Afghanistan in mano ai talebani: la tragedia continua…

Condividi su:

di Ferdinando Bergamaschi

Afghanistan: da quando l’ultima truppa americana si è ritirata lo scorso 31 agosto, lasciando il Paese nelle mani dei talebani, la situazione a Kabul rimane sempre drammatica per non dire tragica. Le cronache della capitale raccontano per esempio di due esplosioni che il 10 dicembre hanno ucciso almeno due persone e causato quattro feriti. Sui social era circolata una presunta rivendicazione dell’attentato da parte dell’Isis-k, la formazione affiliata allo Stato islamico che si oppone al governo dei talebani. E sempre all’Isis-k molto probabilmente è da attribuire l’attentato del 14 dicembre, quando l’esplosione di una mina posizionata lungo una strada di Kabul ha causato la morte di un civile e il ferimento di due membri delle forze dell’ordine.

A tutto ciò va aggiunta la denuncia del vice Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu Nada Al-Nashif. Sempre il 14 dicembre, ha accusato i talebani di aver effettuato almeno 72 “uccisioni extragiudiziali” di ex membri delle forze di sicurezza e di altri esponenti del precedente governo afghano. Al-Nashif ha aggiunto che “in diversi casi i corpi sono stati esposti in pubblico. Ciò ha esacerbato la paura in una parte significativa della popolazione”. 

Ma al di là degli attentati e delle denunce registrati dalle cronache, la questione afghana sembra essere stata messa nel dimenticatoio. E questo è tanto più sorprendente se si considera la sistematica violazione dei più basilari diritti umani da parte dei talebani sia da un punto di vista sociale, che economico, che culturale.

La tempesta perfetta

La Commissaria europea agli Affari interni Ylva Johansonn aveva delineato un quadro del genere già durante il vertice che aveva presieduto lo scorso 7 ottobre: “Si sta preparando una tempesta perfetta. Oltre il 90% degli afghani affronta la minaccia della fame, il sistema sanitario rischia il collasso. E così l’economia. Ci sono notizie preoccupanti di oppressione, coloro che hanno lavorato con noi e condividono i nostri valori hanno molto da perdere: gli interpreti e le loro famiglie sono vittime di minacce; operatori per i diritti umani vengono arrestati. Ed è peggio per le donne e le ragazze, che spesso hanno paura di andare a scuola o al lavoro: donne giornaliste e dipendenti pubblici licenziate, donne giudici braccate dagli uomini che hanno messo in prigione.” E le cose, purtroppo, sembrano tutt’altro che migliorate.  

Crisi umanitaria 

Secondo il Norwegian Refugee Council, nel Paese 18 milioni di afghani su quasi 39 milioni sopravvivono grazie agli aiuti umanitari; un terzo della popolazione è sottoalimentata e un milione di bambini rischiano di morire di freddo e fame durante l’inverno. Una crisi umanitaria sempre più grave dopo che le riserve della Banca centrale afghana depositate all’estero sono state congelate e i trasferimenti di denaro interrotti, in seguito alla riconquista dei talebani. Per questo a metà ottobre la Commissione europea era intervenuta con un pacchetto di aiuti da un miliardo di euro che andranno direttamente alla popolazione tramite le Ong sul territorio. 

Il dramma dei profughi

Chi non ricorda le resse infernali all’aeroporto di Kabul per fuggire dal Paese? Secondo i dati dell’Onu sono state oltre 200.000 le persone evacuate da Kabul. La grande maggioranza è scappata in Pakistan e Iran con destinazione Turchia, considerata la porta d’accesso per l’Europa. Tuttavia questo flusso spesso si è arrestato nel Paese di Erdogan. Con l’autocrate turco che tiene i profughi in pugno, forte degli accordi con l’Unione europea e li utilizza come leva politica. 

La situazione delle donne

Nel Paese peggiora anche la condizione delle donne. I divieti e le punizioni per loro sono agghiaccianti: fuori casa non possono lavorare; e nemmeno svolgere attività se non accompagnate da un parente stretto; c’è il divieto di studiare in scuole, università o altre istituzioni educative; naturalmente per loro vige l’obbligo di indossare il burqa; è prevista la lapidazione pubblica se accusate di avere una relazione al di fuori del matrimonio; vengono frustate in pubblico le donne che hanno le caviglie scoperte; e ancora per loro c’è il divieto di praticare sport.

Questi sono solo alcuni dei terribili aspetti del nuovo (o per meglio dire vecchio) corso che il regime dei talebani ha imposto alle afghane. E a noi fa venire i brividi soltanto il fatto che possa esistere una legislazione appositamente femminile, con il mondo che sta a guardare.

