LA SOVRANITA’ E’ LA SOLUZIONE, NON UNA PAROLACCIA

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di Matteo Castagna per www.2dipicche.news

Il Prof. Dieter Grimm è uno dei più autorevoli costituzionalisti europei. Docente emerito di Diritto pubblico della Humboldt-Universitat di Berlino, è stato giudice della Corte costituzionale della Repubblica federale tedesca. Ha insegnato a Yale, negli Stati Uniti, ed è stato visiting professor in molte università, in tutto il mondo. Ha pubblicato numerosi volumi di storia, teoria, diritto costituzionale ed europeo.

Leggere le sue pubblicazioni è estremamente utile, per comprendere in maniera esaustiva il concetto di “Sovranità”, che viene, spesso ed erroneamente, quanto maliziosamente, confuso con una forma di populismo, tanto che non c’è mai data una definizione unanime e chiara.

Da un lato fa comodo ai globalisti derubricare una dottrina politica a semplice e disprezzato sentimento popolare di protesta, dall’altro non vi è una approfondita preparazione culturale per fornire risposte concrete adeguate, che non siano uno spauracchio nel gioco delle parti, ma una precisa categoria ideale, sociale, monetaria,  economica, etica e religiosa.

Quello di “sovranità” è un concetto politico-giuridico che indica il potere di comando di una società, distinguendosi da altre associazioni umane ove tale potere non è presente. La sovranità vuole trasformare la forza di un potere legittimo, in un potere di diritto. L’idea di sovranità era già presente all’interno dell’Impero Romano nel Corpus iurisi civilis di Giustiniano con espressioni quali: maiestas, summa potestas, superiorem non recognoscens, rex est imperator in regno suo.

Il riferimento principale, cui rimanda spesso il Prof. Grimm, è al pensiero di Jean Bodin (1530-1596), che fu docente di diritto romano e poi avvocato al Parlamento di Parigi. “La politica è il nucleo essenziale della storia – scriveva Bodin – in quanto il più utile a conservare le società umane” e individua l’oggetto della civilis disciplina nell’imperium dello Stato, ovvero nella summa ratio del comandare e del proibire, che sola può armonizzare tutte le attività e le arti umane, indirizzandole alla pubblica utilità, ovvero al bene comune. In quest’ottica, Bodin definisce la sovranità come il potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato. Lo Stato sovrano non riconosce dipendenza da altri, siano essi Stati, élite, unioni di potere e ben si adatterebbe ad un mondo multipolare.

La sovranità consiste nel poter dare, annullare, interpretare, abolire le leggi; dichiarare guerra e concludere la pace; imporre le tasse ed esentare dal farlo; istituire e destituire i magistrati; concedere grazie e dispense alla legge; battere moneta propria; adottare un fisco equo. La sovranità e l’autonomia, se vogliamo, si possono accompagnare, in nome del principio di sussidiarietà. Ed anche il premierato potrebbe sostituire quello che Bodin chiamava il principe. 

Per Bodin, la sovranità non può essere illimitata: tutti i governanti della terra devono essere soggetti alla Legge di Dio e della natura. La summa potestas trova il suo equilibrio entro i limiti divini, quali la trasmissione del potere sovrano, il diritto alla proprietà da parte delle famiglie, intese come cellule fondamentali e fondanti di ogni comunità. Lo Stato organico, organizzato in corporazioni garantiscono stabilità ed equità sociale. Lo stato giusto – spiega Bodin – è quello in cui chi comanda e giudica lo faccia in funzione primaria delle superiori leggi e comandamenti di Dio.

Lo Stato sovrano decide la sua forma di governo. Bodin preferiva la monarchia ereditaria, ma non escludeva né l’aristocrazia, né la democrazia.

In quest’ultimo caso, non si riconosce né relativismo né liberalismo, perché i delegati dal popolo a governare devono farlo, in prima istanza, come soggetti all’Ordine stabilito da Dio. Trono e altare devono andare in armonia per gestire al meglio, ciascuno nei propri ambiti, la giustizia e la carità, l’amor patrio e la tutela della Famiglia. Il controllo delle migrazioni è un dovere di sovranità. L’eventuale Costituzione dello Stato sovrano non può contrastare coi principi indissolubili ed assoluti del cattolicesimo romano.

Se proviamo ad applicare al presente quanto insegnava Jean Bodin e, oggi, quanto scrive il Prof. Grimm, l’Italia sovrana è un obiettivo che sembra difficile da raggiungere, nell’attuale contingenza internazionale, ma la totale autonomia dello Stato sovrano deve venire prima di ogni trattato europeo.

L’interesse della Nazione e dei lavoratori è il valore primario. Le alleanze sono consentite e, anzi, promosse in nome del bene comune, ma nessun trattato può violare la sovranità dello Stato e mettere in difficoltà cittadini, soggetti fragili e mondo economico.

Lo storico di sinistra Luciano Canfora ha ammesso, con onestà intellettuale, che “ad esempio, la difesa della sovranità nazionale di fronte al capitale finanziario non è sbagliata”.

