In treno verso il nulla, stranieri a casa propria

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di Marcello Veneziani

Fonte: Marcello Veneziani

L’altra sera ho preso un treno locale tra Foggia e Bari. Ero nella mia terra, dovevo raggiungere il mio paese natale, ho preso l’ultimo regionale della sera. Non ero in prima classe, non leggevo Proust, non ero tra lanzichenecchi, come era capitato ad Alain Elkann ed ero curioso di chi mi stava intorno. Ero l’unico anziano in un treno zeppo di ragazzi, pendolari della movida, che si spostavano per andare a fare nottata in paesi vicini. Ero su una tratta che un tempo mi era famigliare, ma mi sono sentito straniero a casa mia. No, non c’erano stranieri sul treno, come spesso capita nei locali. Ricordo una volta su un locale, ero l’unico italiano tra extracomunitari, in prevalenza neri, con forte disagio perché ero pure l’unico ad avere il biglietto. Stavolta invece ero tra ragazzi dei paesi della mia infanzia e prima giovinezza, eppure mi sentivo più straniero che in altre occasioni.
Li osservavo quei ragazzi e soprattutto quelle ragazze, erano sciami urlanti che agitavano il loro oggetto sacro, la loro lampada d’Aladino e il loro totem, lo smartphone. Si chiamavano in continuazione, la parola chiave per comunicare era “Amò”, ed era un continuo chiedersi dove siete, dove ci vediamo. Era come parlare tra navigatori che si dicevano la posizione.
Le ragazze erano vestite, anzi svestite, scosciatissime, come se fossero cubiste o giù di lì, con corpi inadeguati. Era il loro dì di festa, il loro sabato del villaggio, ma in epoca assai diversa da quella in cui Leopardi raccontava l’animazione paesana che precede la domenica. Dei loro antenati forse avevano solo la stessa pacchianeria prefestiva, ma nel tempo in cui ciascuno si sente un po’ ferragnez e un po’ rockstar. Parlavano tra loro un linguaggio basic, frasi fatte e modi di dire sincopati. Mai una frase compiuta, solo un petulante chiamarsi, interrotto da qualche selfie, si mandavano la posizione e si apprestavano a incontrarsi e poi a stordirsi di musica, frastuono, qualche beverone, fumo, e non so che altro. Li ho visti in faccia quei ragazzi, erano seriali, intercambiabili, dicevano tutti le stesse cose, ciascuno in contatto col branco di riferimento. Cercavo di trovare in ciascuno di loro una differenza, un’origine, un qualcosa di diverso dal branco; ma forse erano i miei occhi estranei, la mia età ormai remota dalla loro, però non ravvisavo nulla che li distinguesse, che li rendesse veri, non dico genuini. Eppure parlavano solo di sé, si specchiavano nei loro video, si selfavano, un continuo viversi addosso senza minimamente preoccuparsi di chi era a fianco, insieme o di fronte. Sconnessi.
Magari è una fase della loro vita, poi cambieranno; magari in mucchio danno il peggio di sé, da soli sono migliori. Però non c’era nulla che facesse vagamente pensare al loro futuro e al loro piccolo passato, alle loro famiglie, ai loro paesi, al mondo circostante; tantomeno alla storia, figuriamoci ai pensieri, alla vita interiore, alle convinzioni. Traspariva la loro ignoranza abissale, cosmica; di tutto, salvo che dell’uso dello smartphone. Anche i loro antenati, mi sono detto, erano ignoranti; ma quella era ignoranza contadina, arcaica e proletaria, carica di umiltà e di fatica, di miseria e di stupore; la loro no, è un’ignoranza supponente e accessoriata, non dovuta a necessità, con una smodata voglia di piacere e vivere al massimo il piacere, totalmente immersi nel momento. Salvo poi cadere negli abissi della depressione, perché sono fragilissimi.
Mi sono detto che i vecchi si lamentano sempre e da sempre dei più giovani, li vedono sempre peggiori di loro e dei loro nonni. Però, credetemi, la sensazione più forte rispetto a loro, era un’estraneità assoluta, marziana: nulla in comune se non il generico essere mortali, bipedi, parlanti. In comune non avevamo più nulla, eccetto i telefonini. Per confortarmi mi sono ricordato di quei rari ragazzi che mi è capitato di conoscere e che smentiscono il cliché: sono riflessivi, pensanti, leggono, studiano con serietà, sanno distinguere il tempo del divertimento dal tempo della conoscenza, hanno curiosità di vita, capiscono l’esistenza di altri mondi e altre generazioni, capaci di intavolare perfino una discussione con chi non appartiene alla loro anagrafe. Però ho il forte timore che siano davvero eccezioni. E mille prove personali e altrui confermano questa impressione. Raccontava un amico che fa incontri nelle scuole che davanti a una platea di trecento ragazzi, chiese loro se leggessero giornali, o addirittura libri, se vedessero qualche telegiornale, se sapessero di alcuni personaggi, non dico storici o i grandi del passato, ma almeno importanti nella nostra epoca. Uno su cento, e poi il silenzio. Hanno perso la loro ultima piazza, il video, ognuno si vede il suo film e la sua serie su netflix o piattaforme equivalenti, segue il suo idolo, ha vita solo social.
Qualunque cosa in chiave politica e sociale, storica o culturale, non li sfiora, non li tocca, non desta il loro minimo interesse. Certo, sono sempre le minoranze a seguire attivamente la realtà o a coltivare una visione del mondo e condividerla con un popolo, un movimento, una comunità. In ogni caso non è “colpa loro”, se sono così. E’ anche colpa nostra; anzi non è questione di colpe. E l’impossibilità di comunicare con loro dipende pure da noi. Però, mi chiedo: cosa sarà tra pochi decenni di tutto il mondo che si è pazientemente e faticosamente costruito lungo i secoli, attraverso scontri, guerre, sacrifici, fede, conoscenza, lavoro, lavoro, lavoro? Nulla, il Nulla. Sono questi i cittadini, gli italiani, di domani? Sono forse diversi, e più nostrani, rispetto agli stranieri extracomunitari che sbarcano da noi a fiumi? Tabula rasa, zero assoluto, il postumano si realizza anche senza manipolazioni genetiche, robot sostitutivi, intelligenze artificiali e mostri prodotti in laboratorio. Quel treno della notte non portava da un paese a un altro, portava solo nella notte.

