Quo vadis Europa?

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna per https://www.2dipicche.news/quo-vadis-europa/ – https://www.informazionecattolica.it/2023/08/21/quo-vadis-europa/ e, in spagnolo sulla rivista in America Latina: https://vocesdelperiodista.mx/voces-del-periodista/internacional/quo-vadis-europa/

Quo vadis Europa? – “Henry Kissinger ha tuttora una considerevole influenza” – scrIve The Economist. L’ex Segretario di Stato americano sostiene che la ricerca contemporanea dell’ordine mondiale richiederà una strategia coerente per affermare un concetto di ordine nell’ambito delle varie regioni, e per mettere in rapporto tra loro questi ordini regionali.

Il consigliere geopolitico più ascoltato al mondo è per una revisione del concetto di equilibrio.

Il vecchio ordine è in costante mutamento, però la forma di ciò che lo sostituisce è altamente incerta. Per Kissinger serve trovare dei criteri per il superamento delle differenze. Inoltre, nelle sfide della nostra epoca, il centenario ma sempreverde stratega sostiene che l’America deve avere un ruolo primario, risoluto e significativo, sia dal punto di vista filosofico che geopolitico. “Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume” – riflette il “grande vecchio”, riprendendo una frase di James Reston sul suo Defenders of the Faith, del 2009.

La storia come mutamento

Si può, cioè, pensare alla storia come a un fiume, ma le sue acque saranno sempre in mutamento. (Henry Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori, 2023)

Il Prof. Giulio Tremonti, Presidente dell’Aspen Institute, si chiede, proprio come Kissinger: “Quo vadis Europa?”

Adenauer, nel 1957, riferendosi alla nascente Comunità Europea citò un proverbio tedesco: “gli alberi non devono impedire di vedere il bosco”.

Oggi è valido l’opposto: il bosco, troppo fitto, non deve impedire di vedere gli alberi! Significa che per diventare europei non dobbiamo dimenticare di essere italiani.

E’ ciò che Kissinger definirebbe “l’ordine nelle varie regioni”. Anziché valorizzare la sua storia e civiltà – prosegue Tremonti – l’Italia si è posta in incondizionata subordinazione dell’Europa, introducendo questa clausola in Costituzione nel 2000. E poi, ancora, quando nell’autunno del 2011 abbiamo ceduto al vizio storico della “chiamata dello straniero”.

E’ ciò che Kissinger chiamerebbe mutamento dell’equilibrio in una struttura più grande, unitaria e cooperante.

La critica di Tremonti

Tuttavia, Il Prof. Tremonti critica, con argomenti appropriati ed una significativa pars construens, questa Europa, che “fa ciò che non dovrebbe fare: infinite regole e de minimis, su tutto e per tutto, cercando di normalizzare, di standardizzare per “Direttiva” o per “Regolamento” tutte le realtà storicamente proprie dei vari Stati dell’Unione, cercando di cancellarle d’ufficio e di colpo, per sostituirle con modelli sociali nuovi universalistici, artificiali e oramai fallimentari”.

Le soluzioni proposte dall’ex Ministro dell’economia e delle finanze dei governi Berlusconi II, III, IV sono:

a) lasciare alla sovranità dei nostri Stati ciò che non è essenziale per l’Unione. L’Europa, per evitare la Brexit, propose all’Inghilterra di eliminare molte delle regole europee che considerava non necessarie all’Unione, e comunque, contrarie alle sue tradizioni. Lo ha fatto dichiarando che tale “concessione” era completamente compatibile coi vigenti trattati.

b) Fare come l’Europa, ciò che invece finora non si è fatto: concentrarsi su sicurezza, intelligence e difesa dei confini, finanziate emettendo titoli europei (Eurobond). [Giulio Tremonti, Le Tre Profezie, Ed. Solferino, 2020]

“Serve uscire dal paradigma suicida”, col coraggio e la saggezza del vero statista, “per cui un continente, più è importante nel mondo – come l’Europa – più deve essere debole!”.

I BRICS

Orgoglio nazionale, sovranità non devono rimanere slogan o parole vuote, perché negli altri continenti si sta correndo.

Il Presidente dell’Istituto Italia BRICS, già presidente della Commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli, il 18 Agosto ha precisato che il BRICS diventerà sempre più un’alleanza di Paesi uniti dall’obiettivo di liberarsi dal neocolonialismo dell’Occidente collettivo e di determinare autonomamente le politiche di cooperazione, sviluppo collettivo, equilibrato e reciprocamente vantaggioso. Anche questo proposito, in teoria, potrebbe piacere a Kissinger, ma certamente non con la marginalizzazione degli USA.

