concilio di Trento) stabilì che l’elezione era di spettanza esclusiva del Collegio dei Cardinali, con esplicita esclusione dei Padri Conciliari (Insegnamenti Pontifici, La Chiesa, n. 326). Questa prescrizione è stata ripresa da San Pio X (Vacante Sede Apostolica, n. 28) e da Pio XII (Vacantis Apostolicae Sedis, dell’otto dicembre 1945, n. 33). La prescrizione non è solo disciplinare, ma ha un fondamento nel rifiuto delle teorie conciliariste.
6) Spiega Journet: “Nel caso che le condizioni previste fossero divenute inapplicabili, il compito di determinarne di nuove spetterebbe alla Chiesa per devoluzione, prendendo questo termine, come nota Gaetano (Apologia de comparata auctoritate papæ et concilii, cap. XIII, n° 745), non in senso stretto (in senso stretto la devoluzione è in favore dell’autorità superiore in caso di incuria da parte dell’inferiore), ma in senso largo, per indicare ogni trasmissione, anche se fatta a un inferiore” (op.cit., pp. 975-976).
7) Tommaso de Vio, detto Gaetano dal luogo di nascita (Gaeta), visse dal 1468 al 1533. Religioso domenicano nel 1484 iniziò l’insegnamento nel 1493. Fu Maestro generale dell’ordine dal 1508 al 1518, partecipò al V Concilio del Laterano e fu nominato Cardinale nel 1517. Nel 1518 fu legato della Santa Sede per procedere contro Lutero, lavorando alla stesura della bolla di Leone X, Exurge Domine, contro l’eresiarca. Vescovo di Gaeta nel 1519 fu ancora legato in Ungheria dal 1523 al 1524. È sepolto a Roma nella chiesa di santa Maria Sopra Minerva. “Il Gaetano è celebre per i suoi classici commenti a tutta la Somma teologica di san Tommaso, ai quali rimane legato il suo nome e la sua fama più duratura… Particolarmente attaccato alla Sede Apostolica, il Gaetano ne difese con profondità e brio le prerogative nel celebre trattato De auctoritate Papae con relativa Apologia, che stroncò le velleità conciliaristiche di Pisa (1511) e preparò in anticipo la condanna dell’errore gallicano. (…) San Roberto Bellarmino lo definiva ‘uomo di sommo ingegno e di non minore pietà” (Enciclopedia Cattolica, voce De Vio).
8) “Il primo opuscolo, intitolato ‘De comparatione auctoritatis Papæ et Concilii; fu composto dal Cardinal Gaetano – che lo finì il 12 ottobre 1511 – nell’arco di due mesi. Occasione di questo opuscolo era il Concilio scismatico di Pisa, indetto in quei tempi da alcuni cardinali contro Papa Giulio II; per cui l’Autore si impegna a confutare le tesi cosiddette Gallicane, sostenute fin dal XV secolo in occasione del Concilio di Costanza; innanzitutto la (tesi) di Occam e Gerson, che afferma la superiorità del Concilio sul Papa. Contro (questa tesi), Gaetano dimostra (…) che il Papa, in quanto successore di Pietro, gode del primato, ovvero della piena e suprema potestà ecclesiastica, con tutte le prerogative che gli sono annesse. Il Re di Francia Luigi XII sottopose quest’Opera all’esame dell’Università di Parigi, che affidò la difesa [della propria posizione] al giovane e facondo autore Jacques Almain. Poiché questi compose l’opuscolo ‘De auctoritate Ecclesiæ, seu sacrorum Conciliorum eam repraesentantem, contra Thomam de Vio, Dominicanum’ (Parigi, Jean Granjon, 1512), Gaetano rispose con un altro opuscolo, ovvero l’‘Apologia de comparata auctoritate Papæ et Concilii’, portato a termine il 29 novembre 1512” (nostra traduzione dal latino dell’introduzione di Padre Pollet, o.p., alla riedizione dei due opuscoli del Gaetano, fatta a cura dell’Angelicum, a Roma, nel 1936).
9) “Examinata comparatione potestatis Papæ ad Apostolos ratione sui apostolatus, comparanda modo est Papæ potestas Ecclesiæ universalis seu Concilii universalis potestati, nunc quidem absolute, postmodum vero in eventibus et casibus, ut promisimus. Et quoniam opposita iuxta se posita magis elucescunt, afferam primo rationes primarias in quibus consistit vis, quibus probatur Papam subesse Ecclesiæ seu Concilii universalis iudicio. Et ne contingat sæpius Ecclesiam et Concilium iungere, pro eodem sumantur, quoniam non nisi sicut repraesentans et repraesentatum distinguuntur”.
