Stranezze del 7/10: “soffiata” alla Borsa e filmati di sicurezza spariti

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Segnalazione del Centro Studi Federici
“Significative vendite allo scoperto prima del 7/10 di decine di società quotate nella Borsa di Tel Aviv”. Spariti i filmati dalle telecamere di sicurezza al confine con Gaza. L’AI “fabbrica obiettivi” e calcola gli effetti collaterali (!)
“Uno studio condotto da ricercatori della New York University e della Columbia University sostiene che i trader hanno ottenuto informazioni sull’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre, prima che avvenisse, e hanno realizzato operazioni short sulle borse degli Stati Uniti e d’Israele nella prospettiva che i prezzi delle azioni crollassero dopo l’attacco”. Così il sito Globes.. In pratica alcuni operatori americani e israeliani hanno scommesso sul fatto che il prezzo di alcuni titoli sarebbe crollato dopo il 7 ottobre, cosa avvenuta.
 
Nella Finanza si sapeva…
“I ricercatori affermano di aver identificato significative vendite allo scoperto prima dell’attacco di decine di società quotate nella Borsa di Tel Aviv. Dallo studio emerge che tra il 14 settembre e il 5 ottobre sono state realizzate acquisizioni short pari a 4,43 milioni di azioni della Banca Leumi”.
“Dopo l’attacco di Hamas, gli stessi hanno goduto di profitti pari a 3,2 miliardi di shekel. I ricercatori scrivono di non aver notato un aumento cumulativo di acquisizioni short su azioni di società israeliane scambiate sulle borse statunitensi, ma hanno identificato un forte e insolito aumento nella negoziazione di opzioni su tali azioni con date di scadenza poco dopo il 7 ottobre”. Possibile, peraltro, che lo studio abbia rivelato solo la punta dell’iceberg nell’insondabile mare magnum della grande finanza.
Nulla di nuovo sotto il sole: anche in costanza dell’attacco dell’11 settembre si erano registrate operazioni anomale in Borsa, che avevano permesso a tanti di lucrare su quanto poi sarebbe avvenuto. Quando la speculazione fu rivelata George W. Bush promise solennemente che gli Stati Uniti avrebbero aperto un’inchiesta, ma non se ne è fatto nulla. Troppi gli interessi in gioco e troppo potenti gli speculatori, che evidentemente sapevano in anticipo quanto sarebbe avvenuto. Dovrebbe meravigliare, ma neanche troppo…
Il mistero di quanto avvenuto quell’11 settembre, come quello che avvolge l’attacco del 7 ottobre, è destinato a restare tale. Per quanto riguarda quest’ultimo, restano le opposte narrazioni pubbliche: l’attacco proditorio denunciato da Israele e la grande operazione della resistenza dall’altra. Mentre, a quanto pare, ad alto livello tanti sapevano e hanno lasciato fare, anche nella Sicurezza israeliana.
La sparizione delle registrazioni video e audio
Ai questi misteri dolorosi si aggiunge la sparizione dei filmati dalle telecamere di sicurezza poste da Israele al confine con Gaza.
Il sito israeliano Walla ha riferito che “una mano invisibile” ha cancellato tutto quanto era rimasto impresso nella “rete militare denominata Zee Tube”. A scoprirlo un funzionario di alto livello dello Stato Maggiore incaricato di investigare sul caso che, giunto sul luogo del delitto, è il caso di dirlo, ha trovato tutto cancellato.
“Funzionari della Divisione di Gaza – prosegue Walla – hanno affermato che c’è stata anche una ‘cancellazione’ delle registrazioni delle comunicazioni del 7 ottobre”. Le registrazioni potrebbero esser state trasferite altrove o cancellate, non si sa. Due le spiegazioni: la prima, più piana, è che si voglia nascondere la palese inefficienza della Sicurezza di quel giorno; la seconda è che si voglia celare altro e più inconfessabile (o forse un mix di ambedue).
A pensar male si fa peccato, ma a volte si indovina. Ha colpito non poco la reazione durissima della Difesa israeliana alla rivelazione di Haaretz sull’elicottero militare che, nell’intento di colpire i miliziani di Hamas, avrebbe sparato contro i civili convenuti al rave.
Rivelazione che aveva rilanciato le domande poste da Max Blumenthal sulla reazione dell’esercito israeliano all’attacco, che sarebbe stata confusa e non selettiva sui bersagli, tanto da aumentare le vittime civili (la rivelazione di Haaretz, va puntualizzato, è stata poi negata dalle autorità).
La variabile Netanyahu
Al di là del particolare, resta la nuova fiammata della guerra di Gaza dopo la fine della tregua. I negoziati in Qatar, proseguiti nonostante la ripresa del conflitto, sono ormai collassati. Hamas e Tel Aviv si rimpallano e responsabilità.
Secondo Alastair Croocke gli Stati Uniti puntavano a una tregua prolungata che fosse prodromica a un cessate il fuoco permanente, perché con il passar del tempo sarebbe stato può arduo riaprire le ostilità.
Ma le autorità israeliane volevano a tutti i costi la guerra, forti anche di un consenso del 90% dei loro cittadini sulla necessità di eliminare Hamas. Dissensi anche sulla durata della guerra, con Blinken che avrebbe dato a Netanyahu alcune settimane per chiuderla, mentre il premier israeliano ribadiva la sua volontà di proseguire per mesi.
Sempre Crooke spiega che Netanyahu sta tentando – anzi sarebbe riuscito – di rimodellare la narrazione della guerra: non più una risposta all’attacco, ma una lotta esistenziale che porti a compimento la lotta di liberazione di Israele, una “Seconda guerra d’indipendenza”, che riprendeva quella del ’48.
Narrazione che, peraltro, unisce le aspirazioni alla Grande Israele del messianismo ebraico con il nazionalismo di certo sionismo laico. Prospettiva massimalista, dunque, che ben si attaglia a una guerra prolungata che dovrebbe permettere la sopravvivenza politica di Netanyahu (che però oggi è stato richiamato alla sbarra: il processo per corruzione potrebbe ripartire…).
 
