Usa, non solo Nashville: ben quattro sparatorie compiute da trans negli ultimi anni

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di Francesca Totolo

Roma, 31 mar – Il 27 marzo scorso, Audrey Hale, una ragazza di 28 anni che sui social si identificava come trans, utilizzando i pronomi maschili (he-him), è entrata in un piccolo istituto privato cristiano di Nashville, la “Covenant School”, sparando e uccidendo tre bambini e tre adulti. Questo però non è l’unico episodio del genere che vede come protagonista un persona trans e non binaria. Secondo l’americano Centers for Disease Control and Prevention, i trans rappresentano lo 0,6 per cento della popolazione negli Stati Uniti. Ciò ha incendiato il dibattito riguardante i disagi psichici che molte volte si accompagnano alla disforia di genere e i rischi per la salute mentale conseguenti alla somministrazione di farmaci per la transizione di genere.

Non solo Nashville: la strage di Colorado Springs

Era la sera del 19 novembre del 2022, quando il 22enne Anderson Lee Aldrich entrava nel locale gay Club Q di Colorado Springs, in Colorado, e uccideva a colpi di armi da fuoco cinque persone.

Anderson Lee Aldrich

Gli atti depositati in tribunale dagli avvocati di Aldrich affermavano che il 22enne fosse una persona non binaria e si riferivano a lui usando i pronomi “they/them”. Per questo motivo, veniva citato come “Mx. Aldrich”.

La sparatoria nella scuola di Denver

Era il 7 maggio del 2019, quando due adolescenti, Devon Erickson e Maya Alec” McKinney, entrarono alla Stem School Highlands Ranch di Denver, sparando agli studenti e uccidendone uno. La 16enne McKinney si identificava come maschio e affermò di volersi vendicare con le persone che la prendevano in giro per la sua identità sessuale. Durante gli interrogatori, McKinney dichiarò anche di aver sentito delle voci, di aver sofferto di pensieri omicidi e suicidi, e di aver rifiutato di assumere farmaci.

Devon Erickson e Maya “Alec” McKinney

Devon Erickson e Maya “Alec” McKinney sono stati condannati entrambi all’ergastolo.

La strage di Aberdeen

Nel settembre del 2018, la 26enne Snochia Moseley sparò a sei colleghi, uccidendone tre, in un magazzino della Rite Aid di Aberdeen, nel Maryland. Suicidatasi dopo la sparatoria, la Moseley si identificava come trans e da tempo soffriva di problemi di salute mentale causati dalla sua identità sessuale.

Snochia Moseley

Dopo Nashville: l’addetta stampa del governatore dem dell’Arizona vuole sparare ai transfobi

A distanza di 12 ore dalla strage di Nashville messa a segno dalla trans Audrey Hale, l’addetta stampa del governatore dem dell’Arizona Katie HobbsJosselyn Berry, ha pubblicato su Twitter un immagine di una donna armata di pistole (l’attrice Gena Rowlands nel film “Gloria” del 1980) con il commento: “Noi quando vediamo i transfobi”.

Il tweet di Josselyn Berry e la Berry con la governatrice Katie Hobbs

Il giorno successivo, la Berry si è dimessa dall’incarico anche per le pesanti pressioni dei repubblicani e dell’opinione pubblica. “L’incarico dell’addetta stampa non rispecchia i valori dell’amministrazione. Il governatore ha ricevuto e accettato le dimissioni dell’addetta stampa”, così in una nota dell’ufficio del governatore dell’Arizona venivano ufficializzate le dimissioni di Josselyn Berry.

Francesca Totolo

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/usa-non-solo-nashville-ben-quattro-sparatorie-compiute-trans-ultimi-anni-259171/

I macellai di Bucha? “Noi mai stati in Ucraina”

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LA GUERRA (DI FAKE) IN UCRAINA

La fotografia dei “killer di Bucha” fa il giro del mondo. Un fake? “Lo scatto è vecchio”

Alla fine torniamo sempre lì. Alla voglia giornalistica di indossare l’elmetto. Al vizio, comprensibile forse, ma errato, di prendere per buono tutto quello che arriva da fonti governative ucraine. Ricordate gli aerei che sorvolano le città carichi di bombe, spacciati per veri e invece simulazione da videogioco? Oppure i martiri dell’isola dei serpenti, che martiri non sono visto che alla fine sono tornati sani e salvi in Patria? Ecco. Qualcosa di simile potrebbe essere accaduto per la strage di Bucha.