10) Diciamo “imperfetto” perché, in assenza del Papa, un Concilio generale è appunto imperfetto (cf De comparatione, n° 231, parlando del Concilio di Costanza che si riunì per l’elezione di Martino V), in quanto privo del suo Capo, il quale è il solo a potere convocare, dirigere e confermare un Concilio ecumenico (can. 222; Gaetano, op. cit., cap. XVI). Ricordiamo che – secondo il Gaetano – è lo stesso Concilio generale imperfetto che ha il compito di deporre il Papa eretico (n° 230).
11) “I prelati che sono a capo su di un proprio territorio separato da ogni diocesi,, con clero e popolo, sono detti Abati o Prelati ‘nullius’, cioè di nessuna diocesi…” (can. 319). I Prelati o Abati nullius devono avere le stesse qualità richieste nel vescovo (can. 320§2) ed hanno lo stesso potere ordinario e gli stessi obblighi del vescovo residenziale (can. 323§1) del quale portano l’abito e le insegne liturgiche (can. 325) anche se fossero privi del carattere episcopale.
12) Gli altri Abati ed i superiori delle religioni clericali esenti pur non avendo giurisdizione su di un territorio hanno giurisdizione su delle persone (i propri sudditi) indipendentemente dal Vescovo diocesano. Sono quindi degli Ordinari, anche se non degli Ordinari di luogo (can. 198). Anche in questo caso il criterio per partecipare al Concilio è la giurisdizione e non l’ordine episcopale.
13) Giacché questa posizione rifiuta la successione materiale sulle sedi episcopali, ammessa invece dal sedevacantismo ‘formaliter’ ma non ‘materialiter’ di padre Guérard des Lauriers.
14) Ho già provato altrove (F. Ricossa, Le consacrazioni Episcopali, C.L.S. Verrua Savoia 1997) come la Chiesa insegni che il Vescovo non riceve la giurisdizione da Dio mediante la Consacrazione, ma solo mediante il Papa, anche se il Vaticano II insegna il contrario. Contro questa dottrina insegnata ripetutamente dal magistero ordinario non serve obiettare con esempi storici di elezioni (e consacrazioni) episcopali durante la sede vacante. Queste elezioni dimostrano solo la non illiceità – in caso di sede vacante ad esempio – di consacrazioni episcopali, ma non dimostrano che gli eletti godessero della giurisdizione episcopale, che ricevettero solo, con la conferma della loro elezione canonica, dal nuovo Papa. Ciò non toglie che essi potessero credere in buona fede di avere giurisdizione ancor prima della conferma papale, giacché la dottrina che noi difendiamo (secondo la quale la giurisdizione episcopale viene dal Papa e non dalla consacrazione) è stata precisata dal magistero in periodi successivi a questi fatti storici, mentre era ancora discussa al Concilio di Trento. Segnalo tra l’altro come la dottrina di Gaetano a questo proposito – anche in questo fedele discepolo di san Tommaso – è quella che abbiamo ricordato (cf n°267).
15) Journet conclude rinviando al Dictionnaire de théologie catholique, alla voce Election des papes, per “un esposizione storica delle diverse condizioni nelle quali i papi sono stati eletti”. Ne approfitto per notare quanto sulla questione che stiamo trattando (e non è l’unico caso) il DTC sia deludente. L’estensore della voce “elezione dei papi” infatti si limita ad una esposizione storica omettendo invece il ben più importante punto di vista teologico e dommatico: un punto di vista che ha tratto in inganno – per omissione – non pochi lettori e studiosi.
16) Camillo Card. Mazzella, De Religione et Ecclesia, Praelectiones Scolastico-Dogmaticae,Roma, 1880. Ringrazio Mons. Sanborn, che anni fa mi ha segnalato questa citazione (mentre la colpa della traduzione è tutta mia).
17) Cf San Pio X, ep. Ex quo nono 26/12/111910, DS. 3555, ove viene condannato l’errore opposto professato dagli scismatici orientali. Recentemente invece Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha negato che la Chiesa fosse una monarchia.
18) È stato il caso – tra gli altri – del “veggente” del Palmar de Troya, Clemente Dominguez, che sarebbe stato eletto Papa direttamente dal Cielo dopo la morte di Paolo VI.