Eliminare Hamas?
Ad allungare i tempi l’intento dichiarato di eliminare completamente Hamas, che, come scriveva Thomas Friedman sul New York Times del 1 dicembre, è “un obiettivo irraggiungibile”.
Non solo Netanyahu fa orecchie da mercante sull’obiettivo, ma anche sulle modalità dell’operazione. Se la Casa Bianca chiede moderazione (per evitare rotture con i Paesi arabi), la campagna nel Sud da Gaza procede con la stessa modalità alzo zero che ha contraddistinto quella a Nord.
Lo ha dichiarato apertamente il Capo di Stato Maggiore israeliano, secondo il quale la nuova campagna “non sarà meno potente” della precedente (Timesofisrael). Lo dicono anche i numeri: oltre 700 le vittime registrate alla sera di domenica, solo 24 ore dopo la ripresa dei combattimenti (al Jazeera).
La fabbrica di obiettivi
Il numero sproporzionato di vittime civili che sarebbe dovuto anche all’uso (spregiudicato) dell’intelligenza artificiale. A supportare le operazioni, un sistema AI chiamato Habsora, Vangelo (sic), che ha permesso all’Israel defence force di accelerare “significativamente le operazioni”, producendo una lista di obiettivi da colpire. Una vera e propria “fabbrica” di obiettivi (Guardian).
A rivelare il retroscena l’inchiesta di due media (+972, Magazine israelo-palestinese, e Local Call, testata in lingua ebraica) basata su informazioni provenienti dall’intelligence e dall’aeronautica israeliana, fonti palestinesi e fonti aperte.
In estrema sintesi, al sistema sono stati forniti tutti i dati raccolti dall’intelligence israeliana su Gaza, della quale essa sa tutto, compresi i componenti dei nuclei familiari di ogni singolo appartamento; e, insieme, tutte le informazioni raccolte nel tempo su Hamas: i singoli militanti, le loro case, i loro parenti, i luoghi nei quali si tengono o si sono tenute riunioni etc.
L’intelligenza artificiale fornisce quindi l’analisi dei cosiddetti danni collaterali, leggi morti civili, che verrebbero provocati da un attacco a un obiettivo, vero o presunto che sia (la casa di un militante, ad esempio è un possibile obiettivo). “Tale numero [dei danni collaterali ndr] viene calcolato ed è noto in anticipo ai servizi segreti dell’esercito, che sanno anche, poco prima dell’attacco, quanti civili verranno sicuramente uccisi”, si legge su +972.
Così riporta il sito: “Niente accade per caso”, ha detto un’altra fonte. “Quando una bambina di 3 anni viene uccisa in una casa a Gaza, è perché qualcuno nell’esercito ha deciso che non era un grosso problema ucciderla – che cioè era un prezzo che valeva la pena pagare per colpire [un altro] bersaglio. Non siamo Hamas. Questi non sono razzi casuali. Tutto è intenzionale. Sappiamo esattamente quanti ‘danni collaterali’ ci sono in ogni casa”. Ci fermiamo qui, perché crediamo che basti.
Gli aiuti dell’Occidente
Il dramma è che l’Occidente, benché a parole protesti contro l’approccio bellico di Israele – ultimo Macron, il quale ha affermato che l’obiettivo di eliminare Hamas farà durare la guerra un decennio – non fa molto per opporsi. Anzi l’America, dal 7 ottobre, ha fornito a Tel Aviv “15.000 bombe, di cui oltre 5.000 con testate da 2.000 libbre”, quelle che buttano giù interi palazzi (Wall Street Journal).
Non solo. Il sito Declassified Uk, in base a documenti top secret, ha rivelato che “le risorse per lo spionaggio della Cipro britannica sono integrate con la ‘pianificazione e le operazioni militari’ – e l’intelligence probabilmente viene passata a Israele come ausilio al bombardamento di Gaza”. Peraltro, droni britannici e statunitensi sorvolano quotidianamente Gaza, non certo per riprese panoramiche.
Questa guerra, se guerra si può chiamare la mattanza in corso, sta trascinando l’Occidente in un abisso sempre più oscuro.

