“I cristiani non rimarranno più a lungo a Gerusalemme”

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Segnalazione del Centro Studi Federici

La notizia che segnaliamo non la troverete sui media italiani, di sinistra o di destra, perché nessuno ha il coraggio di denunciare la logica conclusione dell’occupazione sionista della Terra Santa: il tentativo di cacciare i cristiani da Gerusalemme. Solo i mezzi d’informazione legati alle strutture ufficiali della Chiesa in Terra Santa denunciano periodicamente (seppur con toni annacquati in nome del “dialogo giudaico-cristiano”, toni presenti anche nell’articolo che pubblichiamo) la crescita di aggressioni verbali e materiali nei confronti dei cristiani: voce che grida nel deserto… L’ultimo fatto riguarda una troupe del “Terra Sancta Museum” aggredita da un gruppo di giudei.
 
«Non vogliamo cristiani qui!»
 
Il 12 ottobre scorso, durante le riprese per un materiale audiovisivo destinato al Terra Sancta Museum, lungo l’antico cardo di Gerusalemme, la troupe è stata cacciata da un gruppo di ebrei ortodossi. Un incidente non isolato.
 
«Fate i bagagli e andatevene!», ordina un ebreo ultraortodosso sulla trentina alla troupe cinematografica del Terra Santa Museum, prima di aggiungere con tono aggressivo: «I cristiani non rimarranno più a lungo a Gerusalemme». L’episodio, del tutto reale, è avvenuto mercoledì 12 ottobre mattina – mentre gli ebrei erano in piena celebrazione della festa di Sukkot – sul selciato del vecchio cardo romano, che solca il quartiere ebraico della città vecchia. È l’ennesimo esempio dei quotidiani gesti di intolleranza commessi contro i cristiani a Gerusalemme.
 
La squadra della Custodia di Terra Santa, composta da cristiani francesi e palestinesi, si trovava quella mattina nel cardo per girare alcune scene di un video educativo che sarà proiettato ai visitatori della sezione storica del Terra Sancta Museum in via di allestimento presso il convento francescano di San Salvatore.
 
L’audiovisivo servirà a raccontare la storia della presenza cristiana in Terra Santa. La scena che si stava girando il 12 ottobre vuole mostrare i primi ebrei seguaci di Gesù, che, diventati cristiani, continuano a pregare secondo la tradizione ebraica. Quattro israeliani hanno accettato di recitare indossando abiti d’epoca e scialli da preghiera. La produzione aveva ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie per girare sul cardo.
 
«All’inizio, i passanti ci guardavano con curiosità – riferisce una dei membri del gruppo di lavoro – poi è arrivato un ebreo ortodosso che ci ha chiesto cosa stessimo facendo, prima di chiamare altri suoi amici. Una decina di minuti più tardi sopraggiunge un intero gruppo che entra nel campo di ripresa delle telecamere e cantando motivi religiosi». «Hanno capito che eravamo cristiani. Non sembravano particolarmente aggressivi, ma neppure molto benevoli – soggiunge la giovane testimone –. Abbiamo subito messo via l’attrezzatura e i figuranti se ne sono andati».
 
Un’intimidazione
 
Quello descritto non è un incidente isolato. Atti di inciviltà, come sputi e insulti, sono frequenti da parte di una popolazione ebrea ultraortodossa che poco sa del cristianesimo. Anche i monasteri e conventi situati sul monte Sion sono regolarmente oggetto di atti vandalici da parte degli appartenenti a gruppi radicali.
 
«Penso che sia un’intimidazione – osserva una delle comparse coinvolte la mattina del 12 ottobre, un israeliano, ebreo praticante e molto impegnato nel dialogo ebraico-cristiano –. Vogliono solo mostrare il loro potere là dove sono, ma non c’è nient’altro dietro. Se fosse stata presente la polizia, non avrebbero fatto nulla». (…)
 
«Incidenti simili sono imbarazzanti perché si imprimono nella memoria e danneggiano l’immagine della città e delle persone che vi abitano. Atteggiamenti simili vanno contro quello che stiamo cercando di fare: insegnare e spiegare», denuncia Hana Bendcowsky, direttrice dei programmi del Centro di Gerusalemme per le relazioni ebraico-cristiane (Jerusalem Center for Jewish-Christian Relations – Jcjcr), la cui pagina Facebook ha riportato il video dei fatti qui descritti. https://www.facebook.com/jcjcr.org/videos/1601281490269690
 
C’è anche chi si adopera per disinnescare le tensioni: dal 2021, ad esempio, alcuni volontari israeliani in giubbotti gialli dell’associazione Finestra sul Monte Sion, accompagnano ogni domenica le processioni armene (minacciate dai giudei, ndr) dal convento di San Giacomo alla basilica del Santo Sepolcro.
 

Un bellissimo video: la Settimana Santa a Gerusalemme

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Un recente restauro ha fatto rivivere 30 pellicole realizzate dal regista Rinaldo Dal Fabbro per la Custodia della Terra Santa a partire dal secondo dopoguerra. Segnaliamo per l’edificazione dei lettori un filmato relativo alla Settimana Santa nei Luoghi Santi. 
 
Il filmato comprende: la veglia dell’Agonia nella basilica del Getsemani; il Venerdì Santo nel refettorio del convento di San Salvatore; la processione quotidiana nella basilica del Santo Sepolcro; la Via Crucis lungo la Via Dolorosa; il funerale di Cristo al Calvario; la benedizione del pane il Lunedì dell’Angelo a Emmaus; la Messa dell’Ascensione sul Monte degli Ulivi.
 
Settimana Santa in Gerusalemme
 

Terra Santa – I santuari della Passione di Cristo

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Il Santuario della Flagellazione
 
