Il 2024 porterà nuovi vescovi alla FSSPX: i “lefebvriani” perseverano nell’errore fallibilista

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EDITORIALE

di Matteo Castagna

Siamo stati cattolici fedeli alla Tradizione, seguendo l’apostolato dei sacerdoti della Fraternità san Pio X, dal 2003 al 2009 ed è giusto farne pubblica ammenda. I sacerdoti ci sembravano avere una formazione tradizionale, che lasciava o incoraggiava la militanza cattolica dei cattolici laici che volevano intraprenderla. Nel 2005 alcuni atteggiamenti cambiarono. Improvvisamente, il parroco conciliare di Spadarolo (Rimini) ove la FSSPX ha un priorato, ci lasciava l’ampio oratorio per nostre occasioni conviviali, le omelie tendevano a evitare di parlare degli atti modernisti del clero conciliare, così come le conferenze e le catechesi. ai convegni annuali del distretto Italiano non venivano più invitati come relatori gli esponenti più determinati e politicamente scorretti.

Anche nelle discussioni private si veniva gentilmente invitati a smetterla di attaccare in continuazione i vari esponenti della Curia romana. La militanza non veniva più incoraggiata, ma snobbata, scoraggiata o, addirittura, subdolamente, distrutta. Stava cambiando il clima, preludio a successivi cambiamenti. Nel 2006, oramai, il ralliement nei confronti dei conciliari era sempre più visibile e lo si leggeva nei bollettini dell’allora Superiore Generale Mons. Bernard Fellay.

Alcuni fedeli, accortisi di questa tendenza de facto si avvicinarono ad altri fedeli, storicamente sedevacantisti, ma tollerati, almeno a Messa, per approfondire la posizione. Dopo circa un anno di studio e di non facile accettazione, la convinzione venne espressa al sacerdote della Fraternità che era considerato il più vicino a tale posizione perché lasciava piena libertà di coscienza sull’argomento. Nel 2007 le trattative ufficiali tra i vertici della FSSPX e la Roma del Concilio portarono al Motu (im)Proprio “Summorum Pontificum”, con cui Ratzinger accoglieva la richiesta lefebvriana di lasciare liberi i sacerdoti di tutto il mondo di celebrare la Messa col Messale Romano promulgato da Roncalli nel 1962, prima della riforma liturgica, ma, allo stesso tempo subordinava la Messa more antiquo a quella Novus Ordo del 1969. La liturgia della Chiesa diventata, così, la forma extra-ordinaria dell’ “unico rito” romano, che era, evidentemente, la forma ordinaria promulgata da Montini con la consulenza di Mons. Annibale Bugnini, in forte odor di Massoneria e di 6 Pastori protestanti.

Non veniva più preso in considerazione che “lex orandi, lex credendi”, e quindi, non veniva risposto agli “anticristi” romani – come li definiva, negli anni ’80, Mons. Marcel Lefebvre – che le due Messe erano frutto di due fedi diverse, una cattolica e l’altra modernista. Alla Fraternità bastava avere la possibilità di celebrare la Messa, possibilmente in chiesa, senza che qualcuno gli rompesse più le scatole. Pazienza anche che a celebrarla fossero “sacerdoti” d’ordinazione invalida con rito riformato.

Non si imponevano già più le mani, sub condicione, al clero almeno di dubbia validità. Il sacerdote di cui sopra, durante un’omelia a Lanzago di Silea (TV) tuonò nei confronti di Ratzinger, del Motu (im)Proprio ma anche dei vertici della sua Fraternità che avevano accettato questo mostro teologico, senza batter ciglio. Tra il 2007 e il 2009 furono anni burrascosi e di grande fermento, in cui nacque il Circolo Christus Rex. Quando Ratzinger, a furia di trattative coi vertici fraternini, su richiesta espressa di Mons. Fellay, nel gennaio 2009, remise le scomuniche comminate ai 4 vescovi consacrati da Mons. Lefebvre nel 1988, il vaso traboccò. Perché tutta questa smania di voler esser riconosciuti veri cattolici dalla Chiesa modernista conciliare?? Mons. Lefebvre non si era forse appellato allo stato di necessità grave per il mantenimento della Fede Cattolica integra da errori già condannati, per consacrare 4 vescovi, contro la volontà di Wojtyla?

Un fatto, forse troppo ingenuo, ma privo di conseguenze giuridiche, contrariamente a Mons. Richard Williamson che ad una televisione svedese negò la Shoà, accorso a quel sacerdote, che era andato pubblicamente in linea con Mons.Williamson, aveva l’attenuante di sentirsi esasperato e tradito da quella che era la sua famiglia di confratelli, fu il pretesto per espellerlo dalla congregazione, con modalità che, ancora oggi, non sapremmo definire se più vigliacche, o più prive della minima carità cristiana.

C’era uno zoccolo duro di fedeli che non si spaventò, che non esitò a seguire colui che era stato cacciato, cambiandogli le chiavi della canonica mentre diceva Messa a Trieste, che lo ospitò, che lo aiutò affinché potesse celebrare la Santa Messa comunque, che gli trovò un posto ove andare a vivere, adeguato ad avere una cappella in taverna. Quella cinquantina di persone si diede da fare perché non gli mancasse nulla. Egli non era caduto nelle maglie dei conciliari e andava difeso e sostenuto. I laici furono la salvezza di quel sacerdote smarrito, angosciato e privato, perfino, temporaneamente, di ogni suo effetto personale.

Possiamo dire di conoscere piuttosto bene l’argomento poco edificante di cui parliamo, anche per una serie di numerose altre questioni, di cui non è questa la sede e il momenti di parlare.

Leggiamo su Facebook un articolo del sito www.unavox.it in cui si riporta uno stralcio del Bollettino del Priorato francese della Fraternità, in cui don Alain Delagneau dà l’annuncio di nuove ordinazioni episcopali da parte della sua confraternita. Scrive il priore: “Noi ci dobbiamo aspettare – da parte delle autorità – di essere trattati da scomunicati, da scismatici. Tutte cose dolorose e preoccupanti per un cattolico. I media sapranno amplificare queste condanne, come anche la Fraternità San Pietro e compagnia; per questi sarà una buona occasione per giustificare la loro scelta nella crisi della Chiesa.

Poi continua: “E’ chiaro che è il Papa ad avere la giurisdizione universale su tutti i cristiani, ed è dunque lui che affida una parte del gregge ad ogni vescovo, rimanendone responsabile davanti a Dio. E questo è di diritto divino […] E quindi rifiutare dei vescovi alla Tradizione attiene alla legge umana, mentre salvare le anime attiene alla legge divina. Ne consegue che nel caso di grave necessità per le anime del mondo intero, si può e perfino si deve andare contro una legge umana per salvaguardare la legge divina”.