 

I “talib” e quello che non sapete

Condividi su:

di Massimo Fini

Fonte: Massimo Fini

“Apre bocca e gli dà fiato” è un detto toscano riferito a persona che parla di cose che non conosce. Un tipico “apre bocca e gli dà fiato” seriale, perché ha una rubrica quotidiana sul Corriere della Sera, Il Caffè, è Massimo Gramellini.
Io credo che il primo dovere di un giornalista sia quello di documentarsi, soprattutto quando entra in campi di cui non si è mai occupato. Nel suo Il Caffè del 17/9 intitolato “Talebani distensivi” Gramellini prende spunto da una notizia falsa per poi argomentare in modo altrettanto falso: l’uccisione di Baradar, attuale presidente provvisorio dell’Afghanistan, da parte di suoi avversari politici, gli haqquani. Sarebbe bastato che Gramellini telefonasse al suo collega Lorenzo Cremonesi, che è su quel campo da molti anni, per accertare che quella notizia era una balla.
Con i piedi poggiati su questa fake Gramellini costruisce il suo articolo che è un attacco nei miei confronti, ma senza fare il mio nome, nel modo viscido che è il costume del Corriere “il giornale più vile d’Italia” come lo definii in un’intervista che mi fece Beppe Severgnini. E Severgnini, molto all’inglese, non batté ciglio perché non è Gramellini.
Cosa dice dunque Massimo Gramellini nel suo pezzo: “A Kabul l’ultimo Consiglio dei ministri è stato piuttosto movimentato, con i talebani che si sparavano addosso tra di loro e il capo dei cosiddetti moderati, Baradar, dato per disperso. Al momento nessuno sa dire dove sia: se in ospedale o sottoterra. Si tende a sopravvalutare il Male: ogni tanto sembrerebbe una farsa, se non fosse sempre una tragedia. Tornano alla mente le lucide analisi di certi pensatori italiani che per puro odio verso l’America e i valori occidentali sono arrivati a dipingere i talebani come valorosi guerrieri tutti d’un pezzo.  Ruvidi, magari, e un tantino retrò sul concetto di uguaglianza tra i sessi, ma nobili e cavallereschi. In realtà si tratta di clan tribali che litigano per le poltrone peggio di un manipolo di sottosegretari nostrani, ma con metodi decisamente più spicci e guidati dai capimafia che, appena si trovano intorno allo stesso tavolo per spartirsi il bottino, cercano di eliminarsi a vicenda…. Quell’anima di Giushappy Conte, immediatamente imitato dai trombettieri della sua corte, aveva colto nei primi atti del nuovo regime ‘un atteggiamento abbastanza distensivo’. Dopo la sparatoria dell’altro ieri osiamo sperare che abbia cambiato avverbio e soprattutto aggettivo. Forse con i talebani bisogna trattare. Ma come si tratta con un bandito che ti ha rapito la nonna e le tiene un coltello sotto la gola. Senza concedere loro neanche per un attimo lo status di legittimi rappresentati di una nazione.”
Perché Gramellini non si pone una domanda semplice semplice. È possibile che un gruppo di ragazzi, perché allora erano dei ragazzi, studenti delle madrasse (talib vuol dire appunto ‘studente’, che allora non sapevano nemmeno di essere talebani, il nome gli venne dato dopo) abbiano potuto ingaggiare una guerra di indipendenza contro il più forte esercito del mondo durata oltre vent’anni e per soprammercato vincerla, senza avere l’appoggio della maggioranza della popolazione? Sia chiaro, a Gramellini e a tutti i Gramellini, che nei Talebani io non difendo la loro ideologia sessuofobica, che mi è completamente estranea, ma il diritto di un popolo, o di parte di esso, a resistere all’occupazione dello straniero. Altrimenti prendiamo la nostra Resistenza su cui abbiamo fatto tanta retorica, che è durata un anno e mezzo e aveva l’appoggio degli Alleati, mentre i talebani non avevano il sostegno di nessuno, e buttiamola nel cesso. Trovo piuttosto indecente immiserire la lotta d’indipendenza afgano-talebana, che è costata fiumi di sangue, a uno scontro fra clan mafiosi, tipo quello cui assistiamo quotidianamente in Italia fra i partiti. A furia di guardare il mostro si finisce per assomigliargli.
Che l’Afghanistan sia formato da clan Gramellini l’ha orecchiato da Anselma Dell’Olio che l’ha orecchiato da qualcun altro che a sua volta l’ha orecchiato da altri ancora. Gli occidentali si alimentano delle proprie menzogne e finiscono per crederci. Clan o non clan, diversità tribali e no, il fatto è che gli afgani hanno un fortissimo senso di identità nazionale basato su valori ideali che sono scomparsi in Occidente e che ha permesso loro nell’Ottocento di cacciare, dopo una lotta durata trent’anni, gli inglesi, nel Novecento di sconfiggere i sovietici, di ricompattarsi sotto la guida del Mullah Omar contro quegli avventurieri chiamati “signori della guerra” e infine di sconfiggere gli occidentali.
Gli occidentali non riescono proprio a digerire di essere stati sconfitti da quel gruppo di straccioni chiamati Talebani. E in effetti questa è una sconfitta molto più sanguinosa di quella che gli americani subirono in Vietnam. Perché i Viet Cong avevano l’appoggio della Russia e della Cina e, a livello culturale, dell’intellighenzia europea che allora era orientata in senso comunista. Quante volte abbiamo visto in Italia e in Europa grandi manifestazioni contro la guerra del Vietnam? Per la guerra all’Afghanistan non ce n’è stata neanche una.
Quanto al mio antiamericanismo, che non è rivolto contro il popolo americano che è un popolo naif, deliziosamente ingenuo tanto da ingurgitare qualsiasi balla, ma alla leadership yankee democratica o repubblicana che sia, non c’è bisogno di alcun odio preconcetto. Basta, come il Sancio Panza di Guccini, guardare i fatti. Lasciando perdere l’Afghanistan è dal 1999, guerra alla Serbia, per proseguire poi con la guerra alla Somalia (2006-2007) per interposta Etiopia, a quella all’Iraq del 2003, a quella contro la Libia del colonello Mu’ammar Gheddafi del 2011, per capire che gli Stati Uniti ci hanno trascinato in guerre disastrose, non solo per i popoli aggrediti, a spanna un milione e mezzo di morti, che si sono alla fine rivolte contro l’Europa.
Che l’idillio con i vincitori della Seconda Guerra Mondiale fosse finito lo ha detto quattro o cinque anni fa Angela Merkel quando dichiarò paro paro: “gli americani non sono più i nostri amici di un tempo, dobbiamo imparare a difenderci da soli”. Se poi Massimo Gramellini vuole arruolare anche Merkel fra gli odiatori sistematici dell’America faccia pure. Io mi sono sempre sentito estraneo al concetto di Occidente, un agglomerato che ricorda in modo sinistro l’Eurasia e l’Estasia dell’Orwell di 1984. Io mi sento un  europeo che ha alle spalle una grande tradizione, a cominciare dalla cultura greca, non uno yankee. Écrasez l’infâme!

