Internet, struttura militare

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di Alessandro Cavallini

Tutti i giorni usiamo Internet per fare qualunque tipo di operazione, dalla più semplice a quelle più complesse. Diamo per scontato la necessità di essere collegati eppure ben pochi sanno in cosa consista realmente la Rete. Partiamo dal primo dato di fatto: la sua struttura fisica. Sentiamo sempre parlare di cloud e/o wifi, come se Internet fosse qualcosa di etereo. Eppure ben il 97 per cento di tutto il traffico mondiale viene gestito da un’enorme rete di cavi che attraversano diversi oceani: oggi se ne contano esattamente 426 per una lunghezza totale di 1,3 milioni di km. Altro che rete virtuale, Internet al contrario è una struttura molto pesante. Pensate solo a quello che succederebbe se uno solo di questi cavi venisse scollegato: l’intera economia mondiale crollerebbe in un colpo solo.

Ma come è nata, e soprattutto chi sono gli autori, di questa gigantesca ragnatela che oggi occupa il mondo intero? Ovviamente gli Stati Uniti. Infatti nel 1969 il Dipartimento della difesa di Washington decise di creare un sistema di comunicazione in modo da scambiare informazioni tra tutti i computer sparsi negli States in modo da resistere ad un eventuale attacco sovietico. Quindi è chiaro come inizialmente Internet sia nato per fini militari: l’obiettivo dichiarato era quello di creare una rete che potesse funzionare anche qualora uno dei supporti fisici fosse distrutto dai nemici. E così il 29 ottobre del 1969 fu inviato il primo messaggio via Arpanet (Advanced Research Projects Agency Network), l’input doveva contenere la parola LOGIN ma solo le prime due lettere furono spedite poi si creò un crash nel sistema. Nonostante il primo imparziale insuccesso, la rete inziò ad espandersi fino ad arrivare nel 1990 con la creazione del World Wide Web, più noto come WWW, cioè l’attuale rete Internet globale.

Ma perché gli Stati Uniti utilizzarono un programma, inizialmente creato a fini militari, per scopi per lo più civili ed economici? Perché capirono con largo anticipo il potere di questo strumento. Oggi infatti siamo tutti collegati alla Rete, sia per motivi di lavoro che personali. Pensate solo a quello che succederebbe se ci fosse uno scollegamento globale. Altro che crisi del 1929!!! Per non parlare degli aspetti psicologici, dato che siamo tutti diventati, consapevoli o meno, dipendenti da Internet. Ed è proprio questo l’obiettivo finale che gli States hanno realizzato: renderci tutti schiavi. Parlare delle basi americane presenti in Europa è certamente importante e doveroso ma non dovremmo mai dimenticare anche il ruolo del web. Alternative a questa dittatura digitale? Tentare di creare una rete alternativa. La Russia già nel 2019 ha fatto i primi esperimenti, creando Runet. Ad oggi sono ancora in una fase sperimentale ma non possiamo che augurarci che questo progetto abbia successo. E, soprattutto, che molti altri Stati seguano poi l’esempio di Mosca.

Tratto col permesso dell’autore, militante di Christus Rex da: https://fahrenheit2022.it/2024/01/18/internet-struttura-militare/

La Guerra Nato-Russia, la UE “strozzinata” dal Gas USA

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Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna offre alla vostra attenzione queste considerazioni di geopolitica. Buona lettura e condivisione.

La Guerra Nato-Russia, la UE “Strozzinata” dal Gas USA. Matteo Castagna

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di Matteo Castagna

Il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Galuzin ha detto che gli Stati Uniti considerano, da tempo, il Caucaso meridionale come un possibile trampolino di lancio contro la Federazione Russa.

In quella zona, infatti, ci sono molti russofobi. Basti pensare alla Georgia, ma anche all’Armenia, che ha, recentemente, puntato la sua politica verso un riavvicinamento con l’Occidente. Inoltre, entrambi i Paesi sono desiderosi di entrare nella NATO. Cosa porterà questa posizione, in termini di sicurezza dell’Armenia e degli interessi del popolo armeno è, ovviamente, un punto interrogativo.

Quanto alla Russia, osserviamo un atteggiamento ammorbidito da parte della UE. Non figurano, infatti, nel 12° pacchetto di sanzioni ben 3 proposte, che sono state respinte: 1) il divieto di trasferimento fondi in Russia. 2) il divieto di vendita navi cisterna alla Russia. 3) l’ inserimento obbligatorio di clausole che vietino di ri-esportare, nelle vendite a paesi terzi.

Una recente analisi di “Sputnik” sui dati Eurostat ha scoperto che i Paesi dell’Unione Europea hanno dovuto pagare circa 185 miliardi euro in più per il gas naturale negli ultimi 20 mesi, dopo aver smesso di utilizzare i gasdotti russi, affidabili e a basso costo.

In compenso, la prestigiosa agenzia Reuters riporta che le esportazioni statunitensi di gas naturale liquefatto (GNL) hanno raggiunto livelli record mensili e annuali a dicembre, secondo i dati di monitoraggio delle navi cisterna, con gli analisti che affermano che ciò consentirà agli Stati Uniti di scavalcare Qatar e Australia, divenendo il più grande esportatore di GNL del 2023.

L’Europa è rimasta la principale destinazione delle esportazioni di GNL statunitense a dicembre, con 5,43 tonnellate, ovvero poco più del 61%. L’Asia è stato il secondo mercato di esportazione per il GNL statunitense a dicembre, assorbendo 2,29 milioni di tonnellate, ovvero il 26,6%, delle esportazioni. Sempre Reuters riporta che Il gigante energetico russo Gazprom ha annunciato di aver stabilito un nuovo record giornaliero per le forniture di gas alla Cina, attraverso il gasdotto Power of Siberia.

Gazprom ha detto che la cifra di esportazione del 2023 era di 700 milioni di metri cubi in più di quanto non fosse contrattualmente obbligata a spedire in Cina, attraverso il Potere della Siberia. Ha ribadito che il gasdotto raggiungerà la piena capacità di esportazione di 38 miliardi di metri cubi nel 2025. La Russia sta aumentando le forniture alla Cina per compensare la perdita della maggior parte delle sue vendite di gas in Europa, dall’inizio della guerra in Ucraina, aggirando, così, le sanzioni.

Il quotidiano britannico The Times riporta che i ministri britannici e della UE stanno “cercando disperatamente di aumentare la capacità produttiva in tutto il continente, per essere in grado di inviare armi e munizioni al fronte e contenere Vladimir Putin per almeno un altro anno, indipendentemente dal sostegno degli Stati Uniti”. Va notato che alcuni esperti americani che commentano l’articolo del Times osservano che, in assenza del sostegno degli Stati Uniti, una corsa agli armamenti con la Russia potrebbe essere fatale per l’UE, quanto una corsa simile lo fu con gli Stati Uniti, per l’economia dell’URSS. In effetti, la situazione generale degli USA di Joe Biden potrebbe destare qualche preoccupazione all’alleanza occidentale.