Se ne desume che sia legittimo disobbedire a colui che si ritiene il legittimo Vicario di Cristo, che però, potrebbe scomunicare chi chiede vescovi per la Tradizione. pare un cortocircuito logico, prima che teologico e canonico. Come fa un legittimo Pontefice ad essere tale ed allo stesso tempo creare le situazioni di uno stato di necessità per la salvezza delle anime? San Pietro e tutti i Papi, fino a Pio XII, hanno sempre confermato i fratelli nella fede. Non l’hanno messa in discussione creando pericolo per la sua integrità.

Gesù Cristo ha istituito il magistero ecclesiastico, conferendo agli Apostoli lo speciale potere di “annunciare il lieto messaggio (Mt. 11,5), “per rendere testimonianza della verità” (Gv. 18,37). Gli apostoli e i loro successori devono “annunciare il Vangelo a tutte le creature” (Mc. 16,15). Questo è un magistero vivo, autoritativo, tradizionale. Il mezzo per cui la parola di Dio venisse tramandata come tale, non falsata né turbata dall’errore umano è il carisma dell’infallibilità, che Egli ha conferito alla Sua Chiesa.

Esso vale per l’assicurazione della verità della fede. Poiché la Chiesa deve soltanto custodire e annunziare il tesoro della rivelazione, l’infallibilità non costituisce per i suoi soggetti la comunicazione di nuove verità rivelate. Perciò il Magistero ordinario e straordinario dei veri Papi è infallibile. Non si può credere il contrario della Mortalium animos di Papa Pio XI, come ha stabilito la Nostra Aetate del Conciliabolo Vaticano II, così come non ci si può adeguare alla Traditionis Custodes di Bergoglio, che abolisce la Messa di sempre, senza averne il potere e l’autorità. Il problema è sempre quello del vicolo cieco del fallibilismo lefebvriano, che portò alle consacrazioni del 1988. senza prima aver dichiarato la Sede Vacante per eresia manifesta, come avrebbe voluto Mons. Antonio de Castro Mayer, Arcivescovo di Campos, in Brasile, comunque presente a quelle storiche consacrazioni.

La Fraternità vuole davvero fare marcia indietro e farsi scomunicare di nuovo pur di restare fedele alla Tradizione? Ammetterebbe implicitamente gli errori gravissimi degli ultimi decenni, ma le basi dottrinali appaiono sempre quelle. O è in arrivo per il 2024 un nuovo “scherzo da prete”, Bergoglio benedicente, a scapito della Tradizione cattolica e a favore della “coppia di fatto” con il modernismo conciliare?

Attendiamo gli eventi e preghiamo per il bene delle anime e la gloria di Dio, ma le “comunicatio in sacris” coi preti invalidi, le ambiguità dottrinali e le contraddizioni lefebvriane, in particolar modo sulla questione dell’Autorità nella Chiesa e del Magistero, ci fa essere scettici. Certamente non possiamo essere lefebvriani, come abbiamo capito, per grazia di dio, nel 2005. Non vorremmo trovarci a morire “una cum” more antiquo, ma “una cum Luca Casarini”, perché la Fraternità è molto “allegra” su argomenti importantissimi di teologia fondamentale. Il vostro parlare sia “sì sì, no no” perché il resto viene dal maligno che fa adagiare nella ricerca della posizione di comodo che non è mai quella vera.

 

La verità su Galileo Galilei

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Tratto da Pensare la storia, Ed. Paoline, Vittorio Messori, 1992, cap. 178-180, pp. 383-397.

Stando a un’inchiesta dei Consiglio d’Europa tra gli studenti di scienze in tutti i Paesi della Comunità, quasi il 30 per cento è convinto che Galileo Galilei sia stato arso vivo dalla Chiesa sul rogo. La quasi totalità (il 97 per cento) è comunque convinta che sia stato sottoposto a tortura. Coloro – non molti, in verità – che sono in grado di dire qualcosa di più sullo scienziato pisano, ricordano, come frase “sicuramente storica”, un suo “Eppur si muove!”, fieramente lanciato in faccia, dopo la lettura della sentenza, agli inquisitori convinti di fermare il moto della Terra con gli anatemi teologici. Quegli studenti sarebbero sorpresi se qualcuno dicesse loro che siamo, qui, nella fortunata situazione di poter datare esattamente almeno quest’ultimo falso: la “frase storica” fu inventata a Londra, nel 1757, da quel brillante quanto spesso inattendibile giornalista che fu Giuseppe Baretti.

Il 22 giugno del 1633, nel convento romano di Santa Maria sopra Minerva tenuto dai domenicani, udita la sentenza, il Galileo “vero” (non quello del mito) sembra mormorasse un ringraziamento per i dieci cardinali – tre dei quali avevano votato perché fosse prosciolto – per la mitezza della pena. Anche perché era consapevole di aver fatto di tutto per indisporre il tribunale, cercando per di più di prendere in giro quei giudici – tra i quali c’erano uomini di scienza non inferiore alla sua – assicurando che, nel libro contestatogli (e che era uscito con una approvazione ecclesiastica estorta con ambigui sotterfugi), aveva in realtà sostenuto il contrario di quanto si poteva credere.

Di più: nei quattro giorni di discussione, ad appoggio della sua certezza che la Terra girasse attorno al Sole aveva portato un solo argomento. Ed era sbagliato. Sosteneva, infatti, che le maree erano dovute allo “scuotimento” delle acque provocato dal moto terrestre. Tesi risibile, alla quale i suoi giudici-colleghi ne opponevano un’altra che Galileo giudicava “da imbecilli”: era, invece, quella giusta. L’alzarsi e l’abbassarsi dell’acqua dei mari, cioè, è dovuta all’attrazione della Luna. Come dicevano, appunto, quegli inquisitori insultati sprezzantemente dal Pisano.
Altri argomenti sperimentali, verificabili, sulla centralità del Sole e sul moto terrestre, oltre a questa ragione fasulla, Galileo non seppe portare. Né c’è da stupirsi: il Sant’Uffizio non si opponeva affatto all’evidenza scientifica in nome di un oscurantismo teologico. La prima prova sperimentale, indubitabile, della rotazione della Terra è del 1748, oltre un secolo dopo. E per vederla quella rotazione, bisognerà aspettare il 1851, con quel pendolo di Foucault caro a Umberto Eco.
In quel 1633 del processo a Galileo, sistema tolemaico (Sole e pianeti ruotano attorno alla Terra) e sistema copernicano difeso dal Galilei (Terra e pianeti ruotano attorno al Sole) non erano che due ipotesi quasi in parità, su cui scommettere senza prove decisive. E molti religiosi cattolici stessi stavano pacificamente per il “novatore” Copernico, condannato invece da Lutero.

