La pace impossibile. Dalle ceneri della UE nascerà la nuova Europa

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di Luigi Tedeschi

Fonte: Italicum

Siamo dinanzi ad una guerra infinita? Quello russo – ucraino è in effetti un conflitto il cui esito e la cui durata non sono prevedibili. Questa guerra tra USA e Russia è un confronto geopolitico in cui sono in gioco i nuovi equilibri mondiali.

Dopo il fallimento della guerra – lampo, l’estensione della Nato nel mar Baltico con l’ingresso di Svezia e Finlandia ed i recenti arretramenti russi dinanzi alla controffensiva ucraina, le difficoltà della Russia sono evidenti. Ma Putin non può perdere la guerra, poiché la sua leadership non sopravvivrebbe alla sconfitta. Né è pensabile una pace che comporti il consolidamento delle posizioni russe del 2014 nella Crimea e nelle province russofone orientali dell’Ucraina. Si tratterebbe in tal caso di riproporre soluzioni già previste dagli accordi di Minsk, peraltro disattesi dell’Ucraina. E un simile accordo si tramuterebbe per Putin in una sconfitta. Pertanto Putin, attraverso la mobilitazione parziale vuole compattare il fronte interno e con l’aggravarsi della crisi energetica dell’Europa, vuole esercitare pressioni sull’Occidente per giungere ad una trattativa con gli USA, data la riscontrata impossibilità di una vittoria sul campo.

Improbabili appaiono altresì le velleità di Zelenski e dei paesi dell’est europeo circa il perseguimento di una guerra ad oltranza con l’obiettivo di sconfiggere la Russia, destabilizzarne le istituzioni e determinarne un suo successivo smembramento. L’Ucraina è totalmente dipendente dal sostegno bellico della Nato. La dissoluzione della Russia non rientra nelle strategie americane. Si verrebbe a creare un vuoto geopolitico in un immenso territorio che, diviso in tanti stati, sarebbe impossibile da controllare, specie per quanto concerne la probabile dispersione degli armamenti nucleari russi. Con la crisi energetica potrebbero sorgere nel prossimo futuro conflittualità interne all’Europa difficilmente governabili. E gli USA non possono permettersi di perdere l’Europa per sostenere la guerra dell’Ucraina. Gli americani inoltre, temono una escalation del conflitto che potrebbe comportare un intervento diretto della Nato. Dopo la sconfitta umiliante in Afghanistan (l’ultima di una lunga serie), l’opinione pubblica americana è refrattaria a farsi coinvolgere in nuove guerre. Anzi, l’opposizione repubblicana, alla vigilia delle elezioni di medio termine, imputa alla presidenza Biden l’eccessiva spesa militare a sostegno dell’Ucraina.

La Russia attualmente vuole negoziare una tregua, come anche l’Europa centrale, mentre l’Ucraina e l’Europa dell’est propendono per una guerra ad oltranza. Gli USA necessitano della russofobia quale storico elemento di contrapposizione ideologica al primato americano nel mondo, ma al contempo questa guerra distoglie gli Stati Uniti dalla loro priorità strategica, quella del contenimento della Cina. Gli americani sono dunque arbitri esclusivi della pace e della guerra?

Tre elementi tuttavia si oppongono ad ogni possibile prospettiva di negoziato. 1) L’attuale conflitto è nei fatti una guerra civile tra russi ed ucraini, che ha innescato una spirale di odio irriducibile tra i due popoli. 2) Con l’estensione della Nato ad est e la trasformazione dell’Ucraina in un avamposto strategico armato occidentale, accordi che prevedano uno status di neutralità dell’Ucraina sono impossibili. 3) L’annessione alla Russia delle regioni di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk è un atto che preclude qualsiasi possibilità di ripristino dello status quo del 2014. Si deve quindi concludere che attualmente ogni prospettiva di pace appare impossibile.

Gli USA non vogliono la vittoria dell’Ucraina ma il controllo dell’Europa

Fino a che punto gli americani sono disposti a sostenere l’Ucraina? Non vogliono certo ingaggiare un conflitto diretto con la Russia. La stessa minaccia nucleare potrebbe costituire un valido strumento propagandistico per indurre le parti in conflitto ad una trattativa. Pertanto il conflitto non dovrà essere esteso oltre i confini dell’Ucraina. L’obiettivo primario degli americani non è quello ottenere una vittoria dell’Ucraina, ma il controllo dell’Europa.

E’ del resto assai improbabile che l’Ucraina possa riconquistare interamente i territori occupati dai russi, nonostante i successi conseguiti nella recente controffensiva. L’avanzata ucraina è stata resa possibile dalle rilevanti forniture di armamenti americani. Non si sa comunque fino a che punto la controffensiva ucraina potrà spingersi nella riconquista dei territori occupati. Gli USA hanno fornito all’Ucraina 16 sistemi di artiglieria Himars (ed è in programma l’invio di altri 18), oltre ai carri armati Abrams. Ma tali armamenti tecnologicamente sofisticati necessitano di lunghi tempi di produzione, valutabili in alcuni mesi se non anni. Tali armamenti saranno prodotti per la prima volta in Europa e non negli USA. Gli americani non possono lasciare sguarnito il loro arsenale di scorte armate in patria per evidenti motivi di sicurezza. Un eccessivo sostegno militare all’Ucraina potrebbe compromettere l’azione di contenimento americana nei confronti della Cina nell’area dell’indo – Pacifico riguardo al contenzioso per Taiwan.