Toni Capuozzo da giorni predica calma, o meglio il sano esercizio del dubbio. Mentre ci si indigna per i cadaveri di Bucha, per le orribili storie di sevizie, per i racconti dei testimoni, ci si può anche porre alcune domande sulle strane date di quei corpi lasciati per strada, sul nastro bianco al braccio dei cadaveri, sulla caccia ai disertori sponsorizzata da Kiev. Ma soprattutto, bisognerebbe andarci coi piedi di piombo quando chissà chi spiattella la fotografia dei “colpevoli” del massacro senza che vi sia stata alcuna sicura indagine internazionale.

Ricorderete forse che il giorno successivo alla pubblicazione delle prime immagini di Bucha, i giornali occidentali – italiani in primis – hanno mostrato al mondo la foto di una unità dell’esercito russo proveniente dalla Siberia e indicata come il covo di macellai che avrebbero seminato morte nella cittadina alle porte di Kiev. Articoli su articoli sul comandante della 64esima brigata di yakuti. La loro fotografia che fa il giro del mondo. Commenti sulle atrocità su Asanbekovich e l’unità 51460. Titoli ad effetto tipo “killer di Bucha” e “ultimo mostro del putinismo”. Piccolo problema: con ogni probabilità, quelli nella famosa fotografia non sono gli autori della strage.

Luigi De Biase, giornalista del Tg5, è riuscito a parlare con alcuni di loro. Due vivono in Yakutia, hanno lasciato l’esercito da mesi e non hanno mai prestato servizio militare in Ucraina. Per la verità non sanno praticamente neppure dove sia, visto che – dicono – non ci sono stati neppure da civili. La famosa fotografia sarebbe stata scattata a Khabarovsk nel 2019, all’inizio della leva. Poi Vladimir Osipov è stato congedato a dicembre ed è tornato a casa. Lo stesso anche Andrey, un altro dei soldati immortalati, secondo cui tutti i suoi compagni nello scatto hanno lasciato l’esercito da tempo.

La loro foto era finita sui giornali attraverso quello strano percorso che si chiama rimbalzo delle notizie: prima il governo ucraino ha diffuso le sigle delle compagnie che avrebbero occupato Bucha, poi il sito InformNapalm ha diffuso i dati di migliaia di soldati che hanno prestato servizio al loro interno, l’informazione è stata ripresa di giornale in giornale e così è diventata di dominio pubblico. Come i nomi e gli indirizzi dei presunti boia. Va detto che sui canali Telegram russi da giorni si sosteneva che i protagonisti di quella foto non avessero mai prestato servizio in ucraina. Ma ovviamente nessuno ci ha creduto. Propaganda.

Possibile che i due soldati sentiti da De Biase e intervistati dal Manifesto stiano mentendo? Certo, tutto è possibile. “Il servizio è durato due anni e l’ho svolto con la 64esima brigata, a Khabarovsk, nella base di Knyaze Volkonskoye – dice però Osipov – La leva è finita a dicembre e io da allora ho sempre vissuto qui con la mia famiglia“. Gli fa eco Andrey: “Assieme a quella fotografia, giorni fa, sono stati resi pubblici i miei dati personali. I primi ad accorgersene sono stati alcuni amici. Mi hanno avvertito. Mi hanno chiesto che cosa stesse succedendo. Ho ricevuto messaggi con insulti e minacce. Ero sotto shock. Come potete capire è una brutta situazione”.

 

La strage di civili a Bucha è un ovvio false flag

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Segnalazione di Federico Prati

Il motivo del false flag è quello strillato da LettaPD: la prima gallina che canta ha fatto l’uovo: l’embargo  decretato (in realtà contro gli europei) non stava avendo successo.

La strage di civili a Bucha è un ovvvio false flag

La strage di civili a Bucha è un ovvio false flag

Il motivo del false flag è quello strillato da LettaPD: la prima gallina che canta ha fatto l’uovo: l’embargo d…

Crimini di guerra occultati: la strage di Gorla

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Segnalazione del Centro Studi Federici

La maledetta guerra e la strage di Gorla
 
Quonset. Una specie di capanna prefabbricata in lamiera ondulata, protagonista di ogni campo militare alleato, dalla Tunisia alla Normandia, dalle Ardenne al Pacifico. È in uno di questi Quonset, uguali ad altre migliaia e migliaia, che è stata installata la sala riunioni della 451esima squadriglia bombardieri dell’USAF, 15a Air Force, nella base di Castelluccio dei Sauri, vicino a Foggia, in Puglia.
 