Del resto, Galileo non solo sbagliava tirando in campo le maree, ma già era incorso in un altro grave infortunio scientifico quando, nel 1618, erano apparse in cielo delle comete. Per certi apriorismi legati appunto alla sua “scommessa” copernicana,si era ostinato a dire che si trattava solo di illusioni ottiche e aveva duramente attaccato gli astronomi gesuiti della Specola romana che invece – e giustamente – sostenevano che quelle comete erano oggetti celesti reali. Si sarebbe visto poi che sbagliava ancora, sostenendo il moto della Terra e la fissità assoluta del Sole, mentre in realtà anche questo
è in movimento e ruota attorno al centro della Galassia.
Niente frasi “titaniche” (il troppo celebre “Eppur si muove!”) comunque, se non nelle menzogne degli illuministi e poi dei marxisti – vedasi Bertolt Brecht – che crearono a tavolino un “caso” che faceva (e fa ancora) molto comodo per una propaganda volta a dimostrare l’incompatibilità tra scienza e fede.

Torture? carceri dell’Inquisizione? addirittura rogo? Anche qui, gli studenti europei del sondaggio avrebbero qualche sorpresa. Galileo non fece un solo giorno di carcere, né fu sottoposto ad alcuna violenza fisica. Anzi, convocato a Roma per il processo, si sistemò (a spese e cura della Santa Sede), in un alloggio di cinque stanze con vista sui giardini vaticani e cameriere personale. Dopo la sentenza, fu alloggiato nella splendida villa dei Medici al Pincio. Da lì, il “condannato” si trasferì come ospite nel palazzo dell’arcivescovo di Siena, uno dei tanti ecclesiastici insigni che gli volevano bene, che lo avevano aiutato e incoraggiato e ai quali aveva dedicato le sue opere. Infine, si sistemò nella sua confortevole villa di Arcetri, dal nome significativo “Il gioiello”.

Non perdette né la stima né l’amicizia di vescovi e scienziati, spesso religiosi. Non gli era mai stato impedito di continuare il suo lavoro e ne approfittò difatti, continuando gli studi e pubblicando un libro – Discorsi e dimostrazioni sopra  due nuove scienze che è il suo capolavoro scientifico. Né gli era stato vietato di ricevere visite, così che i migliori colleghi d’Europa passarono a discutere con lui. Presto gli era stato tolto anche il divieto di muoversi come voleva dalla sua villa. Gli rimase un solo obbligo: quello di recitare una volta la settimana i sette salmi penitenziali. Questa “pena”, in realtà, era anch’essa scaduta dopo tre anni, ma fu continuata liberamente da un credente come lui, da un uomo che per gran parte della sua vita era stato il beniamino dei Papi stessi; e che, ben lungi dall’ergersi come difensore della ragione contro l’oscurantismo clericale, come vuole la leggenda posteriore, poté scrivere con verità alla fine della vita: “In tutte le opere mie, non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla riverenza di Santa Chiesa“. Morì a 78 anni, nel suo letto, munito dell’indulgenza plenaria e della benedizione del papa. Era l’8 gennaio 1642, nove anni dopo la “condanna” e dopo 78 di vita. Una delle due figlie suore raccolse la sua ultima parola. Fu: “Gesù!“. I suoi guai, del resto, più che da parte “clericale” gli erano sempre venuti dai “laici”: dai suoi colleghi universitari, cioè, che per invidia o per conservatorismo, brandendo Aristotele più che la Bibbia, fecero di tutto per toglierlo di mezzo e ridurlo al silenzio. La difesa gli venne dalla Chiesa, l’offesa dall’Università.

In occasione della recente visita del papa a Pisa, un illustre scienziato, su un cosiddetto “grande” quotidiano, ha deplorato che Giovanni Paolo II “non abbia fatto ulteriore, doverosa ammenda dell’inumano trattamento usato dalla Chiesa contro Galileo“. Se, per gli studenti del sondaggio da cui siamo partiti, si deve parlare di ignoranza, per studiosi di questa levatura il sospetto è la malafede. Quella stessa malafede, del resto, che continua dai tempi di Voltaire e che tanti complessi di colpa ha creato in cattolici disinformati. Eppure, non solo le cose non andarono per niente come vuole la secolare propaganda; ma proprio oggi ci sono nuovi motivi per riflettere sulle non ignobili ragioni della Chiesa. Il “caso” è troppo importante, per non parlarne ancora.

Il Galilei – alla pari, del resto, di un altro cattolico fervente come Cristoforo Colombo – convisse apertamente more uxorio con una donna che non volle sposare, ma dalla quale ebbe un figlio maschio e due femmine. Lasciata Padova per ritornare in Toscana, dove gli era stata promessa maggior possibilità di far carriera, abbandonò in modo spiccio (da qualcuno, anzi, sospettato di brutalità) la fedele compagna, la veneziana Marina Gamba, togliendole anche tutti i figli. “Provvisoriamente, mise le figliuole in casa del cognato, ma doveva pensare a una loro sistemazione definitiva: cosa non facile perché, data la nascita illegittima, non era probabile un futuro matrimonio. Galileo pensò allora di monacarle. Sennonché le leggi ecclesiastiche non permettevano che fanciulle così giovani facessero i voti, e allora Galileo si raccomandò ad alti prelati per poterle fare entrare egualmente in convento: così, nel 1613, le due fanciulle – una di 13 e
l’altra di 12 anni – entravano nel monastero di San Matteo d’Arcetri e dopo poco vestirono l’abito. Virginia, che prese il nome di suor Maria Celeste, riuscì a portare cristianamente la sua croce, visse con profonda pietà e in attiva carità verso le sue consorelle. Livia, divenuta suor Arcangela, soccombette invece al peso della violenza subita e visse nevrastenica e malaticcia
” (Sofia Vanni Rovighi).

Sul piano personale, dunque, sarebbe stato vulnerabile.

“Sarebbe”, diciamo, perché, grazie a Dio, quella Chiesa che pure lo convocò davanti al Sant’Uffizio, quella Chiesa accusata di un moralismo spietato, si guardò bene dal cadere nella facile meschineria di mescolare il piano privato, le scelte personali del grande scienziato, con il piano delle sue idee, le sole che fossero in discussione. “Nessun ecclesiastico gli rinfaccerà mai la sua situazione familiare. Ben diversa sarebbe stata la sua sorte nella Ginevra di Calvino, dove i “concubini” come lui venivano decapitati” (Rino Canimilleri).