Per realizzare quello che si era capito già più di 600 anni fa, sarebbe indispensabile, nel tempo, raddrizzare l’Unione Europea, cacciando i mercanti dal Tempio e rimettendo in ordine le cose nella Chiesa.

Sinistra arcobalenata

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di Alfio Krancic

Come sono buffi quelli di sinistra. Vogliono un mondo open senza confini; vogliono stati senza sovranità dove milioni di “migranti” possano entrare senza documenti e fare ciò che più gli aggrada; vogliono un mondo arcobaleno di pace e di bontà. Poi se qualcuno osa entrare in conflitto con uno stato di cui loro si sono affezionati, scattano come bisce per difenderlo: inviano armi a bizzeffe; strepitano sulla sovranità violata e sui confini sacri profanati dai cattivi etc. Insomma: confini, sovranità e arcobalenate, sono concetti relativissimi per noi, assolutissimi gli amici.

La roulette russa

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di Fabio Falchi

Fonte: Fabio Falchi

“Non accettiamo i ricatti dei russi” ha affermato  von der Leyen, che evidentemente, come la stragrande dei politici europei (Draghi incluso), non si è ancora resa conto che la Russia è in guerra non solo contro l’Ucraina ma contro la Nato che oltre a consegnare armi di ogni genere all’esercito ucraino che sta combattendo contro l’esercito russo, collabora con lo stato maggiore ucraino, dato che l’apparato militare di Kiev è ormai “integrato” nel sistema di comando, controllo e comunicazioni della Nato.
In gioco quindi per Mosca non c’è soltanto la sicurezza del Donbass ma quella della Russia stessa, tanto più che il ministro della Difesa americano ha dichiarato che lo scopo della Nato è mettere la Russia nelle condizioni di non potere più rappresentare una minaccia per qualsiasi Stato. In altri termini è quello di infliggere una sconfitta alla Russia tale che non possa più muovere guerra a nessun Paese. E questo sarebbe possibile, ovviamente, solo se la Russia non esistesse più o non fosse più uno Stato in grado difendere la propria indipendenza e sovranità.
La guerra, anche mediatica ed economica, che l’Occidente a guida angloamericana di fatto sta combattendo contro la Russia quindi ha scopi ben diversi dalla necessità di garantire l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina, e conferma invece la “percezione della realtà” che hanno i russi (si badi, non solo quella di Putin), vale a dire che la Russia adesso è impegnata in una lotta per la vita o per la morte. Perciò Putin, sapendo di contare sul sostegno del popolo russo, che non ha certo dimenticato la Seconda guerra mondiale, al riguardo è stato chiarassimo: la Russia è disposta ad andare fino in fondo, costi quel che costi.
Non è dunque Putin ad essere prigioniero della propria propaganda come sostengono i media occidentali, ma sono i politici e i media occidentali che rischiano di essere prigionieri della propria propaganda. Manca cioè in Occidente la percezione del pericolo reale che si sta correndo e non si può ritenere che limitarsi ad affermare che si devono muovere mari e monti per aiutare la resistenza ucraina sia una strategia politica razionale, sempre che non si pensi che l’Ucraina possa resistere “da qui all’eternità”.
L’Ucraina e gli angloamericani vogliono cioè “vincere” la guerra contro la Russia. Ma che significa “sconfiggere la Russia”? I successi tattici degli ucraini possono anche essere notevoli ma non possono cambiare i reali rapporti di forza sotto il profilo strategico. O si può forse davvero credere che l’esercito ucraino riconquisti l’intero Donbass e pure la Crimea, e che quindi i russi si arrendano agli ucraini e accettino di subire una sconfitta disastrosa?
La Nato può prolungare questa guerra, ma non all’infinito, e più passa il tempo e peggio diventa la situazione non solo per l’Ucraina ma per l’intera Europa. Trattare del resto, non significa affatto arrendersi. E le condizioni per trattare ci sono, senza che vi sia bisogno di sacrificare “sull’altare” del realismo geopolitico l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina. Casomai, indipendentemente da quelle che possono essere le colpe della Russia, si tratta di non difendere il “narcisismo identitario” degli ucraini e di non condividere l’immagine fasulla della realtà diffusa dai media occidentali e dalla Nato ovvero dagli angloamericani che sembrano disposti a combattere contro la Russia fino all’ultimo ucraino e anche fino all’ultimo europeo.
Washington e Londra stanno cioè giocando alla roulette russa anche con le nostre vite, perché ciò che preme davvero agli angloamericani – che di fatto hanno il controllo del regime ucraino, dato che ormai quest’ultimo dipende militarmente ed economicamente dagli aiuti occidentali – è non certo cercare una soluzione diplomatica di questo conflitto, bensì cercare di “dissanguare” la Russia,  anche a costo di rischiare una guerra nucleare, perché, se non lo si fosse ancora capito, è questo il rischio che si sta correndo. D’altronde, anche la geopolitica ha le sue leggi e solo il realismo geopolitico può evitare che la sua meccanica sia irreversibile.