La coscienza sporca dell’Occidente

Condividi su:

di Massimo Fini

“Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti.” Fabrizio De André

Le vicende del repentino collasso del governo di Ashraf Ghani ricordano da vicino quanto accadde durante “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”. Anche allora lo Zar non faceva che mandare truppe su truppe contro gli insorti, un pugno di uomini guidati da Trotskij e da Anton Ovseenko (Lenin se ne stava prudentemente nascosto, sotto una parrucca bionda, alla stazione di Finlandia). Ma le truppe dello Zar non arrivavano mai sul posto, si squagliavano prima. Così i 350.000 soldati dell’esercito di Ghani si sono arresi senza combattere, mentre i loro comandanti fuggivano. Era prevedibile che senza l’aiuto dei bombardieri americani l’esercito governativo non avrebbe retto all’urto dei Talebani, ma una presa così fulminea di Kabul è stata possibile perché i soldati arruolati dal governo non avevano alcuna voglia né motivazione per battersi.

Adesso le “anime belle” e democratiche occidentali paventano, o piuttosto si augurano per salvare la propria coscienza avendo sempre descritto i Talebani come ‘brutti, sporchi e cattivi’, chissà quali sfracelli e vendette in Afghanistan. In linea di massima non ci saranno né gli uni né le altre. I Talebani non infieriranno certamente sui soldati governativi perché sanno benissimo che si tratta di loro coetanei che, in un Afghanistan devastato economicamente e socialmente dall’occupazione occidentale, arruolarsi era uno dei pochi modi per avere un salario. Peraltro  l’ ‘Emirato islamico d’Afghanistan’ (così lo stato afghano è tornato ad avere il nome che gli aveva dato il Mullah Omar) ha già preannunciato un’amnistia generale , come aveva fatto nel 1996 Omar dopo aver sconfitto i “signori della guerra” che avevano fatto dell’Afghanistan terra di ogni genere di soprusi sulla povera gente. Nulla hanno da temere i civili sul cui sostegno i Talebani hanno potuto contare nella loro ventennale guerra di indipendenza. Nulla da temere, checché si strepiti, hanno le donne, almeno dal punto di vista di abusi fisici. I Talebani, proprio a causa della loro indubbia sessuofobia, non hanno mai toccato le donne come dimostra il trattamento più che corretto che hanno loro riservato quando le hanno avute prigioniere. I Talebani hanno assicurato che alle donne verranno garantiti il diritto allo studio e al lavoro, diritto che per la verità esisteva anche prima in linea di principio, ma non di fatto a causa delle convulsioni cui è stato sottoposto l’Afghanistan negli ultimi quarant’anni.