È un’osservazione che apre uno spiraglio su una situazione poco conosciuta. Ha scritto Georges Bené, uno dei maggiori conoscitori di questa vicenda: “Da due secoli, Galileo e il suo caso interessano, più che come fine, come mezzo polemico contro la Chiesa cattolica e contro il suo “oscurantismo” che avrebbe bloccato la ricerca scientifica”. Lo stesso Joseph Lortz, cattolico rigoroso e certo ancora lontano da quello spirito di autoflagellazione di tanta attuale storiografia clericale, autore di uno dei più diffusi manuali di storia della Chiesa, cita, condividendola, l’affermazione di un altro studioso, il Dessauer: “Il nuovo mondo sorge essenzialmente al di fuori della Chiesa cattolica perché questa, con Galileo, ha cacciato gli scienziati“.
Questo non risponde affatto alla verità. Il temporaneo divieto (che giunge peraltro, lo vedremo meglio, dopo una lunga simpatia) di insegnare pubblicamente la teoria eliocentrica copernicana, è un fatto del tutto isolato: né prima né dopo la Chiesa scenderà mai (ripetiamo: mai) in campo per intralciare in qualche modo la ricerca scientifica, portata avanti tra l’altro quasi sempre da membri di ordini religiosi. Lo stesso Galileo è convocato solo per non avere rispettato i patti:
l’approvazione ecclesiastica per il libro “incriminato”, i Dialoghi sopra i massimi sistemi, gli era stata concessa purché trasformasse in ipotesi (come del resto esigevano le stesse ancora incerte conoscenze scientifiche del tempo) la teoria copernicana che egli invece dava ormai come sicura. Il che non era ancora. Promise di adeguarsi: non solo non lo fece, dando alle stampe il manoscritto così com’era, ma addirittura mise in bocca allo sciocco dei Dialoghi, dal nome esemplare di Simplicio, i consigli di moderazione datigli dal papa che pur gli era amico e lo ammirava.

Galileo, quando è convocato per scolparsi, si sta occupando di molti altri progetti di ricerca, non solo di quello sul movimento della Terra o del Sole. Era giunto quasi ai settant’anni avendo avuto onori e aiuti da parte di tutti gli ambienti religiosi, a parte un platonico ammonimento del 1616, ma non diretto a lui personalmente; subito dopo la condanna potrà riprendere in pieno le ricerche, attorniato da giovani discepoli che formeranno una scuola. E potrà condensare il meglio della sua vita di studio negli anni che gli restano, in quei Discorsi sopra due nuove scienze che è il vertice del suo pensiero scientifico.
Dei resto, proprio nell’astronomia e proprio a partire da quegli anni la Specola Vaticana – ancor oggi in attività, fondata e sempre diretta da gesuiti – consolida la sua fama di istituto scientifico tra i più prestigiosi e rigorosi nel mondo. Tanto che, quando gli italiani giungono a Roma, nel 1870, si affrettano a fare un’eccezione al loro programma di cacciare i religiosi, quelli della Compagnia di Gesù innanzitutto.

Il governo dell’Italia anticlericale e massonica fa votare così dal Parlamento una legge speciale per mantenere come direttore a vita dell’Osservatorio già papale il padre Angelo Secchi, uno dei maggiori studiosi del secolo, tra i fondatori dell’astrofisica, uomo la cui fama è talmente universale che petizioni giungono da tutto il mondo civile per ammonire i responsabili della “nuova Italia” che non intralcino un lavoro giudicato prezioso per tutti.

Se la scienza sembra emigrare, a partire dal Seicento, prima nel Nord Europa e poi oltre Atlantico – fuori, cioè, dall’orbita di regioni cattoliche – le cause sono legate al diverso corso assunto dalla scienza stessa. Innanzitutto, i nuovi, costosi strumenti (dei quali proprio Galileo è tra i pionieri) esigono fondi e laboratori che solo i Paesi economicamente sulla cresta dell’onda possono permettersi, non certo l’Italia occupata dagli stranieri o la Spagna in declino, rovinata dal suo stesso trionfo.

La scienza moderna, poi, a differenza di quella antica, si lega direttamente alla tecnologia, cioè alla sua utilizzazione diretta e concreta. Gli antichi coltivavano gli studi scientifici per se stessi, per gusto della conoscenza gratuita, pura. 1 greci, ad esempio, conoscevano le possibilità del vapore di trasformarsi in energia ma, se non adattarono a macchina da lavoro quella conoscenza, è perché non avrebbero considerato degno di un uomo libero, di un “filosofo” come era anche lo
scienziato, darsi a simili attività “utilitarie”. (Un atteggiamento che contrassegna del resto tutte le società tradizionali: i cinesi, che da tempi antichissimi fabbricavano la polvere nera, non la trasformarono mai in polvere da sparo per cannoni e fucili, come fecero poi gli europei del Rinascimento, ma l’impiegarono solo per fini estetici, per fare festa con i fuochi artificiali. E gli antichi egizi riservavano le loro straordinarie tecniche edilizie solo a templi e tombe, non per edifici “profani”).

È chiaro che, da quando la scienza si mette al servizio della tecnologia, essa può svilupparsi soprattutto tra popoli, come quelli nordici, che conoscono una primissima rivoluzione industriale; che hanno – come gli olandesi o gli inglesi – grandi flotte da costruire e da utilizzare; che abbisognano di equipaggiamento moderno per gli eserciti, di infrastrutture territoriali, e così via. Mentre, cioè, prima, la scienza era legata solo all’intelligenza, alla cultura, alla filosofia, all’arte stessa, a partire dall’epoca moderna è legata al commercio, all’industria, alla guerra. Al denaro, insomma.


È un’osservazione che apre uno spiraglio su una situazione poco conosciuta. Ha scritto Georges Bené, uno dei maggiori conoscitori di questa vicenda: “Da due secoli, Galileo e il suo caso interessano, più che come fine, come mezzo polemico contro la Chiesa cattolica e contro il suo “oscurantismo” che avrebbe bloccato la ricerca scientifica”. Lo stesso Joseph Lortz, cattolico rigoroso e certo ancora lontano da quello spirito di autoflagellazione di tanta attuale storiografia clericale, autore di uno dei più diffusi manuali di storia della Chiesa, cita, condividendola, l’affermazione di un altro studioso, il Dessauer: “Il nuovo mondo sorge essenzialmente al di fuori della Chiesa cattolica perché questa, con Galileo, ha cacciato gli scienziati“.
Questo non risponde affatto alla verità. Il temporaneo divieto (che giunge peraltro, lo vedremo meglio, dopo una lunga simpatia) di insegnare pubblicamente la teoria eliocentrica copernicana, è un fatto del tutto isolato: né prima né dopo la Chiesa scenderà mai (ripetiamo: mai) in campo per intralciare in qualche modo la ricerca scientifica, portata avanti tra l’altro quasi sempre da membri di ordini religiosi. Lo stesso Galileo è convocato solo per non avere rispettato i patti:
l’approvazione ecclesiastica per il libro “incriminato”, i Dialoghi sopra i massimi sistemi, gli era stata concessa purché trasformasse in ipotesi (come del resto esigevano le stesse ancora incerte conoscenze scientifiche del tempo) la teoria copernicana che egli invece dava ormai come sicura. Il che non era ancora. Promise di adeguarsi: non solo non lo fece, dando alle stampe il manoscritto così com’era, ma addirittura mise in bocca allo sciocco dei Dialoghi, dal nome esemplare di Simplicio, i consigli di moderazione datigli dal papa che pur gli era amico e lo ammirava.