The Washington Post riferisce che il debito nazionale ha superato la soglia dei 34 mila miliardi di dollari. I principali acquirenti del debito pubblico americano sono i Paesi asiatici (Corea del Sud, Giappone e Cina) e se le loro quote venissero ridotte, in futuro, potrebbero avere ripercussioni sulla sicurezza nazionale e su molte sfere sociali degli Stati Uniti. “Washington ha speso soldi come se avesse risorse infinite, ma non ci saranno più pasti gratuiti, e le prospettive sono piuttosto cupe”, ha commentato l’economista Son Won-sung.

Per intenderci, in generale l’Occidente utilizza il denaro (o meglio il suo ritiro dalle economie di altri paesi) come leva nel quadro di una guerra economica internazionale. Il principale avversario degli Stati Uniti è la Cina, da dove vengono sistematicamente ritirati i soldi. Svendendo il loro debito nazionale a destra e a manca (e aumentandolo) gli Stati rischiano di mettere tutte le loro sfere sociali sull’orlo del collasso, se i “grandi attori” vogliono fare pressione su Washington, senza tener conto dell’aspetto materiale della questione (o, ad esempio, in caso di conflitto a Taiwan).

Quanto all’Ucraina, la situazione si fa sempre più difficile. Il giornale tedesco Der Spiegel riporta le parole del deputato ed economista dei Verdi Sebastian Schaefer, il quale ha affermato che a Kiev non è rimasto praticamente in servizio alcun moderno carro armato tedesco Leopard 2A6. Secondo Schaefer, al momento, dei 18 carri armati consegnati, quasi tutti sono gravemente danneggiati e tecnicamente usurati. Secondo Schaefer esiste “un’ urgente necessità” che la situazione delle riparazioni dei carri armati migliori il più rapidamente possibile. Altrimenti, Kiev rischia di rimanere senza carri armati, oltre che senza la possibilità di ripararli.

Il canale telegram ucraino Resident aggiunge: “La nostra fonte nell’ufficio del presidente ha affermato che il problema principale della mobilitazione è la scarsa motivazione degli ucraini, che sono pronti a rinunciare alla cittadinanza o a ricevere una vera pena detentiva, ma non ad andare al fronte. Il fallimento della controffensiva è diventato un catalizzatore di delusione nella società, e le grandi perdite hanno confermato l’incompetenza del comando.

Si è consolidata l’opinione che se vieni portato al fronte, nella migliore delle ipotesi tornerai invalido e nella peggiore delle ipotesi morirai”. Il Corriere della Sera sembra allinearsi a questa posizione, scrivendo di diminuzione del sostegno occidentale, popolarità in calo, crescita del pessimismo sulla situazione al fronte, crescita dell’opposizione interna. Il Corsera si riferisce a un sondaggio del KIIS, i cui risultati hanno mostrato un atteggiamento negativo nei confronti dell’attuale governo, dopo la sconfitta della controffensiva, che sta portando il Paese su una strada ostile alle decisioni della NATO.

Sulla stessa lunghezza d’onda, si colloca un pesante articolo del New York Times del 3 gennaio. Gli ucraini non si fidano più delle autorità e ritengono le trasmissioni televisive di Zelensky come propaganda. “Dopo quasi due anni di guerra”, scrive il NYT, “gli ucraini sono stanchi del Telethon. Quello che un tempo era considerato uno strumento fondamentale per unire il Paese, oggi è sempre più ridicolizzato…Gli spettatori lamentano che il programma dipinge un quadro troppo roseo, nascondendo eventi preoccupanti al fronte e il calo del sostegno occidentale all’Ucraina… e, infine, non riesce a preparare i cittadini per una lunga guerra”.

The Telegraph scrive che la difesa aerea ucraina non sarà in grado di respingere tutti gli attacchi russi, quest’inverno. E prosegue: “le forze armate ucraine sono costrette a conservare le munizioni per i sistemi di difesa aerea. Quest’inverno, secondo gli esperti, i sistemi missilistici di difesa aerea dovranno prendersi cura di loro ancora di più. Le forze di difesa aerea saranno costrette a non rispondere affatto ad alcuni obiettivi, poiché non avranno missili intercettori. Di particolare preoccupazione è la possibile carenza di missili intercettori per la difesa aerea Patriot”.

The Guardian scrive che il presidente Vladimir Putin ha detto che Mosca intensificherà gli attacchi contro obiettivi militari in Ucraina. Putin ha parlato dopo l’attacco ucraino di sabato scorso alla città russa di Belgorod, che secondo le autorità locali ha ucciso 25 persone, tra cui cinque bambini. Dal canto suo, Kuleba ha spiegato agli americani che devono pagare la guerra in Ucraina perché Kiev non ha un piano B.

John Kirby, coordinatore per le comunicazioni strategiche del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha specificato che il pacchetto di assistenza militare all’Ucraina, annunciato da Washington il 27 dicembre, è stato l’ultimo di quelli che gli Stati Uniti potranno fornire a Kiev, fino a quando il Congresso non avrà stanziato fondi aggiuntivi per questi scopi. Secondo lui, la Casa Bianca non sarà in grado di trovare fondi per l’Ucraina da fonti alternative, se il Congresso, con la maggioranza dei Repubblicani già scettica, non sarà d’accordo sulla richiesta di nuovi aiuti a Kiev.

L’escalation di violenza è proseguita dopo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato all’Economist che l’idea che la Russia stesse vincendo la guerra, durata quasi due anni, era solo una “sensazione” e che Mosca stava ancora subendo pesanti perdite sul campo di battaglia. Zelensky non ha fornito alcuna prova delle sue affermazioni sulle perdite russe.

Putin ha indicato che l’”iniziativa strategica”, nel prolungato conflitto in Ucraina, è da parte russa, dopo il fallimento della controffensiva ucraina, in estate. Ha, anche, sottolineato che Mosca vuole porre fine al conflitto, che dura da quasi due anni, “il più rapidamente possibile”, ma “solo alle nostre condizioni”.

Secondo un sondaggio, prodotto da USA Today in collaborazione con l’Università di Suffolk, il sostegno al presidente degli Stati Uniti Joe Biden tra gli elettori neri e ispanici è diminuito in modo significativo, con le generazioni più giovani che preferiscono l’ex presidente Donald Trump. Nell’articolo si legge che “Biden ora rivendica il sostegno di appena il 63% degli elettori neri, in netto calo rispetto all’87% che aveva nel 2020”.

C’è già un retroscena, secondo il quotidiano statunitense “Politico”: il “Deep State” non può permettersi il ritorno di Trump, che scompaginerebbe molti piani dei globalisti liberal americani.  “Politico” ha scritto che tutto ruota attorno ai finanziamenti per l’Ucraina.

Vogliono usare Israele per giustificare il pacchetto di finanziamenti per l’Ucraina. Stanno promuovendo DeSantis e Haley, cercando disperatamente di convincere uno di questi due a battere Trump alle primarie, perché sostengono il finanziamento dell’Ucraina. Come previsto, il 2024 sarà un anno molto difficile, ma, forse, determinante, per gli equilibri globali.