Pochi tavolacci  di legno grezzo, un po’ di seggiole, una grande lavagna. Tutto qui.
Il pomeriggio del 19 ottobre 1944 il colonnello sale sulla pedana e guarda gli uomini davanti a lui: un gruppo di ufficiali che chiacchierano a bassa voce annebbiando la luce, già fioca dentro il quonset, col fumo delle loro Lucky Strike. Sono i comandanti degli aerei della sua squadriglia: i B-24 della 451esima. Insieme a lui, ne hanno già viste tante. Sono ormai dei veterani.
 
Ehm!!
 
Il colonnello si schiarisce la voce, un modo discreto per richiamare l’attenzione.
Il brusio si interrompe. Adesso tutti gli sguardi e l’attenzione degli ufficiali riuniti nella sala sono sul loro comandante.
 
Il colonnello James B. Knapp. Alto, magro, quasi segaligno, coi suoi capelli biondi e l’aspetto giovanile, nonostante il grado elevato che spicca sulle sue spalline. Il fatto è che il colonnello Knapp ha accumulato un gran numero di missioni e di ore di volo e ha fatto carriera alla svelta.
 
Buongiorno a tutti – esordisce il colonnello – domani è giorno di missione. Il nostro compito è il solito: decollare, sorbirci qualche ora di volo, arrivare sull’obiettivo, sganciare il nostro carico e, se Dio vuole, tornare tutti quanti a casa con le ossa intere.
 
Bene. L’obiettivo di domani sono le fabbriche della grande città del nord Italia: Milano. 
I nostro amici inglesi, fra una birra tiepida e l’altra, hanno scoperto che le fabbriche a nord di Milano sono ancora operative e possiamo immaginare cosa stanno costruendo: mitragliatrici e cannoni. E quando i nostri ragazzi della fanteria supereranno la linea gotica – perché ormai è una questione di quando, non di se – noi non vogliamo che quelle armi siano puntate contro di loro vero?
Il nostro compito è andare là, domattina, e dare la sveglia a suon di bombe a quelle fabbriche.
Allora, decollo alle 0800 ora locale, volo sopra l’Adriatico e ingresso a nord di Ferrara, qui – il colonnello indica un punto sulla mappa affissa sopra la lavagna.
Poi, proseguiamo, rotta 330 verso nord – nord ovest. Attenti, passeremo a circa 30 miglia a nord di Milano, al confine con la Svizzera, quindi state belli chiusi in formazione, perché se vi perdete vi trovate a mungere qualche mucca in territorio neutrale. Tutto chiaro fin qui?
Allora – prosegue il colonnello –  larga conversione verso Sud e poi altra virata, per entrare sopra Milano da Ovest.
Punto di riferimento a 2,5 miglia dall’obiettivo. Al mio segnale, vireremo di 22° a sinistra e ci troveremo proprio sopra le fabbriche.
Voleremo a un’altezza di 8.000 metri e attaccheremo in due ondate da quella quota. Non voglio avere noie dalla contraerea.
La prima ondata sarà formata da diciotto aerei in tre formazioni a diamante, cinque aerei a V il sesto che chiude.
Gli altri diciotto seguono i primi. Tutto chiaro?
 
Signore! Sissignore
 
Tutto chiaro?!? Signore!! Sissignore!
 
A domani, fatevi una birra, giocate a carte, scrivete a mogli e fidanzate, ma domani voglio vedervi su quella pista freschi e riposati come delle rose. Intesi?
 
La mattina dopo, gli uomini corrono sulla pista e raggiungono i loro bombardieri B-24.
Il B-24: più che un aereo, sembra il vagone di un treno merci a cui siano spuntate due esili ali con quattro grossi motori.
Non è un aereo elegante il B-24. Del resto non è nato per fare cose eleganti. Il B-24 è stato progettato per volare ad alta quota per qualche centinaio di chilometri, rovesciare sul bersaglio qualche tonnellata di bombe e tornare a casa intero, magari sforacchiato, ma intero.
Una dopo l’altra, le eliche dei motori Pratt &Whitney ciascuno da 1.200 cavalli, cominciano a girare, raggiungendo il numero massimo di giri con un rombo assordante.
Gli aerei cominciano a rullare, mentre gli uomini a bordo verificano le apparecchiature e i cannonieri scarrellano le Browning calibro .50 che difenderanno l’aereo se dovesse apparire qualche caccia tedesco.
Gli aerei si allineano sulla pista e decollano in fila, i primi a partire cominciano a volare in cerchio sopra Castelluccio, attendendo i compagni. Quando tutti sono in volo, si mettono in formazione e fanno rotta verso nord.
 