Fra i più venerandi Luoghi che ricordano a Gerusalemme i tratti principali della Passione di Nostro Signore è da annoverarsi il Pretorio dove il divin Maestro per una inesplicabile contraddizione di Pilato, il quale, quantunque poco prima lo avesse dichiarato innocente, tuttavia sperando forse che i Giudei si sarebbero mossi a pietà alla vista di tanto sangue e ferite, assoggettò Gesù alla flagellazione, pena la più crudele e vergognosa, disonorante ed infame che s’infliggeva ai soli schiavi, giacché le verghe dei littori non percuotevano mai un uomo libero.
Nella flagellazione, il paziente, spogliato delle sue vesti veniva legato ad un tronco di colonna e sotto i colpi ripetuti dei carnefici il suo corpo si ricopriva tosto di ammaccature e di piaghe profonde.
Gesù, contro ogni sentimento di giustizia e di pietà fu condannato a questo terribile supplizio da un pagano, che, pur non avendone il minimo sentore, eseguiva a puntino le profezie riguardanti la passione del Messia.
La flagellazione sul Redentore fu eseguita dai suoi nemici più spietati onde non vi sono parole per esprimerne l’atrocità.
Non è scopo di questi brevi cenni ricordare l’antichissimo culto di questo Santuario, che insieme agli altri cadde in mano dei mussulmani e lo profanarono convertendolo in usi profani ed indecorosi.
La Custodia di Terra Santa dopo varie vicende non sempre liete riuscì finalmente a ricuperarlo, restaurandolo come le circostanze lo permettevano, ed i Religiosi per custodirlo si adattarono ad abitare alcune casupole circostanti nella speranza che in tempi più o meno lontani avrebbero potuto richiamarlo all’antico splendore. Con arditezza e tenacia necessarie a grandi opere costruirono di fronte al Santuario della Flagellazione un’elegante Chiesina per ricordare il luogo dove Gesù ricevette la sentenza di morte, erigendovi a fianco un bell’Ospizio che per silenziosa tranquillità si sarebbe potuto prestare ad infermeria per i Religiosi della Custodia o a casa di studi.
Quest’ultima idea man mano prese consistenza, e nel 1927 l’Ordine dei Frati Minori vi stabiliva il corso superiore di Scienze bibliche, che rispondendo ad una sentita necessità aggiunse un nuovo lustro alla prima missione dell’Ordine qual’è la Custodia di Terra Santa.
ll Signore benedisse il nuovo Istituto biblico per cui s’impose l’ingrandimento dell’Ospizio, sia per contenere un maggior numero di studenti sia per corredare la Scuola di una grande bilioteca e di capaci saloni per museo nei quali, con gli oggetti già esistenti, venissero raccolti altri elementi scientifici ed archeologici per la più chiara e profonda conoscenza della Sacra Scrittura del vecchio e del nuovo Testamento.
Nel 1928 s’intraprese l’ingrandimento dell’Istituto le cui linee, nella loro semplicità, danno l’impressione di grandiosità, quasi significando all’esterno la pienezza della vita intellettuale e religiosa che internamente vive la Scuola.
L’ampiamento dell’Ospizio mise in maggiore evidenza la povertà del Santuario, che, sebbene devoto, tuttavia mostrava al vivo il misero suo stato cui l’avevano ridotto il tempo e i vari restauri e decorazioni di uomini non sempre felici nelle loro produzioni artistiche.
 
Com’era il Santuario
La “Terra Santa” nel suo numero d’Aprile del 1930 riepiloga così le miserevoli condizioni del Santuario « I conci sfaldati di una porta ottocentesca sormontata da ovale, tagliavano una miseranda cortina di muro senza contorni che formava tutta la facciata. Sul fianco a settentrione pezze e speroni sovrapposti alla rinfusa non riuscivano a dare un’impressione di solidità, mentre sul lato opposto verso la strada, lesene e cornici pretenziosette attestavano un restauro di cui era traccia anche nelle rovine di un chiostro dietro l’abside.
« Nell’interno era passato l’ottocento ad imbavagliare i ricordi crociati che s’intuivano più che non si vedessero; e più di recente il pennello inesorabile di un pittore imbianchino che aveva mascherato ogni cosa coi suoi finti marmi e con le pallide stelle sopra un cielo incolore. Giova non ripensare alle pitture e cornici di un dozzinale barocco elevato su i quattro altari minori di marmi policromi, e nemmeno all’arco ribassato che schiacciava l’altare maggiore senza nascondere la divergenza dell’asse dell’ambiente in quel punto. Muri e paviménto trasudavano umidità e salnitro ».
 
La restaurazione del Santuario
Se era facile constatare l’assoluta necessità di dare un assetto di assoluta stabilità e decoro al Santuario, soddisfacendo altresì all’esigenza del culto che avrebbe preso maggiore intensità per l’aumentato numero dei Religiosi, non era altrettanto facile trovarne la soluzione, che conservando l’integrità del Santuario lo rendesse degno di tal nome. Quello che accade ovunque si verifica, specialmente nel Paese di Gesù, ove ognuno e persino qualsiasi nuovo arrivato, si erige ad archeologo ed architetto o quanto meno si abbandona a critiche che bene spesso hanno per fondamento la propria incompetenza, o il paragone di un confuso ricordo di qualche costruzione del paese da cui viene (la frase si riferisce alle polemiche dell’epoca tra la Custodia e alcune congregazioni francesi, ndr).
A questa difficoltà si aggiungeva la modestia dei mezzi disponibili giacché col restauro del Santuario era annesso l’altro delle circostanti rovine e specialmente quello della cosidetta Casa d’Erode la quale con notevoli elementi ricordava un’epoca gloriosa di memorie storiche e care.
A sciogliere il non facile problema, la Custodia di Terra Santa diede l’incarico all’Architetto Ing. Antonio Barluzzi, che nella costruzione delle due mirabili Basiliche del Getsemani e del Tabor aveva trasfusa tutta la sua anima di profondo credente e di artista geniale e fecondo. E come dimostrò il restauro compiuto, ben si appose la Custodia, sicura che l’Architetto avrebbe portato ancora in questa nuova opera l’entusiasmo del suo spirito e della sua abnegazione, innestando ai pochi ricordi antichi una decorosa modernità artistico-religiosa che in pieno secolo XX sapesse disposarsi all’epoca crociata. L’impresa dei lavori venne affidata alla nuova Ditta costruttrice E. di A. De Farro, che lasciata da parte ogni idea di guadagno ancora onesto, si propose di cooperare per la riuscita di una restaurazione degna del celebre Santuario e ne affidò l’esecuzione all’Ing. Ruggero Bucciasuti che, coadiuvato dall’Assistente Filippi, penetrò il pensiero dell’Architetto, e fra mille difficoltà d’ogni genere, sciolte con rare abilità, assolse il mandato con rara intelligenza, con severa onestà condita da squisitezza di maniere.
 