Galileo, quando è convocato per scolparsi, si sta occupando di molti altri progetti di ricerca, non solo di quello sul movimento della Terra o del Sole. Era giunto quasi ai settant’anni avendo avuto onori e aiuti da parte di tutti gli ambienti religiosi, a parte un platonico ammonimento del 1616, ma non diretto a lui personalmente; subito dopo la condanna potrà riprendere in pieno le ricerche, attorniato da giovani discepoli che formeranno una scuola. E potrà condensare il meglio della sua vita di studio negli anni che gli restano, in quei Discorsi sopra due nuove scienze che è il vertice del suo pensiero scientifico.
Dei resto, proprio nell’astronomia e proprio a partire da quegli anni la Specola Vaticana – ancor oggi in attività, fondata e sempre diretta da gesuiti – consolida la sua fama di istituto scientifico tra i più prestigiosi e rigorosi nel mondo. Tanto che, quando gli italiani giungono a Roma, nel 1870, si affrettano a fare un’eccezione al loro programma di cacciare i religiosi, quelli della Compagnia di Gesù innanzitutto.

Il governo dell’Italia anticlericale e massonica fa votare così dal Parlamento una legge speciale per mantenere come direttore a vita dell’Osservatorio già papale il padre Angelo Secchi, uno dei maggiori studiosi del secolo, tra i fondatori dell’astrofisica, uomo la cui fama è talmente universale che petizioni giungono da tutto il mondo civile per ammonire i responsabili della “nuova Italia” che non intralcino un lavoro giudicato prezioso per tutti.

Se la scienza sembra emigrare, a partire dal Seicento, prima nel Nord Europa e poi oltre Atlantico – fuori, cioè, dall’orbita di regioni cattoliche – le cause sono legate al diverso corso assunto dalla scienza stessa. Innanzitutto, i nuovi, costosi strumenti (dei quali proprio Galileo è tra i pionieri) esigono fondi e laboratori che solo i Paesi economicamente sulla cresta dell’onda possono permettersi, non certo l’Italia occupata dagli stranieri o la Spagna in declino, rovinata dal suo stesso trionfo.

La scienza moderna, poi, a differenza di quella antica, si lega direttamente alla tecnologia, cioè alla sua utilizzazione diretta e concreta. Gli antichi coltivavano gli studi scientifici per se stessi, per gusto della conoscenza gratuita, pura. 1 greci, ad esempio, conoscevano le possibilità del vapore di trasformarsi in energia ma, se non adattarono a macchina da lavoro quella conoscenza, è perché non avrebbero considerato degno di un uomo libero, di un “filosofo” come era anche lo
scienziato, darsi a simili attività “utilitarie”. (Un atteggiamento che contrassegna del resto tutte le società tradizionali: i cinesi, che da tempi antichissimi fabbricavano la polvere nera, non la trasformarono mai in polvere da sparo per cannoni e fucili, come fecero poi gli europei del Rinascimento, ma l’impiegarono solo per fini estetici, per fare festa con i fuochi artificiali. E gli antichi egizi riservavano le loro straordinarie tecniche edilizie solo a templi e tombe, non per edifici “profani”).

È chiaro che, da quando la scienza si mette al servizio della tecnologia, essa può svilupparsi soprattutto tra popoli, come quelli nordici, che conoscono una primissima rivoluzione industriale; che hanno – come gli olandesi o gli inglesi – grandi flotte da costruire e da utilizzare; che abbisognano di equipaggiamento moderno per gli eserciti, di infrastrutture territoriali, e così via. Mentre, cioè, prima, la scienza era legata solo all’intelligenza, alla cultura, alla filosofia, all’arte stessa, a partire dall’epoca moderna è legata al commercio, all’industria, alla guerra. Al denaro, insomma.

Che questa – e non la pretesa “persecuzione cattolica” di cui, l’abbiamo visto, parlano anche storici cattolici – sia la causa della relativa inferiorità scientifica dei popoli restati legati a Roma, lo dimostra anche l’intolleranza protestante di cui quasi mai si parla e che è invece massiccia e precoce. Copernico, da cui tutto inizia (e nel cui nome Galileo sarebbe stato “perseguitato”) è un cattolicissimo polacco. Anzi, è addirittura un canonico che installa il suo rudimentale osservatorio su un torrione della cattedrale di Frauenburg. L’opera fondamentale che pubblica nel 1543 – La rotazione dei corpi
celesti 
– è dedicata al papa Paolo III, anch’egli, tra l’altro, appassionato astronomo. L’imprimatur è concesso da un cardinale proveniente da quei domenicani nel cui monastero romano Galileo ascolterà la condanna. Il libro del canonico polacco ha però una singolarità: la prefazione è di un protestante che prende le distanze da Copernico, precisando che si tratta solo di ipotesi, preoccupato com’è di possibili conseguenze per la Scrittura. Il primo allarme non è dunque di parte cattolica: anzi, sino al dramma finale di Galileo, si succedono ben undici papi che non solo non disapprovano la teoria “eliocentrica” copernicana, ma spesso l’incoraggiano. Lo scienziato pisano stesso è trionfalmente accolto a Roma e fatto membro dell’Accademia pontificia anche dopo le sue prime opere favorevoli al sistema eliocentrico.

Ecco, invece, la reazione testuale di Lutero alle prime notizie sulle tesi di Copernico: “La gente presta orecchio a un astrologo improvvisato che cerca in tutti i modi di dimostrare che è la Terra a girare e non il Cielo. Chi vuol far sfoggio di intelligenza deve inventare qualcosa e spacciarlo come giusto. Questo Copernico, nella sua follia, vuol buttare all’aria tutti i princìpi dell’astronomia“. E Melantone, il maggior collaboratore teologico di fra Martino, uomo in genere piuttosto equilibrato, qui si mostra inflessibile: “Simili fantasie da noi non saranno tollerate“.
Non si trattava di minacce a vuoto: il protestante Keplero, fautore del sistema copernicano, per sfuggire ai suoi correligionari che lo giudicano blasfemo perché parteggia per una teoria creduta contraria alla Bibbia, deve scappare dalla Germania e rifugiarsi a Praga, dopo essere stato espulso dal collegio teologico di Tubinga. Ed è significativo quanto ignorato (come, del resto, sono ignorate troppe cose in questa vicenda) che giunga al “copernicano” e riformato Keplero un invito per insegnare proprio nei territori pontifici, nella prestigiosissima università di Bologna.

