Sondaggi, la sorpresa su Schlein (e il dato che va visto davvero) e le uscite di Zaia…

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La rilevazione nei sondaggi Ipsos: cresce il Pd della Schlein, cala il centrodestra di Meloni. Ma c’è un grosso “però” da considerare

sondaggi vanno sempre presi con beneficio di inventario, soprattutto quando sono così lontani da una tornata elettorale. E poi casa sondaggistica che vai, risultato che trovi: variazioni percentuali, saliscendi, gradimenti che si muovono anche in base ai temi del momento. Eppure l’ultima rilevazione realizzata da Ipsos per il Corriere della Sera qualche indicazione la dà.  La prima l’avevamo esternata anche nella Zuppa di Porro di ieriElly Schlein alla fine della fiera, nonostante fosse sfavorita alle primarie, non solo ha vinto la sfida delle urne ma sta pure convincendo gli elettori di centrosinistra. Piace a quel circolo di giovani, meno giovani e anziani che vedono nella cancel culture, nel progressismo ambientalista e nel movimentismo emo-lesbo-trans-femminista il futuro della sinistra. Beati loro, vien da dire. Ma la democrazia funziona così. Funziona che fino a l’altro ieri Giuseppe Conte sembrava il sol dell’avvenire della sinistra (“un punto di riferimento fortissimo per i progressisti”, ebbe a dire Nicola Zingaretti) e adesso annaspa dietro Elly. Una Schlein che oltre al vantaggio di essere “nuova” è pure donna. E nella sfida con Meloni la cosa certo di male non fa.

I sondaggi su Elly Schlein

Lo si capisce dai sondaggi sul partito della Schlein. Il Pd è salito di due punti rispetto alla settimana del 23 febbraio 2023: rispetto al 17% cui era crollato, è risalito al 19%. Direte: “Fico”. Ed è vero. Però va anche notato un altro dettaglio: si tratta di una rincorsa affannata se si considera che alle politiche del 2022 il Partito Democratico di Enrico Letta, uscito bastonato dalle urne, raccolse il 19,1%. Cioè più di quanto valgono oggi i dem con Elly. Certo aver recuperato in così poco tempo il terreno perso non è cosa da poco, ma va anche detto che al momento il computo finale dei potenziali elettori dem non è “cresciuto” rispetto all’ultima tornata politica. Staremo a vedere nelle prossime settimane se la crescita di Schlein nei sondaggi continuerà con questi ritmi o se sarà solo la fiammata iniziale. L’obiettivo – alle prossime europee – sarà fare meglio di quel 22,7% raccolto nel 2019 dai suoi predecessori. Al momento mancano ancora 3,7 punti percentuali. Tanti.

Cala il centrodestra, ma…

E arriviamo agli altri partiti. Mentre il Pd cresce, il M5S scende: dal 17,5 di due settimane fa siamo arrivati al 16,8% con un saldo negativo di -0,7%. In negativo anche tutti i partiti di centrodestra: -0,7% per Meloni, -0,6 per Salvini, -0,2 per Berlusconi e -0,2 per Noi Moderati. Occhio anche qui, però: il dato riguarda la differenza rispetto all’ultimo sondaggio del 23 febbraio. Ma se osserviamo la differenza col risultato elettorale alle Politiche del settembre 2022, scopriamo che Meloni sta al 30,3% rispetto al 26% di cinque mesi fa mentre gli alleati annaspano (Lega: 8%, Forza Italia: 7,2%).

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Le coalizioni: chi vince?

Interessanti anche i numeri sulle coalizioni, che poi a ben vedere è la partita dove si gioca il governo del Paese. Al momento Ipsos assegna al centrodestra il 46,5% dei voti e al centrosinistra il 24,5%. La distanza è netta, anche aggiungendo al centrosinistra la probabile alleanza col M5S (totale giallorossi: 41,3%). Guardiamo il dato rispetto alle elezioni del 2022: quando Meloni scoprì di essere la prima donna premier d’Italia, il contatore delle coalizioni diceva centrodestra al 43,8% (oggi il dato è maggiore del +2,7%), il centrosinistra al 26,1% (oggi il dato è inferiore del -1,6%) e l’eventuale alleanza giallorossa al 41,5% (esattamente come oggi). Cosa significa? Significa che al momento, al netto delle oscillazioni mensili e del calo nelle ultime settimane, la distanza tra centrodestra e centrosinistra non è cambiata. Per ora vince ancora Meloni. Domani, chissà.