L’elettorato americano è largamente contrario ad una escalation del conflitto e, data la attuale impennata inflazionistica con conseguente ondata recessiva incombente, le eccessive spese militari dell’amministrazione Biden non riscuotono molto consenso popolare. Gli Stati Uniti hanno sostenuto spese militari a sostegno dell’Ucraina per 16 miliardi di dollari in 7 mesi, contro i 4 erogati ogni anno a Israele gli 1,3 all’Egitto.

La guerra, la crisi energetica, l’inflazione galoppante e la recessione economica sono fattori destinati a generare gravi conflittualità sociali e instabilità politica in Europa. Gli USA, onde scongiurare fratture tra i paesi europei membri della Nato, potrebbero essere indotti ad una soluzione negoziata del conflitto ucraino. Aggiungasi che da una conflittualità interna all’Europa potrebbe trarne vantaggio lo stesso Putin.

Si rileva inoltre che la russofobia imperante nei media occidentali costituisce una formidabile arma di distrazione di massa, atta a distogliere il dissenso politico e sociale dilagante tra i popoli dell’Occidente, per dirottarlo contro la Russia, “stato canaglia” di turno.

E’ noto che la finalità strategica americana nella guerra ucraina è quella di logorare economicamente e militarmente la Russia. Questa guerra è da considerarsi una fase della strategia geopolitica americana che prevede la penetrazione della Nato in Eurasia e l’accerchiamento della Russia. Ne sono la prova il recente conflitto tra Azerbaigian e Armenia e i disordini verificatisi in Kazakistan. Tuttavia un eccessivo prorogarsi della guerra a cui sia gli USA che la Cina non sono in grado di porre fine, potrebbe condurre al logoramento non solo della Russia, ma dello stesso Occidente. La Cina potrebbe trarre profitto da un prolungato conflitto russo – ucraino che comportasse un eccessivo impegno sia militare che finanziario da parte americana. E si deve inoltre rammentare che contenimento della Cina rappresenta una priorità strategica per gli USA. Come afferma Michael Kimmage in una intervista pubblicata sul numero 9/2022 di Limes: “Inoltre, esiste un desiderio cinese di vedere l’Europa, gli Stati Uniti e la Russia indebolirsi insieme a causa di questo conflitto. Nonostante le dichiarazioni a Samarcanda, credo che Xi auspichi un risultato della guerra d’Ucraina simile a quello della prima guerra mondiale, dove tutte le potenze coinvolte riemersero infiacchite, lasciando la Cina unica beneficiaria. Nel frattempo, cercherebbe di trarne vantaggio. Per esempio nel Sud del mondo, visto il discredito della leadership americana. La Repubblica Popolare potrebbe ergersi a isola di stabilità in un emisfero caotico. Quindi in una certa misura è probabile che anche Pechino ritenga una guerra lunga nei propri interessi”. Occorre tuttavia osservare che la Cina teme che uno stato di guerra prolungato possa determinare una grave recessione economica nell’Occidente, che inciderebbe gravemente sul suo export, già danneggiato dalla chiusura della via della seta in Ucraina, che rappresenta la principale via di transito commerciale nelle relazioni economiche tra la Cina e l’Europa. Inoltre, un eccessivo indebolimento della Russia potrebbe compromettere gravemente la sicurezza dei confini settentrionali della Cina e depotenziarla nel  contenzioso con gli USA nell’area dell’indo – Pacifico.

La strategia occidentale di logoramento della Russia attuata mediante le sanzioni si è rivelata fallimentare. Anzi, dalle sanzioni alla Russia ne esce penalizzata maggiormente l’economia europea in termini di inflazione e caro energia, rispetto a quella russa. La stessa URSS, colpita dalle sanzioni, seppe sviluppare grandi capacità di resistenza e suscitare nel popolo russo un grande patriottismo contro l’aggressore occidentale. L’esclusione della Russia dal sistema interbancario swift ha sviluppato la diffusione di sistemi di pagamento alternativi nei paesi non occidentali. Le sanzioni, con l’esclusione dal mercato interno delle merci importate, si tramutano nei paesi sanzionati in formidabili incentivi allo sviluppo della produzione nazionale. Ma soprattutto le sanzioni, comportando la confisca dei patrimoni e il congelamento dei depositi nei confronti della Russia, hanno generato la sfiducia negli USA e nel dollaro da parte dei paesi non occidentali. In tali paesi si è diffusa da tempo la convinzione secondo cui, in caso di dissenso nei confronti della politica estera americana nel mondo, si vedrebbero minacciati nella loro sovranità sia economica che politica.