Resta la questione dei ‘collaborazionisti’, di coloro che , tradendo il proprio Paese  hanno lavorato per gli occupanti occidentali. Credo che i collaborazionisti di piccolo cabotaggio, interpreti e simili, verranno lasciati in pace. Per la corrottissima cricca di Ashraf Ghani, governo, governatori provinciali, alti gradi della Magistratura, l’unica soluzione possibile sia che l’ONU, se vuole avere ancora un ruolo positivo nella ‘questione afghana’ di cui si è sempre, colpevolmente disinteressata, fornisca un salvacondotto a costoro perché riparino negli Stati Uniti o in Iran che è sempre stato ostile alla rivoluzione talebana.

Ci sono poi due questioni particolari. E’ stato Massud, il leader dei Tagiki, ad aprire l’Afghanistan agli americani offrendo la collaborazione dei suoi uomini sul terreno. Gli americani non avrebbero mai potuto conquistare l’Afghanistan talebano solo con i bombardieri. Avevano assolutamente bisogno di un appoggio sul terreno e Massud, che non tollerava di essere stato sconfitto dai giovani e allora militarmente inesperti “studenti del Corano”, gliel’ha offerto. Ora sarà bene che i Tagiki non si oppongano ancora una volta alla vittoria talebana, come sembra emergere da una dichiarazione del figlio di Massud da poco tornato dalla Gran Bretagna. Se così dovesse essere sarà di nuovo guerra civile. In quanto a Dostum, che fino a qualche tempo fa aveva il ruolo di vicepresidente nel governo dell’Afghanistan, è stato protagonista di due tra i più efferati misfatti di una guerra pur crudelissima. <<A Mazar fece rinchiudere in dei container e portare nel deserto, sotto il sole, 1250 talebani. “Quando scaricavamo i corpi dai container erano diventati neri per il calore e la mancanza di ossigeno”. Racconterà uno dei carnefici.>>  (Il Mullah Omar, p. 44). Quando gli americani occuparono l’Afghanistan Dostum, allora loro alleato, fece parecchi prigionieri talebani costretti a vivere in una situazione talmente disumana che decisero di ribellarsi. Questa è la scena: << Dopo una quindicina di giorni i prigionieri decisero che tanto valeva morire e si ribellarono. Più che una rivolta fu un suicidio collettivo. I talebani, insieme a ceceni e turchi che li avevano raggiunti quando era iniziata l’invasione, si precipitavano a mani nude, urlando, sugli uzbeki di Dostum che gli svuotavano addosso le cartucciere dei Kalashnikov. Ma la furia dei prigionieri era tale che gli uzbeki non facevano in tempo a ricaricarli prima che quelli che venivano da dietro, scavalcando i morti, gli fossero sopra… Dei prigionieri ne rimasero in vita una ventina. Amnesty International chiese ufficialmente un’inchiesta, anche perché quando si poté fare un sopralluogo molti cadaveri vennero trovati con i polsi e i piedi legati. Erano prigionieri che non avevano partecipato alla rivolta. Altri erano stati mutilati. “Li abbiamo trattati in modo fraterno” dirà, ghignando, Dostum.>>  (Il Mullah Omar, p. 64). Bene, i Talebani non sono usi a torturare i prigionieri, alla moda di Guantanamo, ma non vorrei essere nei panni di Dostum se gli mettono le mani addosso prima che riesca a fuggire, come al solito, in Uzbekistan.

Ma una mano sulla coscienza dovrebbero mettersela anche gli Stati, i governi occidentali e i loro media e giornalisti che hanno seguito la ventennale vicenda afghana senza mai sollevare non dico un flatus di protesta ma di dubbio su ciò che stavamo facendo. E poiché siamo in Italia, purtroppo per dirla con Gaber, tre anni fa, alla Versiliana  chiesi a Luigi Di Maio in procinto di diventare Ministro degli Esteri che cosa mai ci facessero 800 nostri militari in Afghanistan. Di Maio promise pubblicamente di impegnarsi. Lo abbiamo visto. Adesso preferisce strusciarsi alla famiglia Bisignani. In quanto al ministro della difesa Lorenzo Guerini disse che noi italiani non potevamo disimpegnarci dall’Afghanistan in quanto alleati Nato. E’ una menzogna. Gli olandesi, che fanno anch’essi parte della Nato e che in Afghanistan, a differenza nostra, si eran battuti bene, perdendo anche il figlio del loro comandante, lasciarono l’Afghanistan nell’agosto del 2010. E l’Emirato Islamico d’Afghanistan ringraziò il governo e il popolo olandese per quella decisione.