JACK KEROUAC, TRA CRISTIANESIMO E NICHILISMO

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Riceviamo e pubblichiamo un articolo molto originale, cha fa riflettere. Si può non essere d’accordo con alcune affermazioni di Ferdinando, ma sicuramente gli va dato atto di saper sempre cogliere fattori cui spesso non si fa caso, ma che sono calzanti, graffianti e scritti con un bello stile. (n.d.r.)

di Ferdinando Bergamaschi*

E’ negli Stati Uniti che nasce e si sviluppa quella che è una delle più interessanti e importanti avventure esistenziali e culturali che la storia moderna ci ha offerto e cioè quel movimento che prende il nome di Beat Generation. Padre spirituale di questo movimento può essere considerato Jack Kerouac in quanto probabilmente egli, più di Allen Ginsberg, Neal Cassady, William Burroughs e altri, portò a consapevolezza l’entità stessa di questo movimento. Esso, che come realtà letteraria nasce tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta dello scorso secolo (solitamente si fa coincidere il suo inizio nel 1951, data della pubblicazione del più celebre romanzo del Kerouac, On the road) è probabilmente il più “arcaico” e meno attuale dei movimenti d’avanguardia dello scorso secolo; sia rispetto al futurismo che ebbe ed ha importanti risvolti in ambito artistico, sia rispetto al sessantottismo (e per estensione all’hyppismo) che ha avuto e in parte ancora ha risvolti in ambito artistico, sociale, culturale e talvolta perfino politico; sia rispetto al femminismo che ha inciso molto nella società da tutti i punti di vista.

Ciononostante il movimento beat contiene un fascino particolare perché, crediamo, il suo carattere così individualistico ed estremo (più individualistico ed estremo anche del futurismo che comunque ha espresso in parte, benchè in modo velleitario, anche esigenze politiche, quindi sociali) lo conduce direttamente alle soglie estreme dell’alienazione umana. Forse l’unico paragone che regge è quello con un fenomeno del secolo ancora precedente, quello dei “poeti maledetti”, che in altro modo, cioè in modo intimistico, ha portato a risultati simili da un punto di vista esistenziale;  benchè però questi poeti francesi abbiano lasciato un’impronta letteraria e artistica molto più incisiva di Kerouac e sodali ma senza arrivare agli estremismi esistenziali di questi ultimi. Nel vero beat non c’è una “teoria” o una “ideologia” come fu per gli altri movimenti d’avanguardia ma c’è solo una fiamma che brucia; la creatività del beat è quella di vivere bruciando: l’autodistruzione. Non scomoderemo dunque Bakunin o Stirner per dare una giustificazione teorica a questo movimento.

I temi principali dell’ “arsione esistenziale” del beat sono noti: il viaggio senza meta, la voglia irrequieta di totale libertà, l’insofferenza per ogni regola esteriore, il rifiuto della società materialistica e più in generale del materialismo, la disinibizione sessuale, l’uso di droghe e di alcool, talvolta la violenza; a ciò si aggiungeva l’ecologismo e l’interesse per le religioni orientali.

E’ vero che Kerouac propose anche istanze politiche qua e là ma esse furono da lui vissute in modo tutt’altro che organico e conseguente ad una chiara visione del mondo, ma solo come estremo gesto anticonformista; come quando, per provocazione, ad un’assemblea di beatnik nel 1967 egli citò in funzione celebrativa il discorso di Hitler al Reichstag nel 1937: “la volontà che unisce i nostri gruppi ci fa comprendere che gli uomini e le donne devono apprendere il sentimento comunitario al fine di difendersi contro lo spirito di classe, la lotta delle classi, l’odio di classe” e poi “Noi andiamo a vivere presto in comune la nostra vita e la nostra rivoluzione! Una vita comunitaria per la pace, per la prosperità spirituale, per il socialismo!”. In questo modo scioccò perfino il suo stesso pubblico composto ormai, nel 1967, più da hippy che da veri beat; pubblico il quale era giunto fin lì per osannarlo; e infatti questi giovani lo osannarono prima di scoprire che le parole che il loro precursore e “maestro” aveva pronunciato erano del Fuhrer.  O come quando proprio in Italia, a Napoli, assieme all’amica Fernanda Pivano, davanti a una folla pronta, anche qui, ad incensarlo rovinò deliberatamente la festa di questi suoi sedicenti discepoli definendosi un “patriota”; naturalmente fu insultato e gli fu gridato “fascista” dalla folla sconvolta. Ma tutto ciò, com’è evidente, è secondario rispetto al significato intrinseco dell’esperienza di Kerouac.

Egli rimane un isolato o trova un posto e quindi un nesso in questo mondo? Se da un lato sembra che Kerouac non riesca a collegare nessuna delle sue inclinazioni alla società in cui vive e quindi non riesca a creare nulla che gli sopravviva, d’altra parte, però, ciò che gli sopravvive lo ha dentro di sé, nella sua fede cristiana, nel suo intimo cristianesimo, in quella fiamma di devozione per il Cristo che rivendica fino alla fine. Un anno prima della sua morte, al suo intervistatore Ted Berrigan che gli chiedeva perché non aveva mai scritto di Gesù rispose: Tutto ciò che scrivo è Gesù”: dunque è proprio ciò che scrive, che “è Gesù”, quel qualcosa che gli sopravvive,  quel nesso con il mondo. Questa fiamma di devozione per il Cristo è proprio ciò che egli proietta all’esterno in quelle meravigliose e lunghissime strade americane a cui dedica la sua vita. In fondo il suo “bruciare, bruciare, bruciare è, forse, solo l’espressione scomposta ma genuina di un forte idealismo, quasi misticismo, che egli ha connaturato in sé; solo la scrittura ha permesso di trovare per questo idealismo o misticismo il canale di atterraggio quaggiù, fra gli altri uomini.

Infine vi è da considerare che solo la società statunitense poteva regalarci questa epopea, nel bene e nel male. Nel bene, perché gli States sono la più affascinante e bella possibilità che ha l’uomo di confrontarsi con la modernità e di sfidarla; nel male, perché l’uomo subisce la potenza materialistica degli States, una potenza materialistica che non ha avuto pari nella storia delle civiltà, persino al paragone con l’Unione Sovietica. Quest’ultima considerazione ci porta ad un interrogativo fulminante: le catene (non troppo lunghe né troppo corte, ma a giusta misura) della civiltà capitalistica statunitense sono come la gabbia del totalitarismo stalinista?  A questa domanda rispondiamo sì. Intendiamoci: Kerouac non è un Solzenycyn americano. Ma, se Solzenycyn può essere considerato figura compiuta di asceta, anche Kerouac possiede dei tratti ascetici. E se Solzenycyn ha vissuto da carcerato lottando per la vera libertà in un mondo dichiaratamente non libero (l’Unione Sovietica), Kerouac invece ha vissuto da “disadattato” e da “bruciato” bramando la libertà  in un mondo di finta libertà (gli Stati Uniti).

Nell’attesa (speriamo breve) che l’Occidente realizzi la sua vera natura di libertà e di socialità, e non sia più cavalcato dall’Alta Finanza che si presenta con il finto abito della liberaldemocrazia, possiamo guardare con un certo rispetto e una certa ammirazione alla figura di “bruciato” e “disadattato” quale fu Jack Kerouac.

