Dragocrazia

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

È davvero prematuro rinfacciare al governo Draghi di essere la riedizione del governo Conte o di esultare per questo, come fanno i grillo-contini. È stato quantomeno puerile gridare subito alla continuità con Conte quando non si era ancora insediato il governo. Certo, serve per galvanizzare le tifoserie e dire agli uni che il Maligno ha cambiato solo nome e fattezze e si è fatto più terribile, come dice il cognome fiammeggiante del premier; e agli altri far credere che Conte è così insostituibile che il suo modesto successore è schiacciato dalla sua gigantesca ombra e non può che tentare di imitarlo.

Ma se provate a fare il gioco delle differenze, risaltano subito alcune cose: il profilo e il curriculum di Draghi rispetto a quello di Conte, alcuni ministri tecnici nei dicasteri economici al posto di grillini e piddini, il cambio in meglio alla giustizia, alla pubblica amministrazione e istruzione e allo sviluppo economico, il peso dei ministri leghisti e forzisti, il ridimensionamento di Arcuri che prelude probabilmente alla sua non riconferma. E poi la novità, anche inquietante se volete, di un governo di unità nazionale, e in positivo lo stile diverso nelle riunioni ministeriali e nella comunicazione. Non è poco, come avvio. Dall’altra parte la continuità della politica sanitaria, le troppe facce riemerse di ministri al governo, alcuni segnali non promettenti sulla giustizia, un governo imbottito di politici di basso profilo, non fanno ben sperare. In ogni caso è prematuro e disonesto azzardare un giudizio, parlare già di svolta o di continuità. Vedremo in corso d’opera e valuteremo senza paraocchi.

Una cosa però si profila sin dagli esordi, dalle scelte ministeriali e dai segnali di fumo lanciati all’Europa. Il governo Draghi ha a cuore principalmente una cosa, rispetto a cui tutto il resto fa da corollario e può essere oggetto di trattativa: la gestione dei fondi e delle linee economiche. Per dirla nel linguaggio proprio, il core business del governo Draghi, la specificità del suo mandato, è il Recovery fund e le sue conseguenze. Può assecondare la politica sanitaria precedente, può far la voce grossa sui vaccini, non modificare le linee politiche, culturali e civili ma resta prioritario e non negoziabile decidere come verranno spesi i soldi. Questa è la mission di Draghi e la ragione dell’incarico a lui; è lì che si gioca quasi tutto, pure il Quirinale; ed è quello che non andava permesso a un governo politico qualsiasi. Tutto il resto è relativo. Sarà lì che si paleserà la Dragocrazia. Continua a leggere

Salvini faccia sintesi nel Sovranismo italiano!

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di Matteo Castagna (pubblicato su Informazione Cattolica di oggi)

I globalisti, ovvero le sinistre hanno brindato alla vittoria delle elezioni regionali. Eppure, se si vanno a vedere i numeri non sembrerebbe che per i partiti che si riconoscono nel “deep State” la situazione sia propriamente quella prospettata da Di Maio e Zingaretti. Il fronte sovranista, infatti, governa 14 Regioni su 20 e centinaia di comuni, confermandosi largamente maggioritario nel Paese.

Fa tenerezza vedere i grillini esaltarsi della vittoria del “sì” al referendum costituzionale quando il consenso è stato, per loro, impietoso, relegandoli ad avere, quasi sostanzialmente, una rappresentanza parlamentare che, però, risale alle elezioni del 2018.

Mario Mieli, sul Corriere della Sera, ha osservato che la destra in Italia è viva e vegeta nonché che dispone del partito di maggioranza relativa e di un leader che, piaccia o non piaccia, è l’artefice principale di questa fiducia da parte degli italiani. Non possiamo nascondere che vi siano dei problemi, che non vanno osservati ma affrontati. Un grande partito, con degli alleati, deve sapersi assumere l’onere e l’onore dell’esercizio del potere di decidere cosa va e cosa non va, nonché quali persone siano le migliori a dover interpretare il prossimo futuro, sapendo che si vince in squadra.