Milano, quartiere Gorla scuola Francesco Crispi, ore 8.00
 
Gli ultimi bambini corrono prima che suoni la campanella di inizio delle lezioni. Sulla porta c’è il bidello ad attenderli, pronto a fare una ramanzina ai ritardatari.
I genitori salutano i bambini con un bacio in fronte. Ci sono dei padri in bicicletta, in tuta blu e con la schiscetta a tracolla, che lasciano i figli per poi pedalare fino in fabbrica, in una delle tante officine della zona.
Ci sono le mamme, con le lunghe gonne grigie, che tornano a casa a piedi per iniziare anche loro la lunga giornata. La passeranno cucinando, facendo lavoretti di sartoria, o mille altre attività di sussistenza, come ormai accade da quasi quattro anni.
Una radio diffonde una canzone, di quelle che piacciono a Salò: “Le donne non ci vogliono più bene, perché portiamo la camicia nera…”
E certo, le donne vorrebbero ancora voler bene, ma troppi mariti, fidanzati, padri e fratelli se ne sono andati per non tornare più: Nikolaevka, Capo Matapan, Tobruk, El Alamein…tanti, troppi nomi per altrettanti funerali.
Pochi minuti dopo i bambini sono in classe. Alzabandiera al canto di “Giovinezza” e inizio delle lezioni.
 
Ore 11 circa, da qualche parte a ovest di Milano
 
La prima ondata di bombardieri raggiunge il punto di riferimento. È ora di innescare le bombe. Ma qualcosa non va. Anziché innescarsi e basta, le bombe vengono sganciate senza preavviso. Per fortuna cadono in campagna e non fanno danni. La missione è già fallita a metà.
Ma il peggio deve ancora arrivare.
La seconda ondata raggiunge il punto di riferimento.
Il colonnello Knapp prende la parola:
 
A tutti gli aerei, a tutti gli aerei, ci siamo ragazzi, rotta 22° a sinistra.
 
Il radiotelegrafista trasmette a tutti gli aerei le coordinate della virata ma, anche qui, succede qualcosa di imprevisto.
Forse per un errore di trascrizione, tutti gli aerei virano all’unisono di 22°, ma a dritta, e assumono la formazione di attacco.
Intanto gli ufficiali di tiro hanno armato le bombe.
 
Eh!! Dannazione! Che cosa state facendo?!? Siamo fuori rotta così!! Ufficiale di rotta, dammi un nuovo punto di allineamento!
 
E che ne so colonnello! Qui sotto non ci sono punti conosciuti, mica siamo alla stazione della metro di Broadway qui!! Non ce la facciamo a riallinearci sul bersaglio.
 
Ok, allora sganciamo alla svelta e leviamoci di qui! L’ultima cosa che voglio è svolazzare sul territorio nemico con diciotto bombardieri. Andiamocene prima che arrivino tutti i caccia di zio Adolf a mitragliarci il culo!
 
Signore!! Qui è l’ufficiale di tiro!!! Non possiamo sganciare qui!! Là sotto è pieno di case e di strade, c’è pure il tram!! Se non sapessi di essere in Italia potrei dire di essere sopra casa mia a S. Francisco!!!
 
Poche storie! Ho detto di sganciare!!! Io non ci penso proprio a sciropparmi qualche ora di volo con una valanga di tritolo innescato sotto al culo!!! Io ai miei uomini non faccio correre rischi inutili!!!
 
Ma signore, facciamo un macello!!! Aspettiamo e buttiamo le fottute bombe in mare!!!
 
No! Dannazione!! Qui ci sono i miei uomini, sui miei aerei, e non li faccio andare in giro per l’italia seduti su una bomba con la miccia accesa. Ho detto sganciare!!! è un ordine!!!!
 
I portelloni di lancio dei B-24 si aprono, come petali di fiori mortali e una miriade di puntini neri si liberano nell’aria, come uno sciame di insetti velenosi e inferociti.
Sono le 11,26, le bombe, da 220 kg, dieci per ogni aereo, per un totale di 180 bombe, impiegano 180 secondi per raggiungere il bersaglio.
Sono le 11.29 del 20 ottobre 1944. quaranta tonnellate di bombe cadono sul quartiere milanese di Gorla, e sulla scuola Francesco Crispi.
 