E’ in corso pertanto un processo di dedollarizzazione dell’economia mondiale che ha comportato negli anni la riduzione delle riserve valutarie in dollari presso le banche centrali dal 70% al 52%. Si diffonde sempre più il commercio nelle valute nazionali tra i paesi non occidentali. Mediante le fluttuazioni del dollaro, che è valuta di riserva mondiale, gli USA hanno fatto sempre fronte alle proprie crisi esportando recessione e debito nei paesi europei. L’attuale rincorsa della BCE al rialzo dei tassi della FED condurrà l’Europa alla recessione e al suo dissanguamento finanziario. L’Europa atlantica è oggi dipendente sia dal punto di vista energetico che finanziario dall’area del dollaro. Ma l’Europa stessa con l’euro potrebbe creare un proprio sistema economico e finanziario alternativo al dollaro come lo sono l’EAEU (Eurasian Economic Union) e lo SCO (Shanghai Cooperation Organization). Ma, come afferma Fabio Mini nel suo saggio “Le guerre dentro e per l’Ucraina” pubblicato nel libro “Ucraina 2022” a cura di Franco Cardini, Fabio Mini e Marina Montesano, edito da “La Vela” 2022: “C’è abbastanza per far ragionare tutti, e in particolare Stati Uniti ed Europa. Se non fosse per la debolezza politica interna, se si liberasse della sudditanza nei confronti americani e se assumesse la responsabilità della propria sicurezza, l’Unione europea potrebbe diventare la potenza equilibratrice per tutto l’Occidente e perfino per Russia e Cina. L’euro potrebbe diventare la moneta internazionale in grado di rappresentare finalmente un’economia reale solida ancorché minacciata dai trucchi finanziari, dalle bolle speculative e dai vari quantitative easing. Ma quei “se” pesano come macigni.

Germania: la grande sconfitta

La guerra russo – ucraina ha determinato la rottura dei rapporti politici ed energetici tra Germania e Russia. Con i sabotaggi del Nord Stream 1 e 2, che hanno estromesso le forniture di gas russo dall’Europa, è venuto meno il ruolo della Germania quale paese distributore di gas in Europa. La Germania è stata infatti soppiantata dalla Polonia, che ha inaugurato in concomitanza con gli attentati il gasdotto Baltic Pipe, con cui verrà importato il gas norvegese che poi verrà distribuito dalla Polonia stessa in Europa. Inoltre, la Turchia e la Russia hanno recentemente concluso un accordo per la costruzione di un hub energetico per esportare gas russo in Europa e paesi terzi. Alla dipendenza russa si è quindi sostituita quella polacca. La debacle della Germania è evidente.

Ma la svolta epocale verificatasi nella politica tedesca con la crisi ucraina è costituita dalla fine della Ostpolitik. All’inizio degli anni ’70 il cancelliere Brandt inaugurò una nuova stagione politica per la Germania, con il riconoscimento della DDR e l’instaurazione di una politica di distensione con i paesi dell’est europeo, in particolare con l’URSS. La Ostpolitik ha garantito una lunga fase di sviluppo economico alla Germania ed ha creato una interdipendenza sia nel campo energetico che commerciale con la Russia. Ma la Germania ha sempre dovuto fronteggiare l’ostilità americana e inglese riguardo al rapporto privilegiato con la Russia. Gli USA hanno sempre osteggiato la nascita di una potenza europea autonoma dalla Nato.

Pertanto, a seguito della rottura dei rapporti energetico – commerciali con la Russia, la Germania ha assunto una nuova dimensione nella politica estera. La Germania, da potenza economica sarà trasformata anche in potenza militare nell’ambito della Nato. E’ stato varato dal governo Scholz un programma di riarmo per 100 miliardi di euro in 4 anni.

La fine della Ostpolitik comporterà anche la fine di un modello tedesco che ha fatto assurgere la Germania a potenza economica mondiale. La potenza tedesca si basava: 1) Sull’importazione di energia a basso costo dalla Russia. 2) Sull’export verso la Cina. 3) Sui suplus commerciali realizzati nella UE, a discapito degli altri paesi europei. Tali fattori di sviluppo sono dunque venuti meno. I rincari energetici e l’inflazione genereranno la crisi dell’export tedesco e difficilmente potrà ancora sussistere quel modello di sviluppo imposto anche alla UE, fondato su bassi costi energetici, compressione salariale, contenimento della domanda interna e avanzi commerciali. Onde salvaguardare l’export verso la Cina, la Germania effettuerà la cessione alla cinese Cisco del 25% del porto di Amburgo. La Germania è stata inoltre penalizzata nell’export dell’auto verso gli USA da un piano di incentivi alla produzione di auto elettriche di carattere protezionistico recentemente varato da Biden. La nuova Germania, seppur riconvertita all’Occidente con la rottura delle relazioni con la Russia, dovrà comunque fronteggiare l’ostilità americana riguardo ai rapporti con la Cina.