Perciò è questo il momento di un sussulto d’orgoglio “made in Italy”, svincolandosi dalla UE in tutti gli ambiti possibili e già garantiti dai trattati internazionali.

La pace possibile verrà dai paesi neutrali

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di Jeffrey Sachs 

Fonte: lettere da Mosca

È probabile che né la Russia né l’Ucraina ottengano una vittoria militare decisiva nella guerra in corso: entrambe le parti hanno un ampio spazio per un’escalation mortale. L’Ucraina e i suoi alleati occidentali hanno poche possibilità di cacciare la Russia dalla Crimea e dalla regione del Donbass, mentre la Russia ha poche possibilità di costringere l’Ucraina alla resa. Come ha osservato Joe Biden in ottobre, la spirale dell’escalation segna la prima minaccia diretta di “Armageddon nucleare” dalla crisi dei missili cubani 60 anni fa. Anche il resto del mondo soffre, anche se non sul campo di battaglia. L’Europa è probabilmente in recessione. Le economie in via di sviluppo lottano con l’aumento della fame e della povertà. I produttori di armi americani e le grandi compagnie petrolifere raccolgono guadagni inaspettati, anche se l’economia americana nel suo complesso peggiora. Il mondo deve sopportare una maggiore incertezza, catene di approvvigionamento interrotte e terribili rischi di escalation nucleare. Ciascuna parte potrebbe optare per una guerra continua nella convinzione di ottenere un vantaggio militare decisivo sul nemico. Almeno una delle parti si sbaglierebbe in una tale visione, e probabilmente entrambe. Una guerra di logoramento devasterà entrambe le parti.

Eppure il conflitto potrebbe continuare per un altro motivo: che nessuna delle due parti vede la possibilità di un accordo di pace applicabile. I leader ucraini ritengono che la Russia userebbe qualsiasi pausa nella lotta per riarmarsi. I leader russi ritengono che la NATO userebbe qualsiasi pausa nei combattimenti per espandere l’arsenale dell’Ucraina. Scelgono di combattere ora, piuttosto che affrontare un nemico più forte in seguito. La sfida è trovare un modo per rendere un accordo di pace accettabile, credibile e applicabile. Credo che la causa di una pace negoziata debba essere ascoltata più ampiamente, in primo luogo per evitare che l’Ucraina diventi un campo di battaglia perpetuo e, più in generale, perché vantaggiosa per entrambe le parti e per il resto del mondo. Sono molti gli argomenti forti a favore del coinvolgimento di Paesi neutrali per aiutare a far rispettare un accordo di pace che gioverebbe a molti.

Un accordo credibile dovrebbe innanzitutto soddisfare gli interessi di sicurezza fondamentali di entrambe le parti. Come disse saggiamente John F. Kennedy sulla via del successo del Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari con l’Unione Sovietica nel 1963, “si può fare affidamento anche sulle nazioni più ostili per accettare e mantenere quegli obblighi del Trattato, e solo quegli obblighi del Trattato, che sono nel loro stesso interesse”.

In un accordo di pace, l’Ucraina dovrebbe essere rassicurata sulla sua sovranità e sicurezza, mentre la NATO dovrebbe promettere di non allargarsi verso Est (sebbene la NATO si descriva come un’alleanza difensiva, la Russia certamente la pensa diversamente e si oppone fermamente all’allargamento della NATO). Bisognerebbe trovare alcuni compromessi per quanto riguarda la Crimea e la regione del Donbass, forse congelando e smilitarizzando quei conflitti per un periodo di tempo. Un accordo sarà anche più sostenibile se includerà la graduale eliminazione delle sanzioni contro la Russia e un accordo tra la Russia e l’Occidente per contribuire alla ricostruzione delle aree dilaniate dalla guerra.

Il successo potrebbe dipendere da chi è coinvolto nel tentativo di trovare e imporre la pace. Dal momento che gli stessi belligeranti non possono forgiare una tale pace da soli, una soluzione strutturale chiave consiste nel portare altre parti all’accordo. Nazioni neutrali tra cui Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia e Sud Africa hanno ripetutamente chiesto una fine negoziata del conflitto. Potrebbero aiutare a far rispettare qualsiasi accordo raggiunto.