Le parole di Scholz cambiano tutto

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di Vincenzo Costa

Su un crinale pericoloso. I rischi maturano di giorno in giorno, alcuni svaniscono, poi riappaiono.

E di nuovo c’è il rischio di un’estensione della guerra, sia territorialmente sia dal punto di vista delle armi usate. A dirlo chiaro è stato Scholz:

“Sto facendo tutto il possibile per evitare un’escalation che porterebbe dritto alla terza guerra mondiale. E’ possibile una guerra atomica” 
(Ich tue alles, um eine Eskalation zu verhindern, die zu einem dritten Weltkrieg führt. Es darf keinen Atomkrieg geben)

Chi conosce un poco Scholz e la politica tedesca capisce bene. Non sono come i nostri Draghi e Di Maio. E’ gente misurata che usa le parole dopo averle pesate. E Scholz sta dicendo che l’Occidente sta esasperando le cose per arrivare a un guerra atomica, non totale ma regionale.

Di fatto in Germania vi è un tentativo di regime change. Merz, capo della CDU e notoriamente uomo proveniente dalle banche, sta spingendo in questa direzione, puntando sul filoatlantismo dei verdi. Scholz e la SPD stanno resistendo ma l’attacco è frontale. Difficile dire come si svilupperà.

Poiché uno degli argomenti centrali è che la Germania è isolata, molto dipende da come si risolveranno le elezioni francesi e dalla posizione che prenderà il prossimo presidente francese, una volta che non ha più la pressione elettorale.

Tutta una serie di altri segnali vanno in direzione di una aggravamento e di un’estensione del conflitto.

L’ambasciatore in Canada ma anche altre fonti, compresi i cinesi, hanno avvisato circa la possibilità di “false flag”, cioè di eventi crea dai servizi inglesi e americani per addossarli ai russi: uso di nucleare tattico o di armi chimiche. Poi fra 20 anni si saprà che erano false flag, ma intanto la Lucia Annunziata e company martellerà e convincerà che dobbiamettere l’elmetto.

Il rischio è un coinvolgimento della NATO, cosa che è controversa anche dentro l’amministrazione americana, per cui è un’opzione: dipende da chi ha la meglio nell’amministrazione.

Molto dipende dal fatto che il regime change in Germania riesca o che Scholz si pieghi del tutto, dal fatto che il nuovo presidente francese riapra la questione facendo sponda con la Germania.

L’Italia non conta niente perché Draghi sta lì per ubbidire e quindi non è da qui che può partire un’iniziativa.

Il nostro paese non esiste da nessun punto di vista. E’ l’unico paese al mondo che antepone gli interessi degli Stati Uniti ai propri. 

Speriamo che l’Europa centrale sappia reagire. Ho dubbi. Se non lo farà andiamo verso un futuro orribile.

L’autunno potrebbe essere freddo a causa della mancanza di gas, ma anche caldissimo.

Fonte: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-vincenzo_costa__le_parole_di_scholz_cambiano_tutto/39602_46056/

UE vs Polonia: l’oligarchia tecno-finanziaria contro i Popoli

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QUINTA COLONNA

di Antonio Catalano

Fonte: Antonio Catalano

L’Unione europea che accusa la Polonia di non essere uno stato di diritto è un vero ossimoro, visto che la prima non rispetta nessuna distinzione tra potere esecutivo e legislativo. La Commissione europea attacca Varsavia in difesa dei “valori” comuni, come se l’Ue fosse dotata di una Costituzione (bocciata dai francesi nel referendum del 2005) e non fosse soltanto un Trattato. Perché molto spesso gli europeisti tutto d’un pezzo fanno finta di dimenticare che l’Ue non è uno stato federale, ma è un semplice trattato economico tra stati europei (ma non è l’Europa!). Infatti, lo stesso Regolamento Ue 2020/2092 che si fonda sull’interesse finanziario dell’Unione è stato ritagliato su misura per vincolare i trasferimenti finanziari ai desiderata di Bruxelles.

La Commissione europea di Ursula von der Leyen sta facendo opera di “persuasione” per spingere perché si vada a una ulteriore erosione delle prerogative delle singole nazioni. Persuasione democratica per cui o si fa quel che dice l’Unione (che è la logica del Recovery) o ciccia. La Commissione europea non perde tempo: congela l’approvazione dei 36 miliardi del Recovery alla Polonia, sospende i pagamenti del bilancio ordinario, sospende il diritto al voto sull’opzione nucleare dello Stato “colpevole”.