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NOTA DI “CHRISTUS REX”: E’ innegabile, in questo contesto, che le dichiarazioni del Governatore leghista del Veneto Luca Zaia, favorevole al centro per il cambio di sesso all’ospedale di Padova, così come quelle del deputato Centinaio che apre alle unioni di fatto tra persone dello stesso sesso, sono assist di grande aiuto alla politica della Shlein che il segretario Matteo Salvini non può permettersi di liquidare con un semplice “non è una priorità”, riferito al concetto fluido di civiltà di Zaia. L’orizzonte valoriale dei conservatori deve essere differente da quello dei progressisti, altrimenti si alimentano l’astensionismo e la confusione. Restando, comunque, ciascuno libero di cambiare strada, percorso e…partito.

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Per avere la certezza di governare deve stravincere, ma cullarsi sui sondaggi e “auto-moderarsi” in cerca di patenti (che non avrà) non aiuta la mobilitazione

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Ha parlato con grande chiarezza venerdì sera Matteo Renzi a Controcorrente, su Rete4, delineando correttamente la posta in gioco il prossimo 25 settembre e non nascondendo, anzi rivendicando il suo obiettivo.

La partita

“Se vince nettamente la destra, al governo va la Meloni. Se la destra non ha la maggioranza, ci sono le condizioni per riportare Draghi a Palazzo Chigi“. Questa è “la partita” ed “è bene che gli italiani lo sappiano”.

E le cose, inutile negarlo, stanno sostanzialmente in questi termini. Bisogna solo capire se Draghi fa parte o no di questa partita, se cioè sarebbe disponibile a guidare un nuovo governo di larghissime intese. Per ora, ci limitiamo a constatare che l’ex premier sta lasciando che il suo nome venga menzionato e speso in questo senso da alcune forze politiche.

Il presidente Mattarella, che pure aveva lasciato intendere più volte di non essere disponibile per un secondo mandato, vedendo che i voti in suo favore aumentavano chiama dopo chiama lasciò fare, non rinnovando la sua indisponibilità, fino a risultare rieletto.

Ma nello scenario ipotizzato, e auspicato da Renzi, tutto sommato Draghi non è indispensabile. Anche se non fosse disponibile, lo schema potrebbe comporsi ugualmente attorno ad un’altra figura. Sarebbe solo un po’ più faticoso trovare il nome per Palazzo Chigi.

Vincere “nettamente”

Quello che però qui ci interessa sottolineare della frase di Renzi è l’avvertimento implicito al centrodestra che contiene. Da una parola in particolare è stata catturata la nostra attenzione: nettamente. Perché ci sia un governo di centrodestra con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, dice Renzi, non basta che il centrodestra vinca. Deve vincere “nettamente”. Difficile quantificare questo nettamente, essendoci diverse variabili in gioco.

Il criterio del primo partito

Di sicuro, non basterebbe conquistare una maggioranza relativa. Come hanno dimostrato le elezioni del 2018 – quando il centrodestra si fermò al 37 per cento nelle urne e a poco più come seggi parlamentari – in tal caso il presidente Mattarella procederebbe nel tentativo di formare un governo seguendo il criterio del primo partito, non della prima coalizione.

Nel 2018, infatti, anziché partire dalla coalizione di centrodestra, la più vicina alla maggioranza assoluta, ed esplorare le possibilità che un’altra delle forze presenti in Parlamento fosse disponibile a formare un governo con essa, il presidente Mattarella ha compiuto questo percorso con il Movimento 5 Stelle, considerando il partito di maggioranza relativa, e non la coalizione, il soggetto da cui non si poteva prescindere.

Nel primo caso, infatti, avrebbe rischiato di scomporre il centrosinistra. Nel secondo caso, come poi avvenuto, è risultato scomposto il centrodestra.

Tutto lascia intendere, dunque, che nel caso in cui il centrodestra conquistasse anche questa volta soltanto la maggioranza relativa dei seggi, e il Pd risultasse primo partito, il Quirinale seguirebbe lo stesso schema, considerando il partito di maggioranza relativa (il Pd), e non la coalizione, il soggetto imprescindibile da cui partire per costruire una maggioranza di governo.

E questo spiega perché la sfida nella sfida fondamentale di queste elezioni è quella tra Fratelli d’Italia e Partito democratico. Solo in quanto partito di maggioranza relativa in Parlamento, FdI avrà sufficienti garanzie di non essere scavalcato dalle manovre del Colle e del Pd nella delicata fase delle consultazioni.