 

*Ferdinando Bergamaschi fu il principale collaboratore di Matteo Castagna nella ricerca e nello studio durati oltre 2 anni, che portarono all’edizione del primo libro di Matteo: “Cattolici tra europeismo e populismo – la sfida al nichilismo” (Ed. Solfanelli, 2018) di cui egli curò la postfazione. Il testo, poi tradotto e utilizzato anche all’estero, soprattutto in ambiente universitario, è disponibile sulla home page di questo sito, presso l’editore, negli store online o, su ordinazione, nelle migliori librerie.

 

 

 

L’intervento di Putin ai Brics: “La guerra è colpa dell’Occidente”

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In collegamento video, per evitare il possibile arresto dopo il mandato spiccato dalla Corte dell’Aja per crimini di guerra, il leader del Cremlino ha utilizzato il suo discorso per difendere l’invasione della Russia in Ucraina

AGI – A un anno e mezzo dall’inizio della guerra in Ucraina, Vladimir Putin ha assicurato, durante il vertice del gruppo Brics a Johannesburg, che la Russia vuole porre fine a un conflitto che, secondo lui è stato “scatenato” dall’Occidente “per mantenere la propria egemonia nel mondo”.

Intervenuto in collegamento video, per evitare il possibile arresto dopo il mandato spiccato dalla Corte dell’Aja per crimini di guerra, il leader del Cremlino ha utilizzato il suo discorso per difendere la guerra della Russia in Ucraina e lodare Cina, Brasile, India e Sudafrica, che nel blocco con Mosca si presentano sempre più’ come contrappeso al dominio globale degli Stati Uniti.

Putin ha ripetuto, ancora una volta, la narrativa ufficiale russa, secondo cui l’invasione dell’Ucraina, condannata da Kiev e dall’Occidente come una mossa imperialista, è stata la risposta obbligata della Russia alle azioni ostili di Kiev e Washington e allo “sterminio” che da otto anni era in corso nelle regioni orientali del Donbass.

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© ALET PRETORIUS / POOL / AFP

Putin, intervento ai Brics

“Prima, con l’aiuto degli occidentali, in questo Paese è stato effettuato un colpo di Stato incostituzionale, e poi è stata scatenata una guerra contro quelle persone che non erano d’accordo col golpe”, ha detto riferendosi alla caduta del governo filo-russo di Viktor Yanukovich dopo la rivoluzione di Maidan del 2014. “Una guerra crudele, una guerra di sterminio da otto anni“.

Putin ha parlato ai leader di Paesi che si sono astenuti dal condannare le azioni della Russia in Ucraina. Dopo la rottura con l’Occidente sull’Ucraina, i Brics hanno assunto maggiore importanza per Mosca, interessata ad attenuare le sanzioni con l’aumento dell’interscambio aumentando con Asia, Africa e America Latina.

 

 

 

 

 

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Russia e Cina contribuiscono al rafforzamento del mondo multipolare

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di Giulio Chinappi

La visita di Xi Jinping in Russia mostra il cammino della giusta strada da intraprendere nelle relazioni internazionali, rafforzando il mondo multipolare in contrasto con le spinte egemoniche di altre potenze, e perseguendo la pace in luogo del conflitto.

La visita ufficiale del presidente cinese Xi Jinping in Russia rappresenta certamente un evento di grande importanza dal punto di vista delle relazioni internazionali, come dimostra l’attenzione mediatica che ha suscitato in tutto il mondo. L’incontro tra Xi e il suo omologo russo Vladimir Putin costituisce un fulgido esempio di come coltivare relazioni amichevoli tra Paesi, segnando un punto in favore del rafforzamento del mondo multipolare. Al contrario di altre potenze che vanno alla ricerca dell’egemonia, infatti, Russia e Cina promuovono relazioni volte al mutuo vantaggio e nel rispetto reciproco.

“Nel complesso, la nostra interazione sulla scena internazionale contribuisce indubbiamente a rafforzare i principi fondamentali dell’ordine mondiale e del sistema multipolare”, ha affermato Putin nel corso del suo incontro con il leader cinese.

“È per me un grande piacere mettere piede ancora una volta sul suolo della Russia, nostro vicino e amico, e fare una visita di Stato nella Federazione Russa su invito del presidente Vladimir Putin”, ha detto Xi Jinping al suo arrivo a Mosca. “A nome del governo e del popolo cinese, desidero porgere calorosi saluti e auguri al governo e al popolo russo”, ha aggiunto. “Cina e Russia sono vicini amichevoli e partner affidabili collegati da montagne e fiumi condivisi”, ha sottolineato ancora il presidente cinese.

“Negli ultimi dieci anni, i nostri due Paesi hanno consolidato e ampliato le relazioni bilaterali sulla base della non alleanza, del non confronto e del non prendere di mira terze parti, e hanno dato un ottimo esempio per lo sviluppo di un nuovo modello di relazioni tra i principali Paesi caratterizzato rispetto reciproco, convivenza pacifica e cooperazione vantaggiosa per tutti”, ha spiegato Xi Jinping nel corso del suo intervento.

In risposta alle ipocrite critiche occidentali, Xi Jinping ha spiegato che “consolidare e sviluppare positivamente le relazioni Cina-Russia è una scelta strategica che la Cina ha fatto sulla base dei propri interessi fondamentali e delle tendenze prevalenti nel mondo”. Un esempio che dovrebbero cogliere anche i Paesi europei, che invece preferiscono obbedire supinamente ai dettami provenienti dall’altra sponda dell’Oceano Atlantico, anche sacrificando i propri interessi nazionali.

Nonostante il difficile momento a livello internazionale e l’intricata situazione ucraina, le relazioni bilaterali tra Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese sono oggi ai massimi storici. La visita dI Xi Jinping non potrà dunque che portare benefici ad entrambi i Paesi e ai rispettivi popoli, promuovendo la pace e lo sviluppo nella regione e nel mondo. Alla vigilia della sua partenza per Mosca, Xi Jinping ha pubblicato un articolo sulla stampa cinese, nel quale afferma che “Cina e Russia hanno trovato la giusta via delle interazioni tra Stato e Stato. Questo è essenziale affinché la relazione resista alla prova delle mutevoli circostanze internazionali, una lezione confermata sia dalla storia che dalla realtà”.

La Cina e la Russia stanno dando vita ad un nuovo modello per le relazioni internazionali, che respinge la mentalità del conflitto tipica delle potenze imperialiste occidentali, a partire dagli Stati Uniti. In coerenza con i fondamenti teorici della propria politica estera, Pechino si impegna a coltivare relazioni basate su rispetto reciproco, equità, giustizia e cooperazione vantaggiosa per tutti. “L’esperienza che Cina e Russia hanno sperimentato e accumulato in una cooperazione amichevole e reciprocamente vantaggiosa a lungo termine non sarà minata e disintegrata da pressioni esterne. Essa ha anche un significativo effetto dimostrativo positivo sull’esplorazione del modello delle relazioni tra i principali Paesi basate sulla coesistenza pacifica, sulla stabilità generale e sullo sviluppo equilibrato”, si legge in un editoriale pubblicato dal Global Times.