Ma quale atto inaudito ha compiuto la Polonia di Morawiecki? Recentemente il Tribunale costituzionale di Varsavia ha definito non conformi alla Costituzione gli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Ue, in soldoni la Polonia non può accettare la supremazia dei Trattati europei sulla propria Costituzione. Apriti cielo! Cosa si mettono in testa questi sovranisti polacchi? Già nel luglio di quest’anno la Corte europea aveva censurato la Sezione suprema disciplinare nazionale polacca, incaricata di indagare sugli errori dei magistrati, affermando che detta sezione non è imparziale e minaccia lo Stato di diritto e l’indipendenza delle doghe. Ma Morawiecki non ci sta a subire la pressione eurocratica: «È inaccettabile imporre la propria decisione ad altri senza alcuna base legale. Ed è tanto più inaccettabile usare il linguaggio del ricatto finanziario per questo scopo e parlare di sanzioni. Non accetto che la Polonia venga ricattata e minacciata dai politici europei».

La Polonia sta dimostrando di avere una tempra di ben altra consistenza degli italiani, che fanno a gara per dimostrare di essere disciplinati scolaretti, specialmente ora che le operazioni sono state affidate all’ ex governatore della Bce. In area global-progressista si sghignazza contro i sovranisti (o presunti tali), «questo grumo ideologico di nazionalismo securitario e xenofobo», come ebbe a dire due anni fa Massimo Giannini. Così che anche la progressista Treccani introduceva nel suo vocabolario una interessante distorsione semantica della parola sovranismo, “sovranismo psichico”, voce elaborata sulla base delle interpretazioni date da Roberto Ciccarelli sul “Manifesto” (il sovranismo «assume i tratti paranoici della caccia al capro espiatorio»). Il sovranismo come patologia psichiatrica quindi, «una nuova malattia, un fatto psichico», come suggellò il maitre a penser della psicanalisi progressista, Massimo Recalcati.

Quindi l’ex ministro piddino della Giustizia Andrea Orlando era ancora affetto da questa malattia psichica quando nel suo intervento alla Festa del FQ del 2016 si lasciò sopraffare dalla sincerità dichiarando che il “pareggio di bilancio” introdotto nella nostra Costituzione era in fondo il risultato di un golpe (notturno) della sua maggioranza? Una riforma «sostanzialmente passata sotto silenzio», per niente il frutto di un dibattito nel Paese. Parole testuali di Orlando: «Oggi noi stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi sostanzialmente i poteri sovranazionali sono in grado di bypassare completamente le democrazie nazionali. I fatti che si determinano a livello sovranazionale, i soggetti che si sono costituiti a livello sovranazionale, spesso non legittimati democraticamente, sono in grado di mettere le democrazie di fronte al fatto compiuto». La Bce più o meno disse: «O mettete questa clausola nella vostra Costituzione, o altrimenti chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alla fine del mese». Per poi dire che quella fu una delle scelte «di cui mi vergogno di più, mi vergogno di più di aver fatto».

Ora i suoi sodali di partito affettano scherno, sufficienza, arroganza, sorrisini arroganti (mi viene in mente la faccia beffarda di Matteo Ricci) quando dicono che o si è sovranisti o si sta nell’Europa. Volutamente ignorando, ancora una volta, che Ue e Europa sono due soggetti distinti. Tanto per capirci, nell’Europa ci sta anche la grande Russia. O no, cari traditori dei popoli?

AGLI ALBORI DI UNA SVOLTA EUROPEA

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L’EDITORIALE

di Adriano Scianca per il numero di Ottobre 2021 de Il Primato Nazionale

Gli studiosi di futurologia da tempo agitano, con entusiasmo o con timore, lo spettro della singolarità tecnologica. Cosa si intende con tale espressione? In breve, il punto di sviluppo
di una civiltà in cui il progresso tecnologico accelera vertiginosamente e in modo non più controllabile. Uno degli scenari spesso proposti è per esempio quello di una intelligenza artificiale capace di progettare altre intelligenze artificiali ancora più potenti, che a loro volta creeranno super-computer a uno stadio ancora più avanzato e così via, con un movimento esponenziale non più prevedibile o manipolabile dall’uomo, neanche dai progressisti tecnofili che l’hanno avviato.
Ora, prendendo spunto da questa ipotesi futurologica, ci chiediamo: e se stessimo assistendo agli albori di una «singolarità europea»? È possibile che la dinamica di costituzione di un’Europa potenza sia stata avviata in modo ormai irreversibile e con esiti imprevedibili per i suoi stessi fautori?
Le previsioni così assertive rischiano sempre di diventare meri slogan, speranze tramutate in granitiche certezze, wishful thinking a portar via. Ma è indubbio che qualcosa sta accadendo a livello geopolitico, sotto ai nostri occhi, che lo si colga o meno. 
Un primo fattore è che quella che è tuttora l’unica superpotenza globale appare per la prima volta tentata di abdicare. Non avverrà facilmente o in modo indolore, ci saranno gruppi di potere che faranno il diavolo a quattro per non mollare la presa. Ma i segnali sono ormai troppi, tutti convergenti, e perduranti nel tempo.
La linea del disimpegno ha cominciato a farsi largo sotto Obama, è diventata una bandiera con Trump ed è stata confermata da Biden. Qualcosa vorrà pur dire.
Contemporaneamente, anche l’Europa ha cominciato a muoversi. È un movimento ancora impacciato, non pienamente consapevole. È il movimento di un sonnambulo: non pienamente addormentato, non ancora sveglio. Si muove, fa delle cose, risponde a degli stimoli, dà corpo a impulsi inconsci, ma non ancora giunto alla fase dell’autocoscienza. La fase dell’Europa dormiente è stata lunga ed estenuante.
La fase dell’Europa sonnambula è in corso da qualche anno: si accumulano progetti, partnership, velleità, infrastrutture, canali, idealismi. Si è costruito (malissimo) un mercato comune. Si stanno costruendo (bene) collaborazioni sostanziali. Si progetta (un po’ utopisticamente, ma non importa) un esercito continentale.
Cosa manca? L’autocoscienza, la volontà e la fierezza di essere ciò che si è, senza complessi. Ma, presto o tardi, ci si arriverà, probabilmente passando per sentieri imperscrutabili e tramite gli ultimi personaggi da cui ce lo saremmo potuti aspettare.
Sarà un movimento spurio, contraddittorio, oscuro, che non rispetterà i piani stabiliti, che molti faticheranno a riconoscere. Eppure, la singolarità dell’Europa potenza è innescata. Prima di quanto lo immaginiamo, saremo chiamati a scegliere da che parte stare rispetto a esso. 