19) L’editore Delacroix, ad esempio, ha pubblicato le “Visions de la Vénérable Elisabeth Canori Mora sur l’intervention de Saint Pierre et Saint Paul à la fin des temps” presentando il libretto come una conferma delle conclusioni del libro di don Paladino, L’Eglise eclipsée?, libro pubblicato dal medesimo editore, dove si accenna (p. 274) a queste e altre profezie.
20) Per completezza, riporto la risposta che Mons. Sanborn dà ai sedevacantisti che – implicitamente o esplicitamente – ritengono possibile invece la soluzione del Conclave: “D. Perché il sedevacantismo completo non è una soluzione?
R. Perché priva la Chiesa della possibilità di eleggere un successore legittimo di san Pietro. Esso distrugge fondamentalmente l’apostolicità della Chiesa.
I sedevacantisti completi cercano di risolvere il problema della successione apostolica in due modi. Il primo è il conclavismo. Essi sostengono che la Chiesa è una società che ha il diritto intrinseco di eleggere i propri capi. Ne consegue che il piccolo resto dei fedeli potrebbe riunirsi e leggere un Papa.
Dato e non concesso che una simile impresa possa essere portata a compimento essa solleva alcuni problemi. Primo: chi sarebbe legalmente designato per votare? Come sarebbero designati legalemente questi elettori? Secondo: in nome di qual principio i cattolici potrebbero essere obbligati a riconoscere come legittimo successore di san Pietro colui che vincerebbe una simile elezione? Di fatto il conclavismo non è altro che un elegante eufemismo per designare il regno dell’anarchia dove vige la legge del più forte. La Chiesa cattolica, non è anarchia, ma una società divinamente costituita, retta dalle sue proprie regole e da leggi proprie. In terzo luogo, ed è il punto più importante, non è lecito passare dal diritto naturale che hanno gli uomini a scegliersi dei capi, al diritto di leggere un Papa. La Chiesa non è un istituto naturale allo stesso titolo di una società temporale. I membri della Chiesa cattolica non hanno alcun diritto a designare il Romano Pontefice. È Cristo stesso che all’origine ha scelto san Pietro per essere il romano pontefice ed in seguito le modalità di designazione sono state fissate legalmente”. Mons. Donald J. Sanborn, Explanation of the Thesis of Bishop Guérard des Lauriers, 29/06/2002. Presso l’autore: Most Holy Trinity Seminary 2850 Parent Warren, Michigan 48092 USA bpsanborn@catholicrestoration.org.
21) Quanto abbiamo affermato non è in contrasto con quanto scritto da Mons. Guérard des Lauriers nella medesima intervista pubblicata sul n. 13 di Sodalitium: “in mancanza di M. [ovvero della persona morale – i Vescovi residenziali – abilitati a convocare un Concilio generale imperfetto ove si porrebbero le monizioni canoniche a Giovanni Paolo II] non esiste una soluzione ‘canonica’! Gesù solo rimetterà la Chiesa in ordine, nel e col Trionfo di Sua Madre. Sarà allora evidente per tutti che la salvezza sarà venuta dall’Alto” (p. 30). Questo intervento divino, infatti, non sarà contrario alla divina costituzione della Chiesa quale è stata stabilita da Gesù stesso. Un ritorno dei Vescovi e/o del “papa” materialiter alla professione pubblica della Fede sarebbe (sarà) d’altra parte un miracolo di ordine morale talmente straordinario da eguagliare la conversione di San Paolo. In quali circostanze ciò avverrà, lo ignoriamo.
22) Al proposito il lettore potrà leggere con profitto quanto scritto da Padre Goupil s.j. (L’Eglise, quinta ed., 1946, Laval, pp. 48-49) ed il commento che ne fa B. Lucien (La situation actuelle de l’autorité dans l’Eglise, Bruxelles, 1985, p. 103, n. 132). Vedi anche F. Ricossa, Don Paladino e la Tesi di Cassiciacum, Verrua Savoia, pp. 12-22).
23) B. Lucien, La situation actuelle de l’autorité dans l’Eglise. La Thèse de Cassiciacum, Bruxelles, 1985, capitolo X. D. Sanborn, De Papatu materiali, Verrua Savoia, 2001. La rivista Le sel de la terre contesta, nel suo numero 41, la dimostrazione data da don Sanborn. Ritorneremo sulla questione nel prossimo numero.
24) Lucien, op. cit., p. 107.