Dopo lo storico successo ottenuto nella mediazione per l’accordo tra Iran e Arabia Saudita, la Cina dimostra ancora di essere portatrice di pace, promuovendo la fine delle ostilità in Ucraina. Gli esperti hanno infatti affermato che il viaggio di Xi non mira solo ai legami bilaterali, ma cercherà anche di portare speranza per una soluzione pacifica della complicata crisi in corso. Neppure un mese fa, la Cina ha rilasciato la sua posizione sulla soluzione politica della crisi ucraina, suscitando le reazioni negative da parte degli Stati Uniti, che hanno immediatamente respinto la proposta di pace formulata da Pechino. Tuttavia, persino l’Ucraina, coinvolta direttamente nel conflitto, ha dimostrato di apprezzare la proposta cinese. In una telefonata con il consigliere di Stato cinese e ministro degli Esteri Qin Gang, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha affermato che il documento di posizione della Cina mostra la sua sincerità nel promuovere un cessate il fuoco e la fine del conflitto.

Li Haidong, professore presso l’Istituto di relazioni internazionali dell’Università Cinese degli Affari Esteri, ha messo in evidenza l’ipocrisia della posizione statunitense: “Il cessate il fuoco mira a fermare lo spargimento di sangue e porre fine al dolore sia per il popolo ucraino che per quello russo, nonché a porre fine alla paura che sta oscurando il continente europeo. Nessuno si aspetta che il cessate il fuoco metta immediatamente fine a ogni problema, ma è la precondizione affinché Mosca e Kiev risolvano i loro problemi con i colloqui, non con la guerra. A cosa si oppongono effettivamente gli Stati Uniti e perché?”. “L’opposizione degli Stati Uniti a un cessate il fuoco e la richiesta della Cina per esso dimostra la differenza più evidente tra l’intenzione egoista e viziosa degli Stati Uniti, che riflette solo l’interesse della forza che beneficia del conflitto mortale, e il comune desiderio di speranza condiviso dalla stragrande maggioranza della comunità internazionale”, ha aggiunto l’accademico cinese.

Dopo il già citato successo dell’accordo tra Iran e Arabia Saudita, la Cina è oggi l’unica potenza che ha la credibilità internazionale necessaria per mediare tra Russia e Ucraina, in quanto Paese che ha mantenuto una posizione neutrale dall’inizio del conflitto. Certamente non si può dire lo stesso degli Stati Uniti, che continuano a sostenere spudoratamente Kiev, perdendo ogni tipo di credibilità agli occhi della comunità internazionale.

Pubblicato su World Politics Blog

 

E meno male che la Cina aveva abbandonato Putin

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di Matteo Milanesi

Xi è volato a Mosca per incontrare Putin e saldare i rapporti. Anche questa volta, i media occidentali hanno fatto cilecca

È terminata la prima giornata in territorio russo del leader della Repubblica Popolare cinese, Xi Jinping. Alle 16.30 di ieri (ora di Mosca), il dittatore comunista ha incontrato Vladimir Putin al Cremlino, per un colloquio durato quattro ore e mezzo. Relazioni sino-russe, rapporti commerciali e naturalmente guerra in Ucraina sono i tre macro-argomenti analizzati, che accompagneranno la visita di Xi in Russia fino il prossimo 23 marzo.

Come riportato ieri sulle colonne del sito nicolaporro.it, Putin ha più volte ringraziato il capo del Dragone per il sostegno di questi ultimi mesi, in particolare dallo scoppio del conflitto tra Kiev e Mosca. Dall’altro lato, Xi sembra aver voluto saldare (almeno a parole) il particolare legame che oggi sussiste tra le due potenze, parlando esplicitamente di “cooperazione strategica a livello globale”. Subito è arrivata la dura reazione degli Stati Uniti, i quali hanno intimato al governo ucraino di non accettare piani di pace proposti dalla Cina, in quanto salderebbero le conquiste compiute dai russi fino a questo momento.

Per approfondire:

Il progressivo avvicinamento tra Pechino e Mosca presenta almeno due notizie negative per il mondo occidentale. La prima: le sanzioni atlantiche sono state decisamente sovrastimate. Al momento del primo pacchetto di sanzioni, i leader del Vecchio Continente parlavano apertamente di un pericolo imminente per l’economia russa, che sarebbe potuto sfociare addirittura nel fallimento. Eppure, a distanza di oltre un anno dall’inizio della guerra, il Pil di Mosca ha segnato “solo” un -2 per cento, ben lontano dalle previsioni pessimistiche sia dei media occidentali, che di quelli della stessa Russia.

La seconda notizia riguarda necessariamente (l’ennesimo) buco nell’acqua dei media mainstream degli Stati atlantici. Pochissime settimane fa, infatti, era la stessa Repubblica a scrivere dell’imbarazzo di Xi Jinping, al momento dell’inizio della “operazione speciale” di Putin in Ucraina, intervistando Shi Yinhong, professore di Relazioni internazionali all’Università Renmin di Pechino, conoscitore della politica estera cinese. Quest’ultimo specificava come la Cina non avesse altra scelta che “stare un po’ più lontana da Putin“. Ora, invece, La Stampa ci racconta come l’amicizia tra i due Paesi sia ormai “senza limiti”.

Si badi bene: entrambe le formule sono profondamente errate. Da una parte, i rapporti sino-russi non possono ancora definirsi un’alleanza (quale può essere, invece, quella tra Usa e Europa), ma un’amicizia fondata sulla seguente formula: il nemico del mio nemico è mio amico. Insomma, un rapporto segnato da un unico fattore in comune: l’odio verso l’Occidente. Entrambe le potenze, infatti, si sono avvicinate per convenienza. La Cina per garantirsi la presenza della prima potenza nucleare al suo fianco, e distrarre gli Stati Uniti dal fronte taiwanese; la Russia in quanto obbligata a causa delle serrande abbassate dagli Stati europei ed atlantici. Dall’altro lato, è quindi evidente che un conflitto a bassa intensità possa avvantaggiare, sia economicamente che strategicamente, il ruolo della Cina, riuscendo a far entrare nella propria sfera anche la Federazione Russa, rendendola nei fatti subordinata al miliardo e mezzo di consumatori cinesi.

La sintonia con il Cremlino serve per presentarsi dinanzi agli Usa da una posizione di vantaggio, ma l’idea di Xi non è sicuramente quella di farsi intrappolare da Putin. Quest’ultimo, però, non vuole accettare l’idea di essere alla guida di una semplice Nazione e non di un impero, cercando quindi di rinnegare un proprio ruolo di stampella rispetto all’ascesa della superpotenza cinese. Nel mezzo, quindi, rimane un quadro ben più complesso rispetto a quello narrato dal mainstream, che negli ultimi mesi ha spaziato dal sostenere le tesi più disparate sul rapporto vigente tra Mosca e Pechino, dalle freddure agli avvicinamenti, dall’abbandono alla possibile fornitura militare del Dragone a Putin. Ed anche la visita di Xi al Cremlino ne offre l’ennesima prova: l’informazione ha fatto cilecca.