Il varo da parte di Scholz di un piano di 200 miliardi di finanziamenti per far fronte al caro energia, che darà luogo a rilevanti distorsioni della concorrenza nell’ambito della UE, produrrà profonde conflittualità con gli altri paesi della UE. E la crisi dell’export tedesco si ripercuoterà nella UE, data l’interdipendenza economica tedesca con gli altri paesi europei (specialmente con l’industria italiana). E’ evidente che la Germania esporterà in Europa inflazione e recessione economica.

Dalla fine del modello economico tedesco scaturirà alla lunga anche la dissoluzione della UE. La Germania non mira ad assumere la leadeship politica della UE. Vuole semmai trasformarsi un una “grande Svizzera”, tesa alla protezione dei suoi interessi economici e finanziari, a salvaguardare il benessere dei suoi cittadini ma diverrà un paese concentrato esclusivamente nei suoi egoismi nazionali e soprattutto regionali. La Germania vuole preservarsi nella sua dimensione post – storica assunta dal dopoguerra in poi nell’ambito della Nato. Ma non potrà estraniarsi dalla storia e tanto meno restare esclusa dai mutamenti geopolitici in atto su scala globale. Sarà infatti il divenire incessante della storia a coinvolgere, seppur passivamente, la Germania nel contesto delle trasformazioni dell’ordine mondiale del prossimo futuro.

E’ assai significativa l’analisi di Lucio Caracciolo espressa in un recente video sul blog di Limes: “E’ presto per stabilire chi vincerà la guerra tra Russia e Ucraina. Ma un grande sconfitto c’è ed è la Germania”.

La colonizzazione dell’Ucraina

L’Ucraina è da decenni un paese in declino. La sua popolazione in 30 anni è scesa da 52 milioni (1991) a 41 milioni (2021), con relativa fuga di cervelli e smembramento delle sue istituzioni culturali e scientifiche. Le sue risorse naturali e il suo export agroalimentare sono stati acquisiti da multinazionali e fondi di investimento occidentali.

Non si deve credere peraltro che il sostegno armato occidentale sia stato erogato a favore dell’Ucraina per ragioni ideali o con finanziamenti filantropici. L’Ucraina usufruisce degli aiuti occidentali a fronte della cessione di 12 miliardi di dollari di riserve auree agli Stati Uniti, come si rileva da un articolo di Drago Bosnic pubblicato sul blog “Bye Bye Uncle Sam”: “Attualmente, poiché in Ucraina è rimasto molto poco da saccheggiare, il regime di Kiev ha deciso di cedere le ultime vestigia di ricchezza nazionale: le sue riserve d’oro. Secondo Gold Seek, il regime di Kiev ha recentemente consegnato agli Stati Uniti almeno 12 miliardi di dollari di riserve auree ucraine. Sembra che quelle potrebbero essere le ultime riserve auree rimaste al Paese.
Da quando la Russia iniziò la sua operazione militare speciale a febbraio, la politica occidentale, guidata dagli Stati Uniti, si è appropriata di decine di miliardi di dollari di valuta estera e riserve auree dell’Ucraina. Dopo aver ricevuto decine di miliardi di dollari in cosiddetti “aiuti militari”, oltre a finanziamenti per le istituzioni governative, il regime di Kiev è stato costretto a rinunciare alle sue riserve d’oro come condizione per tutta l’”assistenza” statunitense e dell’UE”.

E’ già stato programmato peraltro dall’Occidente un grandioso business per la ricostruzione dell’Ucraina. Questa guerra avrà come epilogo la colonizzazione economica e politica dell’Ucraina. Le multinazionali occidentali mirano infatti ad appropriarsi delle riserve di gas scisto presenti nel sottosuolo ucraino, valutabili in 1,2 milioni di metri cubi di gas.

A guerra conclusa il popolo ucraino non tarderà a prendere coscienza di come la sciagurata scelta di Zelenski a favore della Nato abbia comportato la svendita del paese all’Occidente.

Dalle ceneri della UE nascerà una nuova Europa

L’unità europea nella Nato in funzione antirussa è un mito mediatico destinato a dissolversi dinanzi alla realtà. Varie aree continentali e blocchi di stati di diverso orientamento geopolitico sussistono nell’ambito della Nato. Gli stati dell’Europa orientale sono storicamente russofobi, considerano la Russia una minaccia esistenziale e sono determinati ad una guerra ad oltranza, non temendo nemmeno una sua escalation. Per l’Europa centrale invece le relazioni con la Russia sono state essenziali per il suo sviluppo economico. Poiché la crisi energetica potrebbe provocare una crisi strutturale del suo sistema economico, propendono per una pace negoziata con la Russia. L’Europa dell’anglosfera, costituita dalla Gran Bretagna e dai paesi scandinavi è ormai parte integrante dell’area geopolitica atlantica e condividono con gli USA la strategia di contenimento di Russia e Cina su scala globale.