La Costituzione sopra la legge UE: la decisione della Corte Costituzionale di Varsavia definisce nuovi limiti legali per la UE

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Colpo di scena da Varsavia. La Corte Costituzionale polacca ha stabilito che la costituzione del paese ha la precedenza su alcune leggi dell’UE.

Lo sforzo della Corte di giustizia dell’Unione europea di interferire nel sistema giudiziario polacco viola il principio dello stato di diritto, il principio del primato della costituzione polacca nonché il principio del mantenimento della sovranità nel processo di integrazione europea ”, ha stabilito il tribunale. Questo porta lo scontro fra la Polonia e la commissione a un livello superiore, perché contesta l’applicabilità delle leggi di Bruxelles nel Paese, e dato che, per ora, la Commissione non ha una forza armata per applicarle, si rischia di arrivare a uno stallo.

Come riporta DW, la corte ha esaminato specificamente la compatibilità delle disposizioni dei trattati dell’UE, che vengono utilizzate dalla Commissione europea per giustificare l’opinione in merito allo stato di diritto negli Stati membri, con la costituzione polacca.

Una sentenza della Corte di giustizia europea di marzo ha affermato che l’UE può obbligare gli Stati membri a ignorare alcune disposizioni del diritto nazionale, compreso il diritto costituzionale. La Corte di giustizia europea afferma che la procedura recentemente implementata dalla Polonia per la nomina dei membri della sua Corte suprema costituisce una violazione del diritto dell’UE. La sentenza della Corte di giustizia europea potrebbe potenzialmente costringere la Polonia ad abrogare parti di una controversa riforma giudiziaria legata alla nomina dell’equivalente del CSM. Con la propria  decisione la Corte Costituzionale polacca viene a disapplicare, a sua volta, la decisione della Corte di Giustizia. Ricordiamo che il concetto di applicazione della “Rule of law”, fortemente voluto dal centro sinistra nel parlamento europeo, viene a imporre una serie di regole, teoricamente basate sul diritto europeo, che sono indigeste a paesi tradizionalisti come la Polonia,

Il partito di governo PiS ha accolto positivamente la decisione, che fornisce un ulteriore strumento a suo favore, e sicuramente lo utilizzerà a fini politici. “Il primato del diritto costituzionale su altre fonti di diritto deriva direttamente dalla Costituzione della Repubblica di Polonia”, ha scritto su Twitter il portavoce del governo PiS Piotr Muller dopo la decisione della corte. “Oggi (ancora una volta) questo è stato chiaramente confermato dalla Corte Costituzionale”.

Nello stesso tempo Varsavia è il maggio percettore di fondi europei dal 2004, percettore netto, mica come l’Italia che paga più di quanto riceva. Quindi la Commissione ha un forte strumento di pressione verso Varsavia. Nello stesso tempo però Berlino ha delocalizzato nel vicino una parte consistente delle proprie produzioni industriali più scomode e non può permettersi uno scontro economico permanente senza delle ricadute negativa. la Polonia è un importante membro della Nato che poi confida direttamente sull’aiuto di Washington nei confronti dei vicini russi e bielorussi. Si è aperta una partita molto complessa. La Commissione per ora si riserva di studiare la sentenza prima di reagire, ma reagirà, e il rischio è di giungere al Polexit, all’uscita della Polonia dalla UE

Ora un  semplice pensiero: alla fine Bruxelles può solo ricattare con i soldi Varsavia per contrastare questa sentenza. Però nei confronti dell’Italia, datore, netto, cosa potrebbe fare, nel caso di una sentenza sulla superiorità del diritto italiano su quello europeo? Niente, perché noi paghiamo più di quanto prendiamo…