Allarme criminalità straniera, gli immigrati rappresentano il 31% della popolazione carceraria in Italia: vi mostriamo tutti i dati

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QUINTA COLONNA

di Redazione

Riteniamo importante pubblicare questo articolo di Francesca Totolo per Il Primato Nazionale perché fornisce i dati sulla popolazione carceraria. Abituati ai numeri di chi sta con Caino, noi convinti sostenitori di Abele troviamo molto importanti queste tabelle. Ci permettiamo, nel nostro piccolo, di proporre che venga inserita nella riforma della giustizia anche la riforma carceraria. Il sovraffollamento e le condizioni disumane non appartengono ad una logica cristiana. Possiamo riqualificare edifici dismessi, presenti in tutta Italia e adibirli a nuove strutture penitenziarie. Inoltre, sarebbe un dovere che gli extracomunitari scontassero la pena nel loro Paese d’origine, attraverso degli accordi internazionali. (n.d.r.)

di Francesca Totolo

Roma, 27 gen – In un precedente articolo, avevamo documentato che gli immigrati hanno una propensione al crimine 5 volte superiore rispetto a quella degli italiani. Ora, passiamo ad analizzare i dati Istat sulla popolazione carceraria. Nel 2021, erano 54.134 i detenuti in Italia, 37.091 italiani (il 69 per cento) e 17.043 stranieri (il 31 per cento). Quindi, gli immigrati hanno una probabilità di carcerazione 5 volte superiore rispetto a quella degli italiani.