Sempre Lutero ripeté più volte: “Si porrebbe fuori del cristianesimo chi affermasse che la Terra ha più di seimila anni“. Questo “letteralismo”, questo “fondamentalismo” che tratta la Bibbia come una sorta di Corano (non soggetta, dunque a interpretazione) contrassegna tutta la storia del protestantesimo ed è del resto ancora in pieno vigore, difeso com’è dall’ala in grande espansione – negli Usa e altrove – di Chiese e nuove religioni che si rifanno alla Riforma.
A proposito di università (e di “oscurantismo”): ci sarà pure una ragione se, all’inizio del Seicento, proprio quando Galileo è sulla quarantina, nel pieno del vigore della ricerca, di università – questa tipica creazione del Medio Evo cattolico – ce ne sono 108 in Europa, alcune altre nelle Americhe spagnole e portoghesi e nessuna nei territori non cristiani. E ci sarà pure una ragione se le opere matematiche e geometriche degli antichi (prima fra tutte quelle di Euclide) che costituirono la base fondamentale per lo sviluppo della scienza moderna, giunsero a noi soltanto perché ricopiate dai monaci benedettini e, appena inventata la tipografia, stampate sempre a cura di religiosi. Qualcuno ha addirittura rilevato che, proprio in quell’inizio del Seicento, è un Grande Inquisitore di Spagna che fonda a Salamanca la facoltà di scienze naturali dove si insegna con favore la teoria copernicana…

Storia complessa, come si vede. Ben più complessa di come abitualmente ce la raccontino. Bisognerà parlarne ancora.
Qualcuno ha fatto notare un paradosso: è infatti più volte successo che la Chiesa sia stata giudicata attardata, non al passo con i tempi. Ma il prosieguo della storia ha finito col dimostrare che, se sembrava anacronistica, è perché aveva avuto ragione troppo presto.

È successo, ad esempio, con la diffidenza per il mito entusiastico della “modernità”, e del conseguente “progresso”, per tutto il XIX secolo e per buona parte del XX. Adesso, uno storico come Émile Poulat può dire: “Pio IX e gli altri papi  “reazionari” erano in ritardo sul loro tempo ma sono divenuti dei profeti per il nostro. Avevano forse torto per il loro oggi e il loro domani: ma avevano visto giusto per il loro dopodomani, che è poi questo nostro tempo postmoderno che
scopre l’altro volto, quello oscuro, della modernità e del progresso
“.
È successo, per fare un altro esempio, con Pio XI e Pio XII, le cui condanne del comunismo ateo erano sino a ieri sprezzate come “conservatrici”, “superate”, mentre ora quelle cose le dicono gli stessi comunisti pentiti (quando hannosufficiente onestà per riconoscerlo) e rivelano che quegli “attardati” di papi avevano una vista che nessun altro ebbe così acuta. Sta succedendo, per fare un altro esempio, con Paolo VI, il cui documento che appare e apparirà sempre più profetico è anche quello che fu considerato il più “reazionario”: l’Humanae Vitae.

Oggi siamo forse in grado di scorgere che il paradosso si è verificato anche per quel “caso Galileo” che ci ha tenuti impegnati per i due frammenti precedenti.

Certo, ci si sbagliò nel mescolare Bibbia e nascente scienza sperimentale. Ma facile è giudicare con il senno di poi: come si è visto, i protestanti furono qui assai meno lucidi; anzi, assai più intolleranti dei cattolici. E certo che in terra  luterana o calvinista Galileo sarebbe finito non in villa, ospite di gerarchi ecclesiastici, ma sul patibolo.

Dai tempi dell’antichità classica sino ad allora, in tutto l’Occidente, la filosofia comprendeva tutto lo scibile umano, scienze naturali comprese: oggi ci è agevole distinguere, ma a quei tempi non era affatto così; la distinzione cominciava a farsi strada tra lacerazioni ed errori.
D’altro canto, Galileo suscitava qualche sospetto perché aveva già mostrato di sbagliare (sulle comete, ad esempio) e proprio su quel suo prediletto piano sperimentale; non aveva prove a favore di Copernico, la sola che portava era del tutto erronea. Un santo e un dotto della levatura di Roberto Bellarmino si diceva pronto – e con lui un’altra figura di altissima statura come il cardinale Baronio – a dare alla Scrittura (la cui lettera sembrava più in sintonia col tradizionale sistema tolemaico) un senso metaforico, almeno nelle espressioni che apparivano messe in crisi dalle nuove ipotesi astronomiche;
ma soltanto se i copernicani fossero stati in grado di dare prove scientifiche irrefutabili. E quelle prove non vennero se non un secolo dopo.

Uno studioso come Georges Bené pensa addirittura che il ritiro deciso dal Sant’Uffizio del libro di Galileo fosse non solo legittimo ma doveroso, e proprio sul piano scientifico: “Un po’ come il rifiuto di un articolo inesatto e senza prove da parte della direzione di una moderna rivista scientifica“. D’altro canto, lo stesso Galileo mostrò come, malgrado alcuni giusti princìpi da lui intuiti, il rapporto scienza-fede non fosse chiaro neppure per lui. Non era sua, ma del cardinal Baronio (e questo riconferma l’apertura degli ambienti ecclesiastici) la formula celebre: L’intento dello Spirito Santo, nell’ispirare la Bibbia, era insegnarci come si va al Cielo, non come va il cielo“.
Ma tra le cose che abitualmente si tacciono è la sua contraddizione, l’essersi anch’egli impelagato nel “concordismo biblico”: davanti al celebre versetto di Giosuè che ferma il Sole non ipotizzava per niente un linguaggio metaforico, restava anch’egli sul vecchio piano della lettura letterale, sostenendo che Copernico poteva dare a quella “fermata” una migliore spiegazione che Tolomeo. Mettendosi sullo stesso piano dei suoi giudici, Galileo conferma quanto fosse ancora incerta la distinzione tra il piano teologico e filosofico e quello della scienza sperimentale.