Ma una mano sulla coscienza dovrebbero mettersela tutti gli italiani (oltre al Papa che non ha mai speso una parola su Afghanistan ) che non hanno mai alzato una voce né fatto una qualsivoglia manifestazione, a differenza di quanto avvenne per il Vietnam, per i misfatti che, noi complici, sono stati compiuti in Afghanistan. Una mano sulla coscienza dovrebbero mettersela anche i lettori del Fatto, perché per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti.

Afghanistan, “dietro ai talebani c’è la Cina”. Fonti qualificate: “Li stanno sommergendo di denaro e non solo”

Condividi su:

Franco Frattini è stato due volte ministro degli Esteri nei governi di Silvio Berlusconi, quindi sa bene di cosa parla quando si tratta di Afghanistan. I talebani hanno appena ripreso il potere e fatto ripiombare nell’oscurità l’intero Paese. Intervistato dal Tempo, Frattini ha definito quanto accaduto in Afghanistan un “fallimento terribile”, soprattutto perché gli afghani “dovevano ancora essere accompagnati per lunghi anni verso il consolidamento della normalizzazione”.

A capirlo, secondo l’ex ministro, sarebbero stati soltanto i russi: “Conoscono bene gli afghani, così come li conoscono anche i paldstani. Il Pakistan di chi è grande alleato? Della Cina, che in questo momento sta sommergendo lo stesso Pakistan e i talebani di denaro e non so cos’altro. Un’alleanza diabolica Cina-Pakistan vuol dire consegnare l’Afghanistan alla Cina”. Ma cosa si può fare a questo punto? “La comunità internazionale non può abbandonare l’Afghanistan – ha dichiarato Frattini – la Cina ha un interesse vitale di cui nessuno parla. In questo Paese c’è la riserva di minerali sotterranei maggiore del mondo”.

Inoltre secondo l’ex ministro degli Esteri in Afghanistan si è consumata la sconfitta degli Stati Uniti: “Si può certo parlare dello storico e clamoroso errore delle amministrazioni americane degli ultimi anni. A partire dagli annunci trionfanti di Donald Trump che diceva di ‘accordo fatto con i talebani’. Da qui il ritiro delle truppe Use dall’Afghanistan. Certo, Joe Biden ha sbagliato tutto in questa fase, seguendo i tempi dettati da Trump. Il presidente Usa doveva calibrare la tempistica”.

Fonte: https://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/28337870/afghanistan-dietro-talebani-cina-li-stanno-sommergendo-denaro-cosa-vogliono-davvero.html

Il “grande gioco” israeliano

Condividi su:

di Giacomo Gabellini

Il “grande gioco” israeliano

Fonte: Giacomo Gabellini

All’inizio del 2012, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si recò alla riunione annuale della potentissima American Israel Public Affairs Committee (Aipac) per pronunciare un duro atto d’accusa contro la linea politica dell’amministrazione Obama, interrotto dalla lettura di una alcuni passaggi di una lettera, risalente al 1944, attraverso la quale il Dipartimento della Guerra statunitense aveva comunicato ai rappresentanti del movimento sionista il rifiuto alla loro proposta di bombardare un segmento del tratto ferroviario che conduceva al campo di concentramento di Auschwitz. Alla fine del suo intervento, il leaderdel Likud affermò inoltre che «nessuno di noi può permettersi di aspettare ancora a lungo. In qualità di premier israeliano, non permetterò che il mio popolo viva all’ombra dell’annientamento», strumentalizzando così la sofferenza degli ebrei a fini ideologici conformemente all’ormai consolidata pratica di giustificare la politica israeliana. Lo stesso premier israeliano si prestò a una sceneggiata dello stesso genere in occasione anche dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del settembre 2012, presentandosi dinnanzi ai delegati di tutto il mondo con in mano un manifesto raffigurante una bomba a palla con una miccia accesa, su cui tracciò una linea rossa corrispondente, a suo dire, al “punto di non ritorno”, vale a dire il limite che le Nazioni Unite dovrebbero impedire all’Iran di superare «prima che completi l’arricchimento necessario a fabbricare una bomba».  Continua a leggere