Fonte: https://www.sodalitium.biz/lelezione-del-papa/

Dossier Ratzinger: quando il Reno si gettò nel Tevere

Condividi su:

Segnalazione del Centro Studi Federici

Segnalazione del dossier pubblicato sul sito della rivista Sodalitium.
 
“Non semper ea sunt, quae videntur, decipit frons prima multos: rara mens intelligit quod interiore condidit cura angulo” (Fedro).
“Le cose non sono sempre come si mostrano, il loro primo aspetto inganna molti”).
 
=====================================
 
Segnaliamo ai lettori la raccolta degli articoli di Sodalitium relativi agli errori dottrinali di Joseph Ratzinger, invitando a pregare per la sua anima.
 
Sodalitium n. 33, aprile 1933
Ratzinger protestante? Al 99%: pagg. 3 – 9
 
Sodalitium n. 59, febbraio 2006
Editoriale: pagg. 2 – 4
 
Sodalitium n. 60, febbraio 2007
Editoriale: pagg. 2 – 4
L’Osservatore Romano: pag. 55 – 58
“Pontefici come questo e Wojtyla andrebbero bene anche a noi luterani”: pagg. 58-59 
 
Sodalitium n. 62, giugno 2008
Editoriale: pagg. 2 – 4
L’Osservatore Romano: pag. 34 – 50
Comunicato e riflessioni sul m. p. Summorum Pontificum: pagg. 52 – 56
Ratzinger e la preghiera per i Giudei: pagg. 56 – 66
 
Sodalitium n. 63, aprile 2009
Editoriale: pagg. 2 – 4
Il decreto con il quale viene rimessa la scomunica a 4 vescovi della FSSPX: pagg. 5 – 9
Una gioia indecente: pagg. 9 – 17
 
Sodalitium n. 64, maggio 2010
Editoriale: pagg. 2 – 3
Riconosciuti i tradizionalisti (anglicani): pagg. 4 – 10
Il discorso di J. Ratzinger alla Sinagoga di Roma: pagg. 10 – 13 
Mons. Gherardini, Vaticano II ed ermeneutica della continuità: pagg. 23 – 31
 
Sodalitium n. 65, febbraio 2012
Editoriale: pagg. 2 – 4
Vaticano II: continuità o rottura?: pagg. 23 – 29
L’Osservatore Romano: pag. 41
Dichiarazione dell’IMBC su Assisi del 27/10/2011: pagg. 55 – 56
 
Sodalitium n. 66, aprile 2013
Editoriale. pagg. 2 – 4
Assisi 2011: J. Ratzinger e l’agnosticismo: pagg. 5 – 21
Genealogie: Pagg. 21 – 23
 
 

 

Laicismo ante litterm: il martirio di San Tommaso Becket

Condividi su:

Segnalazione del Centro Studi Federici

“Accetto la morte in nome di Gesù e della Chiesa” – Vita di San Tommaso Becket, Arcivescovo di Canterbury, di don Ugolino Giugni: 
 
Prima parte Sodalitium n. 44, pagg. 41 – 45
 
Seconda parte Sodalitium n. 45, pagg. 67 – 72
 

La difesa della famiglia: “Catechesi cattolica del matrimonio”

Condividi su:

QUINTA COLONNA

Segnalazione del Centro Studi Federici

Noël Barbara, Catechesi cattolica del matrimonio, Centro Librario Sodalitium, euro 25,00, pag. 622.
 