Pubblica un video contro Israele: il calciatore del Nizza Youcef Atal condannato a 8 mesi di carcere

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Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/03/pubblica-un-video-contro-israele-il-calciatore-del-nizza-youcef-atal-condannato-a-8-mesi-di-carcere/7399904/

di F.Q.

Una multa di 45mila euro e 8 mesi di carcere (con sospensione della pena): questa la condanna del Tribunale di Nizza per Youcef Atal, calciatore della squadra locale e della Nazionale dell’Algeria. Atal è stato condannato per “provocazione all’odio a causa della religione” per aver condiviso un video sui social che invocava “una giornata nera per gli ebrei“. Il giocatore era già stato sospeso dal Nizza, che milita in Ligue 1, mentre la Federcalcio francese ha deciso di sospenderlo per 7 partite a partire dallo scorso 31 ottobre.

Atal, nell’ambito del conflitto tra Israele e Hamas, aveva rilanciato il video del predicatore palestinese Mahmoud al-Hasanat che chiedeva appunto a Dio una punizione contro Tel Aviv. Il Tribunale, oltre a condannarlo, ha stabilito che il calciatore algerino dovrà pubblicare a proprie spese la sentenza sul quotidiano Nice-Matin e su Le Monde. Non solo, la stessa sentenza dovrà essere pubblicata anche sul suo account Instagram – doveva aveva condiviso il video al centro del processo – e rimanerci per almeno un mese.

Atal gioca per il Nizza dal 2018 (è stato anche compagno di squadra di Mario Balotelli). Di ruolo terzino, conta quasi 100 presenze con la maglia dei rossoneri di Francia, ma in questa stagione l’ultima volta che è sceso in campo risale al primo ottobre. Con la Nazionale algerina invece ha vinto la Coppa d’Africa nel 2019 in Egitto.

L’alba di un nuovo Medio Oriente

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Segnalazione di Redazione Il Faro sul Mondo

di Salvo Ardizzone

Il radicale ribaltamento della situazione in Medio Oriente, già in corso da tempo e reso più celere dall’accordo sul nucleare iraniano, ha subito una nuova brusca accelerazione con la scesa in campo della Russia. Per comprendere la portata di eventi destinati a ridisegnare tutta l’area, ed avere ripercussioni globali, occorre fare un passo indietro alle radici degli equilibri di forza che hanno cristallizzato per un tempo lunghissimo quel quadrante a beneficio, più che di Stati, di centri di potere che ne hanno tratto utili immensi.

Il legame stretto che ha unito le enormi riserve energetiche del Golfo alle Major Usa del petrolio, ha determinato un interesse primario delle Amministrazioni che si sono succedute a Washington a tutelare quei petrostati, e più d’ogni altro l’Arabia Saudita. Un legame antico, reso “speciale” dai colossali interessi che ha coinvolto, creatosi oltre sessant’anni fa.

Allora, dopo aver espulso la tradizionale influenza inglese, tutta l’area era sotto il controllo Usa, che con un colpo di Stato, nel ’53, si erano liberati dallo scomodo primo ministro iraniano Mossadeq, reinsediando Reza Pahalavi e facendone il proprio gendarme nel Golfo.

Sembrava una situazione destinata a durare in eterno, ma la Rivoluzione Islamica del ’79 segnò la rottura di quegli equilibri consolidati, segnando la nascita di un forte polo di resistenza all’imperialismo Usa e di contrapposizione alla corrotta dinastia saudita.

Aggressioni in Medio Oriente

Gli eventi che nei decenni successivi si sono succeduti (l’aggressione dell’Iraq all’Iran, la prima e la seconda guerra del Golfo solo per rimanere ai più eclatanti), sono tutti figli del tentativo di mantenere l’assoggettamento dell’area da parte di Washington e Riyadh, eliminando l’unico vero ostacolo, appunto la Rivoluzione Islamica. E quando tutti sono falliti, si è pensato di colpirla con le sanzioni, per indebolirla e isolarla.

Ma la Storia non rimane ferma e le situazioni maturano: l’Amministrazione Obama, portatrice di interessi diversi da quelli dei centri di potere che sostenevano le precedenti, s’è mostrata assai meno incline ad assecondare Riyadh e le lobby ad essa legate. Per il Presidente americano il Medio Oriente era un pantano da cui gli Usa avevano ben poco da guadagnare e già nella campagna elettorale del 2007 si era dato l’obiettivo di districarsi da Iraq e Afghanistan.