Matteo Milanesi, 21 marzo 2023

Per approfondire l’articolo: https://www.nicolaporro.it/e-meno-male-che-la-cina-aveva-abbandonato-putin/

Post-uomini o post-umani?

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di Aleksandr Dugin

Quando un uomo smette di essere un uomo, non diventa una donna. Quando un uomo smette di essere un uomo, non diventa una bestia.

Qui la questione è assai complicata. Chi tradisce il proprio sesso cade al di sotto della linea critica, il confine che delimita entrambi i sessi.

Il post-maschio tradisce entrambi i sessi contemporaneamente. Abbiamo a che fare con un mostro, un degenerato pericoloso e imprevedibile, che non è affatto una “donna”, anche solo pensarlo è un insulto.

Con una donna, però, è un po’ diverso. La vera struttura del suo sesso è particolare e poco compresa, e concetti come lealtà/tradimento (che descrivono abbastanza chiaramente l’atteggiamento maschile) non si applicano direttamente a lei. Esiste (dovrebbe esistere) un linguaggio speciale per descrivere le donne e la loro logica, un linguaggio segreto, o non ancora scoperto. Non esistono post-donne. Sono state inventate dai post-uomini, e non ci sono femministe, ci sono vittime di un esperimento pericoloso e cinico. Vengono semplicemente compatite, come il corvo zoppo.

Ci sono i post-uomini e la colpa di ciò che fanno e di ciò che diventano è loro. Tutto intorno a loro inizia a marcire, a decadere, a scivolare nella dissoluzione. Quando sono pochi, possono ancora avere un posto nella cultura: nella marginalità esotica, nell’eccentricità, nella stravaganza, ma non appena la post-mascolinità diventa una tendenza seria, si trasforma in un virus mortale altamente contagioso. Se gli viene dato libero sfogo, distruggeranno tutto ciò che li circonda.

Qualcosa di simile accade a chi perde la propria immagine umana. Qui è ancora più evidente. Tali persone non si trasformano in bestie: le bestie, anche se predatrici o repellenti, sono organiche, armoniose e non fanno mai nulla che non sia giustificato e predestinato dalla loro natura. In questo sono belle, anche quando sono estremamente pericolose o fastidiose. Lo riconosciamo rispettando gli animali, sia domestici che selvatici. I post-umani, invece, sono molto diversi. tagliano i ponti con il nostro archetipo, ma non stipulano un contratto ontologico con le bestie. L’uomo non può diventare una bestia, ciò è al di là dei suoi poteri e soprattutto non ha e non può avere l’innocenza insita in ogni bestia. Ecco perché gli esseri post-umani sono anche mostri, pervertiti e degenerati. Nell’antichità venivano chiamati “chimere” o “sheddim”. Esiste una versione secondo la quale sono gli antenati delle scimmie, ma le scimmie sono armoniose, organiche e affascinanti. Credo che questa versione sia falsa. Non offendiamo le scimmie.

I post-umani minano l’essere umano proprio come i post-uomini tradiscono il sesso – il sesso in quanto tale. I post-umani, cedendo agli umani, stanno facendo danni irreparabili anche alla natura delle bestie.

Gli ambientalisti (principalmente ecologisti profondi nello spirito dello steampunk o del cyber-femminismo, Cthulhuzen di Donna Harraway) sono un tipo di post-umano. Non potendo essere umani, cercano di diventare topi o taccole, ma così facendo insultano roditori e uccelli. Gli ambientalisti sono nemici degli animali e nascondono il volto di maniaci sovvertiti sotto le vesti di protettori degli animali.

I liberali di oggi sono composti principalmente da post-uomini e post-uomini. Il liberalismo è una sorta di post-ideologia in cui il pensiero, l’idea e la moralità sono tutti scesi al di sotto della linea critica, ecco perché i liberali moderni danno tanta importanza alla politica di genere e all’ecologia profonda. Stanno trascinando l’umanità nell’oceano della degenerazione a tutto gas. Se hanno bisogno di una guerra nucleare per creare mostri di rifiuti di cellophane, alghe e circuiti di computer, prima o poi la faranno. Quello che c’è nella mente di un sodomita o di un ambientalista digitale va oltre i criteri di normalità. Da qui le mutazioni imposte dalle élite globali attraverso l’infosfera, i comici, la virtualità, i social media, le droghe, il moderno stile di vita urbano (l’urbanesimo è uno dei più importanti strumenti di degenerazione forzata di massa).

Considerate questo: in Georgia, un governo moderato ha proposto una legge sugli agenti stranieri, proprio come negli Stati Uniti. Gli agenti stranieri si sono immediatamente ribellati perché temevano di non essere gli unici a decidere chi è un agente e chi no. Lo stesso vale per i post-uomini e i post-uomini: avendo preso il potere, sono loro stessi a imporre i criteri di ciò che è la norma, di ciò che è woke e di ciò che non lo è, e di ciò che dovrebbe essere abolito (cancellare). Oggi, ciò che ieri era la norma in materia di genere in molti Paesi europei, è già un reato, domani la violazione dei diritti di un computer o di una formica spettatrice potrebbe essere motivo di vera e propria detenzione, e le grida più forti sui diritti umani provengono da coloro che odiano gli esseri umani. Allo stesso modo, il femminismo è solo una versione aggressiva ed estremista della misoginia radicale. La situazione è complicata dal fatto che la prossima svolta della storia richiede una vera e propria apologia dell’uomo (del genere in generale) e dell’essere umano in quanto tale, per rimanere almeno dove siamo.

Oggi, tuttavia, questo è esattamente ciò che è categoricamente vietato dalle élite, anche nella nostra società, tanto che i post-uomini e i post-umani vi si sono radicati e contrariamente ai “valori tradizionali” sanciti dal Decreto n. 809, i liberali dominano ancora in Russia come legislatori del paradigma dominante, l’episteme. Di fatto, l’élite russa sta sabotando direttamente le decisioni del Presidente in merito al ritorno alla normalità e senza questa inversione di tendenza, non ci potranno essere scuse vere e proprie.

Questo è ciò che stiamo affrontando in questo momento. Siamo in guerra con una civiltà liberale e globalista, ma rimaniamo quasi interamente sotto il suo controllo ideologico. La guerra è al suo secondo anno e c’è un sabotaggio totale, contrariamente a quanto il Presidente ha detto e fatto. Questo è il problema. Forse non si tratta di come vincere, ma di come iniziare una vera guerra.

La guerra è un affare di uomini. La guerra è un affare degli uomini. Prima di tutto, entrambi devono essere giustificati e mettere l’altro al suo posto.

Cercate l’uomo! Cercare l’uomo, questo è ciò che dobbiamo assolutamente fare.

Ma sentite come suona inquietante?! Abbiamo già inserii in noi dei programmi mentali che non ci permettono nemmeno di pensare in questa direzione e stanno funzionando. Siamo attivamente e intensamente demascolinizzati e disumanizzati e chi resiste viene relegato ai margini, agli oscurantisti, bollato con le etichette più disgustose e poi ucciso.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Per la lettura dell’articolo: https://www.geopolitika.ru/it/article/post-uomini-o-post-umani

 

La Russia, tra provocazioni ed etica

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di Matteo Castagna

IL PRESIDENTE RUSSO È RICERCATO IN 123 PAESI DEL MONDO, MA NON NEGLI STATI UNITI ED IN UCRAINA!