Fonte: https://scenarieconomici.it/la-costituzione-sopra-la-legge-ue-la-decisione-della-corte-costituzionale-di-varsavia-definisce-nuovi-limiti-legali-per-la-ue/

 

 

I sovranisti distratti

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QUINTA COLONNA

di Franco Cardini

Fonte: Franco Cardini

IN MERITO ALLA “CARTA DEI VALORI EUROPEI”, OVVERO IL MANIFESTO DEI “SOVRANISTI”. I SOVRANISTI DISTRATTI, OVVERO LA SOVRANITÀ RIVENDICATA. GUARDANDO ALTROVE

Il “Manifesto”, così com’è, appare inficiato da due errori di fondo e compromesso da due omissioni che – volontarie o involontarie che siano – sono gravissime.
Due errori.
Primo errore: l’accettazione acritica dell’idea giacobina di “nazione”. La Natio è un valore antichissimo, che insiste sui legami tra un popolo, la lingua che esso parla, le tradizioni delle quali vive e il territorio nel quale esso è insediato. Ma la Nation è un concetto astratto di conio giacobino, inteso a sostituire quando è stato introdotto la fedeltà dei popoli ai loro troni e ai loro altari, cioè alla loro storia concreta. La “Nazione” è nata alla fine del Settecento per spazzar via i popoli e le tradizioni. Nell’Europa del futuro, accanto allo “stato-nazione” che ormai esiste in tutte le contrade del continente – ma che è vecchio al massimo di circa due secoli e mezzo, in certe aree (quali quella italica, germanica, iberica e balcanica) ancora meno – dovranno essere valorizzate le antiche e profonde realtà (“nazioni negate”, e magari “lingue tagliate”) che al livello di “stato-nazione” non sono mai pervenute: la castigliana, l’andalusa, la catalano-provenzale-occitana, la basca, la gallega, la bretone, la normanna, la borgognone-piemontese, l’alsaziano-lorenese, la bavarese, la svevo-alamanna, la veneta, la sarda, la siculo-sicana, l’italica nelle sue varie espressioni e declinazioni storico-dialettal-latitudinarie, la boema, la croata, l’illirica, la macedone e così via. Se la futura compagine unitaria politica europea (perché politica dovrà anzitutto essere e proclamarsi) dovesse darsi un sistema bicamerale – il che è materia di discussione – a un Congresso “degli stati-nazione” – dovrebbe accompagnarsi un Senato “dei popoli e delle culture” su una base territoriale differente e complementare rispetto al primo.
Secondo errore: spazziamo via una volta per tutte l’equivoco (nato sulla base di una superficiale e semicolta volontà di affermazione “antirazzistica” e “anti-antisemita”) della “civiltà giudaico-cristiana”. La confessione giudaico-cristiana nacque e si sviluppò nei primi secoli dell’Era Volgare come espressione di quegli ebrei che, volendo mantenere intatta la fede mosaica, intendevano tuttavia affermare che il Messia era già comparso nel mondo, ed era identificabile in Gesù di Nazareth. Tale confessione non esiste più. La fede cristiana affonda senza dubbio le sue radici nella legge ebraica e nella sua tradizione, che i cristiani giudicano “intrinseca” al cristianesimo (parere non giudicato reversibile dagli ebrei), così come ebraismo e cristianesimo sono giudicati “intrinseci” rispetto al messaggio di Muhammad dai musulmani (parere che ebrei e cristiani non giudicano reversibile). La civiltà europea si è fondata sulla base di un cristianesimo che aveva ormai metabolizzato l’ebraismo accogliendo al suo interno anche l’eredità ellenistico-romana, cui nel corso del primo millennio e anche di parte del secondo dell’Era Volgare si aggiunsero altre tradizioni etniche. Alcune porzioni dello spazio europeo accolsero poi i momenti distinti (dalla Puglia alla Sicilia alla penisola iberica a quella balcanica) anche la legge musulmana, mentre in esso rimasero radicate numerose comunità musulmane. La compagine europea del futuro, che sarà politicamente parlando laica e che riconoscerà e valorizzerà al suo interno le tradizioni religiose, dovrà fondarsi sulla sua identità abramitica comune a cristianesimo, islam ed ebraismo come sull’identità ellenistico-romana arricchita dagli apporti etnici celtico, germanico, slavo e uraloaltaico che le proviene dalla sua stessa storia.
Prima omissione.
L’Europa del futuro dovrà esprimere in modo esplicito l’opzione per una configurazione politica e istituzionale che l’Unione Europea non ha mai né saputo né voluto esprimere, rinunziando con ciò a proporsi quale Patria europea comune a tutti i popoli. L’Europa del futuro dovrà al contrario proporsi come Grande Patria Europea (il Grossvaterland, si direbbe in tedesco), includente al suo interno sì le “patrie” nate dallo sviluppo degli “stati-nazione” (i Vaterländer), ma anche gli Heimatländer. Le lunghe vicende di un continente segnato da diversità profonde e anche da passate ostilità reciproche (si è parlato non già di un “continente”, bensì di un “arcipelago” europeo da condursi a una unità – e pluribus unum – che rispetti e valorizzi tuttavia le diversità interne) escludono una formula futura fondata su un qualunque impossibile centralismo e consigliano di evitare la via di un federalismo “all’americana” o “alla tedesca”, insufficiente a rappresentare in modo adeguato le molte “terre profondamente e intimamente natali” (gli Heimatländer) in forza delle quali ciascuno di noi non è soltanto francese, o tedesco, o spagnolo, o italiano e così via, ma anche – e profondamente – castigliano, o bretone, o renano, o tirolese, o slovacco. Solo un assetto non già federalistico, bensì confederale, potrà rispondere adeguatamente a questa realtà e a queste istanze. Qualora volessimo indicare approssimativamente un modello, penseremmo alla Confederazione Elvetica. Sono di questo tipo le istanze che consigliano di procedere i popoli europei verso la costituzione di una compagine politica definibile come Confederazione degli Stati Europei (CSE).
Seconda omissione.
Il confronto con l’istituzione politico-militare della NATO e con l’atlantismo: la prima, la NATO, una compagine da rivedere e riformare profondamente sulla base di un patto al quale la CSE potrebbe anche aderire a patto ch’esso si fondasse sull’effettiva parità e indipendenza politica dei suoi membri anziché – come oggi si presenta – quale organo attivo dell’egemonia statunitense sui popoli europei con ciò ridotti a una “sovranità unilateralmente limitata” e a una grave subordinazione di fatto, lesiva dei loro diritti e della loro dignità. Il secondo, l’atlantismo, una sinistra ideologia politica nata sulla base della “guerra fredda” tra USA e URSS con i rispettivi satelliti e che oggi va rifiutata decisamente per essere sostituita da un’Europa che non ha nemici preconcetti ma che punta a un suo protagonistico ruolo nella promozione e nel mantenimento della pace e dell’equilibrio mondiale fondato sul conseguimento della giustizia sociale tra i popoli e della salvaguardia ecologica e ambientale. Un equilibrio del quale la nostra Grande Patria Europea sia protagonista e non vassalla.