Un cambio di passo in senso pragmatico verso l’Europa è auspicabile, come auspicato da Giancarlo Giorgetti, laddove questo non significhi mandare a finire in quel che fu Fiuggi per Fini un sovranismo ancora in fase embrionale. Significa, semmai, due cose: andare a definire almeno nei suoi tratti fondamentali, questo benedetto sovranismo e renderlo credibile a governare il Paese, soprattutto attraverso una classe dirigente preparata, nel rispetto delle diverse anime e identità. A Salvini l’arduo compito di fare la sintesi, non certo di farsi da parte, come qualche sprovveduto o rosicone desidererebbe, facendo il gioco, più o meno consapevole, dei globalisti. Sarebbe auspicabile che si comprendesse che il fondamento su cui costruire trova solidità autentica e duratura solo attorno a principi fondamentali e addirittura, ancestrali, post-ideologici che in Occidente, ed in particolare in italia vedono nella cristianità la base di partenza. E’ proprio perché “non possiamo non dirci cristiani” che questa frase è stata fatta propria anche da autorevoli atei ed è la base da riconoscere anche e soprattutto da parte di chi non è cattolico, ma intellettualmente e culturalmente onesto. Le nostre radici classico-cristiane non sono contestabili. Basta guardarsi attorno per capire che sono, oggettivamente, la nostra primaria Identità. Partire da qui sarebbe importante per un processo fondativo da costruire tra uomini e donne che sono certamente peccatori, ma non per forza debbono essere impenitenti. Continua a leggere

Lo “Stato profondo” del Papa: ecco chi comanda in Vaticano

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Viganò ha parlato di Chiesa profonda. Un pezzo di Vaticano impegnato a disegnare il futuro e il trono di Pietro

di Francesco Boezi

Monsignor Carlo Maria Viganò, nella sua lettera a Donald Trump – quella che il presidente degli States ha rilanciato sui social – ha parlato di una “deep Church”, ossia di una “Chiesa profonda”. Un emisfero che potrebbe essere associato al Vaticano. Uno “Stato profondo” che si oppone, secondo l’analisi dell’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, anche alla riconferma del candidato repubblicano alla Casa Bianca. Uno strato che guida i processi che incidono sul globo, nonostante non si palesi di fronte a tutto.

Il “deep State”, nella narrativa sovranista, è composto dai potentati che non accettano che un anti-sistema come Trump possa governare la nazione più importante del mondo. Lo stesso discorso varrebbe per la Santa Sede. In questo secondo caso, però, per “Stato profondo” o “Chiesa profonda” bisognerebbe intendere anche gli autori di una spinta ideologico-culturale che punterebbe a destrutturare la Chiesa cattolica per come l’abbiamo conosciuta in nome del progressismo.

Esiste una cerchia più o meno ristretta che influisce sulle posizioni di Papa Francesco e sull’avvenire del cattolicesimo: questa è la convinzione del “fronte tradizionale”. Carlo Maria Viganò, nella sua missiva, ha scritto quanto segue: “E non stupisce che questi mercenari siano alleati dei figli delle tenebre e odino i figli della luce: come vi è un deep state, così vi è anche una deep Church che tradisce i propri doveri e rinnega i propri impegni dinanzi a Dio. Così, il nemico invisibile, che i buoni governanti combattono nella cosa pubblica, viene combattuto dai buoni pastori nell’ambito ecclesiastico”. La Chiesa cattolica americana appare divisa in vista delle elezioni presidenziali: i conservatori sostengono apertamente The Donald, mentre i progressisti ed i cattolici democratici propendono per Joe Biden. Si tratta di una storia antica, ma la spaccatura interna adesso è più visibile che mai. Jorge Mario Bergoglio insiste nel dire che dividere è opera del diavolo. Gli appelli degli ecclesiastici progressisti in favore del candidato dei Dem, tuttavia, non si contano più. Così come quelli dei pro life in favore di Trump. Chi è, dunque, che sta alimentando le divisioni nella Ecclesia? Il quesito è attuale. Continua a leggere

I “grillioti” vorrebbero l’ateismo di Stato?