La Corte Penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro Putin per la deportazione dei bambini ucraini. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato: “La Russia non è parte dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale e non ha alcun obbligo ai sensi di esso. La Russia non collabora con questo organismo e le possibili ‘ricette’ per l’arresto provenienti dalla Corte internazionale di giustizia saranno legalmente nulle per noi”.

Il Presidente russo è ricercato in 123 Paesi del mondo, ma non negli Stati Uniti ed in Ucraina. L’atto farebbe già ridere così, ma giunge al grottesco con la dichiarazione del magistrato italiano Cuno Tarfusser, già procuratore di Bolzano, sostituto procuratore generale a Milano e, soprattutto per undici anni, dal marzo 2009, alla Corte penale internazionale, della quale è stato anche vice presidente: “Putin non sarà mai formalmente processato”.

Sul piano politico, è facile dedurre che una simile farsa sia solamente l’ennesima provocazione nei confronti del leader russo, che si riverbera in Occidente come una barzelletta. Poiché il sistema mediatico leccapiedi degli americani non racconta la verità, c’è, chi, conoscendola, non teme di dirla. E’ il caso del senatore USA Roger Marshall, che ha affermato pubblicamente: “Non sono Iran, Russia, Cina o Corea del Nord a rappresentare una minaccia per l’America, ma il debito di 31 trilioni di dollari del governo USA”.

Proprio per questo il sistema americano cerca una guerra, e poiché Putin lo sa, non gli fa questo favore. Osserva con acume Doug Bandow sulla rivista Limes: “Assuefatti al soccorso americano via NATO, gli europei condannano Mosca con forti riserve e scarse risorse. L’escalation è disastrosa anche per gli USA. Le ipocrisie occidentali. Kiev dovrebbe scegliere: continuare la guerra senza di noi o finirla, presto, con il nostro aiuto”.

Il filosofo Aleksandr Dugin ha parlato di cosa esattamente gli Stati Uniti e l’Europa stiano sbagliando nel costruire le relazioni con il resto del mondo. L’Occidente sta commettendo due errori fondamentali, persino logici. In primo luogo, dice che noi [l’Occidente] siamo la civiltà e voi [la Russia] non siete la civiltà. In altre parole, Washington e Bruxelles si arrogano il diritto di definire gli altri Stati e le altre nazioni e nel frattempo sono sicuri di essere l’unica civiltà del pianeta. Il secondo errore è che le autorità americane ed europee, le élite globaliste, cercano di sostituire esclusivamente a se stesse un concetto così vasto come quello di “Occidente”.

La moderna civiltà occidentale liberale e globalista non è la stessa cosa della civiltà occidentale in senso lato. Il secondo concetto implica qualcosa di completamente diverso: negando i valori tradizionali, tuttavia, i globalisti sferrano un colpo sia a noi che all’Occidente. Noi russofili siamo sostenitori del vero Occidente, non vogliamo affrontare la russofobia che ci viene riversata addosso con l’odio per l’Occidente, amiamo la cultura occidentale, lo sappiamo, ma ciò che viene imposto oggi dalla moderna élite liberale non ha alcuna relazione con i profondi valori occidentali, greco-romani, cristiani medievali, così come con la filosofia e la cultura in generale”, ha concluso l’interlocutore.

Questa affermazione è talmente vera e sotto gli occhi di tutti che fa venire alla mente la forte affermazione della Lettera di S. Paolo agli Efesini (6:11-12): “Rivestite l’intera armatura di Dio, affinché possiate resistere alle astuzie del diavolo, perché la nostra lotta non è contro gli esseri umani, ma contro i poteri e le autorità, contro i governanti di questo mondo oscuro…”.

Un aneddoto adeguato riguarda la risposta che diede il grande matematico arabo Al-Khawarizmi sul valore dell’essere umano. “Se ha Etica [ovvero la dottrina dei costumi, il diritto naturale e quello divino, n.d.r.], allora in suo valore è 1. Se in più è intelligente, aggiungete uno zero e il suo valore sarà 10. Se è ricco aggiungete un altro zero e il suo valore sarà 100. Se, oltre a tutto ciò, è una bella persona, aggiungete un altro zero e il suo valore sarà 1000. Però se perde l’uno che corrisponde all’Etica, perderà tutto il suo valore perché gli rimarranno solo gli zeri. Poiché la saggezza è, anch’essa multipolare, il matematico arabo conclude il suo ragionamento con queste parole: “E’ molto semplice: senza valori Etici né principi solidi non rimane nulla. Solamente delinquenti, corrotti e cattive persone”.

Per la lettura dell’articolo: https://www.informazionecattolica.it/2023/03/20/la-russia-tra-provocazioni-ed-etica/ 

 

L’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/03/13/loccidente-ha-provocato-la-guerra-in-ucraina/

SECONDO LO STORICO AMERICANO BENJAMIN ABELOW SONO GLI STATI UNITI E LA NATO A ESSERE I PRINCIPALI RESPONSABILI DELLA CRISI UCRAINA

Venerdì 10 Marzo 2023 il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato al programma Big Game di Channel One: “… Contro la Russia si stanno usando un linguaggio, una retorica e delle azioni estremamente aggressive, soprattutto sotto forma di sanzioni illegali e senza precedenti. L’Occidente lo ha deciso da solo che questa è una guerra all’ultimo sangue. […] La filosofia “con noi o con la Russia” è stata alimentata dall’Unione Europea fin dall’inizio della situazione geopolitica, dopo la scomparsa dell’URSS“.

Quando c’è di mezzo una guerra di potere geopolitico, la propaganda di parte domina, perciò sono necessarie letture il più possibile super partes, perché in tali frangenti e, soprattutto, quando qualcuno vincerà, scriverà la storia a modo suo, imponendo un pensiero unico, che, molto spesso è lontano dalla verità. La filosofia “o con noi [Occidente], o con la Russia” non è un’invenzione di Lavrov ma la realtà che viviamo tutti i giorni. L’impressione è che si tratti di un espediente per impedire di ricercare e raccontare i fatti, senza la mediazione della propaganda. Ma non tutti si piegano a questa superficialità, non per essere dei “bastian contrari”, ma perché se i fatti diventano crimini e le menzogne vengono scoperte, il giudizio diventa più realistico.

Nonostante un consenso generale in ascesa, il governo Meloni non trova il sostegno del 57% del popolo italiano, secondo un sondaggio condotto da Iai e Laps, in merito al sostegno militare in Ucraina. Con un debito ormai al 150% del Pil, servito interamente dal risparmio privato mondiale, l’Italia non può permettersi una politica come quella ungherese di Victor Orban, che, invece, ha un debito sovrano al 75% del Pil e vanta la possibilità di praticare una politica monetaria indipendente col 20% di inflazione annuo.