Questi Paesi non odiano né la Russia né l’Ucraina. Non vogliono né che la Russia conquisti l’Ucraina, né che l’Occidente espanda la NATO verso Est, cosa che molti vedono come una pericolosa provocazione non solo per la Russia ma forse anche per altri Paesi. La loro opposizione all’allargamento della NATO si è acuita quando i sostenitori della linea dura americana hanno esortato l’alleanza ad affrontare la Cina. I Paesi neutrali sono stati colti di sorpresa dalla partecipazione dei leader dell’Asia-Pacifico di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda a un vertice lo scorso anno di presunti Paesi del “Nord Atlantico”.

Il ruolo pacificatore dei principali Paesi neutrali potrebbe essere decisivo. L’economia e la capacità bellica della Russia dipendono dal mantenimento di solide relazioni diplomatiche e dal commercio internazionale con questi Paesi neutrali. Quando l’Occidente ha imposto sanzioni economiche alla Russia, le principali economie emergenti, come l’India, non hanno seguito l’esempio. Non hanno voluto schierarsi e hanno mantenuto forti relazioni con la Russia.

Questi Paesi neutrali sono i principali attori dell’economia globale. Secondo le stime del FMI sul PIL a parità di potere d’acquisto, la produzione combinata di Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia e Sudafrica (51,7 trilioni di dollari, ovvero quasi il 32% della produzione mondiale) nel 2022 è stata superiore a quella delle nazioni del G7, America, Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia e Giappone. Le economie emergenti sono anche cruciali per la governance economica globale e manterranno la presidenza del G20 per quattro anni consecutivi, oltre a posizioni di leadership nei principali organi regionali. Né la Russia né l’Ucraina vogliono sperperare le relazioni con questi Paesi, cosa che li rende importanti garanti potenziali della pace.

Inoltre, molti di questi Paesi cercherebbero di rafforzare le proprie credenziali diplomatiche aiutando a negoziare la pace. Molti, tra cui ovviamente Brasile e India, aspirano da tempo a seggi permanenti nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La possibile architettura di un accordo di pace potrebbe essere un accordo co-garantito dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con alcune delle principali economie emergenti. Oltre ai Paesi sopra citati, altri co-garanti credibili sono la Turchia (che ha abilmente mediato i colloqui Russia-Ucraina); l’Austria, orgogliosa della sua duratura neutralità; e l’Ungheria, che quest’anno detiene la presidenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e ha ripetutamente chiesto negoziati per porre fine alla guerra.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e i co-garanti imporrebbero misure commerciali e finanziarie concordate dalle Nazioni Unite contro qualsiasi parte che violi l’accordo di pace. L’attuazione di tali misure non sarebbe soggetta al veto della parte inadempiente. La Russia e l’Ucraina dovrebbero confidare nel fair play dei Paesi neutrali per garantire la pace e i rispettivi obiettivi di sicurezza.

Non ha senso che i combattimenti continuino in Ucraina. È improbabile che nessuna delle due parti vinca una guerra che sta attualmente devastando l’Ucraina, imponendo enormi costi in vite umane e finanze alla Russia e causando danni globali. I principali Paesi neutrali, in collaborazione con le Nazioni Unite, possono essere i co-garanti per iniziare una nuova era di pace e ricostruzione. Il mondo non dovrebbe permettere alle due parti di continuare una sconsiderata spirale di escalation.

di Jeffrey Sachs (direttore del Centro per lo Sviluppo Sostenibile della Columbia University).

L’articolo è stato pubblicato su The Economist del 18 gennaio 2023 e rilanciato dall’Autore su Other News. La traduzione è di Fulvio Scaglione.

Come cambierà la democrazia dopo il Covid

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di Corrado Ocone

L’OCCIDENTE INVIDIA IL MODELLO CINESE? LE CONSEGUENZE POLITICHE DELLA PANDEMIA

Abituati a vivere la quotidianità pandemica, e immersi nelle polemiche sui vaccini e il green pass, poco riflettiamo sulle conseguenze storico-politiche di più ampia durata delle politiche di contrasto messe in opera, indipendentemente da come le si possa giudicare. In questo senso, si può veramente dire che Covid-19 abbia accelerato dei processi in corso già da un po’ di tempo, almeno dalla crisi finanziaria del 2007-8.

Il sistema occidentale in crisi

Con l’efficacia che può essere di un titolo di copertina, è The Economist a parlare questa settimana di The triumph of big government e a chiedersi quale dovrebbe essere, di fronte a una così forte espansione dello Stato, la risposta del liberalismo classico. In effetti, quello che non si dice, o che viene semplicemente occultato, è che un sistema basato quasi esclusivamente sula spesa pubblica, e quindi su una forte tassazione, non può reggere a lungo. Non solo per motivi economici, ma anche culturali. Quello che non può reggere, più propriamente, è il complicato sistema delle libertà istituzionali e costituzionali che l’Occidente ha costruito nei secoli e decenni scorsi, e soprattutto quella sana e caotica anarchia della società civile che ha permesso di liberare energie e spiriti vitali che alla fine ci hanno garantito, e ancora ci garantiscono, una rispettabile qualità della vita.