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di Matteo Castagna (pubblicato su Informazione Cattolica e su VoceControcorrente)
Il Cattolicesimo non è mondialista né globalista. Si rivolge a tutti ma, nel concreto, diviene per alcuni che lo professano con serietà, pur da peccatori.
Può essere la base del Sovranismo, se esso accetta la Regalità Sociale di Cristo come principio primo, che deve tradursi in azione. Ovvero, pur nella differenza tra potere spirituale e potere temporale, quest’ultimo deve convincersi di non poter ammettere leggi che contrastino con il diritto naturale.
Perciò, al maldestro e nefasto principio di laicità propugnato da qualche “grilliota”, che vorrebbe riformare l’art. 1 della Costituzione in senso laicista, uno Stato per cui “non possiamo non dirci cristiani” dovrebbe rispondere, con fermezza, la sua argomentata contrarietà.
Sappiamo, come scriveva dom Prosper Gueranger ne “Il senso cristiano della storia”, che esistono tre scuole di pensiero che hanno sfruttato, volta per volta, oppure simultaneamente, il corso della storia: quella fatalista, ovvero atea, che vede solo la specie umana alle prese con una invincibile concatenazione di cause brute cui seguono effetti inevitabili. Quella umanitaria, che si inginocchia davanti al genere umano, di cui proclama lo sviluppo attraverso le rivoluzioni, le filosofie, le religioni, lasciando l’umanità in una marcia totalmente libera ed indipendente. Quella naturalista, che è la più pericolosa delle tre, perché ha la parvenza del cristianesimo ma ne è solo l’inganno buonista.
Questa scuola prescinde, per principio, dall’elemento soprannaturale, per cui, un domani, potrebbe svelarsi qualsiasi forma di dio, che governi il mondo verso un futuro sempre migliore.
Poi c’è la scuola cristiana. Questa non cerca, non inventa, non esita. Il suo metodo è semplice: consiste nel giudicare l’umanità con lo stesso metro con cui giudica l’individuo. La sua filosofia della storia è la fede. Sa che il Figlio di Dio fatto uomo è il re di questo mondo e che “gli è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Matteo, XXVIII,18).
Nonostante la secolarizzazione e le numerose problematiche degli ultimi tre secoli, sono la concezione cristiana della storia e la sua filosofia politica ad avere forgiato la miglior identità del nostro Paese. Piaccia o non piaccia e con buona pace dei “grillioti” in cerca d’autore.
Possiamo affermare che le tre scuole di cui sopra vengono assorbite nel concetto di “Modernismo”, sotto ogni punto di vista. Forse l’autore che colto meglio queste derive, non certo nuove, come scrive il Prof. Danilo Castellano nel suo “De Christiana Republica” è Giovanni Gentile, il quale ritiene che il Modernismo sia caratterizzato dall’immanenza come filosofia: nella storia si manifesterebbe il divino ma il divino è l’uomo, o meglio: il pensiero dell’uomo.
Per la qualcosa, si potrebbe dire anche che il Modernismo si caratterizza per 5 (pseudo)principi:
1) Il soggettivismo. 2) Il primato assoluto della coscienza, che giunge al panteismo. 3) La filosofia che crea dio a sua immagine. 4) La vita come autodeterminazione. 5) la democrazia come autentica autodeterminazione dell’identità storico-sociologica dei popoli e/o degli individui.
Questi sono i principi che, consciamente o inconsciamente, stanno alla base delle affermazioni di coloro che vorrebbero un’Italia definita come atea. Un secolo fa, si sarebbe parlato di “Modernismo sociale”. Ma, oggi, il pensiero è limitato dalla decadenza o dalle “leggi speciali” in preparazione, per cui è opportuno limitarsi a dire che gli anticristiani sono semplicemente degli antitaliani, perché vorrebbero estirpare la primaria identità della Penisola, che è classico-cristiana.
Ad essi risponde, con attualità quasi profetica, Carlo Francesco D’Agostino, l’ “anti-De Gasperi” per antonomasia, quando attacca l’allora Democrazia Cristiana sulla separazione dello Stato dalla Chiesa. Questa separazione che non è – è bene sottolinearlo – distinzione, rappresenta la rivendicazione dell’assoluta autonomia del mondo temporale; meglio: della sua indipendenza.
Indipendenza da chi e da cosa? Indipendenza da Dio e dalla sua legge. Passaggio, cioè, dal cattolicesimo religione di Stato all’ateismo come religione di Stato. Questo comporta indipendenza anche dal diritto naturale, inscritto nell’ordine della creazione.
D’Agostino ha parlato di apostasia dello Stato dalla Fede e ha ricordato che tale autonomia ha portato lo Stato a sostituirsi in tutto alla Chiesa (Cfr. Per un’Italia da ricostruire. Savoia ed il Re! Roma, Ed. L’Alleanza Italiana, 1947, ristampa 1996, p. 38).
Se a noi cattolici è ancora consentito pensare, scrivere e confrontarci, credo che non possiamo tollerare, non solo per motivi storici e di costume, ma anche di tradizione socio-politica che qualcuno voglia prima imbavagliarci e, poi, annullarci. Ci siamo. Siamo un po’ disorganizzati perché in Vaticano ci manca un “quid”, ma la battaglia non ci fa paura.