Ma la parola “nettamente” usata da Renzi potrebbe indicare che al centrodestra non basterebbe nemmeno la maggioranza assoluta per essere certo di governare. Se infatti questa maggioranza fosse risicata, e il Pd risultasse comunque primo partito, la coalizione potrebbe evaporare.

Bisogna considerare che per effetto del taglio del numero dei parlamentari, una maggioranza di seggi del 55 per cento, in apparenza molto solida, dipenderebbe in realtà da 20 deputati e da soli 10 senatori.

L’unica garanzia

Dunque, non sapendo quanto “nettamente” il centrodestra dovrebbe vincere per scongiurare il disegno di Renzi e dell’area Draghi, e avere quindi la certezza di governare, l’unica garanzia della tenuta della coalizione, risicata o ampia che sia la vittoria, sembra essere che FdI risulti primo partito in Parlamento.

In tal caso, infatti, considerando il criterio seguito dal Colle nel 2018 – a meno di ulteriori e sempre possibili forzature che oggi non sappiamo immaginare – sarebbe il partito di Giorgia Meloni a non poter essere estromesso dal governo, come accaduto al Movimento 5 Stelle nella legislatura appena conclusa.

Il rischio astensionismo

Se questi scenari hanno fondamento, appare del tutto fuori luogo il clima da vittoria in tasca che si respira dalle parti del centrodestra.

Innanzitutto, perché il vantaggio registrato oggi dai sondaggi si basa sugli elettori che hanno risposto e il numero degli indecisi è ancora molto alto.

E inoltre, perché, come abbiamo visto, per essere certo di governare il centrodestra dovrà non solo vincere, ma stravincere e, in particolare, uno dei suoi partiti risultare il partito di maggioranza relativa in Parlamento.

Almeno la metà degli italiani è ancora da convincere (1) ad andare a votare e (2) su chi votare. E il problema del centrodestra, come abbiamo visto nelle ultime tornate amministrative, è convincere il proprio elettorato potenziale a recarsi alle urne.

Un elettorato sfiduciato da anni in cui si è rafforzata la percezione che votare è inutile, dal momento che gli indirizzi degli elettori vengono o sovvertiti da dinamiche di sistema, endogene ed esogene, o traditi dagli stessi partiti che ne avevano raccolto il consenso.

Ansia da legittimazione

In questa fase ci sembra di vedere una Giorgia Meloni (ma non solo lei) in piena ansia da legittimazione. Un’ansia comprensibile ma eccessiva, perché i passi necessari sono già stati compiuti. Chi doveva intendere, ha inteso, mentre chi non ha ancora inteso, non intenderà mai.

Non ci sono abiure né rassicurazioni di cui la sinistra o Bruxelles possono accontentarsi, perché le richieste di prendere le distanze dal fascismo, o dal sovranismo, sono puramente strumentali, come spiega benissimo Andrea Venanzoni nel suo articolo di oggi.

Anzi, dandogli corda distoglie energie dalla campagna e regala ai suoi avversari un argomento: se ancora è costretta a raccomandarsi a destra e a manca con video e dichiarazioni, è perché le ombre del fascismo non sono ancora svanite e un problema di “rispettabilità” resta.

Il senso di una rottura

La principale preoccupazione di tutti i partiti di centrodestra, in una campagna molto ristretta nei tempi, dovrebbe essere invece quella di trasmettere ai propri elettori il senso di un voto utile, la percezione che votando centrodestra c’è l’occasione di una svolta, di una “rottura” con il passato, non una versione solo leggermente ammorbidita e “moderata” di ciò che abbiamo avuto nell’ultimo decennio.

È questa percezione che manca e che rischia di allontanare dalle urne gli elettori vicini al centrodestra.

In questo senso, l’uscita di Silvio Berlusconi sul presidenzialismo, o le proposte di flat tax della Lega, vanno nella direzione giusta – due temi su cui paradossalmente l’atteggiamento degli esponenti di Fratelli d’Italia è stato troppo cauto e conservativo, prevalendo in loro la preoccupazione di evitare passi falsi che potrebbero mettere a rischio sia il tesoretto di consensi che i sondaggi gli attribuiscono, sia i faticosi passi di accreditamento.

Ma il rischio di una campagna troppo conservativa, come abbiamo cercato di spiegare, è che giocare in difesa possa non bastare. Perché per governare il centrodestra deve stravincere e, in particolare, FdI deve arrivare primo – esiti nient’affatto scontati, nemmeno secondo i sondaggi più che favorevoli di queste settimane.

Un programma timido

Nell’accordo di programma tra i partiti di centrodestra questo senso di “rottura” non si respira. Su almeno cinque temi ci sono ancora troppe ambiguità.