Prefazione del Dottor Jean Rivière, Professore alla Facoltà di medicina di Bordeaux 
Ho accettato volentieri di scrivere la prefazione alla “Catechesi cattolica del matrimonio” del Rev.do Padre Barbara, dopo averla letta con attenzione sotto un duplice punto di vista: quello dell’uomo sposato cattolico medio, di mezza età, padre di famiglia numerosa, ogni giorno alle prese con i diversi aspetti della vita coniugale, e anche quello di medico, ancor più in grado di constatare ogni giorno lo smarrimento delle intelligenze e dei cuori in questo campo. Per quanto ne so, questo libro non ha attualmente nulla di equivalente. Già a questo solo titolo esso merita di interessare, e l’esperienza ha già permesso di verificare che il suo contenuto, il suo stile, la sua preoccupazione di non lasciare nell’equivoco i problemi più delicati, hanno sollevato molte domande, turbato delle coscienze troppo ignoranti della dottrina della Chiesa. 
Dovremo stupirci se in futuro la lettura di questa catechesi susciterà delle obiezioni e delle discussioni? Non credo, perché a ben pensarci ci si accorge facilmente che la Chiesa cattolica ha sempre rivendicato e rivendica ancora un imprescindibile diritto di sguardo sulla morale. 
Quanti coniugi cercano, senza trovarlo sempre, l’aiuto del consiglio di un prete nei loro problemi di sposi! Quanto appare necessario lo sviluppo di un lavoro d’équipe fra clero, sociologi, medici, ecc…, se si vuole arrivare a delle soluzioni veramente cristiane in questo o quel caso concreto! ll sacerdote non ha per missione di insegnare la morale? Questo libro non ci dice altro che la condotta dei “figli di Dio impegnati nello stato del matrimonio”. La qualità sacerdotale dell’autore lungi dallo scandalizzare, non può che ispirare fiducia in quelli che lo leggeranno. 
Nella nostra epoca che si vanta di essere illuminata, il ricordare il concetto cristiano dell’amore e il senso profondo degli “obblighi” del matrimonio sembrerà forse desueto. Infatti si constata ogni giorno che numerosi focolari ignorano tutto della dottrina della Chiesa sul matrimonio oppure non ne conoscono che dei frammenti sparsi, scoordinati, raccolti per caso. Questa ignoranza, diciamolo senza rancore, non risparmia gli ecclesiastici.
Non bisognerebbe d’altra parte equivocare sulle intenzioni dell’autore. Gli applicherei volentieri questa bella definizione: “lo spirito duro e il cuore dolce”. 
Questo catechismo non costituisce una requisitoria. Anzi, Padre Barbara non ha consacrato dei mesi a questo lavoro per il piacere di soddisfare qualche “integrismo” di principio o di fatto in un campo in cui tante coscienze oneste cercano delle soluzioni a situazioni spesso dolorose. 
Ma schivare i problemi, annegare le difficoltà nel sentimentalismo o nei fantasmi di una sessualità più o meno incosciente, non ha mai aiutato ne mai aiuterà un’anima a camminare nella luce di Dio. Ora, chi possiede ancora la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo se non la Chiesa cattolica? 
Il primo dovere della carità non è di illuminare coloro che camminano nell’oscurità?