Ma è forse altrove che la Chiesa apparve per secoli arretrata, perché era talmente in anticipo sui tempi che soltanto ora cominciamo a intuirlo. In effetti – al di là degli errori in cui possono essere caduti quei dieci giudici, tutti prestigiosi scienziati e teologi, nel convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, e forse al di là di quanto essi stessi coscientemente avvertivano – giudicando una certa baldanza (se non arroganza) di Galileo, stabilirono una volta per sempre che la scienza non era né poteva divenire una nuova religione; che non si lavorava per il bene dell’uomo e neppure per la Verità, creando nuovi dogmi basati sulla “Ragione- al posto di quelli basati sulla Rivelazione. “La condanna temporanea (donec corrigatur, fino a quando non sia corretta, diceva la formula) della dottrina eliocentrica, che dai suoi paladini era presentata come verità assoluta, salvaguardava il principio fondamentale che le teorie scientifiche esprimono verità ipotetiche, vere ex suppositione, per ipotesi e non in modo assoluto“. Così uno storico d’oggi. Dopo oltre tre secoli di quella infatuazione scientifica, di quel terrorismo razionalista che ben conosciamo, c’è voluto un pensatore come Karl Popper per ricordarci che inquisitori e Galileo erano, malgrado le apparenze, sullo stesso piano. Entrambi, infatti, accettavano per fede dei presupposti fondamentali sulla cui base costruivano i loro sistemi. Gli inquisitori accettavano come autorità indiscutibili (anche sul piano delle scienze naturali) la Bibbia e la Tradizione nel loro senso più letterale.

Ma anche Galileo e, dopo di lui, tutta la serie infinita degli scientisti, dei razionalisti, degli illuministi, dei positivisti – accettava in modo indiscusso, come nuova Rivelazione, l’autorità del ragionare umano e dell’esperienza dei nostri sensi.
Ma chi ha detto (e la domanda è di un laico agnostico come Popper) – se non un’altra specie di fideismo – che ragione ed esperienza, che testa e sensi ci comunichino il “vero”? Come provare che non si tratta di illusioni, così come molti considerano illusioni le convinzioni su cui si basa la fede religiosa? Soltanto adesso, dopo tanta venerazione e soggezione, diveniamo consapevoli che anche le cosiddette “verità scientifiche” non sono affatto “verità” indiscutibili a priori, ma sempre e solo ipotesi provvisorie, anche se ben fondate (e la storia in effetti è lì a mostrare come ragione ed esperienza non abbiano preservato gli scienziati da infinite, clamorose cantonate, malgrado la conclamata “oggettività e infallibilità della Scienza”).

Questi non sono arzigogoli apologetici, sono dati ben fondati sui documenti: sino a quando Copernico e tutti i copernicani (numerosi, lo abbiamo visto, anche tra i cardinali, magari tra i papi stessi) restarono sul piano delle ipotesi, nessuno ebbe da ridire, il Sant’Uffizio si guardò bene dal bloccare una libera discussione sui dati sperimentali che via via venivano messi in campo.
L’irrigidimento avviene soltanto quando dall’ipotesi si vuol passare al dogma, quando si sospetta che il nuovo metodo sperimentale in realtà tenda a diventare religione, quello “scientismo” in cui in effetti degenererà. “In fondo, la Chiesa non gli chiedeva altro che questo: tempo, tempo per maturare, per riflettere quando, per bocca dei suoi teologi più illuminati, come il santo cardinale Bellarmino, domandava al Galilei di difendere la dottrina copernicana ma solo come ipotesi e quando, nel 1616, metteva all’Indice il De revolutionibus di Copernico solo donec corrigatur, e cioè finché non si fosse data forma ipotetica ai passi che affermavano il moto della Terra in forma assoluta. Questo consigliava Bellarmino:
raccogliete i materiali per la vostra scienza sperimentale senza preoccuparvi, voi, se e come possa organizzarsi nel corpus aristotelico. Siate scienziati, non vogliate fare i teologi!
” (Agostino Gemelli).

Galileo non fu condannato per le cose che diceva; fu condannato per come le diceva. Le diceva, cioè, con
un’intolleranza fideistica, da missionario del nuovo Verbo che spesso superava quella dei suoi antagonisti, pur considerati “intolleranti” per definizione. La stima per lo scienziato e l’affetto per l’uomo non impediscono di rilevare quei due aspetti della sua personalità che il cardinale Paul Poupard ha definito come “arroganza e vanità spesso assai vive“. Nel contraddittorio, il Pisano aveva di fronte a sé astronomi come quei gesuiti del Collegio Romano dai quali tanto aveva imparato, dai quali tanti onori aveva ricevuto e che la ricerca recente ha mostrato nel loro valore di grandi, moderni scienziati anch’essi “sperimentali”.

Poiché non aveva prove oggettive, è solo in base a una specie di nuovo dogmatismo, di una nuova religione della Scienza che poteva scagliare contro quei colleghi espressioni come quelle che usò nelle lettere private: chi non accettava subito e tutto il sistema copernicano era (testualmente) “un imbecille con la testa tra le nuvole“, uno “appena degno di essere chiamato uomo“, “una macchia sull’onore del genere umano“, uno “rimasto alla fanciullaggine“; e via insultando.

In fondo, la presunzione di essere infallibile sembra più dalla sua parte che da quella dell’autorità ecclesiastica. Non si dimentichi, poi, che, precorrendo anche in questo la tentazione tipica dell’intellettuale moderno, fu quella sua “vanità”, quel gusto di popolarità che lo portò a mettere in piazza, davanti a tutti (con sprezzo, tra l’altro della fede dei semplici), dibattiti che proprio perché non chiariti dovevano ancora svolgersi, e a lungo, tra dotti. Da qui, tra l’altro, il suo rifiuto del latino: “Galileo scriveva in volgare per scavalcare volutamente i teologi e gli altri scienziati e indirizzarsi all’uomo comune. Ma portare questioni così delicate e ancora dubbie immediatamente a livello popolare era scorretto o, almeno, era una grave leggerezza” (Rino Cammilleri).
Di recente, l`erede” degli inquisitori, il Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, cardinale Ratzinger, ha raccontato di una giornalista tedesca – una firma famosa di un periodico laicissimo, espressione di una cultura “progressista” – che gli chiese un colloquio proprio sul riesame del caso-Galileo. Naturalmente, il cardinale si aspettava le solite geremiadi sull’oscurantismo e dogmatismo cattolici. Invece, era il contrario: quella giornalista voleva sapere “perché la Chiesa non avesse fermato Galileo, non gli avesse impedito di continuare un lavoro che è all’origine del terrorismo degli scienziati, dell’autoritarismo dei nuovi inquisitori: i tecnologi, gli esperti…“. Ratzinger aggiungeva di non essersi troppo stupito:
semplicemente quella redattrice era una persona aggiornata, era passata dal culto tutto “moderno” della Scienza alla consapevolezza “postmoderna” che scienziato non può essere sinonimo di sacerdote di una nuova fede totalitaria.