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La destra che piace a lorsignori

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Non c’è giorno che un editorialista, un corsivista, un curatore di rubrica coi lettori su un giornalone o nelle sue periferie conformi, non elogi la buona destra che non c’è. È una storia vecchia, che si acutizza ogni volta che nel nostro paese o nel mondo la maggioranza dei consensi va alla destra, per definizione cattiva. Il connotato principale di una buona destra per lorsignori, lo ripetiamo, è quella di essere minoritaria, perdente, subalterna all’establishment e alla sinistra, che ne è il suo braccio politico-ideologico; e i suoi migliori riferimenti sono sempre morti. E anche stavolta (l’ultima sul Corriere della sera l’altro giorno) il copione si ripete. Di solito i riferimenti positivi che si riescono a pescare tra i viventi sono reduci dalla disastrosa esperienza finale di Fini e ora si collocano nell’area del Pd. Curioso, no?

Ma non voglio scendere sul terreno della politichetta, dei casi personali e degli interessi passeggeri, e prima di tornare allo scenario politico presente, alle destre in tutto il mondo, vi chiedo: ma secondo voi qual è il tratto tipico e generale della destra, ciò che la caratterizza e la distingue, a livello di principio e di sensibilità popolare? A me pare evidente. Piaccia o non piaccia ogni destra popolare che ha vinto o è vincente è una variazione sul tema Dio, patria e famiglia. Variazione aggiornata o degradata, volgarizzata o modernizzata, comunque l’asse su cui ruota la destra nel mondo è quella. Poi ci possono essere destre più laiche che lasciano in secondo piano il connotato religioso, altre che attenuano l’aspetto nazionalista o altre che declinano in modo più soft i diritti civili. Il tema portante è la tradizione, il comune sentire, il realismo unito alla meritocrazia; poi le declinazioni possono essere di tipo conservatore o sovranista, social-riformatore e perfino rivoluzionario-conservatore. Ma se guardate alla realtà anziché al pozzo nero dei vostri desideri, la destra è quella, sono quelli i suoi punti fermi che la oppongono al politically correct dell’ideologia global. A me non dispiace una destra con quei connotati ma ho la preoccupazione opposta: quei temi sono troppo grandi, sensibili e toccano l’animo umano per ridurli solo a merce elettorale, slogan e gesto volgare. Vanno dunque salvati, lo scrissi in un libro intitolato proprio Dio patria e famiglia, dalla loro banalizzazione strumentale. Continua a leggere

Prima disordini sociali, poi il governo Draghi: in autunno il mondialismo darà l’assalto finale all’Italia?