Questi dati diventano ancora più allarmanti se si considerano i dati Istat riguardanti il luogo di nascita dei detenuti invece della cittadinanza. Il 33 per cento dei detenuti in Italia è nato in Paesi stranieri. Ciò significa che quasi 900 carcerati sono i cosiddetti “nuovi italiani”.

Detenuti e tipi di reato

Analizzando i tipi di reato, si evince chiaramente che il business della prostituzione in Italia è un monopolio degli stranieri. Il 73 per cento dei detenuti per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione è immigrato.

Il 41 per cento dei detenuti per violenza sessuale è straniero, il 40 per cento per violenza, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, il 38 per cento per omicidio preterintenzionale e per lesioni personali volontarie, il 34 per cento per furto e il 29 per cento per rapina. Questi numeri spiegano chiaramente che non è una percezione distorta dei cittadini italiani quella riguardante l’insicurezza causata dalla criminalità straniera.

Le nazionalità dei detenuti

Analizzando le nazionalità dei detenuti, si evince che il 17 cento dei detenuti proviene dall’Africa, addirittura il 6 per cento è di nazionalità marocchina e il 3 per cento tunisina.

Rapportando tali dati alla popolazione residente in Italia, si evidenzia che un algerino ha una probabilità di carcerazione 34 volte superiore a quella di un italiano, un tunisino 26 volte superiore, un nigeriano 16 volte superiore e un marocchino 12 volte superiore.

La composizione della popolazione carceraria in base alla posizione giuridica dei detenuti

Spesso si è detto che gli stranieri sono più soggetti alle misure restrittive della libertà prima della effettiva condanna rispetto agli italiani. Analizzando i dati Istat, questa tesi viene confutata.

Infatti, sono “a disposizione delle autorità” quasi le medesime percentuali di detenuti: il 34 per cento di stranieri sono “a disposizione delle autorità” rispetto al 33 per cento di detenuti totali nati in Paesi esteri, il 66 per cento di italiani rispetto al 67 per cento di detenuti totali nati in Italia.

Carceri italiane sovraffollate, l’esempio della Danimarca

È noto che in Italia le carceri siano sovraffollate. Al 31 dicembre del 2022, erano quasi 5mila i detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare delle carceri. Per ovviare a questo problema, l’Italia potrebbe prendere spunto dalla socialdemocratica Danimarca, la quale ha versato al Kosovo 15 milioni di canone annuo per affittare 300 celle nella prigione di Gjilan, città non lontana da Pristina, dove verranno inviati gli immigrati condannati. Calcolando che un detenuto nelle carceri italiane costa allo Stato 137 euro al giorno, sarebbe un grande risparmio per i contribuenti italiani. Nel 2021, il mantenimento in carcere dei 17.043 detenuti stranieri è costato 853 milioni di euro.

Riparte il turismo e trova l’immigrazione sostanzialmente fuori controllo

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI PER InFORMAZIONE CATTOLICA.IT 

di Matteo Castagna

NELL’ULTIMO PERIODO CIRCA 14.000 PERSONE, DICONO LE FONTI UFFICIALI

Non pochi politici italiani si sono posti il problema della conciliabilità tra la ripresa del settore turistico e la sua compatibilità con un’immigrazione sostanzialmente fuori controllo. Anziché pensare a fare degli omosessuali delle “specie protette” modello panda, in barba al diritto naturale, o a imporre la tassa di successione a chi non arriva a fine mese perché non può lavorare a causa di restrizioni assurde quanto inutili, c’è anche, dal lato destro dell’emiciclo parlamentare chi pensa al rilancio del turismo in un Paese come l’Italia. E, per fortuna, si nota che possa faticare ulteriormente se continuano a sbarcare migliaia di clandestini. Circa 14.000 persone, nell’ultimo periodo – dicono le fonti ufficiali.