In realtà gli USA hanno conseguito in questa guerra un rilevante successo strategico: quello di provocare la rottura delle relazioni tra l’Europa e la Russia e di ricondurre la UE nella sfera atlantica. Infatti gli USA hanno sempre avversato ogni politica europea volta alla collaborazione con la Russia, che comportasse l’emergere di una singola potenza europea o peggio, di un blocco continentale che si affrancasse dal dominio americano sull’Europa. Gli interventi americani in Europa nelle due guerre mondiali costituiscono i precedenti storici di questa strategia.

Con tutta probabilità il fronte europeo della Nato è destinato a spaccarsi. Con l’arrivo dell’inverno la crisi energetica accentuerà i suoi effetti, generando recessione economica e conflittualità politico – sociali che potrebbero condurre alla destabilizzazione interna degli stati dell’Europa centrale e mediterranea. Come afferma Dario Fabbri sul numero 7/2022 della rivista “Domino”: “Se l’armata russa può contare soltanto sulla popolazione della Federazione, sul timore di subire un’umiliazione, sul patologico legame con le terre occupate, il campo ucraino è appeso al soccorso proveniente da ovest, militare, economico, diplomatico.

Retroguardia che, in piena bufera, potrebbe repentinamente collassare. Per eclatante choc energetico, se non addirittura nucleare. Per inclinazione a fare da sé nei momenti decisivi. Per il rabbioso scorno degli americani. I prossimi mesi sperimenteranno il tasso di sopportazione degli europei occidentali, quelli meno convinti tra i sostenitori della causa ucraina, a differenza degli ex paesi comunisti, ancestralmente antirussi. L’aggravarsi della questione gasiera provocherà profonde lacerazioni alle nostre latitudini, dentro paesi post-storici usi a studiare gli eventi con lenti economicistiche, maneggiando il bilancino dei costi e dei benefici”.

Profonde lacerazioni si profilano all’interno dell’Europa: la UE è destinata a sfaldarsi. Quindi, onde evitare la frammentazione europea, gli americani assumeranno il ruolo di mediatori interni tra blocchi contrapposti. La governance politica dell’Europa sarà dunque devoluta agli USA, con una UE ormai in fase di dissoluzione.

Questa guerra produrrà fratture insanabili all’interno dell’Europa. Occorre dunque ripensare l’Europa, acquisendo la coscienza dell’artificialità delle barriere novecentesche tra oriente e occidente, che si rivelano ormai antistoriche. L’Europa rinnega se stessa, nella misura in cui non si percepisce come continente eurasiatico, in cui convivono da sempre popoli diversi, dotati di una propria identità specifica, ma accumunati da un unico destino. E’ altresì evidente il fallimento della UE, quale unione fondata esclusivamente su interessi economici e quindi destinata a dilaniarsi in conflittualità interne insanabili.

I confini di una nuova Europa non corrisponderanno più con quelli geografici. Accanto all’Europa carolingia, dovrà emergere la centralità dell’Europa mediterranea, protesa a coinvolgere anche i popoli del nord Africa e del medio oriente, in virtù delle comuni radici storiche e spirituali. E’ la sola Europa possibile. I paesi dell’anglosfera e del Baltico appartengono ormai ad altre aree sia culturali che geopolitiche non compatibili con il processo di unificazione europea. La configurazione di una possibile nuova Europa è magistralmente delineata da Franco Cardini in una recente intervista rilasciata a “La Verità”: “Fin dal Novanta al crollo dell’URSS avevano promesso a Gorbaciov che la Nato non sarebbe avanzata neppure di un pollice. Si sono mangiati tutta l’Europa orientale. Stiamo presentando il mondo con il confine Occidente dove sta il bene e Oriente dove sta il male. Ma questo confine non c’è: esiste una dimensione euro-afro-asiatica, ci doveva essere e dovevamo ribadire e difendere la centralità del Mediterraneo forte di una enorme tradizione. Invece ci troviamo a considerare gli americani come fossero i fratelli della porta accanto, i russi come criminali, i cinesi chissà come e nel frattempo ci siamo impoveriti e diventiamo sempre più succubi”.

Ucraina: Il mondo al bivioUcraina: Il mondo al bivio – Libro

Quelle attività biologiche militari Usa sul territorio ucraino…

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI – FUORI DAL CORO

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/05/16/quelle-attivita-biologiche-militari-usa-sul-territorio-ucraino/

L’UCRAINA È STATA ESSENZIALMENTE UN ENORME LABORATORIO UTILIZZATO PER LO SVILUPPO DI COMPONENTI DI ARMI BIOLOGICHE E LA SPERIMENTAZIONE DI NUOVI CAMPIONI DI PRODOTTI FARMACEUTICI?

Ho saputo che esiste un vecchio detto finlandese che dice: “un russo è sempre un russo, anche se lo friggi nel burro”. Il significato è semplice ed intuitivo: si tratta di un popolo con una forte connotazione identitaria, che va dalla religione alla mentalità, dagli usi e costumi alla tradizione, dalla cultura all’arte, dalla letteratura alla politica.