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Un’analisi che riteniamo interessante, dal blog dell’amico fiorentino Pucci Cipriani (n.d.r.):

Tratto da: La cruna dell’ago

di Cesare Sacchetti

Se si dà uno sguardo all’ultima indagine della banca d’Italia sulle condizioni economiche del Paese dopo il Covid, si avvertirà probabilmente un brivido freddo che percorre la schiena.

Il 55% degli italiani si trova ad un passo dalla soglia di povertà. Un terzo delle famiglie italiane tra tre mesi non avrà più sufficienti riserve. L’ossigeno finirà in autunno e molti non avranno più nemmeno le risorse necessarie per comprare il pane.

Quella che sta per arrivare è una ondata tale che trascinerà il Paese in un vortice di caos e violenza mai visti dalla fine del secondo conflitto mondiale.

Cacciari, uomo da sempre vicino agli ambienti globalisti, non ha avuto pudori nel descrivere ciò che sta per arrivare in Italia.

Le sue parole infatti non lasciano spazio a dubbi.

In autunno la situazione sociale ed economica sarà drammatica con pericoli per l’ordine sociale. Per stare a galla, il governo dovrà coprirsi dietro il pericolo della pandemia e tenere le redini in qualche modo. Una dittatura democratica sarà inevitabile.” Continua a leggere

Sovranismo, la rivoluzione dello Stato-nazione per una vera autonomia

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Che cos’è il sovranismo? Nasce proprio da questo interrogativo il convegno “Sovranismo: un progetto politico tra autonomia e crisi dello Stato-nazione” tenutosi al Pirellone, a Milano. Ed ecco le risposte

Che cosa è il sovranismo? Nasce e parte proprio da questo interrogativo il convegno “Sovranismo: un progetto politico tra autonomia e crisi dello Stato-nazione” tenutosi al Pirellone, a Milano. È stata l’occasione per parlare diffusamente del concetto e dell’essenza di sovranismo, in anni in cui le forze politiche italiane ed europee cosiddette sovraniste – “populiste e nazionaliste” – stanno facendo il pieno di consensi.

Il convegno, organizzato dalla Lega e dall’associazione “Tra il dire e il fare“, ha visto relatori importanti per analizzare una tematica quanto mai centrale nel dibattito politico di oggigiorno: Alfredo Pretto (Tra il Dire e il Fare), Stefano Bruno Galli (assessore all’autonomia e cultura regione Lombardia, Antonio Pilati (saggista e componente del Cda Rai), Stefania Craxi (senatrice di Forza Italia), Alessandra Ghisleri (sondaggista e direttrice di Euromedia Research), Daniela Santanchè (senatrice di Fratelli d’Italia), Gianmarco Senna (consigliere Lega in regione Lombardia) e il professore universitario Marco Gervasoni.

Ecco, è stato proprio l’ultimo libro di Gervasoni “La rivoluzione sovranista – Il decennio che ha cambiato il mondo” a offrire interessanti spunti al dibattito. Già, perché negli ultimi dieci anni, con la crisi economica e la crisi dell’immigrazione il Vecchio Continente è profondamente cambiato. E, per l’appunto, è arrivata puntuale una corposa riscoperta di un forte sentimento di identità nazionale. In Italia e altrove.

Il sovranismo, forse, è una sorta di nuovo nazionalismo, simbolo di un’Europa che rifiuta le istituzioni europee e l’euro. L’elite cosiddetta liberale e globalista ha fallito in toto, e l’informazione mainstream continua a farsi sempre più autoreferenziale, staccandosi sempre più – così come un certa politica – dalla “pancia del Paese”.