Era ed è più che mai convinto che le sorti di potenza globale per gli Usa si decidano nel Pacifico, nella contrapposizione con la Cina. Praticamente una bestemmia per Riyadh, che ha visto nel progressivo allontanamento di Washington e nell’attenuarsi del suo ombrello protettivo un pericolo mortale, in questo pienamente accomunata da Tel Aviv.

Di qui le contromisure: scalzare Governi scomodi o comunque non allineati sostituendoli con altri manovrabili e spezzare quell’area di naturale collaborazione che si stava consolidando dall’Iran al Libano, attraverso Iraq e Siria. Ecco nascere il fenomeno delle “Primavere”, subito cavalcate e indirizzate; di qui il fiorire di conflitti per procura in quelle aree, sia per destabilizzare Stati considerati ostili o comunque non “amici”, che per suscitare zone di crisi in cui invischiare gli Usa impedendone il disimpegno.

Avvento delle Primavere

Ma le cose non sono andate così; dopo anni durissimi (ormai sta scorrendo il quinto), malgrado tutti gli sforzi per sviarla, la Storia ha continuato la sua strada. A parte il destino delle “Primavere”, che meritano un discorso tutto a parte, gli Stati sotto attacco non sono affatto caduti. Inoltre, presa in un pantano irrisolvibile e con in testa altre priorità, l’Amministrazione di Washington s’è mostrata sempre più svogliata nel sostenere il gioco via via più pesante dei suoi storici “alleati” locali: Arabia Saudita, appunto, ma anche Israele.

Quest’ultimo, con cieca arroganza e totale ottusità politica, non ha mancato occasione per scontrarsi con Obama (che, gli piacesse o no, era alla guida del suo tradizionale protettore d’oltre Atlantico) e compattare i suoi nemici, moltiplicando le provocazioni, le aggressioni, i crimini. Un insperato e stupefacente capolavoro politico per i suoi avversari.

È in questo clima che è maturato e ha preso il via l’accordo sul nucleare iraniano, evento di rilevanza storica perché infrange il muro dietro cui si voleva isolare Teheran, e per questo fino all’ultimo avversato invano da sauditi e israeliani.

L’accordo fortemente voluto da Washington non deve stupire. In esso non c’è nessuna resipiscenza per 40 anni di aggressioni ed ingiustizie, quanto il calcolo che l’Iran è indispensabile per la stabilizzazione del Medio Oriente, evitando il completo ed irreversibile collasso delle aree di crisi, come auspicato dagli “alleati” (Turchia, Arabia Saudita ed Israele), che le hanno create per spartirsene le spoglie. Nell’ottica dell’Amministrazione Obama, rinunciato ad un’egemonia Usa sulla regione (ormai impossibile), voleva però impedire che un’unica altra potenza la controlli.

Il disegno Usa in Medio Oriente

Da questo disegno discende tutta l’ambiguità e la contraddizione dell’operato Usa, soprattutto nei confronti dell’Isis, creato a tavolino per destabilizzare l’area e poi ingigantitosi e sfuggito al controllo. Washington sa bene che, spazzato via quel “nemico” tutt’altro che irresistibile (malgrado l’immagine che continuano a darne i media), si otterrebbe la stabilizzazione dell’Iraq ed a seguire della Siria; ma in questo modo si favorirebbe l’unità di un’area di collaborazione da Iran a Libano cementata ora da anni di lotte comuni; proprio quella che, quand’era ancora in embrione, è stata il bersaglio della destabilizzazione del Golfo.

Ed ecco la ridicola attività simbolica della coalizione internazionale a guida Usa che dovrebbe combatterlo, una forza che a volerlo avrebbe potuto incenerirlo in poche settimane, e che da più d’un anno fa poco o nulla. Di qui le resistenze a fornire ciò che serve all’Iraq per difendersi e il malumore nel constatare che quello Stato, un tempo un semplice vassallo, comincia a far da sé con gli aiuti (veri) di Teheran e di Mosca.

Ed ecco tutte le contraddittorie ambiguità sulla Siria, che è e resta il nodo dei problemi in Medio Oriente. In quel pantano sanguinoso, nella distorta logica avvalorata dai media, s’è giunti al paradosso di voler distinguere fra i tagliagole dell’Isis, cattivi perché sfuggiti al controllo di chi li manovrava, e quelli di Al-Nusra, ufficialmente affiliati ad Al-Qaeda ma “buoni” perché controllati da Riyadh. Secondo questa logica distorta, che Arabia Saudita, Turchia e Qatar, col pieno avallo e appoggio degli Usa, armino, finanzino ed aiutino in ogni modo bande di assassini ufficialmente prezzolati, perché destabilizzino uno Stato sovrano per poi spartirlo, sarebbe lecito quanto giusto.