La Cina, il modello alternativo

La qualità della democrazia liberale è qualcosa che ci deve stare a cuore se teniamo alla qualità delle nostre vite. Inutile dire che il convitato di pietra, in questo mio discorso, è la Cina, che da partner commerciale strategico dell’Occidente quale era stato nei primi anni della globalizzazione (che hanno coinciso con la sua escalation come potenza globale) è diventato, almeno per l’America (e qui Trump o Biden fa poca differenza), un temibile avversario politico di sistema, cioè con modello alternativo di politica e vita civile del tutto poco rispettoso delle libertà personali. 

Per mesi, osserva il settimanale inglese, mente la vaccinazione in Europa procedeva  molto  lentamente, “la Cina ha potuto celebrare la sua risposta al virus come una vittoria del modello dello Stato forte”. È emersa perciò, anche nelle nostre democrazie, una sorta di volontà di emulazione, che ovviamente si è realizzato in forme edulcorate e più controllate. Stessa però l’impostazione del problema: “la strategia dello zero-covid ha esemplificato l’inflessibilità di un potere centralizzato e incontrollato”.

La nuova “dittatura preventiva”

Che l’Occidente invidi sotto sotto il modello cinese? Questa domanda se la poneva ieri  Le Figaro nel recensire il libro appena uscito di un ex diplomatico. L’Occidente ha invidia e paura al tempo stesso della Cina, spiegava l’articolista, non certo per la repressione degli Uiguri (certamente esecrabile) ma per la strana mescolanza che lì sembra essersi realizzata “fra la prosperità organizzata del capitalismo cinese, che garantisce una forma di armonia sociale, e una ‘dittatura preventiva’, fondata sul controllo sociale dei dati, che rende obsoleta la “dittatura repressiva” del XX secolo”. La Cina, sulla lunga scorta di un confucianesimo ben integratosi con il marxismo e il progresso tecnico-informatico, sembra quasi proporci un nuovo equilibrio fra benessere individuale e benessere collettivo. “Il successo cinese, senza che noi osiamo ammetterlo, diventa la tentazione dell’Occidente”. Il discorso, a ben vedere, è sempre quello di Tocqueville: un individuo atomizzato e alla ricerca di piaceri effimeri è ben disposto a svendere la sua libertà a un sistema che lo protegge e lo rassicura dalla culla alla bara.

Devo dire la verità: il dibattito su no vax e no pass non mi appassiona più di tanto, soprattutto quando è urlato, fazioso, piazzaiolo, violento. Né mi sembra intelligente la retorica del “noi” contro “loro”, ove il loro che vorrebbe controllarci e sottometterci non si sa bene chi sia. E, pur avendo non pochi dubbi sul green pass, credo che la sua introduzione, in quanto legge di uno Stato democratico come il nostro, vada assolutamente rispettata. Porsi però anche in Italia, con la postura giusta e nelle sedi giuste, queste questioni di fondo, che la stampa e il dibattito esteri non occultano, credo sia importante e “salutare” (tanto per restare in tema).

Corrado Ocone, 21 novembre 2021 https://www.nicolaporro.it/come-cambiera-la-democrazia-dopo-il-covid/

Sono pronti: dalla crisi sanitaria a quella energetica…

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Segnalazione Arianna Editrice

di Marcello Parmio

Fonte: Marcello Pamio

I media mainstream stanno dando sempre più risalto all’allarme energetico. Siccome il caso non esiste, quando gli zerbini dei banchieri internazionali si mettono in moto, significa che c’è dietro un piano. In pratica stanno lentamente spostando l’attenzione dall’emergenza sanitaria a quella energetica! Il motivo è semplice: sempre più persone hanno mangiato la foglia svegliandosi dal coma letargico, per cui sono prontissimi per la prossima emergenza. Preparano nuovi lockdown ma questa volta sotto forma di blackout energetici, come d’altronde previsti dal Great Reset. E l’ultima copertina della rivista “The Economist” (di proprietà dell’Aristocrazia oligarchica: Rothschild e Agnelli/Elkann) è illuminante.
Ricordo infine che il “Green Pass” non a caso è il passaporto “verde”, il colore dell’ambiente…
La Fabian Society e PandemiaLa Fabian Society e Pandemia – Libro