I lavori e le decorazioni
Qui cediamo la parola al valoroso articolista de “La Terra Santa”. I restauri furono radicali tranne nei muri di fianco che per leggi edilizie non potevano spostarsi a favore delle umili dimensioni del Santuario, e che in certo modo ne attestavano la storia centenaria. Raschiando pitture e intonaci comparve nei pilastri e in alcuni archi e cornici l’apparecchio crociato, mentre sotto l’altare maggiore si rinvenivano le fondazioni dell’abside semicircolare. Spontanea fu l’idea di ricostruire secondo lo stile del XII secolo; ma, avendo le crociere in rovina dato luogo a volte lunettate, essendo necessario avere un presbiterio più ampio e un coro pei Religiosi, e adattarsi alle sensibili irregolarità di ogni elemento decorativo, quello stile fu seguito con una certa libertà.
La nuova facciata ci presenta quindi, entro il portale dai caratteristici conci crociati a cuscinetto e un fregio a motivo di spine, una bella porta del Gerardi, un pò delicata pur nella sua inquadratura di ferro battuto che racchiude lacunari di rame elegantemente sbalzato e graffitto coi simboli della Passione, con quelli degli Evangelisti e coi versetti che si riferiscono al Santuario. In alto, sotto un timpano a lieve pendenza, si svolge una serie di archetti poggiati su mensole di quel tipo medievale che fonde elementi crociati e saraceni, e che nel centro si apre ad arco più ampio a cingere un devoto angelo di bronzo, invitante a preghiera, dell’artista Mastroianni. Dal cortile d’ingresso può vedersi anche il fastigio del campanile lieto e sereno nella sua semplicità.
All’interno il rustico apparecchio murario fu rivestito di marmi fino all’imposta degli archi: questi lasciati in vista e in parte rifatti: le volte scarnite per ridurle a crociere, lasciate, schiette d’intonaco dal color giallo ocra dovuto alla sabbia di Ramleh: sostituiti con veri i falsi colonnini avanti ai pilastri che sorreggono gli archi, e i capitelli posticci e inadatti per dimensione e per stile rinnovati secondo un campione dell’epoca. Quattro altari laterali nobilmente modesti col cippo di pietra bianco-avorio ornato di medaglione a colore, con gradino sostenuto da mensole, sono completati da tele ogivali con figure a fóndo oro, a imitazione delle tavole trecentesche, opera del Barberis, che rappresentano la Madonna e il Discepolo prediletto, presenti di persona o di spirito ai tormenti del loro Gesù: S. Paolo che nel medesimo Pretorio si voleva fustigare: e S. Francesco che fu onorato dalle stimmate della Passione, e per mezzo dei suoi Figli conservò alla cristianità i santuari che la ricordano.
Al termine delle tre crociere, là ove s’incurvava l’arco ribassato sopra l’altare maggiore, demolite completamente le strutture del secolo, si eleva al presente su quattro arcate, simili a quelle della nave, una volta a vela, a guisa di ricco baldacchino steso sopra l’altare, ricamato in mosaico con serto spinoso che germoglia in alto ramoscelli fioriti, e in basso sparge petali misti a goccie di sangue; e intanto tralucono quiete fra le spine sedici stelle dalle tenui tinte dell’alba, e un’ultima più grande, scintilla nel mezzo riassumendo luci e colori. Così, le spine della sofferenza accettate in ispirito di amore e purificazione, si trasformano in corona di gemme preziose agli occhi di Dio, pei meriti delle sofferenze di Gesù. L’altare, elevato sopra tre gradini, ha proporzioni adatte a far dimenticare la piccolezza dell’ambiente; il paliotto di pietra bianco-avorio porta pannelli di un delicatissimo viola antico arabescato, fornito dalle cave fra Betlemme e il Mar Morto, e ha nel centro un medaglione rotondo ove su lastra di rame è dipinto Cristo alla colonna. Quest’opera di artista napoletano del secolo scorso fu tolta come ricordo dall’altra preesistente, dono di Napoli devota. Anche il tabernacolo è in pietra del paese che fonde in armonia inimitabile il viola al marrone, al verde, al bianco, al giallo, e si apre a sesto ogivale sopra un minuscolo vestibolo che mostra sul fondo il ciborio in pietra rosso-granato, su cui spicca l’aurea portina che sarà sormontata dalla corona di Cristo, Re dei Popoli e Re dei cuori. Infine un tronetto ogivale di sapore arcaico lancia la sua cuspide in alto fra candelieri di bronzo oscuro che accennano agli albori dello stil nuovo mentre si libera dalla crudezza delle sagome forgiate nel ferro: questi candelieri sono dono della Ditta Laganà di Napoli.
Intorno all’altare pietre squadrate e liste di nero del Mar Morto incorniciano un elegante e severo tappeto di mosaico a sottili disegni bianchi su fondo nero con tocchi di rosso-corallo e viola e verdi forniti anch’essi dalle cave locali; e questo tappeto continua poi come guida nel centro della nave fino alla porta d’ingresso. Si direbbe che la balaustra dell’altare è quasi trasparente nell’intreccio lieve di archi e quadrilobi, sicché non spezza l’unità del piccolo ambiente e lascia libera la vista sul presbiterio; fu eseguita insieme alle griglie dorate del coretto nelle officine di S. Salvatore su disegni dell’architetto.
Ma chi entra nel Santuario non vede da principio le cose fin qui descritte. Attraverso la penombra della nave tre quadri luminosi, fatti come di gemme variamente scintillanti e colorate, l’affàscinano e ne trasportano lo spirito al di là del reale, nell’oblìo delle brevi pareti che lo circondano. Una sorpresa ed una meraviglia. Tre delle arcate a sostegno della volta del presbiterio sono chiuse da preziose vetrate.
Nel centro Cristo alla colonna: « Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum ut testimonium perhibeam veritati: Omnis qui est ex veritate audit vocem meam ». (Ioa., XVIII). Il mondo invece ama la menzogna che giustifica o esalta il peccato, e tura la bocca della Verità con ceffoni e con sputi, cioè con la sudicia calunnia; la temuta Verità vuol flagellata a sangue. Il Maligno ride nel riso beffardo e saettante odio dei suoi umani satelliti, e Cristo-Verità, legato alla colonna, folgora di luce e leva i grandi occhi al Cielo, testimone della sua missione e del suo strazio ineffabile. Anime pie vedrebbero forse volentieri un lampo di dolce bontà su quel Volto virile che il taglio secco delle sagome vetrose rende un po’ duro; ma quale potenza divina è in quell’atteggiamento di supremo dolore ! E i toni cupi del colore commentano le basse passioni degli implacabili carnefici.
A sinistra di chi guarda, la scena di Pilato: « Quid est veritas? » E poi l’uomo di mondo non si cura di avere risposta: curiosità superficiale, direi accademica, che non indaga il fondo delle cose. La Verità è insieme giustizia, pretende da chi la vuol possedere, un amore capace di sacrificare per lei ogni cosa; e il ricco, il potente, può sacrificare ad essa i benefici e i comodi della sua alta posizione sociale? Tentenna, si contradice, e infine vince la codardia; e pur proclamando Giusto il Cristo, (nel nome di Roma, e cioè a tenore di legge), lo abbandona alla sua morte; per un ultimo briciolo di rimorso, a far intendere il suo pensiero, si lava le mani con vana ipocrisia al cospetto della folla: « Innocens ego sum a sanguine justi hujus » (Matt., XXVII). La scena ha toni armoniosi, fosforescenze delicate; Pilato in tunica gialla e bellissimo paludamento lilla ha la caratteristica sagoma romana, e l’obesità del grave personaggio. È attorniato da littori e soldati, alteri e composti nell’assistere il magistrato in giudizio.
A destra la vetrata di Barabba, portato in trionfo dai suoi satelliti e liberatori, personificazione del Male e antitesi del Cristo. La Verità è odiata e maledetta dalla passione cattiva, dalla malvagità, dall’incoscienza, dall’abbiezione, come la luce delle tenebre; nella lotta senza quartiere la Verità è straziata e crocifissa. Qui la rappresentazione del Male raggiunge effetti di così profonda efficacia da toccare i fastigi del capolavoro: e tanto ripugnanti e macabre nelle varie espressioni sono le faccie luride e schiumose di quei manigoldi, ebbri di schiamazzo e di mala gioia, che pare assistere ad una scena d’inferno. La pelle arsiccia e gli stracci che li rivestono hanno toni cupi e violenti, animati qua e là da luminosità ardite e vibranti. La linea e il colore concorrono mirabilmente a dare un’emozione viva nel disgusto del male. Artefici di queste originali e mirabili visioni sono due artisti romani, Duilio Cambellotti e Cesare Picchiarini. « Fanno onore a Dio, all’arte, all’Italia » disse S. E. il ministro Fedele nel vedere le vetrate prima che partissero per Gerusalemme. Il primo fu l’ideatore e il disegnatore potente, l’altro il realizzatore, dotato di prodigiosa sensibilità pittorica per la quale si è reso in lunghi anni di studio e di prove, padrone di una tecnica difficilissima, vincendo una nobile battaglia contro l’industrialismo che aveva fatto decadere miserabilmente l’arte della vetrata. È giustizia riconoscere che ambedue nel dare il frutto della loro maturità artistica hanno offerto insieme al Santuario di Gesù tutto l’ardore dell’anima infiammata dalla bellezza vera, e la generosità dell’artista autentico che non misura la sua fatica sul modesto compenso materiale pattuito. Altri compensi essi avranno nel loro intimo da Chi fornì loro l’ispirazione e la lena, perchè la pietà pel Cristo flagellato, lo sdegno pel calcolo vile dell’interesse mondano e la ripugnanza per il peccato che destano le tre vetrate non potrebbero sussistere nè commuovere se prima gli artisti non avessero intensamente vissuti quei sentimenti: ed anche perchè questo effetto sul popolo fedele, corrisponde alle più pure idealità di un arte del bello, che è insieme missione santa di bene.
 