Nonostante la vicinanza geografica con la terra degli zar, gli affari ed i buoni rapporti di lunga data, Finlandia e Svezia entrano nella NATO. Un atto pesante, in questo momento storico, che classifica, almeno sul piano politico, i due Paesi baltici nel Patto Atlantico, così obsoleto ed inutile che il buon senso l’avrebbe dovuto chiudere col crollo del Muro di Berlino nel 1991. Morto il Patto di Varsavia ed il comunismo come regime, non aveva e non ha alcun senso mantenere in piedi la NATO. Mosca si sente braccata e, nel denunciare l’evidenza di questa provocazione, che vede “in pericolo la sicurezza nazionale”, prepara la minaccia nucleare.

A pagina 141 della relazione annuale dell’alleanza atlantica Nato, un documento ufficiale appena diffuso, si trovano le risposte corrette alle domande sbagliate che la politica italiana si è posta sulle spese militari. L’Italia ha aumentato gli investimenti in maniera considerevole nel 2020, anno del virus, con un salto da 21 miliardi di euro a oltre 26. Il parametro di riferimento nei dibattiti politici e televisivi è il 2 per cento del prodotto interno lordo (pil) richiesto dai vertici Nato. I 26.360 miliardi di euro ascritti all’Italia rappresentano circa l’1,6 per cento del pil registrato nel 2020. Come già illustrato in un servizio de L’Espresso, lo Stato ha messo a disposizione della Difesa almeno 30,4 miliardi di euro per il 2022.

L’art. 11 della Costituzione dice che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa” o come mezzo per risolvere le controversie, quindi non consente che si possa attaccare un altro popolo, quanto solo difendersi. Se, senza risolvere un tubo, si è dibattuto in maniera netta, parlando di “Costituzione violata”, quando l’Italia subentrò nella questione afghana in seguito ad un mandato ONU e alla richiesta del governo di Kabul e, in maniera ancor più evidente nella violazione della Carta, con l’intervento dell’esercito italiano in Libia, in quanto una missione di pace non dovrebbe prevedere costanti scontri a fuoco e l’invio di bombe, tutti tacciono di fronte all’invio di armi da guerra ad un Paese straniero che non fa parte di alcuna alleanza con noi?

L’impressione è che si voglia malcelare un atto di guerra perché si hanno le spalle coperte dagli Stati Uniti d’America, ove il nostro premier Mario Draghi ha ricevuto encomi, lodi e pacche sulle spalle da Sleepe Joe e un super premio da una nota lobby mondialista statunitense, operante anche in Europa.

Fateci caso, si parla sempre di NATO e molto poco di ONU. Senza pensar male, vanno esposti i fatti: il Consiglio di Sicurezza dell’ONU che è l’organo direttivo che adotta gli interventi militari, è composto da 15 membri, di cui 5 con diritto di veto (USA, Regno Unito, Francia, ma anche Cina e Unione Sovietica), per cui non si può parlare di un intervento militare a sostegno dell’Ucraina da parte dell’ONU, perché la Federazione Russa conserva ancora il diritto di veto nel Consiglio.

Infine, e qui viene il bello (si fa per dire): i Russi hanno trovato i documenti relativi alle attività biologiche militari degli stati Uniti sul territorio ucraino, che espongono sia la NATO che alcune importanti case farmaceutiche, per cui l’Ucraina è essenzialmente un enorme laboratorio utilizzato per lo sviluppo di componenti di armi biologiche e la sperimentazione di nuovi campioni di prodotti farmaceutici. Questa situazione genera grossi dubbi su chi sia veramente l’aggressore e chi l’aggredito, su chi abbia reale interesse a continuare una guerra per imprimere la sua supremazia mondiale di potere.

Il Ministero della Difesa russo ha informazioni secondo cui si stanno preparando provocazioni per accusare le forze armate russe di utilizzare armi di distruzione di massa, seguite da un’indagine tipo “scenario siriano” per fabbricare le prove necessario e attribuire la colpa di tutto ai russi. E’ storia già vista, con Saddam Hussein. Le armi di distruzione di massa non sono mai state trovate, ma lui è stato ucciso. Putin non è Saddam, anche se qualcuno vorrebbe fargli fare la stessa fine, con lo stesso metodo.

Svezia, una scuola vieta la festa di Santa Lucia in nome della “uguaglianza”

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Santa LuciaTradizioni calpestate

Svezia: vietato insegnare all’Università che uomini e donne sono biologicamente diversi

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Segnalazione Redazione BastaBugie

Altre notizie dal mondo gay (sempre meno gaio): in India l’omosessualità non è più reato, bandiera arcobaleno all’ambasciata italiana in Spagna, la Massoneria apre ai trans
di Caterina Giojelli

(LETTURA AUTOMATICA)

Germund Hesslow è professore di neurofisiologia a Lund, in Svezia, ed è anche sotto inchiesta per avere affermato che esistono differenze biologiche tra maschi e femmine. Non solo: quando è stato invitato a ritirare subito queste affermazioni «transfobiche» e «antifemministe» si è rifiutato di fare marcia indietro. Il fattaccio si è consumato durante una lezione del suo corso “Heritage and Environment”, nel corso della quale Hesslow ha citato uno studio secondo il quale le differenze tra uomini e donne sono «biologicamente fondate», quindi entrambi i generi non possono essere considerati come «soli costrutti sociali».