Non c’è una parola chiara e definitiva sull’abbandono di Green Pass e mascherine, ma ci si limita ad un generico “senza compressione delle libertà”.

Non c’è una parola chiara e definitiva sul reddito di cittadinanza, che andrebbe abolito sic et simpliciter e non “sostituito” con altre mostruosità assistenzialiste e burocratiche.

Non c’è una parola netta e definitiva sull’uscita dalle follie gretine e dalla transizione green imposta a livello europeo e statale.

Non c’è una parola chiara e definitiva sulla flat tax, nel timore che promettere una rivoluzione fiscale possa far arrabbiare Bruxelles.

E in generale, c’è troppa timidezza nei confronti dell’Ue: un conto è escludere di voler uscire dall’euro, tutt’altra cosa è una vera e propria professione di europeismo, mentre il centrodestra dovrebbe a nostro avviso farsi interprete di un euroscetticismo thatcheriano, ovvero rigoroso e non spendaccione ma fermamente contrario a più integrazione, cioè a più Europa.

Sondaggi…

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di Alfio Krancic

La rilevazione di Supermedia Agi/Youtrend: stabili gli altri partiti, con il Pd al vertice (21,5 per cento) seguito da Fratelli d’Italia (20,7%)31 MARZO 2022 ALLE 16:43

Manca ancora un anno alle prossime elezioni politiche (???), ma in vista del 2023 anche i partiti minori iniziano a sgomitare per un posto tra le preferenze degli italiani. E rosicchiano percentuali entrando di diritto nei sondaggi. La principale novità del sondaggio di Supermedia Agi/Youtrend di questa settimana è la comparsa del partito Italexit dell’ex grillino Gianluigi Paragone che si attesta al 2 per cento delle preferenze degli elettori.

Nel sondaggio di alcuni giorni fa di Swg per il Tg La7 al vertice figurava Fratelli d’Italia, mentre per Supermedia Agi/Youtrend al primo posto c’è il Pd di Enrico Letta con il 21,5 per cento di preferenze, ma il partito di Giorgia Meloni è comunque in seconda posizione con uno scarto di 0,35 punti (20,7%). La Lega perde lo 0.2 per cento e si ferma al 16,5 mentre il Movimento 5 Stelle, complice forse la strategia di Giuseppe Conte sul no alla spesa militare, guadagna lo 0,1 (13,5 per cento). Silvio Berlusconi dopo il matrimonio simbolico con Marta Fascina fa guadagnare a Forza Italia lo 0,2 per cento (per un totale di 8,4 punti percentuali), mentre Italia Viva (-0,3), Azione/+Europa (-0,1), Verdi (-0.3) e Sinistra italiana (-0,1) perdono qualcosa. (Repubblica.it)

Sono due anni che i sondaggi girano intorno queste cifre: nonostante la dittatura sanitaria, le restrizioni dei diritti civili, la Costituzione stracciata ed ora la guerra con le conseguenze nefaste che avrà sul nostro futuro e sulla nostra economia, considerata la scellerata scelta di campo che la cupola politica italiana, ha fatto preferendo il Comico di Kiev a Putin, viene spontaneo chiedersi: come diavolo fanno i partiti ad avere ancora così ampio consenso fra l’elettorato. Forse una spiegazione esiste. I sondaggi non tengono conto delle astensioni che a parere di molti analisti stanno crescendo in modo enorme. Quindi è comprensibile che il PD abbia il 21% dei voti su un 30% dei votanti. Se si contasse l’astensione al 70%, quel 21% del PD equivarrebbe ad uno striminzito 8,7% dell’elettorato ; idem per FdI. Il 16, 5% della Lega diventerebbe un 7% (a due passi dal mitico 3% delle origini), poco meno il M5S. FI sarebbe al 3,3%. Praticamente un disastro.

Facile avere questi numeroni senza contare le astensioni…

S.E.&.O.

PS Spero di non avere fatto un ragionamento ad cazzum canis. La matematica la mastico poco. Se ho sbagliato mi corriggerete.