Inserimento della Russia

Il fatto è che la posizione ambigua tenuta da Washington ha generato un colossale vuoto di potere, ed in quel vuoto s’è inserita la Russia, che è una storica alleata della Siria e di interessi in Medio Oriente ne ha eccome. La base navale di Tartus, i nuovi legami con l’Iran, il ruolo nella ricostruzione dell’area che diverrà il terminale della Via della Seta cinese, sono solo alcuni. Poi la possibilità di avere carte in mano da scambiare con Washington nell’altra area di crisi che a Mosca sta a cuore: l’Ucraina. Un intervento che ha sparigliato le carte, suscitando le inviperire reazioni di chi ha visto il proprio gioco irrimediabilmente compromesso, perché, in nome di un ulteriore paradosso sostenuto da tanti osservatori interessati, il fatto che un Governo legittimo sotto attacco chieda sostegno ad un alleato farebbe scandalo, quello che non c’è ad armare i terroristi che lo attaccano.

Sia come sia Putin ha rotto gli indugi e sta dando l’assistenza chiesta da Damasco. In buona sostanza sta fornendo cospicui aiuti militari e con l’aviazione sta colpendo le bande di assassini senza fare quelle distinzioni comprensibili solo alla luce degli interessi di chi la Siria voleva distruggerla per poi spartirsela.

L’intervento ha dato una fortissima accelerazione alla risoluzione delle crisi (peraltro già avviata); malgrado le strenue proteste dei sauditi e degli Stati nel loro libro paga (Francia in testa), non passerà molto che le famigerate bande del “califfo” verranno distrutte e con loro gli altri tagliagole che infestano Siria ed Iraq.

La completa sconfitta Usa

Anche Washington ha protestato con forza, ma nella realtà l’intervento di Putin ali Usa sta bene. Il Medio Oriente era già perduto per gli Usa e neanche considerato più prioritario; così i tempi sono stati solo accelerati. E piuttosto che esserne completamente esclusa, a Washington fa comodo che al centro ci sia la Russia, con cui ha molto da scambiare per la soluzione del problema ucraino e per le sanzioni inferte per la Crimea.

Per Riyadh è il crollo totale del disegno di mantenere potere e privilegi come sempre, in cui tanto aveva investito. È l’ennesimo fallimento che s’aggiunge a una pericolosa crisi finanziaria ed alla sciagurata aggressione allo Yemen, che si sta trasformando in un disastro; insieme potrebbero minare le stesse fondamenta del Regno.

La Turchia, frustrata nei sogni megalomani di Erdogan e con una guerra civile ritrovata con il Pkk che rischia di internazionalizzarsi, coinvolgendo le altre formazioni curde.

Israele è completamente solo, attorniato da nemici che lui stesso ha compattato; adesso può attendere solamente che la soluzione delle crisi che ha contribuito largamente ad attizzare indirizzi su di lui tutte le forze della Resistenza.

È un Medio Oriente allargato assai diverso che sta emergendo rapidamente. Un’area finalmente liberata da antichi imperialismi oppressivi: quello Usa, quello sionista e quello del Golfo. Un’area che dopo anni e anni di lotte sta conquistando il suo autonomo cammino di sviluppo.

In tutto questo spicca la totale assenza dell’Europa, che pure tanti interessi avrebbe ad essere presente, anche solo politicamente. L’ennesima dimostrazione d’inconsistenza, di pochezza e d’inutilità, di Istituzioni tali solo sulla carta. È l’ennesima manifestazione di totale sudditanza di Stati privi di sovranità o, più semplicemente, di una politica che non sia miope egoismo o totale asservimento.

Fonte: https://ilfarosulmondo.it/lalba-di-un-nuovo-medio-oriente/

Tremila bambini palestinesi uccisi da Israele dalla Seconda Intifada

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Segnalazione di Redazione Il Faro sul Mondo

di Yahya Sorbello

Il ministero dell’Informazione palestinese ha sottolineato la brutale violenza contro i bambini palestinesi da parte dell’esercito israeliano, affermando che più di tremila minori hanno perso la vita per mano delle truppe israeliane dalla Seconda Intifada.

Il ministero ha affermato in una dichiarazione che almeno 3.100 bambini palestinesi sono stati uccisi, mentre decine di migliaia hanno riportato ferite dall’inizio della Seconda Intifada, scoppiata il 28 settembre 2000 contro l’occupazione del territorio palestinese da parte del regime di Tel Aviv.

La dichiarazione riporta che 123 minori palestinesi sono stati uccisi e molti altri feriti da quando l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha riconosciuto ufficialmente Gerusalemme come capitale israeliana nel dicembre 2017. Più di 17mila bambini palestinesi sono stati arrestati durante questo periodo.

Secondo le statistiche del Palestinian Prisoners Club e dell’Autorità palestinese per gli affari dei prigionieri, le forze israeliane hanno arrestato oltre 300 bambini tra l’inizio dell’anno in corso. Il numero di minori palestinesi attualmente detenuti nelle carceri israeliane è di 155.