La dottrina della Chiesa sul matrimonio resta la pietra d’angolo delle unioni cristiane. Se su certi punti la discussione rimane aperta, preferibilmente fra persone competenti e al di fuori dello spazio pubblico, nell’insieme, la via tracciata dalla Chiesa in questo campo come in altri, è l’unica capace di portare la pace nelle anime, talvolta a prezzo di una pesante croce. Ma piacere e felicità non si confondono, e Nostro Signore Gesù Cristo ha parlato più spesso di via stretta che di via larga. 
Bisogna ringraziare Padre Barbara di averlo saputo ricordare, nascondendo la sua persona dietro l’autorità del pensiero della Chiesa. 
Quarta di copertina
Papa Pio XI, già nel 1930, osservava nella Casti Connubi che “dobbiamo considerare di primaria importanza che i fedeli siano bene istruiti circa il matrimonio, a voce e in iscritto non una volta sola e superficialmente, ma spesso e ampiamente, con argomenti chiari e solidi”. Memore di questo insegnamento l’autore di questo libro, P. Barbara, quando era giovane prete in Algeria francese, su mandato del suo Vescovo cominciò ad occuparsi della preparazione dei fidanzati al matrimonio e continuò questo ministero quando predicava gli Esercizi spirituali di s. Ignazio. Egli faceva notare giustamente come i sacerdoti, che non si devono sposare, studiano bene la dottrina sul matrimonio in teologia morale per poter confessare e consigliare al meglio, mentre invece i laici, che si devono sposare, non la studiano per niente e questa è una anomalia che se era vera negli anni sessanta è purtroppo ancor più vera oggi, quando l’ignoranza religiosa, in seguito al Concilio Vaticano II, ha raggiunto livelli un tempo inimmaginabili.
Questo libro, che non aveva ad oggi in Italia nulla di equivalente, si propone di colmare questa lacuna, cioè la non conoscenza del catechismo sul matrimonio da parte delle persone che si impegnano in esso, mettendo a loro disposizione in maniera semplice e accessibile, sotto forma di catechismo con domande e risposte, la dottrina cristiana, per vivere al meglio e con la grazia di Dio questo sacramento così importante per la vita e la salvezza di molti cattolici. Quanti coniugi cercano, spesso senza trovarlo, l’aiuto del consiglio di un sacerdote nei loro problemi di sposi! La qualità sacerdotale dell’autore, lungi dallo scandalizzare, non può che ispirare fiducia in quelli che lo leggeranno.
Nella nostra epoca che si vanta di essere illuminata e che confonde spesso l’amore con il piacere, ricordare il vero concetto cristiano dell’amore che è il sacrificio potrà sembrare forse desueto ma è più che mai necessario. La via tracciata dalla Chiesa in questo campo come in altri, è l’unica capace di portare la pace nelle anime, talvolta a prezzo di una pesante croce. Ma piacere e felicità non si confondono, e Nostro Signore Gesù Cristo ha parlato più spesso di via stretta che di via larga. La dottrina della Chiesa sul matrimonio resta la pietra angolare delle unioni cristiane.
Questo libro è utile sia alle coppie sposate e ai fidanzati che si preparano al matrimonio, sia ai sacerdoti o ai catechisti che si occupano della catechesi prematri-moniale. È di notevole interesse, inoltre, la seconda parte del libro che raccoglie moltissimi documenti del magistero, in particolare di Pio XII, Pastor Angelicus, su tutte le questioni inerenti al matrimonio.