L’IRA DEGLI STUDENTI
Accusato dagli studenti di aver pronunciato affermazioni incompatibili con la “value base” svedese (che richiede a tutte le scuole del paese di aderire a una politica etica comune, che include valori come egualitarismo, libertà individuale e uguaglianza dei sessi), al professore è stato chiesto dai vertici dell’Università di scusarsi pubblicamente. A quel punto Hesslow si è rivolto alla Academic Rights Watch (fondata per monitorare i tentativi di limitare i diritti fondamentali di insegnanti e ricercatori) col dubbio che qualcuno volesse rimuoverlo dal suo corso.
Secondo l’Arw i problemi del professore sono iniziati quando una studentessa ha inviato una mail a un altro docente dell’università lamentandosi: «Perché non possiamo avere un docente con le competenze giuste sull’argomento?». La ragazza ritiene che le differenze biologiche e la teoria genetica non rientrino nelle aree di insegnamento del professore e che sarebbe piuttosto opportuno per gli studenti assistere a lezioni su quanto hanno subito le donne per centinaia di anni in nome della scienza medica, dalle mutilazioni genitali alle lobotomie forzate. Ritiene inoltre che Hesslow si sia espresso in modo «transfobico» quando ha detto «cambiare sesso è una moda». Un’affermazione scandalosa, che oltre a offendere studenti magari già soggetti a transfobia potrebbe influenzare il comportamento nei confronti dei transgender che già rimpolpano le statistiche sui suicidi e via discorrendo. Continua a leggere

Intervista al ministro leghista Fontana: “Alleanza identitaria per influenzare il Ppe a Strasburgo”

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Foto: Tony Gentile/Reuters

“Dalla Svezia segnale importante: da ottobre parte il lavoro per le europee, puntiamo a essere il secondo gruppo al Parlamento Ue”

di Angela Mauro

“Il buon risultato dei Democratici svedesi è un segnale molto importante. A partire da ottobre avvieremo tavoli di lavoro con le altre forze identitarie europee per costruire insieme una piattaforma per le elezioni di maggio. Obiettivo realistico: diventare il secondo gruppo a Strasburgo e condizionare così le scelte del Parlamento europeo, magari costruendo una maggioranza con il Ppe per impedire che ce ne sia un’altra consociativa tra Popolari e socialisti”.

Lorenzo Fontana esulta per il risultato della destra di Jimmie Akesson alle politiche in Svezia. In questa intervista ad Huffpost, il ministro leghista, ex eurodeputato del Carroccio e mente della svolta sovranista della Lega, traccia le tappe del progetto politico di Matteo Salvini da qui alle europee di maggio 2019. Missione: conquistare Bruxelles e Strasburgo e cambiare i connotati all’Ue.

Partiamo dalla Svezia: l’exploit dei populisti non c’è stato, sebbene abbiano guadagnato consensi.

I sondaggi dell’ultima settimana li davano tra il 16 e il 19 per cento, direi che si sono rivelati giusti: i ‘Democratici svedesi’ sono andati oltre il 17 per cento, mentre i socialdemocratici sono in calo pure in Svezia, la patria della socialdemocrazia. E’ il trend degli ultimi dieci anni.

Ora che succede, da qui alle europee di maggio?

A breve, penso da ottobre, ci sarà una serie di tavoli di lavoro con le altre forze identitarie europee per costruire una piattaforma per le elezioni. Il primo dovrebbe essere a Vienna.

Per costruire un’alleanza… come la chiamate: sovranista? Populista? Identitaria? Continua a leggere

Perché nel paradiso svedese vanno forte gli estremisti? Perché non è un paradiso

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di Rodolfo Casadei

Perché nel paradiso svedese vanno forte gli estremisti? Perché non è un paradiso

Fonte: Tempi

È il paese industrializzato che si è ripreso meglio dalle conseguenze della crisi finanziaria globale del 2008, il secondo migliore di tutta l’Unione Europea per tasso di disoccupazione (5,9 per cento) e il primo per tasso di occupazione (82 per cento della manodopera); il suo Pil cresce al ritmo del 3 per cento annuo grazie anche agli investimenti in sviluppo e ricerca, i più alti di tutta Europa (3,3 per cento del Pil) ed è posizionato al primo posto nelle classifiche mondiali dello sviluppo sostenibile, delle opportunità imprenditoriali e della competitività economica. Eppure alle elezioni previste per domenica 9 settembre il suo principale partito di governo rischia di registrare il peggiore risultato degli ultimi 100 anni, mentre i due partiti di opposizione di estrema sinistra e soprattutto di estrema destra sono accreditati del miglior risultato della loro giovane storia.