Settemila bambini palestinesi arrestati dal 2015

Più di settemila bambini palestinesi sono stati arrestati dalle autorità israeliane dal 2015 e alcuni sono stati condannati a dieci anni di prigione o all’ergastolo, ha affermato la Palestinian Prisoners ‘Society (Ppd) in una dichiarazione rilasciata alla stampa. La società ha sottolineato che la maggior parte dei bambini detenuti proviene da Gerusalemme.

Il Pps ha invitato le istituzioni internazionali per i diritti umani, e in particolare il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), a compiere seri sforzi per proteggere i bambini palestinesi e ad obbligare le autorità israeliane a rispettare una serie di accordi sulla protezione dei bambini detenuti.

Più di settemila prigionieri palestinesi sono attualmente detenuti in circa 17 carceri israeliane, dozzine di loro stanno scontando condanne all’ergastolo.

di Yahya Sorbello

Fonte: https://ilfarosulmondo.it/tremila-bambini-palestinesi-uccisi-israele-seconda-intifada/

Israele si nasconde dietro la Shoah per umiliare i palestinesi

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Di certo questo articolo non è tacciabile di antisemitismo, visto chi lo scrive, con una certa onestà intellettuale… (N.d.R.)

di Moni Ovadia 

“Isaia, capitolo 1, versetto 17.  Imparate a fare il bene; cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate ragione all’orfano, difendete la causa della vedova”. Moni Ovadia – attore, musicista e scrittore di origini bulgare e di cultura ebraica – cita a memoria un passo della Bibbia per commentare l’ennesima aggressione dell’Esercito Israeliano ai danni dei cittadini palestinesi cacciati – dai coloni israeliani – dalle loro case a Gerusalemme Est, poi bombardati da una delle aviazioni più potenti del mondo nella Striscia di Gaza. Intervistato da Fanpage.it, Ovadia non ha dubbi sul dove schierarsi: “Dalla parte dei palestinesi, cioè dalla parte degli oppressi. Essere ebrei, e io lo sono, significa stare dalla parte dei più deboli”.

Da questa parte del mondo quello di questi giorni viene descritto come uno “scontro”, addirittura come una “disputa immobiliare” su alcune case a Gerusalemme Est. Cosa ne pensa?
È una narrazione completamente distorta. Non c’è nessuno scontro, perché non c’è paragone tra la forza dell’esercito israeliano e quella della resistenza palestinese. Parliamo di un’aggressione vera e propria e di una superiorità soverchiante da parte di Tel Aviv. Da anni Israele occupa illegalmente le terre dei palestinesi e sottopone a continue e quotidiane umiliazioni quel popolo nell’indifferenza della comunità internazionale. Quello di Israele è un governo razzista e segregazionista; se non fosse per le elezioni direi anche fascista. Vogliono cacciare i palestinesi dalle loro case, cancellare la loro identità culturale, e lo stanno facendo forti della compiacenza di gran parte delle potenze mondiali, compresi paesi arabi come Egitto, Giordania e Arabia Saudita. Quello palestinese è il popolo più solo e indifeso del mondo.

Anche in questo caso la comunità internazionale sembra distinguersi per equilibrismo… Si fanno appelli al “cessate il fuoco”, si condanna il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza, ma non si entra mai nel cuore del problema, l’occupazione militare di Gerusalemme Est.
I governi di USA e UE, salvo rare eccezioni, sono composti da ipocriti perché accettano il ricatto degli israeliani sulla Shoah. Io sono ebreo, so cosa è stata la Shoah, e per questo mi domando come si possa legittimare la politica cattiva e sadica del primo ministro Benjamin Netanyahu nei confronti dei palestinesi. Israele continua a giocare il ruolo del povero, piccolo paese indifeso, ha invece uno degli eserciti più potenti del mondo e l’appoggio incondizionato di USA  e UE, mentre la Cina se ne lava le mani. Uno dei suoi pochi nemici storici, la Siria, sarà fuori gioco per 50 anni. Dell’Iran non parliamo: ogni volta che alza la voce, Israele la fa pagare ai palestinesi.

Il suo giudizio sul governo israeliano è molto duro, ma qual è quello sulla società civile israeliana?
Ho solo fonti israeliane, per scelta non uso fonti arabe né palestinesi. C’è in Israele una minoranza coraggiosa che tiene in vita i valori dell’ebraismo e denuncia da anni i crimini di Israele. Parlo di personalità come Gideon Levy, firma storica del quotidiano Haaretz, che accusa il governo di praticare politiche di apartheid nei confronti dei palestinesi. Parlo della sua collega Amira Hass, che racconta i soprusi praticati ai palestinesi. E parlo di un politico moderato come Avraham Burg, ex presidente della Knesset (il parlamento israeliano), che ha chiesto formalmente di non essere più designato come ebreo nel registro della popolazione israeliana. Lui dice: ‘Se gli ebrei sono padroni di Israele non voglio essere ebreo’. Cito: ‘Non smetterò di sentirmi un ebreo ma non voglio più far parte della collettività ebraica in Israele, non voglio percepirmi come un privilegiato rispetto ai non ebrei, chiedo di essere un cittadino israeliano e basta’. Sa perché questa scelta?