La Custodia di Terra Santa col restauro completo e definitivo di questo Santuario, la cui importanza religiosa è in ragione inversa delle sue dimensioni, offre al mondo cattolico una novella prova della serietà di propositi con cui attende alla conservazione e al decoro dei Luoghi Santi. E la felice trovata architettonica, prova da parte sua come si possano, quando amore guida, risolvere degnamente interessanti problemi artistici e religiosi con spese relativamente modeste e fabbriche di piccole proporzioni, così come era già avvenuto nell’epoca crociata. Perchè è da notare che la pietà dei fedeli trova in modo precipuo il suo alimento essenziale in ambiente predisposto con illuminato equilibrio a mettere in valore i ricordi della Passione e soddisfare alle esigenze del culto, senza cadere in esagerazioni ed eccessi che moltiplicherebbero le dimensioni e il numero dei Santuari col risultato di sviare e danneggiare la pietà stessa (ancora polemiche con chi voleva edificare nei Luoghi Santi delle chiese non sempre legate a fatti evangelici, basandosi su ipotesi archeologiche inconsistenti, ndr). Nel nostro caso l’architettura è riuscita a dare una certa impressione di ampiezza ad un minuscolo ambiente che misura appena cinque metri e mezzo di larghezza fra le faccie dei pilastri, meno del doppio in lunghezza, e si apre sopra un presbiterio quadrato che non raggiunge i sette metri di lato; ha mantenuto i quattro altari laterali richiesti dalla numerosa Comunità senza ingombro della nave e con effetto sobrio e dignitoso come conveniva a elementi di secondaria importanza; ha realizzato infine, e specialmente ad opera delle vetrate, una decorazione altamente significativa, che è buon commento al mistero doloroso, atto a facilitare agli umili lo slancio spontaneo della pietà, e a suggerire alle persone più colte la meditazione profonda del dramma divino-umano del Pretorio, che si perpetua nei secoli per le umane passioni mai domate, e per l’attualità perenne — perchè divina — della Passione del Cristo.
Il Santuario fu benedetto il Lunedì Santo 14 Aprile 1930 fra l’ammirazione devota degl’intelligenti, e un valoroso archeologo palestinese, che alla scienza congiunge una pietà profonda, nell’accomiatarsi, disse di ritornarvi spesso per pregarvi avendo intesa forte suggestione dal Santuario.
 
Tratto da: Almanacco di Terra Santa, Tipografia dei Padri Francescani, Gerusalemme, 1931, pagg. 27-34.
 

Monte degli Ulivi: arriva (per il momento) il “contrordine compagni”

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Seguito del comunicato del 20/2/2022: La presenza cristiana sul Monte degli Ulivi nel mirino degli ebrei https://www.centrostudifederici.org/terra-santa-la-presenza-cristiana-sul-monte-degli-ulivi-nel-mirino-degli-ebrei/
Le proteste ufficiali delle “chiese cristiane” per il progetto di giudaizzare il Monte degli Ulivi hanno provocato l’annuncio, da parte del governo israeliano, della sua (momentanea) sospensione. 
Il documento di protesta era stato inoltrato anche ai Consolati di Gerusalemme (la sede delle Ambasciate è a Tel Aviv, tranne quelle degli Usa, del Guatemala e del Cossovo che sono a Gerusalemme), che evidentemente hanno fatto pressione sul governo (si tratta di diplomatici di carriera e non bibitari imprestati alla politica). 
La situazione rimane precaria e il progetto in questione è congelato e non cancellato. Tuttavia ancora una volta il governo ha dovuto fare i conti con chi “de facto” rappresenta gli interessi materiali dei cristiani in Terra Santa. Nel 2018, ad esempio, il tentativo di un’elevata tassazione da parte della municipalità di Gerusalemme dei beni cristiani fu bloccato dalle vibranti proteste degli interessati, che portarono alla chiusura per qualche giorno della basilica del Santo Sepolcro. Il governo intervenne allora presso il sindaco di Gerusalemme.
 
Un parco sul Monte degli Ulivi, dietro front israeliano
L’Autorità israeliana per i Parchi e la Natura rinuncia ad espandere il Parco nazionale delle mura di Gerusalemme dopo la ferma protesta dei capi delle Chiese che denunciano ben altri interessi in gioco.
 