Gorla, ore 11,29
 
Intanto, il primo allarme antiaereo era già stato dato alle 11,14 e i bambini erano già usciti dalle aule, con gli insegnanti che li disponevano in fila, per imboccare le scale e scendere nel rifugio.
Ma dieci minuti sono troppo pochi per fare in modo che tutti raggiungano il rifugio.
Mentre tantissimi bambini sono ancora sulle scale, una bomba cade sulla scuola, sfonda il tetto, si infila proprio nella tromba delle scale ed esplode.
Le scale crollano, chi non è morto dilaniato dall’esplosione cade nel vuoto per alcuni piani, per poi essere sepolto dalle macerie.
Intanto, tutt’intorno è un inferno di esplosioni, urla, polvere e sangue.
Quei genitori, che avevano amorevolmente accompagnato i loro figli la mattina, salutandoli con un bacio e una carezza, accorrono verso quella pira di macerie fumanti e roventi. La fiducia, timida, che avevano di vedere la guerra finire presto, si trasforma in disperazione, mentre scavano con le mani, le lacrime che si mischiano alla polvere, per estrarre dalle macerie quei corpi martoriati.
Alla fine di quella orribile giornata, si conteranno 184 piccoli cadaveri. Sono i Piccoli Martiri di Gorla. Con loro sono morti anche quattordici insegnanti, la preside della scuola e quattro bidelli.
In tutto il quartiere di Gorla, il tragico errore della 451esima squadriglia bombardieri porterà un bilancio di più di 600 vittime.
Knapp non avrà alcuna conseguenza per la sua decisione. Verrà solo criticato per la goffaggine nella conduzione delle missione che ne decretò il sostanziale fallimento, senza tuttavia impedirgli di ottenere, dopo la guerra, le stellette di generale.
 
E a Milano, ancora una volta, come spesso nella storia, a pagare per gli errori degli uomini furono i più deboli e indifesi.
Dopo la guerra, furono sempre i cittadini di Gorla ad erigere, con l’acciaio della Falck e il marmo donato dalla Rinascente, il sacrario che ancora oggi conserva i resti dei bambini periti nella tragedia. Il monumento sorge in quella che, da allora, è stata chiamata la piazza dei Piccoli Martiri, lambita dalle acque e dal verde della Martesana, che, ci piace pensare, dona a quei poveri bambini un po’ di quella pace che non trovarono nella loro troppo breve esistenza terrena.
 
Marco Lombardi (giornalista e scrittore)
 
 
 
Sacrario di Gorla: le tombe delle vittime (in foto)

Crimini degli Alleati: la strage sul Sebino

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Cinque novembre 1944. Una data tragica nella storia del Sebino. Quel giorno, una domenica di sole, il battello «Iseo» venne mitragliato da aerei alleati al largo di Montisola: 42 i morti, 33 i feriti, 1 disperso. A 70 anni da quella carneficina i Comuni di Montisola, Tavernola Bergamasca e Iseo hanno indetto per domani «una giornata della memoria». Presenti i familiari delle vittime e dei superstiti, dopo l’alzabandiera, in località Gustinèl, dove il battello si arenò, sarà gettata una corona d’alloro. Continua a leggere

Crimini impuniti: i bimbi uccisi a Gorla

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Risultati immagini per strage di Gorla

PENSIERO UNICO – MORTI DI SERIE A E MORTI DI SERIE B

Segnalazione del Centro Studi Federici

Milano, Gorla e la strage dei 184 innocenti
Il cielo è maledettamente azzurro su Milano, la mattina del 20 ottobre 1944. Così azzurro che la maestra della scuola elementare Francesco Crispi, in zona Gorla, è preoccupata: «È troppo terso, potrebbero bombardare. Noi siamo costretti ad andare a scuola, ma voi che potete…», dice incontrando sul ponticello del naviglio Martesana la piccola Graziella Ghisalberti, 7 anni, per mano con sua mamma e il cuginetto Edoardo di 6. Invece Graziella ed Edoardo, con i loro grembiulini neri, varcano il portone, come tutti i giorni da quando sono rientrati dalla Brianza, dove erano sfollati per paura della guerra: «Tanto ormai la guerra è finita», ripetevano gli adulti. E invece la guerra a Milano doveva dare l’ultimo colpo di coda, il più devastante.
In classe seconda quel giorno si imparano le maiuscole e Graziella ha appena completato una pagina intera di D… Un gesto che ancora oggi che di anni ne ha 77 ripete spesso col dito, tracciando sul tavolo tante immaginarie D maiuscole… «In quel momento, alle 11 e 14 – racconta – suonò il piccolo allarme, stavano arrivando gli aerei americani, dovevamo correre tutti giù nel rifugio sotto la scuola». 

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Israele fa strage di palestinesi, ma i veri ciechi siamo noi occidentali

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Israele fa strage di palestinesi, ma i veri ciechi siamo noi occidentali

Più di 50 morti, migliaia di feriti. A Gaza Israele conferma che il suo non è più “l’esercito più morale del mondo”. E sullo sfondo c’è il conflitto con il nemico di sempre, l’Iran. L’Occidente? Non sa, e non fa nulla. (di Tommaso CanettaLEGGI)

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