No.

La legge sullo stato nazione prevede che in Israele siano titolari di pieni diritti solo i cittadini ebrei, ovvero i figli di madre ebrea. I palestinesi, invece, no. Eppure sono almeno 1,8 milioni. Quella del governo israeliano nei confronti dei palestinesi è, come rilevato di recente anche da Human Right Watch, una politica di apartheid sotto alcuni punti di vista non troppo diversa da quella praticata in Sudafrica.

Si arriverà mai alla pace tra Israele e palestinesi? E a quale pace?
L’importante è che non sia la pace del più forte imposta al più debole. La pace si può fare solo tra eguali: finché gli israeliani non si ritireranno dalle terre occupate, finché cioè non verrà ristabilita la legalità internazionale, non si potrà iniziare nessun vero negoziato di pace.

continua su: https://www.fanpage.it/attualita/moni-ovadia-a-fanpage-it-israele-si-nasconde-dietro-la-shoah-per-umiliare-i-palestinesi/
https://www.fanpage.it/

Com’è umano lei

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A statue of first Israeli prime minister David Ben Gurion seen at the departure hall of Ben Gurion International Airport. October 05, 2016. Photo by Nati Shohat/FLASH90 *** Local Caption *** 

Segnalazione del Centro Studi Federici

Nello stato  d’Israele, che si definisce “esclusivamente ebraico” (legge approvata alla Knesset il 19/7/2018), dopo molte opposizioni ed esitazioni è stato concesso ai non ebrei uno spazio di preghiera all’aeroporto di Tel Aviv (seppur con una cartellonistica discreta per evitare atti di vandalismo da parte degli ebrei ortodossi).
 
Sale di preghiera per cristiani e musulmani all’aeroporto di Tel Aviv
In una nuova ala del Terminal 3 dell’aeroporto internazionale israeliano sono state aperte due sale distinte per la preghiera dei non ebrei
 
Due mani aperte nel gesto della preghiera, sopra una scritta in ebraico, in arabo e inglese. Nella nuova ala E del Terminal 3 dell’aeroporto Ben Gurion – l’aeroporto internazionale di Israele – un cartello semplice e non confessionale indica da qualche settimana le «stanze della preghiera». Ambienti semplici, aperti senza troppo clamore, ma che segnano un gesto importante: il debutto di uno spazio pubblico pensato per la vita spirituale dei non ebrei in un ambiente tra i più frequentati di Israele.
Esisteva ovviamente già una sinagoga nell’aeroporto Ben Gurion, come in tutti i più importanti luoghi di incontro israeliani. Ed era già dal 2006 che l’autorità aeroportuale aveva parlato dell’idea di aprire nel nuovo Terminal uno spazio per la preghiera non ebraica, anche in ragione del fatto che musulmani e cristiani rappresentano insieme quasi il 20% della popolazione israeliana e frequentano come tutti gli altri l’aeroporto. Questo progetto si era perso però nei meandri della burocrazia, finché a rilanciarne l’esigenza è stato un incidente singolare: nel 2015 nel giorno di Simchat Torah – una festività ebraica, durante la quale gli ebrei religiosi non viaggiano – una famiglia di turchi musulmani in transito dall’aeroporto ha scambiato la sinagoga completamente vuota per una moschea e si è messa lì a pregare, utilizzando addirittura i tallit (i manti della preghiera della tradizione ebraica) come tappeti. Quando qualche passante se n’è accorto e glielo ha fatto notare la famiglia ha immediatamente interrotto la propria preghiera scusandosi, mostrando così di essere in buona fede e di non aver avuto alcun intento provocatorio. Ma le immagini erano comunque troppo ghiotte per non circolare sui social.

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Mosca e Washington sanzioneranno Londra, Parigi e Tel Aviv?

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di Thierry Meyssan

Mosca e Washington sanzioneranno Londra, Parigi e Tel Aviv?

Fonte: Comedonchisciotte

Lo scontro di Laodicea potrebbe sfociare in una redistribuzione complessiva delle carte a livello mondiale. Per due motivi, uno dei quali, il secondo, viene nascosto al pubblico occidentale. La prima ragione è che lo scontro è costato la vita a 15 soldati russi; la seconda è che nell’incidente sono coinvolti non soltanto Israele, ma anche Regno Unito e Francia. Si tratta della crisi potenzialmente più pericolosa degli ultimi 60 anni. La questione adesso è capire se il presidente Trump, in piena campagna elettorale per le legislative, sarà in grado di appoggiare il presidente Putin, affinché Stati Uniti e Russia possano sanzionare le potenze coloniali, come insieme fecero nel 1956, durante la crisi di Suez.