L’Autorità israeliana per la Natura e i Parchi quest’oggi (21 febbraio 2022) ha annunciato di non volere dare attuazione al progetto di ampliare il Parco delle Mura di Gerusalemme, espandendone i confini fino alle pendici del Monte degli Ulivi. Si tratta di un ripiegamento (temporaneo?) dovuto alla ferma protesta indirizzata alla ministra per l’Ambiente israeliana Tamar Zandberg il 18 febbraio scorso dal patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Theophilos III, dal custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, e dal patriarca armeno di Gerusalemme, Nourhan Manougian (tutte cariche da mettere tra virgolette, ndr).
Del progetto di ampliamento si parla da tempo, ma nei giorni scorsi era filtrata l’intenzione di presentarlo il prossimo 2 marzo alla Commissione di pianificazione urbanistica della municipalità di Gerusalemme per un via libera preliminare.
Il Parco si estenderebbe anche su terreni, immobili e santuari di proprietà delle varie Chiese, in un’area molto cara ai pellegrini cristiani di tutto il mondo e ciò ha indotto le tre autorità ecclesiastiche a reagire.
«Si tratta – hanno scritto senza mezzi termini i firmatari della lettera – di un provvedimento brutale che costituisce un attacco diretto e premeditato contro i cristiani di Terra Santa e contro le Chiese e i loro antichi diritti, internazionalmente garantiti, nella Città Santa». La lettera alla ministra è rimbalzata sui media israeliani e il quotidiano digitale The Times of Israel l’ha riprodotta integralmente il 20 febbraio (clicca qui per leggere la lettera in formato pdf).
Per dare maggior peso al loro intervento, il custode francescano di Terra Santa e i due patriarchi hanno inoltrato una copia per conoscenza della missiva anche ai consoli generali a Gerusalemme di Francia, Turchia, Italia, Grecia, Spagna, Regno Unito, Belgio e Svezia, nonché al rappresentante pontificio, il nunzio Adolfo Tito Yllana.
Il Monte degli Ulivi parco nazionale israeliano?
È vero che sulle pendici occidentali del monte c’è un cimitero ebraico in uso da oltre tremila anni, ma il rilievo è anche uno dei luoghi più sacri della cristianità. Quello che fu scenario di eventi importanti della vita di Gesù ospita una dozzina di santuari e luoghi di culto cristiani che, in assenza di restrizioni imposte dalla pandemia, «sono visitati ogni anno da milioni di pellegrini», ricordano i capi delle Chiese. Altre porzioni della montagna interessate dal progettato ampliamento – che includerebbe anche parti della valle del Cedron e della valle di Ben Hinnom (Geenna) – appartengono a proprietari privati palestinesi.
L’Autorità per la Natura e i Parchi afferma che il suo progetto mira a preservare il paesaggio naturale e culturale di quelle aree e non comprometterebbe le proprietà ecclesiastiche eventualmente incorporate nel parco nazionale. I media israeliani osservano però che le autorità israeliane si garantirebbero così la possibilità di un’ampia gamma di azioni, tra cui la realizzazione di sopralluoghi, il rilascio di autorizzazioni per lavori e progetti di valorizzazione, restauro e conservazione.
«Obiezione inequivocabile» delle Chiese
I tre firmatari della lettera congiunta hanno espresso la «più profonda preoccupazione», insieme ad un’«inequivocabile obiezione» al piano di ampliamento del Parco delle mura.
E si rammaricano che l’Autorità per i Parchi «giochi un ruolo ostile nei confronti delle Chiese e della presenza cristiana in Terra Santa», prestandosi ad interessi altrui. «Con il pretesto di proteggere gli spazi verdi, il piano sembra servire a un’agenda ideologica che nega lo status e i diritti dei cristiani a Gerusalemme», hanno osservato gli ecclesiastici nella loro lettera, nella quale aggiungono: «Benché il progetto sia presentato ufficialmente dall’INPA [l’acronimo che indica l’Autorità – ndr], sembra che sia stato proposto e orchestrato, avanzato e promosso da entità il cui unico scopo apparente è confiscare e nazionalizzare uno dei luoghi più sacri per la cristianità e alterarne la natura».
Un’agenda ideologica
Il riferimento diretto è a quei gruppi nazionalisti che stanno lavorando per aumentare la presenza di residenti ebrei nei quartieri di Gerusalemme Est e soprattutto nelle aree cristiane della città vecchia di Gerusalemme. Manovre che i capi delle Chiese di Terra Santa hanno già denunciato anche in una dichiarazione comune dello scorso dicembre.
Più in generale, questi gruppi mirano a ridurre la presenza di non ebrei a Gerusalemme Est, come sta accadendo nei quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan a nord e a sud della città vecchia. In una dichiarazione congiunta rilasciata a The Times of Israel, le organizzazioni per i diritti umani Bimkom, Emek Shaveh, Ir Amim e Peace Now si sono affrettate a sottolineare che «c’è un collegamento diretto tra ciò che è in corso a Sheikh Jarrah e questo piano di ampliamento dell’INPA».
Il Parco nazionale in questione è stato inaugurato negli anni Settanta. Attornia le mura di Gerusalemme vecchia – senza includerle – e la città di David (nel quartiere a maggioranza araba di Silwan). Quando se ne tracciarono i confini, «si evitò accuratamente di includere gran parte del Monte degli Ulivi», riporta The Times of Israel. Le autorità contemplarono una «fase due» per espandere il parco nazionale, ma poi decisero di soprassedere in considerazione del carattere sensibile dei terreni che si andava ad incorporare. A distanza di mezzo secolo la «fase due» torna all’ordine del giorno.
Oggi riferisce, il quotidiano Haaretz, il parco si estende per poco meno di 110 ettari. Il progettato ampiamento dei confini ne aggiungerebbe altri 27.
 
 

Betlemme senza pellegrini e con sempre meno cristiani

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Pubblichiamo due articoli relativi ai cristiani di Betlemme, che vivono principalmente di turismo religioso: decimati dal sionismo a partire dal 1948 e penalizzati negli ultimi anni dal muro di separazione, l’attuale assenza di pellegrini rischia di ridurre ulteriormente la loro presenza nella città dove è nato Gesù Cristo. 
 
Betlemme, ancora uno strano Natale
Nonostante una timida ripresa, la città vive il tempo del Natale ancora in attesa del ritorno dei pellegrini. Le voci degli artigiani cristiani che realizzano da sempre i souvenir in legno d’ulivo, un settore in forte sofferenza per la pandemia 
 