Non è giusto che degli innocenti muoiano in mare, perché sarebbe giusto che i barconi della morte non partissero. Poiché abbiamo capito tutti che vi sono interessi economici importanti dietro la tratta dei “nuovi schiavi”, la vera carità dovrebbe vedere impegnata l’Europa nella realizzazione di trattati internazionali ed aiuti mirati nelle terre di fuga, sul modello di quanto fece il governo Berlusconi con Gheddafi, donando all’Italia e all’Africa un periodo di tranquillità, pace e tolleranza, perché quanto alla redistribuzione degli immigrati, l’Unione Europea sembrerebbe fare orecchie da mercante.

Inoltre, la redistribuzione è un concetto sbagliato in sé per due motivi: 1) Gli esseri umani non sono delle merci da destinare di qua o di là. 2) L’immigrazione di popolamento costituisce un fenomeno profondamente negativo, perché è lo sradicamento forzato di gente che, potenzialmente, potrebbe star bene nella sua Patria. Dunque l’Europa dovrebbe lavorare, da un lato, alla messa in atto di politiche che favoriscano la natalità negli Stati membri e dall’altro al blocco dei confini per favorire non solo un graduale rimpatrio dei clandestini ma anche delle situazioni di benessere e stabilità che fermino questo continuo ed indecente racket. La responsabilità spetta, infatti, non all’immigrato, ma alla logica del capitale, che, dopo aver imposto la divisione internazionale del lavoro, ha ridotto l’uomo allo stato di merce delocalizzabile.

San Tommaso d’Aquino, nella Summa Teologica (I-II, q. 105, a. 3) spiega che “con gli stranieri ci possono essere due tipi di rapporto: l’uno di pace, l’altro di guerra” (in corpore). Innanzi tutto non li si accoglie subito come compatrioti e correligionari. Aristotele insegnava che “si possono considerare come cittadini solo quelli che iniziano ad essere presenti nella Nazione ospitante a partire dal loro nonno” (Politica, libro III, capitolo 1, lezione 1). Quindi, capiamo, che fin dall’antichità nessun saggio prendeva in considerazione lo “ius soli”. Forse, Aristotele avrebbe, invece preso per sovversivo dell’ordine nazionale chi si fosse sognato di propugnare tale ingiustizia…È chiaro che per l’Angelico si può permettere agli stranieri, che sono di passaggio nella Nazione (se sono pacifici e se si integrano nella cultura e nella religione del Paese che li accoglie), di restarvi.

Ma vi pare il caso generale contingente? Se sono ostili, come le orde di musulmani che ci invadono per conquistarci all’islam o per delinquere, allora vale la legittima difesa, che porta la Nazione invasa a respingere lo straniero, che è un ingiusto aggressore: “vim vi repellere licet / è lecito respingere la forza con la forza”, alla faccia del buonismo interessato di certuni, che non è accoglienza ma business camuffato. Mentre l’Italia deve fare lecito business col turismo, grazie alle meraviglie di cui dispone grazie alla civiltà classico-cristiana ed alla natura.

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/2021/05/24/riparte-il-turismo-e-trova-limmigrazione-sostanzialmente-fuori-controllo/

Clamoroso crollo della fiducia degli italiani per le istituzioni europee

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Gli italiani aprono gli occhi sulla grande fregatura: la fiducia era al 70% nel 2011, oggi è crollata al 34%
di Antonio Socci

(LETTURA AUTOMATICA)