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Il 20 settembre 2018 il capo di stato-maggiore dell’aeronautica israeliana, generale Amikan Norkin, arriva in tutta fretta a Mosca per presentare la propria versione dei fatti. Dopo aver verificato le prove esibite da Norkin e averle confrontate con le altre registrazioni, è emerso che Israele mente sfacciatamente.

Il 17 settembre 2018 Francia, Israele e Regno Unito hanno compiuto un’operazione congiunta su obiettivi siriani. Durante i brevi combattimenti, un aereo di ricognizione russo è stato abbattuto da un tiro amico siriano. L’analisi delle registrazioni dimostra che un F-16 israeliano si è nascosto dietro l’Ilyuscin Il-20 per indurre in errore la difesa siriana.

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Siria: islamici dal cuore tenero per Israele

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Hanno bruciato vivi dei prigionieri, sgozzato centinaia di persone, praticato persino il cannibalismo. Eppure anche i terroristi islamici hanno un cuore: infatti, dopo aver occupato il campo dei profughi palestinesi a Yarmouk, in Siria, si sono preoccupati di cercare le salme di due soldati israeliani morti nel 1982 e sepolti nel cimitero del campo, consegnando poi le salme al governo di Tel Aviv per assicurare una sepoltura ebraica. Una storia così toccante (prudentemente censurata dagli organi di disinformazione di massa) degna del libro Cuore!
 
Yarmouk, terroristi riesumano cadaveri di soldati israeliani
Siria – Gruppi terroristici presenti nel campo profughi palestinese di Yarmouk hanno riesumato i cadaveri di soldati israeliani, a conferma della stretta cooperazione tra i terroristi e Tel Aviv.
Il canale di notizie al-Mayadeen in lingua araba ha citato il vice segretario generale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), Tallal al-Naji, che ha dichiarato che l’Isil, il Fronte al-Nusra e i terroristi del Free Syrian Army hanno riesumato le tombe nel campo profughi di Yarmouk, nella periferia di Damasco, su ordine di Tel Aviv per trovare i cadaveri di soldati israeliani. L’ordine di trasferire i cadaveri dei soldati in Israele è stato emesso dal centro di comando israeliano.

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La partenza del giro d’Italia comprata da Israele

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di Alberto Negri

La partenza del giro d’Italia comprata da Israele

Fonte: Alberto Negri

La partenza del giro d’Italia comprata da Israele in guerra e le polemiche su Gino Bartali salvatore degli ebrei
Per rendere memorabile l’evento è stato coinvolto anche Gino Bartali, già entrato nel Giardino dei Giusti dello Yad Vashem e ora cittadino onorario di Israele per il salvataggio di alcuni ebrei tra il 1943 e il 1944. La questione in realtà è assai dubbia, neppure lo stesso Bartali da vivo l’aveva mai confermata. In realtà secondo lo studioso Michel Sarfatti – fino al 2016 direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – si tratta di un clamoroso falso storico
[Nella foto, il giovane Gino Bartali durante la guerra. Gino Bartali era un milite della Repubblica sociale italiana. Più precisamente, era un motociclista della Gnr, la Guardia nazionale repubblicana, a cura della redazione ]  Continua a leggere

Attacchi sulla Siria: le fallite bugie americane sulle armi di distruzione di massa e “l’approccio israeliano”

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di Tony Cartalucci

Attacchi sulla Siria: le fallite bugie americane sulle armi di distruzione di massa e “l’approccio israeliano”

Fonte: Comedonchisciotte

Gli Stati Uniti non sono riusciti ad ottenere il sostegno pubblico per un attacco in Siria come risposta ad un presunto attacco con armi chimiche a Douma, nord-est di Damasco. Sembra quindi che abbiano immediatamente aggirato l’ONU ed il diritto internazionale, dando il compito ai propri delegati a Tel Aviv di svolgere per proprio conto gli attacchi iniziali contro la base aerea siriana T-4.

La CBS, nel suo articolo “Gli Stati Uniti negano l’attacco missilistico in Siria, la Russia dice che è stata Israele“, afferma:

I missili hanno colpito una base aerea nella Siria centrale lunedì mattina. Il Pentagono ha però sùbito smentito le affermazioni dei media siriani, secondo i quali gli attacchi sono stati “un’aggressione americana”. Dopo che un gruppo di monitoraggio sulla guerra ha dichiarato che negli attacchi sono stati uccisi dei miliziani sostenuti dall’Iran, la Russia ha accusato i jet israeliani.

Un attacco israeliano è comunque un attacco americano

Indipendentemente da chi abbia effettivamente condotto l’attacco, questo è stato ordinato dagli Stati Uniti. Continua a leggere