Sovranismo, la rivoluzione dello Stato-nazione per una vera autonomia

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Che cos’è il sovranismo? Nasce proprio da questo interrogativo il convegno “Sovranismo: un progetto politico tra autonomia e crisi dello Stato-nazione” tenutosi al Pirellone, a Milano. Ed ecco le risposte

Che cosa è il sovranismo? Nasce e parte proprio da questo interrogativo il convegno “Sovranismo: un progetto politico tra autonomia e crisi dello Stato-nazione” tenutosi al Pirellone, a Milano. È stata l’occasione per parlare diffusamente del concetto e dell’essenza di sovranismo, in anni in cui le forze politiche italiane ed europee cosiddette sovraniste – “populiste e nazionaliste” – stanno facendo il pieno di consensi.

Il convegno, organizzato dalla Lega e dall’associazione “Tra il dire e il fare“, ha visto relatori importanti per analizzare una tematica quanto mai centrale nel dibattito politico di oggigiorno: Alfredo Pretto (Tra il Dire e il Fare), Stefano Bruno Galli (assessore all’autonomia e cultura regione Lombardia, Antonio Pilati (saggista e componente del Cda Rai), Stefania Craxi (senatrice di Forza Italia), Alessandra Ghisleri (sondaggista e direttrice di Euromedia Research), Daniela Santanchè (senatrice di Fratelli d’Italia), Gianmarco Senna (consigliere Lega in regione Lombardia) e il professore universitario Marco Gervasoni.

Ecco, è stato proprio l’ultimo libro di Gervasoni “La rivoluzione sovranista – Il decennio che ha cambiato il mondo” a offrire interessanti spunti al dibattito. Già, perché negli ultimi dieci anni, con la crisi economica e la crisi dell’immigrazione il Vecchio Continente è profondamente cambiato. E, per l’appunto, è arrivata puntuale una corposa riscoperta di un forte sentimento di identità nazionale. In Italia e altrove.

Il sovranismo, forse, è una sorta di nuovo nazionalismo, simbolo di un’Europa che rifiuta le istituzioni europee e l’euro. L’elite cosiddetta liberale e globalista ha fallito in toto, e l’informazione mainstream continua a farsi sempre più autoreferenziale, staccandosi sempre più – così come un certa politica – dalla “pancia del Paese”.

La globalizzazione ha portato con sé la crisi dello Statonazione, fatto di popolo, governo e territorio. Con la globalizzazione, appunto, lo Stato va a frantumarsi. “È proprio attraverso la dimensione territoriale che gli Stati possono riappropriarsi di quell’identità che è andata perduta con i processi di globalizzazione; il cittadino può così riappropriarsi dei propri diritti e doveri: la rivoluzione sovranista è qui” spiega Galli.