Com’è possibile? È possibile se siete in Svezia, e se ai dati socio-economici più belli del mondo o d’Europa si affiancano statistiche inquietanti come quelle che ultimamente sono balzate agli onori delle cronache: in un paese di 10 milioni di abitanti dove fino a 10 anni fa le sparatorie erano quasi sconosciute, ne sono state registrate ben 320 l’anno scorso, insieme a 110 omicidi e 7.226 stupri denunciati, il 10 per cento in più del 2016. Il 36 per cento delle donne dichiara di sentirsi in pericolo al calar della notte, e i verbali di polizia danno loro ragione: le denunce di violenze sessuali sono triplicate fra il 2012 e il 2016, interessando così il 4,1 per cento di tutte le donne, contro l’1,4 per cento di sei anni fa. Continua a leggere

Se anche la sinistra se ne accorge: “Il popolo si rivolta contro le élite”

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di Matteo Carnieletto

Se anche la sinistra se ne accorge:  “Il popolo si rivolta contro le élite”

Fonte: Gli occhi della guerra

Si fa presto a dire che il populismo è il male assoluto. Una sorta di fascismo del nuovo millennio da estirpare. Certo, nei movimenti populisti di oggi ci sono punte di estremismo, a volte perfino di razzismo. Ma non si può comprendere come questi movimenti stiano avendo successo in tutto il mondo senza comprenderne le cause. Quelle più profonde e che hanno creato il malcontento nel popolo che poi va alle urne e decide chi premiare (o castigare).
In un’intervista a Il Manifesto, il noto attivista Noam Chomsky ha detto la sua, non risparmiando nessuno, soprattutto la sinistra americana: “Negli Usa molti lavoratori hanno votato per Obama, credendo nel suo messaggio di speranza e cambiamento, e quando sono stati rapidamente disillusi, hanno cercato qualcosa’altro. Questo è terreno fertile per demagoghi come Trump, che fine di essere la voce dei lavoratori mentre li indebolisce di volta in volta attraverso politiche antisindacali della sua amministrazione, che rappresenta l’ala più selvaggia del Partito Repubblicano”. Qui Chomsky ha ragione sulla prima parte, ma torto sulla seconda, dato che con Trump si è registrato il tasso più basso di disoccupati dal 2000.  Continua a leggere

Perché il Le Pen svedese sta conquistando il Paese

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Risultati immagini per il Le Pen svedeseBrutta perturbazione in arrivo dalla Scandinavia su Bruxelles, cioè la caduta, dopo oltre un secolo, del partito Socialdemocratico svedese. Che vorrebbe dire un colpo da ko alla già precaria stabilità politica dell’Unione, soprattutto perché la prevista disfatta del «partito-Stato» dato al massimo al 25 per cento (solo negli anni Novanta viaggiava su percentuali intorno al 45) potrebbe essere accompagnata dal balzo della destra sovranista, dal 4 per cento del 2010 al 20 per cento nelle prossime elezioni generali del 9 settembre. Bruxelles guarda a Nord con terrore perché, anche se la Svezia ha gli stessi abitanti dell’Ungheria di Viktor Orban, il suo peso politico e simbolico è di ben altro genere. Cosa accadrebbe se si aprisse una falla anche in Scandinavia, addirittura nel Paese più progressista, bastione del multiculturalismo e dei valori universali dell’accoglienza? Infatti il governo, nonostante gli ottimi risultati sul fronte economico, con una disoccupazione praticamente inesistente, paga per non aver rinunciato, nemmeno in tempo di antiglobalismo dilagante, alla tradizionale solidarietà terzomondista del partito che fu di Olof Palme («siamo una superpotenza umanitaria», diceva solo tre anni fa il premier Stefan Lofven), accogliendo, in un Paese di soli 9.5 milioni di abitanti, più profughi di tutti gli altri membri dell’Unione europea, 600mila dal 2014, 163mila richiedenti asilo solo nel 2015. Continua a leggere

Misteriosa morte di un giornalista che investigava sui finanziamenti di Soros ai gruppi antifa in Europa

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Risultati immagini per Misteriosa morte di un giornalista che investigava sui finanziamenti di Soros ai gruppi antifa in Europa

Sembra ormai sulla via dell’archiviazione la morte del giornalista investigativo Bechir Rabani, che si era infiltrato nei gruppi violenti di sinistra come gli antifa ed era  stato trovato morto nel dicembre 2017, poco dopo aver presentato delle denunce sui finaziamenti occulti del finanziere globalista George Soros a queste organizzazioni.

Bechir Rabani, 33 anni, di origine palestinese, con passaporto svedese, era un giornalista indipendente e blogger molto conosciuto in Svezia per le sue inchieste e per le sue rivelazioni circa le collusioni fra i settori dell’alta finanza e le organizzazioni pro immigrazione che operano in Europa. Alcune delle sue inchieste avevano suscitato reazioni ed attacchi dagli ambienti della sinistra mondialista e dai media ufficiali che lo accusavano di “complottismo”.

I sui amici avevano scritto di lui “”Bechir era un combattente caparbio che ha sperato nella giustizia e che senza esitazione ha difeso tutti quelli che non potevano o non osavano. Ricorderemo Bechir per la sua energia, la sua forza trainante e non da ultimo per il suo lavoro”. Continua a leggere

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