La globalizzazione ha portato con sé la crisi dello Statonazione, fatto di popolo, governo e territorio. Con la globalizzazione, appunto, lo Stato va a frantumarsi. “È proprio attraverso la dimensione territoriale che gli Stati possono riappropriarsi di quell’identità che è andata perduta con i processi di globalizzazione; il cittadino può così riappropriarsi dei propri diritti e doveri: la rivoluzione sovranista è qui” spiega Galli.

Ma il sovranismo è di destra o di sinistra? Bene, secondo Stefania Craxi non è catalogabile in questi termini: “Non è nessuna delle due cose. Semplicemente, è una reazione a una globalizzazione senza regole che cancella storie, identità, popoli e nazioni…”. Certo è però un fatto: gli establishment nazionali ed europei si trincerano e demonizzano il pensiero alternativo.

“Il sovranismo è di destra e di carattere nazionalconservatore: è questa cosa, in Italia, proprio non piace a quell’establishment schierato…”, sottolinea il prof. Gervasoni, che poi argomenta così: “Certo, esiste anche un sovranismo di sinistra – pensiamo a Syriza, Podemos e volendo anche al Movimento 5 Stelle, ma alla fine si è schiantato. E si è piegato all’establishment…”.

Sulla stessa onda, anche la senatrice Santanché: “Ma il sovranismo non può essere di sinistra. Perché il sovranismo oggi è una reazione al globalismo, a quella globalizzazione selvaggia che ci vuole trasformare in consumatori perfetti. Ecco, la classe media – specialmente quella italiana – ne è uscita distrutta. Il sovranismo è il contrario di questo processo: è l’orgoglio dell’appartenenza, è identità, è tradizione”.

Estremamente interessante dunque, l’analisi della Ghisleri che ha ricordato come poche settimane prima delle elezioni Europee il 65% dichiarava a Euromedia Research che sarebbe andato a votare per cambiare il rapporto con l’Europa. Per ribaltare questo meccanismo della scelta imposta dall’alto, che non piace per niente ai cittadinielettori, che desiderano invece di essere ascoltati e tutelati. Perché in fondo sarebbe proprio questo il compito della politica. E proprio per questo motivo, allora, non ci si può sorprendere per la nascita e la crescita (anche elettorale) di movimenti che nascono dal basso. Perché la gente chiede e vuole una rappresentanza politica diversa.

Sovranismo, controllo delle frontiere e autonomia è il trittico vincente secondo l’esponente del Carroccio Gianmarco Senna: “Il sovranismo nasce come meccanismo di autodifesa a questa globalizzazione che annienta la classe media, specialmente in Occidente. È l’unica risposta possibile per far funzionare – e bene – la macchina del Paese Italia. I giovani pagano il prezzo più alto di questa globalizzazione: mancanza di un lavoro stabile, di prospettive future…”. Il leghista, dunque, indica la rotta: “Ecco perché bisogna invertire il trend e la tendenza fortunatamente è già in atto: pensiamo a Trump negli States e Johnson in Regno Unito. L’autonomia, il recupero dell’identità nazionale rimane l’unica possibilità contro questo mostro fagocitante della globalizzazione, per far ripartire l’economia e per aiutare per davvero chi crea valore”.

La chiosa di Antonio Pilati è quanto mai significativa: “La globalizzazione, indotta dalla rivoluzione digitale, nei fatti ha portato l’Unione Europea a promuovere una negazione delle identità nazionali, quasi demonizzando le storie nazionali. Questo processo ha distrutto la classe media, polarizzando la società. Peraltro, la impoverisce, perché toglie il radicamento territoriale urlando slogan fasulli come ‘La vostra patria è l’Europa, il mondo…'”. Insomma, la globalizzazione in Occidente ha tolto reddito e identità: impoverisce e ti fa sentire straniero a casa propria. Ma nessun Paese dovrebbe mai rinnegare la propria storia.