Betlemme, la città che ha dato i natali a Gesù duemila fa, è sospesa nell’attesa. L’attesa della venuta del Salvatore che si fa «piccolo tra piccoli», l’attesa di un miglioramento dal punto di vista economico, politico e sociale. Isolata dal muro di separazione costruito da Israele, per dividere i territori israeliani da quelli palestinesi, la città sta soffrendo molto a causa delle conseguenze della pandemia di Covid-19 e della mancanza di pellegrini. A un primo sguardo, Betlemme sembra la stessa di sempre. Nella città vecchia si fa a gara ad attirare l’attenzione dei passanti: i commercianti con le loro grida esperte, gli autisti dei taxi gialli a suon di clacson. Nelle strade affollate di donne velate e di giovani con gli zaini in spalla, le voci dei muezzin richiamano i musulmani alla preghiera dai minareti, mischiandosi talvolta al suono delle campane della basilica della Natività. Avvicinandosi a piazza della Mangiatoia, davanti alla chiesa che conserva la memoria della nascita di Gesù, però, Betlemme non sembra più quella di un tempo. Nei vicoli le saracinesche delle botteghe locali sono ancora sbarrate e uno strano silenzio circonda i luoghi un tempo affollati. Per non parlare dei laboratori artigianali, dove si realizzano prodotti tra i più tipici della città, manufatti artistici in legno d’ulivo. 
«Da quando la pandemia è cominciata, ci siamo arrangiati come abbiamo potuto — racconta Joseph —. Il mio laboratorio di presepi in legno è poco lontano dalla città vecchia, nel retro di una tipografia, dove lavora mio figlio. Tutta la mia famiglia è lì, ma nessuno adesso ha da lavorare. Oggi ho aperto il negozio, ma non vendo mai nulla. Posso solo sperare che riprendano i pellegrinaggi». Dal 19 settembre scorso Israele ha permesso l’ingresso nel Paese ai gruppi organizzati (le frontiere sono state di nuove chiuse il 28/11/2021, ndr). Finora solo sparuti gruppi di pellegrini raggiungono Betlemme in un clima surreale, lontano dal fervore che da sempre contraddistingue le festività natalizie. 
 
Il grido di Betlemme 
A causa della pandemia e delle norme sanitarie previste da Israele per l’ingresso in Terra Santa, anche nella città del Natale i pellegrinaggi non sono ancora ripresi. E il settore dell’artigianato in legno d’ulivo, un tempo fiorente, langue 
 
A distanza di oltre un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, a Betlemme tutto è congelato, come in una perenne attesa, di cui non si vede la fine. I turisti e i pellegrini non sono più tornati e centinaia di famiglie che vivevano di turismo sono in condizioni di estrema necessità. Betlemme è infatti uno dei poli più importanti dell’industria palestinese e dell’artigianato locale, con la lavorazione di oggetti in legno di ulivo, le decorazioni in madre-perla, la produzione di tessuti pregiati. 
«Oggi non ho più nulla da dire. Abbiamo già parlato abbastanza, abbiamo bussato a molte porte, ma nessuno ci ha aperto», afferma un artigiano di una bottega a pochi metri dal santuario della Grotta del Latte, che ricorda il luogo dove Maria si fermò per allattare Gesù. «Non abbiamo ricevuto nulla in tutti questi mesi, che poi sono diventati anni», racconta. L’unico contributo delle istituzioni palestinesi da marzo 2020 a oggi è stato una tantum di 600 shekel (l’equivalente di 150 euro). Suo padre George, un uomo anziano seduto all’esterno e appoggiato a un bastone, spiega che da mesi non si vendono souvenir, oggetti in legno di olivo, rosari: nulla. Non c’è altro da fare se non mantenere il negozio in ordine: «Lavoro in questo negozio da cinquantasette anni, ma ora sono vecchio e per questo mio figlio è venuto ad aiutarmi». 
Il ritorno dei turisti, per riattivare l’economia, sembra ancora un miraggio tra i negozianti di Betlemme, ma ha iniziato a sembrare più reale dal 19 settembre, quando Israele ha permesso l’ingresso nel Paese ai gruppi organizzati (le frontiere sono state di nuove chiuse il 28/11/2021, ndr).
«Tutti i rosari che vendo nel mio negozio sono realizzati a mano —spiega Louis, un cattolico, anch’esso artigiano —. Compro i grani da una fabbrica e poi li distribuisco ad alcune donne di Betlemme senza lavoro, che li assemblano a casa. Io lavoro con otto fabbriche e cerco di supportare i cristiani locali. Siamo rimasti davvero in pochi e molti sono disoccupati. Anche tre dei miei quattro figli si trovano all’estero: due studiano in Italia e uno in Spagna. Io però ho scelto di restare qui e cerco, come posso, di incoraggiare il lavoro locale con il legno di ulivo e la madreperla». 
Louis nel suo negozio insegna alla gente a riconoscere i prodotti originali, frutto delle mani e della fatica degli artigiani di Betlemme. Per una figura del Presepe, per esempio, è importante considerare l’odore denso del legno, il peso più consistente del materiale, il tipo di superficie ben levigata che scorre sotto le dita. Produrre oggetti di questo genere ha ovviamente un alto costo da coprire, che non è possibile sostenere con l’azzeramento dei profitti. «Ora aspettiamo solo che i turisti tornino e che, una volta qui, sappiano apprezzare la ricchezza dell’artigianato locale, a discapito degli oggetti a basso costo prodotti in Cina e spacciati per artigianali — continua Louis —. Il commercio di oggetti cinesi distrugge la nostra economia». 
Mentre gli artigiani tentano di sopravvivere, le croci in legno, le immagini sacre, le calamite, le cartoline e i personaggi del Presepe rimangono ancora negli scaffali, ad attendere il ritorno dei pellegrini. Da qualche mese, gli unici ad aver raggiunto Betlemme sono stati dei gruppi di cristiani migranti che lavorano in altre zone della Palestina o di Israele. «Tra agosto e settembre abbiamo visto forse cinque gruppi arrivare qui e quindi è difficile credere che tornerà presto ad esserci più movimento — afferma Mike, un ceramista che ha la bottega proprio sulla piazza della Mangiatoia —. Dall’inizio della pandemia, nel mio negozio, che è al centro di Betlemme, sono riuscito a incontrare in tutto solo quaranta o cinquanta persone e quindi non ha senso che lo tenga aperto, se so che non passerà nessuno. Speriamo che nei prossimi mesi vada meglio, ma, fino a quando i turisti non torneranno a dormire negli alberghi di Betlemme, la situazione rimarrà immutata. Le persone hanno bisogno di essere lasciate libere di girare autonoma-mente, perché abbiano la possibilità di entrare nelle nostre botteghe. È dall’anno scorso che non pago l’affitto dei locali del nego-zio. Aspetto il ritorno dei pellegrini per regolare i miei conti». 
 
Fonte: Eco di Terrasanta, n. 6, Novembre-Dicembre 2021
 

Così morirono i crociati a Sidone

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Recenti analisi su scheletri rinvenuti a Sidone, in Libano, ci aiutano a comprendere meglio i crociati caduti nel XIII secolo per difendere la città. Il ruolo del re san Luigi nella loro sepoltura.
 
Uccisi a colpi di spada o d’ascia, decapitati, massacrati in massa, crivellati di frecce. Il destino dei crociati che combatterono per difendere Sidone, l’odierna Saida a sud di Beirut, a metà del XIII secolo fu senza dubbio qualcosa di brutale. Lo evidenziano i ricercatori dell’Università di Bournemouth, nel Regno Unito, in un comunicato stampa diffuso il 14 settembre per sintetizzare uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Plos One, con altri due ricercatori britannici.
 