Calendario Sodalitium 2023: Leone XIII e il suo magistero a 120 anni dalla morte

Condividi su:

Segnalazione del Centro Studi Federici

di don Francesco Ricossa

Leone XIII e il suo magistero a 120 anni dalla morte
 
Il 20 luglio 1903, 120 anni fa, moriva in Vaticano Papa Leone XIII; il 4 agosto successivo veniva eletto come suo successore il cardinale Sarto, che prese il nome di Pio X e veneriamo come nostro Santo protettore (assieme alla Madonna del Buon Consiglio, a san Giuseppe e a san Pio V). Nato nel 1810 a Carpineto Romano, e battezzato col nome di Vincenzo Gioachino Pecci, fu ordinato sacerdote nel 1837, nominato vescovo nel 1843 da Papa Gregorio XVI, creato cardinale da Pio IX nel 1853, ed eletto suo successore nel 1878. Prima della sua esaltazione al Sommo Pontificato servì la Santa Sede nella diplomazia (nunzio in Belgio), nell’amministrazione del potere temporale della Chiesa (delegato a Benevento, Spoleto e Perugia) e nel ministero episcopale (arcivescovo di Perugia).
 
Dedicandogli questo calendario, vogliamo rendere omaggio a un grande Pontefice che volle imitare un suo predecessore, l’illustre Innocenzo III, il quale riposò nella sua Perugia e di cui volle portare le spoglie a Roma.
Per ben comprendere il pontificato di Leone XIII e soprattutto il suo magistero, bisogna tener presente la sua fedeltà al Dottore comune, San Tommaso d’Aquino. Suo il grande, grandissimo merito di rimettere in onore la filosofia scolastica ed il pensiero del Dottore Angelico nell’enciclica Æterni Patris: tutto il suo insegnamento deve considerarsi come un’applicazione di questi grandi principi. A torto qualcuno ha visto nel suo pontificato una mano tesa al mondo moderno nato dalla Rivoluzione; al contrario, lo scopo del Pontefice era la restaurazione della Cristianità medioevale così ben rappresentata dal già citato Innocenzo III, erede di quella civiltà cristiana e romana ben incarnata dal patrono di Leone XIII, San Leone Magno. Contro il “diritto nuovo”, egli ricordò i grandi princìpi dello Stato e della Società cristiana, iniziando dal rammentare che la sovranità non viene dal basso, ma dall’alto, ovvero da Dio. Contro il falso concetto di libertà, ricordò, al seguito di San Tommaso, il vero e genuino concetto di libertà, che ha per oggetto il bene, e non il male. Riconobbe nella setta massonica l’opera tenebrosa di Lucifero e il nemico dichiarato della Chiesa: di tutti i Papi fu certamente il più attivo nel combattere il naturalismo massonico che oltraggiava la Chiesa in Roma stessa, col sindaco Nathan e il monumento a Giordano Bruno. Per questo fu convinto assertore dei diritti violati della Santa Sede anche quanto al potere temporale, ben conscio di come la setta massonica, attraverso la secolarizzazione della società laicizzata, l’attacco alla famiglia e l’ostacolo posto alla libertà e indipendenza del Sommo Pontefice, intendesse distruggere lo stesso Papato e con esso la Chiesa di Gesù Cristo, la rivelazione divina, la vita sovrannaturale.
 
Leone XIII ebbe modo anche di avvedersi dei prodromi della crisi che stava per manifestarsi all’interno della Chiesa stessa: per questo diede un duro colpo al movimento ecumenico con la dichiarazione sull’invalidità delle ordinazioni anglicane (Bolla Apostolicæ curaæ, 1896) e con l’enciclica sull’unità della Chiesa Satis cognitum. Diede anche le prime condanne al nascente modernismo, nel campo della spiritualità (condanna dell’americanismo con Testem benevolentiæ, 1899) come nel campo dell’attività politico-sociale (enciclica Graves de communi, 1901). Con l’enciclica Rerum novarum, sulla questione operaia, si opponeva sia al socialismo sia al liberalismo, rinnovando l’alleanza tra la Chiesa e il popolo e ponendo le basi di una società veramente cristiana. Affidò questo grande progetto alla protezione della Santissima Vergine: devotissimo alla Madonna del Buon Consiglio, Leone XIII raccomandò a tutti la recita del Santo Rosario in tante encicliche, ben sapendo come nella meditazione dei misteri dell’Incarnazione, della Passione e della Resurrezione del Signore, con gli occhi e i sentimenti della SS. Vergine, il popolo cristiano avrebbe mantenuto viva la Fede.
 
Durante il suo lungo pontificato non mancarono, è vero, anche gli insuccessi. Vana fu la sua attenzione all’Oriente, nella speranza di ricondurlo all’unità cattolica. Dura fu la persecuzione che dovette subire dai nemici della Chiesa un po’ ovunque durante l’Ottocento anticlericale, dal  tedesco, ai governi massonici in tutto il mondo, specie nelle vicine Italia e Francia. Soprattutto da quel paese vennero cocenti delusioni, e sarà il suo successore, san Pio X, che con coraggio intrepido e distacco da ogni bene terreno, con libertà evangelica, affronterà la separazione tra Stato e Chiesa, la cacciata dei religiosi, la confisca dei beni della Chiesa, facendo rinascere la Chiesa di Francia e condannando le false interpretazioni del magistero leonino (come quella del Sillon). Leone XIII vide anche la stringente necessità di sviluppare e ammodernare gli studi ecclesiastici, un programma pienamente condiviso dal giovane perugino Umberto Benigni; ma sulla fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si faceva già luce il tradimento di questo bel programma da parte dei modernisti: sarà san Pio X (nominato vescovo nel 1884 e creato cardinale nel 1893 proprio da Leone XIII) a dover affrontare il pericolo mortale, per “restaurare ogni cosa in Cristo”.
 
Ogni mese del nuovo anno può essere un’occasione per i nostri lettori di leggere una o più encicliche di questo grande Papa, che abbiamo scelto, in quest’occasione, di onorare.
 
Don Francesco Ricossa
 
 
1 2 3 4