È passato quasi inosservato il recente sondaggio Ipsos relativo al giudizio degli italiani sull’Unione Europea. Eppure è un tema di scottante attualità e il responso popolare è decisamente imbarazzante per salotti e accademie mainstream, che hanno il monopolio del discorso pubblico.
In sostanza la fiducia degli italiani verso le istituzioni europee è precipitato. Nel 2008 era attorno al 75 per cento e ancora nel 2011 raggiungeva il 70 per cento: oggi è crollato al 34 per cento.
L’Italia era una volta il paese più europeista del continente e oggi è uno dei più euroscettici. Mai la fiducia verso le istituzioni europee era stata così bassa.
Eravamo europeisti perché ci avevano fatto credere che fosse tutto un favoloso sogno verso la felicità cosmopolita, come una gigantesca edizione di “Giochi senza frontiere”, un Erasmus di massa col sottofondo dell'”Inno alla gioia” di Beethoven.
E ci avevano fatto credere che l’Euro fosse “la terra dove scorre latte e miele”. Fiumi di retorica, di false promesse e di illusioni.
Poi il risveglio. Il precipizio che va dal 75 per cento al 34 per cento somiglia al brusco scuotersi da un sogno. È la cocente delusione di chi apre gli occhi su qualcosa (o qualcuno), dopo essersi fortemente illuso. Fotografa lo choc di chi si rende conto di essersi ingannato. E si sente tradito.
È lo stato d’animo di chi credeva di essersi imbarcato per il paradiso terrestre e invece si ritrova in un inferno. Un’utopia che diventa distopia (o anche cacotopia).

COM’È CHE GLI ITALIANI HANNO APERTO GLI OCCHI?
I motivi sono tanti: la scoperta di istituzioni europee perfino peggiori di quelle italiane quanto a ottusità burocratica e costi; l’arroganza con cui viene trattata l’Italia (dovuta anche alla subalternità dei passati governi italiani); la sensazione che ci sia chi la fa da padrona come la Germania, mentre l’Italia subisce le decisioni altrui.
Ma soprattutto, dal 2011, due fenomeni enormi hanno aperto gli occhi agli italiani. Primo: l’invasione migratoria che l’Italia ha dovuto subire, da sola, pagando costi economici e umani altissimi. Con l’Europa che – a parole – ci impartiva lezioni di buonismo e poi chiudeva le frontiere.
Secondo: le conseguenze – devastanti per l’Italia – della crisi economica del 2007-2008 che hanno dissolto tutte le promesse farlocche sull’euro e sull’Unione europea che – a sentire i propagandisti – avrebbero protetto il nostro Paese dalle tempeste.
In questi anni si è scoperto che in Italia – numeri alla mano (ma anche per esperienza empirica) – si sta molto peggio di quanto si stava 25 anni fa, prima dell’Euro (come reddito, condizioni di vita e come ricchezza prodotta).
E tutti sanno che per la prima volta i nostri figli – vittime di una massiccia disoccupazione giovanile e di una precarietà che dissesta il loro futuro – staranno peggio di noi. Per la prima volta nella nostra storia.

DECIDONO GOVERNI STRANIERI
Inoltre ci si è resi conto che non si è più padroni del nostro destino, che si è governati da nomenklature straniere e sconosciute che nessuno di noi ha mai eletto. Che su di noi decidono governi stranieri che a Bruxelles impongono il loro volere.
Quindi si ha la sensazione di essere stati espropriati della nostra sovranità democratica senza che nessuno mai ci abbia chiesto il permesso.
È una sensazione giusta. Corrisponde a quello che è accaduto da Maastricht in poi. Espropriati della sovranità a nostra insaputa. Del resto questa è la vera strategia perseguita dagli architetti dell’Unione Europea.
Fu espressa da Jean Monnet, che è uno dei demiurghi delle istituzioni europee, nel 1952. Egli disse: “Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso un superstato senza che le loro popolazioni si accorgano di quanto sta accadendo. Tale obiettivo potrà essere raggiunto attraverso passi successivi ognuno dei quali nascosto sotto una veste e una finalità meramente economica”.
Sentendo queste parole Charles de Gaulle replicò che Monnet voleva creare delle “mostruosità sovranazionali”.
Ma nel tempo è proprio il disegno tecnocratico di Monnet che ha prevalso. Ed eccoci oggi alla “mostruosità sovranazionale” su cui i popoli d’Europa cominciano ad aprire gli occhi. E a manifestare la loro insofferenza.