L’équipe ha analizzato gli scheletri umani rinvenuti nel 2015 in due fosse comuni trovate nel fossato del castello di San Luigi (Qalat al-Muizz) a Sidone, porto strategico per i crociati per oltre un secolo. In piena guerra, mancando il tempo per officiare un rito funebre per ogni singolo crociato caduto, fu d’obbligo il ricorso alla fossa comune.
 
In base alla presenza nelle sepolture di monete d’argento della metà del XIII secolo e di fibbie in rame per cinture di foggia franca i resti umani oggetto dello studio sono stati identificati come appartenenti ad almeno 25 crociati.
 
Usando la datazione al radiocarbonio, i ricercatori stimano che i soldati probabilmente morirono nelle battaglie del 1253 o del 1260, quando Sidone, controllata dai cristiani, fu attaccata direttamente dalle truppe del sultanato mamelucco, nel 1253, e dai mongoli dell’Ilkhanato, nel 1260.
 
In armi con una violenza estrema
 
La scoperta è davvero rara, sottolineano i ricercatori perché le fosse comuni di questo periodo sono piuttosto introvabili. «Il numero minimo di 25 individui supera significativamente quello dell’unico altro luogo di sepoltura comune a noi noto d’epoca crociata», affermano gli autori dello studio, riferendosi agli scheletri di cinque uomini caduti al Guado di Giacobbe, situato tra l’Alta Galilea e le alture del Golan, che, il 23 agosto 1179, si scontrarono l’esercito ayyubide guidato da Saladino e le milizie del Regno di Gerusalemme.
 
Dopo aver analizzato gli scheletri di Sidone, gli esperti hanno raggiunto un’altra conclusione: appartenevano a uomini fatti e ad adolescenti. Quindi non c’erano donne o bambini sul campo di battaglia.
 
Alcuni degli scheletri «mostrano ferite di spada alla parte posteriore del corpo, suggerendo che i soldati siano stati attaccati da dietro, probabilmente in fuga nel momento in cui sono stati colpiti. Altri hanno ferite di spada alla nuca, il che indica che potrebbero essere stati prigionieri giustiziati per decapitazione dopo la battaglia», riassume il comunicato dell’Università di Bournemouth.
 
I segni rimasti sugli scheletri dimostrano quanto sia stato brutale il combattimento. La concentrazione di ferite alla testa e alle spalle di alcuni soldati sarebbe «coerente» con il fatto che probabilmente fronteggiavano a piedi dei nemici a cavallo.
 
Il contributo del re
 
L’analisi degli isotopi dentali e gli studi sul Dna hanno consentito anche di individuare le origini geografiche dei soldati. Alcuni erano nati in Europa, altri nel Vicino Oriente. Taluni erano di discendenza mista, probabilmente discendenti di crociati che si erano accoppiati con donne locali. Dati coerenti con la composizione sociale delle truppe crociati descritta dalle fonti storiche.
 
Secondo i documenti storici, Luigi IX di Francia, il sovrano – poi dichiarato santo – che guidò la settima crociata, era presente in Terra Santa al momento dell’attacco a Sidone nel 1253. Il re «andò in città dopo la battaglia e aiutò personalmente a seppellire i cadaveri in decomposizione in fosse comuni come queste», spiega nel comunicato del già citato ateneo britannico il dottor Piers Mitchell, dell’Università di Cambridge, che ha collaborato allo studio.
 
Le cronache di Jean de Joinville, cavaliere francese e biografo di san Luigi nonché testimone oculare della Settima crociata, riportano che «Egli (il re – ndr) aveva portato personalmente i corpi, tutti marci e maleodoranti, per deporli nelle fosse, senza mai turarsi il naso, come facevano gli altri». (c.l.)
 
 

Terra Santa – “Sogno sionista” e incubo cristiano

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Il governo di Tel Aviv ha annunciato con soddisfazione la crescita dell’immigrazione ebraica in Terra Santa (in prevalenza giovani) che realizza, secondo il ministro dell’immigrazione, il “sogno sionista”. Il massiccio arrivo di immigrati ebrei non si è fermato neppure con l’emergenza sanitaria, che invece ha bloccato i pellegrinaggi ai Luoghi Santi, con gravissimi danni alle famiglie cristiane palestinesi che vivono principalmente di turismo. La crescente immigrazione ebraica mette così in ulteriore minoranza i pochi cristiani locali sopravvissuti alle sopraffazioni sioniste del 1948 e del 1967.
 
Nel 2021 cresce del 31% l’immigrazione ebraica in Israele
 
Calano gli arrivi dalla Russia, in aumento da Stati Uniti, Sud Africa ed Etiopia nel quadro dell’operazione Tzur Israel. Un’immigrazione in larga maggioranza giovanile. Il flusso in entrata non si è mai fermato, nemmeno durante la fase più acuta della pandemia di Covid-19. Per il ministro israeliano sono cifre “positive”.
 
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) – Nei primi mesi del 2021 l’immigrazione ebraica in Israele è cresciuta del 31%, con un numero crescente di ingressi da Stati Uniti, Francia, Ucraina, Bielorussia, Sud Africa ed Etiopia, mentre si registra una lieve flessione dalla Russia. È quanto emerge dai dati ufficiali forniti dal ministero israeliano dell’Immigrazione e dall’Agenzia ebraica, alla vigilia della festa di domani in ricordo delle persone che hanno intrapreso il viaggio verso la “terra promessa”.
Secondo le statistiche ufficiali, anche per quest’anno il maggior numero di immigrati ebrei proviene dalla Russia (5.075), a dispetto di una diminuzione del 5% nel numero rispetto al 2020. Vi sono stati 3.104 nuovi ingressi dagli Stati Uniti, con una crescita del 41% rispetto ai primi nove mesi dell’anno passato.
 
Almeno 2.819 nuovi immigrati si sono trasferiti dalla Francia (+55%), 2.123 dall’Ucraina (+4%), 780 dalla Bielorussia (+69%), 633 dall’Argentina (+ 46%), 490 dal Regno Unito (+20%), 438 dal Brasile (+4%) e 373 dal Sudafrica (+56%). Dall’Etiopia si registrano 1.589 immigrati nel quadro dell’operazione Tzur Israel, una iniziativa voluta dal governo per favorire l’immigrazione di membri della comunità ebraica dal Paese africano. 
In base all’età, oltre la metà degli immigrati ebrei in Israele giunti nel 2021 ha meno di 35 anni, con il 23,4% di età compresa fra 0 e 17 anni; il 33,4% ha fra i 18 e i 35 anni. Il 16,3% rientra nella fascia 36-50 anni, il 13% ha fra 51 e 64 anni e il 13,9% ha più di 65 anni. Il ministero dell’Immigrazione aggiunge che 2.184 nuovi immigrati si sono trasferiti a Gerusalemme, 2.122 a Tel Aviv, 2.031 a Netanya, 1.410 ad Haifa e 744 ad Ashdod. Il titolare del dicastero Pnina Tamano-Shata parla di cifre “positive”, sottolineando il grande contributo fornito dagli immigrati ebrei alla società israeliana in un’ottica complessiva di sviluppo. 
 