Secondo lo storico americano Benjamin Abelow sono gli Stati Uniti e la NATO a essere i principali responsabili della crisi ucraina. Attraverso una storia trentennale di decisioni politiche sbagliate e di provocazioni, iniziate durante la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Washington e i suoi alleati europei hanno posto la Russia in una situazione considerata insostenibile da Putin e dal suo staff militare. Attraverso il libro “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina” (Fazi Editore, Febbraio 2023 eu. 10,00) all’autore bastano 70 pagine per mostrare in modo chiaro e convincente come l’Occidente abbia innescato il conflitto ucraino, mettendo i propri cittadini e il resto del mondo di fronte al rischio reale di una guerra nucleare. Abelow dà voce ad autorevoli analisti politici, militari e funzionari governativi degli Stati Uniti – tra questi John J. Mearsheimer, Stephen F. Cohen, George F. Kennan, Douglas Macgregor – che ci fanno comprendere le ragioni più profonde, mistificate o taciute, della tragedia in corso.

Tutti questi esperti di politica estera sull’ espansione della NATO in Europa orientale dissero al loro grande e superpotente Paese che tale politica avrebbe commesso un pericoloso errore strategico. George Kennan, che si può ritenere il più insigne statista americano del secolo scorso, mise in guardia già nel 1997: “L’allargamento della NATO sarebbe l’errore più fatale della politica americana in tutta l’era post guerra fredda”. Kennan aggiungeva poi, l’anno successivo, in un’intervista a Thomas Friedman: “Ma davvero non lo capiamo? Le nostre divergenze durante la guerra fredda erano con il regime comunista sovietico. E adesso stiamo voltando le spalle proprio alle persone che hanno organizzato la più grande rivoluzione incruenta della storia per rimuovere quel regime”. Fiona Hill, ben inserita negli ambienti di Washington e convinta antirussa, in una intervista pubblicata di recente sulla rivista online “Politico” ammette che gli Stati Uniti hanno commesso dei terribili errori.

Quanto a Putin, la Hill ha specificato: “Penso ci sia un piano razionale e metodico che risale a molto tempo fa, almeno al 2007, quando [Putin] mise in guardia il mondo, e certamente l’Europa, che Mosca non avrebbe accettato un’ulteriore espansione della NATO. E poi, nel giro di un anno, nel 2008, la NATO ha aperto le porte alla Georgia e all’Ucraina. Risale certamente a quel frangente”. Ciò dimostra che già nel lontano 2007, sette anni prima dell’annessione della Crimea, l’intelligence americana era consapevole che esisteva “un rischio reale e concreto” che, in risposta all’espansione della NATO, la Russia annettesse la Crimea, così come sapeva che questa espansione ad est avrebbe potuto innescare una vasta azione militare russa, molto più ampia, estesa all’Ucraina ed alla Georgia.

Abelow analizza, di fatto, una storia controfattuale, ma molto utile a comprendere la situazione: “Se gli Stati Uniti non avessero esteso la NATO fino ai confini con la Russia; se non avessero schierato sistemi di lancio di missili con capacità nucleare in Romania e non li avessero messi in cantiere in Polonia e forse anche in altri Paesi; se non avessero contribuito al rovesciamento del governo ucraino democraticamente eletto nel 2014; se non si fossero ritirati dal trattato ABM e dal trattato sui missili nucleari a raggio intermedio, e non avessero poi ignorato i tentativi russi di negoziare una moratoria bilaterale su tali dispiegamenti; se non avessero condotto esercitazioni a fuoco vivo in Estonia per addestrarsi a colpire obiettivi all’interno della Russia; se non avessero raccordato l’esercito americano con quello ucraino, se gli stati Uniti e i loro alleati NATO non avessero fatto tutte queste cose, la guerra in Ucraina probabilmente non sarebbe scoppiata”. Penso sia una affermazione ragionevole. In una recente intervista, il professore emerito di Politica russa ed europea all’Università del Kent Richard Sakwa ha asserito che Zelensky avrebbe potuto ricercare la pace con la Russia pronunciando solo cinque parole: “L’Ucraina non aderirà alla NATO”. Ha, altresì, fatto il contrario a causa della continua ingerenza di USA e NATO.

“Oggi – conclude Benjamin Abelow – i leader politici di Washington e delle capitali europee, assieme ai mezzi di informazione allineati e codardi che riportano acriticamente le loro sciocchezze, cercano di tirarsi fuori dal fango ma ci sono dentro fino al collo. E’ difficile pensare come coloro che sono stati talmente sciocchi da infilarsi in quel fango possano trovare la saggezza per uscirne prima di affondare del tutto e portare giù con sé tutti noi”.

Rischio recessione più lontano per l’Europa. E anche l’Italia crescerà

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di Luca Losito

La situazione economica dell’Europa potrebbe essere migliore di quanto previsto nei mesi scorsi e la recessione più lontana. E anche l’Italia dovrebbe restare sul trend positivo. I dati positivi emersi dall’analisi pubblicata oggi dalla Commissione europea, oltre alle ultime decisioni prese per aumentare la competitività dell’Europa rispetto a Stati Uniti e Cina, lasciano ben sperare per il futuro. Vediamo il tutto nell’analisi.

Le previsioni per l’Europa

In particolare, Bruxelles si aspetta una crescita nella zona euro dello 0,9% nel 2023 (rispetto a una previsione nell’autunno scorso dello 0,3% e rispetto a una espansione dell’economia che nel 2022 è stata del 3,5%). L’economia europea potrebbe evitare una contrazione nel primo trimestre, dopo averla evitata anche nel quarto trimestre dell’anno scorso. Le ragioni sono un calo del prezzo del gas, un recupero della fiducia e una tenuta del mercato del lavoro, spiega l’esecutivo comunitario.

La ripresa dell’Italia

Buone nuove anche per l’Italia, dove l’espansione dell’economia sarà dello 0,8% nel 2023 e dell’1% nel 2024. Mentre il dato di quest’anno registra un forte aumento rispetto alla previsione di novembre (0,3%), la stima per l’anno prossimo rimane pressoché stabile. L’inflazione è prevista del 6,1% quest’anno e del 2,6% l’anno prossimo. La Banca centrale europea ha già annunciato nuovi rialzi del costo del denaro nei prossimi mesi (attualmente il tasso di riferimento è al 3%).

La sfida globale

Nel frattempo si lavora per rilanciare l’Europa sul piano macroeconomico. Le nuove previsioni giungono mentre l’establishment comunitario si interroga sulla crisi di competitività dell’economia europea, principalmente a causa dello sconquasso energetico. I Ventisette si sono riuniti la settimana scorsa per discutere dei modi per contrastare la concorrenza non sempre leale di Stati Uniti e Cina. Tra le altre cose, hanno deciso di allentare le regole sugli aiuti di Stato, promuovere i progetti di interesse comune, e rendere più efficiente l’uso del denaro comunitario.

Insomma, il quadro globale è complesso e il Vecchio Continente sta cercando la strada migliore per ripartire. Il rebus più grande da risolvere è quello energetico, superato quel problema si potrà tornare a correre più velocemente.

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