Fonte: https://alfiokrancic.com/2022/03/31/sondaggi-2/

Sondaggio, Luca Zaia scrive la storia del Veneto: “Per lui percentuali alla Putin”, dove porta la Lega

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di Alessandro Gonzato

Finisse così, Luca Zaia scriverebbe la storia, la Sinistra subirebbe una sconfitta senza precedenti e il Movimento Cinque Stelle, nell’ex Serenissima, sparirebbe. Il sondaggio di Fabbrica Politica, realizzato tra il 3 e il 5 agosto in vista delle elezioni regionali in Veneto (20-21 settembre), riporta numeri impressionanti. E la sensazione, annusando l’aria che tira a Nordest, è che non siano così azzardati, tutt’ altro. Il centrodestra, guidato dal governatore leghista, è dato all’80,7%. Il centrosinistra, il cui candidato è il vicesindaco di Padova Arturo Lorenzoni, al 12,7. I grillini, capitanati da Enrico Cappelletti, agonizzanti all’1,9, il che significherebbe non piazzare nemmeno un consigliere nell’assemblea veneta. Italia Viva non supererebbe lo 0,5, un’umiliazione devastante per Renzi che fino a un mese fa, proprio per evitare un risultato simile, era molto indeciso se presentarsi staccato dalla coalizione.

Che il Pd fosse destinato a non toccare palla era scontato, d’altronde in Veneto non l’ha mai fatto e l’emergenza Covid ha moltiplicato i consensi di cui gode il “doge” Zaia. E però, come sottolinea il fondatore di Fabbrica Politica, Matteo Spigolon, «il governatore va verso percentuali alla Putin». «In alcuni comuni del Trevigiano», fa presente, «Zaia supera il 90%». La vera sfida è tutta interna, tra la Lista Zaia (rilevata al 36,8) e quella della Lega (31,4). Potrebbe essercene anche un’altra, formata dagli amministratori locali, ma ancora non è certa. Cinque anni fa la lista del presidente prese il 23 e quella del Carroccio il 18. La grande novità della tornata elettorale, al di là del margine d’errore dei sondaggi, sarà Fratelli d’Italia: la Meloni è data al 9,7 a fronte del 2,6% ottenuto nel 2015. Forza Italia passerebbe dal 6 al 2,8. Il Pd, con Alessandra Moretti portabandiera, prese il 16,6% e ottenere meno di “Ladylike” – come si soprannominò con conseguenze nefaste l’europarlamentare – sembrava missione per pochi. Oggi il sondaggio dà i Dem al 9,2 e dunque anche Lorenzoni, la cui lista personale è valutata all’1,2, a suo modo scriverebbe una pagina indelebile.

I pentastellati, poi, farebbero un triplo carpiato all’indietro rischiando di rimanerci secchi: dal 12% del 2015 quando per una manciata di voti superarono l’allora sindaco di Verona Flavio Tosi fresco di uscita dalla Lega, a nemmeno il 2. Il Partito dei Veneti, gli indipendentisti, è al 3,8. «Le percentuali», aggiunge Spigolon, «potranno oscillare di qualche punto non appena verranno ufficializzati i nomi presenti nelle liste. È comunque inverosimile che in un mese e mezzo cambino in modo significativo, a meno di fatti clamorosi. Zaia fa da traino a tutta la coalizione: c’è una bella differenza se all’intervistato chiedi se voterà un “partito x” o se voterà il “partito x” che corre a sostegno del governatore». Il Veneto è sempre più Zaiastan.

Fonte: https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/24139123/sondaggio-fabbrica-politica-luca-zaia-veneto-regionali-lega-percentuali-vladimir-putin.html

 

 

 

Ultimi sondaggi politici elettorali. L’elettorato di centrodestra crede in Salvini

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Cosa dicono le rilevazioni dei principali istituti di sondaggi

Ultimi sondaggi elettorali | Elezioni 2018 | Tutti gli aggiornamenti, sondaggio dopo sondaggio | Ultimo aggiornamento: 15 agosto sondaggi elettorali oggi

Sono passati cinque mesi dalle elezioni del 4 marzo 2018 (qui tutte le ultime notizie), chi voterebbero oggi gli italiani?

15 agosto – Sondaggio Nasi: l’elettorato di centrodestra crede in Salvini

Secondo un sondaggio condotto dall’istituto Ferrari Nasi pubblicato su Libero il 67 per cento degli elettori di centrodestra crede che Matteo Salvini, nonostante la coalizione di governo con il M5s, stia tutelando gli interessi della coalizione di centrodestra.

L’83 per cento crede che Salvini stia raggiungendo buoni risultati per gli interessi della coalizione. Solo il 12 per cento degli elettori di centrodestra non è soddisfatto.

Il 53 per cento dell’elettorato della Lega vorrebbe formare un governo con le sole forze di centro destra, vale a dire Forza Italia e Fratelli d’Italia.

La rilevazione è stata condotta dall’istituto Ferrari Nasi Consulenze/ AnalisiPolitica per Editoriale LIbero srl Continua a leggere