In una nota scritta in inglese, ma usando i termini ebraici per riferirsi all’immigrazione e agli immigrati, il ministro ha detto: “Sono lieto di lanciare la settimana Aliyah per il 2021, dove salutiamo e accogliamo gli immigrati per il loro contributo allo Stato di Israele. Ho lavorato nel governo per garantire che l’immigrazione non si fermasse, nemmeno durante la pandemia di Covid-19, e perché l’aliyah possa essere la realizzazione del sogno sionista”. 
Lo scorso anno, durante il periodo più acuto dell’emergenza sanitaria innescata dalla pandemia di nuovo coronavirus, il dato relativo all’immigrazione ebraica in Israele è calato di circa il 40%. Il dato nel 2020 si è fermato a 21.200, rispetto ai 33.500 dell’anno precedente, con un calo complessivo del 36,7%.
 
 

Terra Santa – Rinasce il convento sul Giordano

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Segnalazione del Centro Studi Federici 64447

Non più mine nel convento francescano in riva al Giordano

Procede veloce l’opera di sminamento della superficie di Qasr Al Yahud, nei pressi di Gerico (Territori palestinesi), località sulla sponda occidentale del fiume Giordano ove si ricorda il battesimo di Gesù. L’area, luogo di scontri durante la guerra arabo-israeliana del 1967, conserva ancor oggi memoria delle battaglie. Arrivare sul posto, significa percorrere un viaggio nel tempo e nella storia. Camminare sui sentieri polverosi fiancheggiati da numerosi santuari e cappelle, attraversare i luoghi percorsi da Gesù e dagli apostoli e prima ancora da Elia, guardare il Giordano e la Giordania dall’altra parte, colpisce per il senso di pace.

Eppure, a ricordare che questo non sempre è stato territorio di pace ci sono i numerosi cartelli che avvisano ancora, a distanza di oltre 51 anni, della presenza di mine, segno della follia dell’uomo. Nonostante i cartelli gialli, la sensazione di vita che riprende, la forza che spinge a rinascere, è palpabile.

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Le ingiustizie e discriminazioni in Terra Santa

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Risultati immagini per È l’unica ong di matrice cattolica che offre tutela legale ai palestinesi in Terra Santa: la Società St. Yves, attiva da 27 anni e con due sedi, a Gerusalemme e Betlemme, è sempre più un riferimento in casi di ingiustizie e discriminazioni.Segnalazione del Centro Studi Federici

Società St. Yves. Dalla giustizia la pace
È l’unica ong di matrice cattolica che offre tutela legale ai palestinesi in Terra Santa: la Società St. Yves, attiva da 27 anni e con due sedi, a Gerusalemme e Betlemme, è sempre più un riferimento in casi di ingiustizie e discriminazioni.
 
Penalizzazioni nell’assistenza sanitaria, mancati permessi per entrare in Israele, demolizioni di case e scuole, confische di terre: sono i problemi di palestinesi e residenti a Gerusalemme con cui ha a che fare ogni giorno la Società St. Yves. Fondata nel 1991, è l’unica organizzazione di matrice cattolica per i diritti umani in Terra Santa. Fu il patriarca latino dell’epoca, mons. Michel Sabbah a volerla, su proposta di colei che ne fu poi la prima direttrice, Lynda Brayer. «Eravamo alla fine della prima intifada e c’era bisogno di organizzazioni per i diritti umani», spiega l’attuale direttore, l’avvocato Raffoul Rofa. 
Il primo caso gestito da St. Yves fu nel 1991 contro il ministero della Difesa israeliano. Si chiedeva che anche ai palestinesi della Cisgiordania fossero distribuite le maschere antigas, visto che si temeva un attacco chimico dall’Iraq. La Corte suprema accolse la petizione e ordinò ai militari di distribuire maschere antigas. Da quel momento è iniziata l’azione dell’organizzazione che ogni anno fornisce assistenza legale a migliaia di persone in diversi ambiti, dalla salute, alla libertà di movimento, alle discriminazioni in materia fiscale. Oggi «St. Yves» conta venticinque impiegati, tra cui dieci avvocati, nei due uffici di Gerusalemme e Betlemme. 
L’organizzazione prende il nome da sant’Ivo di Bretagna, un aristocratico e dottore in Legge del XIII secolo, famoso difensore dei poveri e considerato il patrono degli avvocati. «Operiamo a Gerusalemme Est – continua Rofa – e nell’Area C della Cisgiordania meridionale (sottoposta al pieno controllo dell’amministrazione militare israeliana – ndr). A Gerusalemme Est ci occupiamo delle questioni legali relative alla residenza dei palestinesi e alle riunificazioni familiari». Dopo la Guerra dei sei giorni (1967), Israele ha infatti concesso ai palestinesi di Gerusalemme lo status di «residente permanente», ma una legge emanata successivamente stabilisce che il palestinese che abbia lasciato Gerusalemme per sette anni, non necessariamente continui, o che abbia acquistato un’altra cittadinanza per naturalizzazione, possa vedersi revocato il suo status di residente.

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Terra Santa – Profanazione giudaica di un cimitero salesiano

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Nell’indifferenza dell’opinione pubblica internazionale (anche vaticana?) in Terra Santa proseguono gli atti di vandalismo dei Giudei nei confronti degli edifici cattolici: l’odio dei discendenti di Caifa non si ferma neppure davanti ai cimiteri. E le autorità israeliane non intervengono per mettere fine a questa catena di atti sacrileghi. 
 
In Israele ancora vandalismi anticristiani a Beit Gemal
Nuovamente profanato nottetempo il cimitero annesso alla casa religiosa salesiana di Beit Gemal
 
Stele rovesciate e croci rotte, le immagini parlano da sole. Il cimitero del convento salesiano di Beit Gemal, vicino a Beit Shemesh, 30 chilometri a ovest di Gerusalemme, è stato ancora una volta danneggiato nelle ultime ore. Il camposanto si trova a circa 500 metri dalla casa religiosa salesiana. Quest’ultimo misfatto riguarda una trentina di tombe, secondo il quotidiano Haaretz. Apparentemente, i fatti sarebbero avvenuti nella notte tra il 16 e il 17 ottobre, stando a una dichiarazione dell’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa, diffusa all’indomani della scoperta. Sono stati i religiosi responsabili della manutenzione del cimitero, e che vi si recano più volte al mese, i primi a rendersi conto di quanto avvenuto.

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