Ma il sovranismo è di destra o di sinistra? Bene, secondo Stefania Craxi non è catalogabile in questi termini: “Non è nessuna delle due cose. Semplicemente, è una reazione a una globalizzazione senza regole che cancella storie, identità, popoli e nazioni…”. Certo è però un fatto: gli establishment nazionali ed europei si trincerano e demonizzano il pensiero alternativo.

“Il sovranismo è di destra e di carattere nazionalconservatore: è questa cosa, in Italia, proprio non piace a quell’establishment schierato…”, sottolinea il prof. Gervasoni, che poi argomenta così: “Certo, esiste anche un sovranismo di sinistra – pensiamo a Syriza, Podemos e volendo anche al Movimento 5 Stelle, ma alla fine si è schiantato. E si è piegato all’establishment…”.

Sulla stessa onda, anche la senatrice Santanché: “Ma il sovranismo non può essere di sinistra. Perché il sovranismo oggi è una reazione al globalismo, a quella globalizzazione selvaggia che ci vuole trasformare in consumatori perfetti. Ecco, la classe media – specialmente quella italiana – ne è uscita distrutta. Il sovranismo è il contrario di questo processo: è l’orgoglio dell’appartenenza, è identità, è tradizione”.

Estremamente interessante dunque, l’analisi della Ghisleri che ha ricordato come poche settimane prima delle elezioni Europee il 65% dichiarava a Euromedia Research che sarebbe andato a votare per cambiare il rapporto con l’Europa. Per ribaltare questo meccanismo della scelta imposta dall’alto, che non piace per niente ai cittadinielettori, che desiderano invece di essere ascoltati e tutelati. Perché in fondo sarebbe proprio questo il compito della politica. E proprio per questo motivo, allora, non ci si può sorprendere per la nascita e la crescita (anche elettorale) di movimenti che nascono dal basso. Perché la gente chiede e vuole una rappresentanza politica diversa.

Sovranismo, controllo delle frontiere e autonomia è il trittico vincente secondo l’esponente del Carroccio Gianmarco Senna: “Il sovranismo nasce come meccanismo di autodifesa a questa globalizzazione che annienta la classe media, specialmente in Occidente. È l’unica risposta possibile per far funzionare – e bene – la macchina del Paese Italia. I giovani pagano il prezzo più alto di questa globalizzazione: mancanza di un lavoro stabile, di prospettive future…”. Il leghista, dunque, indica la rotta: “Ecco perché bisogna invertire il trend e la tendenza fortunatamente è già in atto: pensiamo a Trump negli States e Johnson in Regno Unito. L’autonomia, il recupero dell’identità nazionale rimane l’unica possibilità contro questo mostro fagocitante della globalizzazione, per far ripartire l’economia e per aiutare per davvero chi crea valore”.

La chiosa di Antonio Pilati è quanto mai significativa: “La globalizzazione, indotta dalla rivoluzione digitale, nei fatti ha portato l’Unione Europea a promuovere una negazione delle identità nazionali, quasi demonizzando le storie nazionali. Questo processo ha distrutto la classe media, polarizzando la società. Peraltro, la impoverisce, perché toglie il radicamento territoriale urlando slogan fasulli come ‘La vostra patria è l’Europa, il mondo…'”. Insomma, la globalizzazione in Occidente ha tolto reddito e identità: impoverisce e ti fa sentire straniero a casa propria. Ma nessun Paese dovrebbe mai rinnegare la propria storia.

Da http://www.ilgiornale.it/news/palermo/sovranismo-rivoluzione-dello-stato-nazione-vera-autonomia-1793197.html

Lo Stato è il contrario di una famiglia

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di Ilaria Bifarini (Bocconiana redenta)

Lo Stato è il contrario di una famiglia

L’esposizione ripetuta a un’immagine o a un contenuto fa sì che l’individuo modifichi la propria percezione della realtà e interiorizzi il messaggio veicolato. E’ quello che gli psicologi chiamano “effetto priming”, e che pubblicitari ed esperti della comunicazione conoscono molto bene. Quanto più un messaggio viene ripetuto ed enfatizzato, magari attraverso la forma dello spot, tanto più esso risulterà familiare.

Così può accadere che un concetto privo di veridicità, ma ripetuto con insistenza e in modo convincente, acquisisca il rango di verità. E’ quanto accaduto con la fake news economica del momento, tanto assurda quanto apparentemente efficace: il bilancio dello Stato sarebbe come quello di una famiglia. La ripetono all’unisono giornalisti, conduttori televisivi, economisti e qualunquisti. Così la gente comune, digiuna di economia e soprattutto in buona fede, ha interiorizzato un pensiero del tutto fuorviante.

Secondo questa logica, quando un Paese presenta un debito pubblico –dunque la normalità in un’economia moderna- dovrebbe assumere il comportamento di una brava e accorta casalinga: stringere la cinghia e tagliare le spese familiari. Così, come una donna morigerata risparmierà sul cibo, sul vestiario e, in condizioni di estrema ratio, alle cure sanitarie per sé, per il coniuge e per i figli, così lo Stato dovrebbe seguire il suo virtuoso esempio. Continua a leggere

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