Da http://www.ilgiornale.it/news/palermo/sovranismo-rivoluzione-dello-stato-nazione-vera-autonomia-1793197.html

Il sovranismo non è una protesta. Ecco perché è destinato a vincere

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sovranismo Unione europea

di Lorenzo Vita

I sovranisti non rappresentano per forza un voto di pancia o di protesta. E se anche il vento “populista” ha iniziato a soffiare nel 2009, con l’avvento della crisi economica, è impossibile oggi ribadire che quel voto sia frutto della crisi. Lo ha spiegato bene Foreign Policy, in un editoriale che ripercorre le ultime tappe della fine dei leader della socialdemocrazia e dell’avvento degli uomini nuovi che hanno preso il potere o stanno scalzando la vecchia guardia.
Per molto tempo, ci è stato detto che i movimenti sovranisti fossero il frutto di una protesta. L’intellighenzia mainstream ha etichettato il fenomeno come una sorta di esaltazione demagogica delle classe popolari, in cerca di certezze dopo l’impoverimento causato dalla grande crisi che ha sconvolto l’Occidente. Ma relegarlo al pericolo di perdere potere d’acquisto o posti di lavoro rischia di essere superficiale, o quantomeno fuorviante.

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L’antifascismo dei cretini

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Abbiamo sempre avuto pazienza con i cretini non cattivi e con i cattivi ma intelligenti. Non riusciamo però ad averne con i cretini cattivi, magari in origine solo cretini poi incattiviti oppure solo cattivi poi rincretiniti. Ma sono cresciuti a dismisura e si sono aggravati. Sto parlando del nuovo antifascismo, collezione autunno-inverno, che si alimenta di fascistometri per misurare il grado di fascismo che è in ciascuno di noi e di istruzioni per (non) diventare fascisti, di Anpi posticce che sventolano l’antifascismo anche il 4 novembre, non più costituite da partigiani ma da militanti dell’odio perenne; e poi di mobilitazioni, manifestazioni e mascalzonate, veicolate da giornaloni, telegiornaloni, talk show e da tante figurine istituzionali. Come quel Figo che alterna dichiarazioni d’antifascismo a dichiarazioni surreali d’amore a proposito degli stupri e i massacri tossico-migranti. Per lui le violenze si combattono con l’amore, come dicevano i più sfigati figli dei fiori mezzo secolo fa. Lui ci arriva adesso, cinquant’anni dopo e a proposito di un fatto così terribile come uno stupro mortale a una ragazzina.

Sopportavamo il vecchio antifascismo parruccone, trombone, un po’ di maniera. Arrivavamo a sopportare perfino un antifascismo di risulta, violento, intollerante, estremista. Finché si tratta dei dementi agitati dei centri sociali, di qualche femminista in calore ideologico o con caldane fasciofobe, oppure di sparsi cretini del grillismo e del vecchio sinistrismo, ce ne facevamo una ragione. Continua a leggere

Ecco il vero punto debole dei partiti sovranisti europei

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Da sovranisti leggiamo con attenzione un articolo di critica costruttiva:

Se il sovranismo è attenzione esclusiva all’interesse nazionale, non deve sorprendere che quel mondo, in Europa, non abbia alcun interesse a sostenere l’Italia nella sua politica economica. Lo ha fatto capire per primo Sebastian Kurz, cancelliere austriaco, che ha manifestato il pieno sostegno alla decisione della Commissione europea sulla correzione della manovra italiana.

Lo ha fatto capire poi l’ultradestra tedesca. La leader di Alternative für Deutschland, Alice Wiedel, ha scritto un tweet abbastanza chiaro parlando dell’Italia. “Orrendo nuovo indebitamento: sono pazzi questi romani!” esclama la leader di Afd sul suo profilo social. E ancora: “La folle manovra degli italiani è a spese della Germania: perché dobbiamo pagare noi per i ricchi italiani?”

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