Nota di BastaBugie: ecco i link a precedenti articoli sull’Unione Europea

NATALE 2017: PER L’UNIONE EUROPEA IL SALVATORE NON E’ GESU’, BENSI’ ROMANO PRODI
Il baldanzoso professore dichiara che senza l’Unione Europea l’Italia scomparirà dalla faccia della terra (per favore, ditegli che la Gran Bretagna è uscita dalla Ue e non risulta che sia scomparsa, anzi è più vitale che mai)
di Antonio Socci
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4983

LA BREXIT FA CROLLARE IL MITO DI UN’EUROPA MULTICULTURALE SENZA FRONTIERE
Quando interpellato, il popolo boccia sempre l’Unione Europea, come nel 2005 in Francia e in Olanda nei referendum sulla Costituzione Europea che cancellava le (evidenti) radici cristiane
di Roberto de Mattei
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4289

L’ITALIA E’ (IN EUROPA) IL POLLO DA SPENNARE
Ci dissero che l’Unione Europea e la moneta unica erano un club esclusivo con enormi benefici… e abbiamo abboccato
di Antonio Socci
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4778

L’UNIONE EUROPEA COME L’UNIONE SOVIETICA?
Commissario dell’Educazione sovietico scrisse nel 1930: ”Il nostro problema adesso è quello di eliminare la famiglia e liberare la donna dalla cura dei figli”
di Dina Nerozzi
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2806

Titolo originale: La cacotopia europea: ora gli italiani cominciano ad aprire gli occhi sulla grande fregatura che hanno preso
Fonte: Libero, 12/06/2018

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Nella nostra scuola non abbiamo studenti disabili né stranieri

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Scoppia la polemica per questa frase di una preside di un liceo romano e il ministro Fedeli minaccia sanzioni per obbligare la scuola ad essere inclusiva e multitutto
di Costanza Miriano

(LETTURA AUTOMATICA)
L’isteria collettiva del politicamente correttissimo ormai fa sì che se una preside, Clara Rech del liceo classico Visconti di Roma per fare nomi e cognomi, scrive su un documento di autovalutazione un dato oggettivo – “non ci sono alunni stranieri né disabili” – scatta la damnatio su Repubblica, il ministro Fedeli minaccia provvedimenti perché la scuola deve essere inclusiva e multitutto.
Bene, vorrei dire che il ministro ha ragione, la scuola deve essere inclusiva, cioè dare a tutti le stesse possibilità. Il principio è sacrosanto, ma chiediamoci che significa, in concreto. Inclusivo per me vuol dire che chiunque decida di studiare seriamente, da qualunque paese o estrazione sociale provenga, possa avere le stesse possibilità. È un bellissimo programma, sarei d’accordo. Così davvero si permetterebbe la mobilità sociale, attualmente impossibile in Italia. Se sei figlio di professionista ma sei un deficiente, se sei una capra e soprattutto se non studi, per arrivare all’esame di abilitazione che ti permetterà di occupare il posticino preparato dai tuoi nel loro studio ci devi mettere almeno trentasei anni di studio, cioè ogni anno dei diciotto del percorso scolastico lo devi ripetere. Questa, una scuola che boccia e seleziona, sarebbe una scuola davvero inclusiva, dove anche il figlio del fruttivendolo del Bangladesh se si ammazza sui libri può diventare avvocato, mentre il figlio dell’avvocato che non ha voglia di studiare può comunque trovare posto al mercato; e adesso scatta anche per me l’accusa di essere classista, immagino. Chiariamo: il fruttivendolo è un lavoro nobilissimo, ma non serve studiare tanto. Punto. Continua a leggere