Sulla strumentalizzazione propagandistica che è stata fatta di Galileo, trasformato – da uomo con umanissimi limiti, come tutti, quale era – in un titano del libero pensiero, in un profeta senza macchia e senza paura, ha scritto cose non trascurabili la filosofa cattolica (uno dei pochi nomi femminili di questa disciplina) Sofia Vanni Rovighi. Sentiamo:
Non è storicamente esatto vedere in Galileo un martire della verità, che alla verità sacrifica tutto, che non si contamina con nessun altro interesse, che non adopera nessun mezzo extra-teorico per farla trionfare, e dall’altra parte uomini che per la verità non hanno alcun interesse, che mirano al potere, che adoperano solo il potere per trionfare su Galileo. In realtà ci sono invece due parti, Galileo e i suoi avversari, l’una e l’altra convinte della verità della loro opinione, l’una e l’altra in buona fede ma che adoperano l’una e l’altra anche mezzi extra-teorici per far trionfare la tesi che ritengono vera. Né bisogna dimenticare che, nel 1616, l’autorità ecclesiastica fu particolarmente benevola con Galileo e non lo nominò neppure nel decreto di condanna e nel 1633, sebbene sembrasse procedere con severità, gli concesse

ogni possibile agevolazione materiale. Secondo il diritto di allora, prima, durante e, se condannato, dopo la procedura, Galileo avrebbe  dovuto essere in carcerato; e invece non solo in carcere non fu neanche per un’ora, non solo non subì alcun maltrattamento, ma fu alloggiato e trattato con ogni conforto“.

Ma continua la Vanni Rovighi, quasi con particolare sensibilità femminile verso le povere figlie del grande scienziato:
Non è poi equo operare con due pesi e due misure e parlare di delitto contro lo spirito quando si allude alla condanna di Galileo, ma non battere ciglio quando si narra della monacazione forzata che egli impose alle sue due figliuole giovinette, facendo di tutto per eludere le savie leggi ecclesiastiche che tutelavano la dignità e libertà personale delle giovani avviate alla vita religiosa, col fissare un limite minimo di età per i voti. Si osserverà che quell’azione di Galileo va giudicata tenendo presente l’epoca storica, che Galileo cercò di rimediare, di farsi perdonare quella violenza, usando gran e bontà soprattutto verso Virginia, divenuta suor Maria Celeste; e noi troviamo giustissime queste considerazioni, ma domandiamo che egual metro di comprensione storica e psicologica venga usato anche quando si giudicano gli avversari
di Galileo
“.
Prosegue la studiosa: “Occorrerà anche tenere presente questo: quando si condanna severamente l’autorità che giudicò Galileo ci si mette da un punto di vista morale (da un punto di vista intellettuale, infatti, è pacifico che ci fu errore nei giudici; ma l’errore non è delitto e non si dimentichi mai che ciò non riguarda affatto la fede: sia il giudizio del 1616 che quello del 1633 sono decreti di una Congregazione romana approvati dal papa in forma communi e come tali non cadono sotto la categoria delle affermazioni nelle quali la Chiesa è infallibile; si tratta di decreti di uomini di Chiesa, non certo di dogmi della Chiesa). Se ci si pone, dunque, a un punto di vista morale, non bisogna confondere questo valore con il successo. Tanto vale il tormento dello spirito del grande Galileo quanto il tormento dello spirito sconvolto
della povera suor Arcangela, monacata a forza dal padre a 12 anni. E se poi si osserva che – diamine! – Galileo è Galileo, mentre suor Arcangela non è che un’oscura donnetta, per concludere almeno implicitamente che tormentare l’uno è colpa ben più grave che tormentare l’altra, ci si lascia affascinare dal potere e dal successo. Ma da questo punto di vista non ha più senso parlare di spirito: né per stigmatizzare i delitti compiuti contro di esso né per esaltarne le vittorie
“.
Nella “Lettera alla Granduchessa Cristina”, Galileo si fece giudice ed esegeta “scientifico” della Bibbia, dicendo – in merito all’arresto del sole e della luna al comando di Giosuè – che “coll’aiuto del sistema Copernicano noi abbiamo il senso facile, letterale e chiaro del comando”.
Inoltre,

“[…] Galileo aveva scritto che alcune volte le Scritture “oscurano” il loro proprio significato. Nella copia mandata a Roma la parola “oscurano” era cambiata in “pervertono”. Questa e l’altra parola contraffatta, “falso”, furono le uniche due criticate dal consultore del Santo Uffizio al quale la lettera era stata sottoposta. La lettera nell’insieme fu trovata in accordo con l’insegnamento cattolico” (cit. in James Brodrick s.j., S. Roberto Bellarmino, Ancora, Milano 1965, p. 431-432 e 436).

Dove Gesù dice Bianco, Ratzinger dice Nero

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Riportiamo qui questo articolo pubblicato dal blog “Chiesa e post Concilio” il 26/02/2018 perché ci sembra di vivere l’epoca della confusione dottrinale e l’identificazione nelle sciocchezze di alcuni falsi pastori, che si spacciano per conservatori o tradizionalisti, ma che sono o sette di bastian contrari trombati da Bergoglio o personaggi funzionali al sistema di potere che occupa i Sacri Palazzi dal Concilio Vaticano II (1962 – 1965) per contenere entro i loro recinti il legittimo dissenso di fedeli disorientati. Specifichiamo che non c’è assonanza né vicinanza tra le posizioni del succitato sito e viceversa. Dissenso che andrebbe, altresì, sorretto da una buona preparazione dottrinale e teologica, che, però, forse non a caso, è deficitaria o assente. Questo contributo del Prof. Radaelli, discepolo del Prof. Romano Amerio, è autorevole e competente. Ovviamente vi sono molti altri aspetti concretizzatisi durante l’occupazione del Soglio da parte di Ratzinger, come ad esempio le visite amichevoli nei templi delle false religioni (Moschea di Istanbul, scalzo, in preghiera con l’imam per l’unico Dio (sic!), visita alla Sinagoga di Roma nel solco di Wojtyla, tra baci e abbracci coi rabbini, Cortile dei Gentili, in cui atei, agnostici e anticlericali di ogni risma avevano un liberale diritto di parola, visita alle chiese protestanti, riabilitazione di Lutero, abrogazione del Limbo, massima collegialità, l’incontro demonolatrico denominato Assisi III, la parificazione del rito di Montini con la Messa Cattolica di San Pio V e sua sottomissione in nome dell’inesistente ermeneutica della continuità di un’unica Fede, che è falsa e bestemmia, l’ invenzione del “papato emerito” che ha scandalizzato nelle modalità e nella sostanza ma indebolito l’immagine del Primato di Pietro, ecc. ecc.). Ratzinger non è mai stato Papa perché modernista, aderente al Conciliabolo Vaticano II e mente di tutte le riforme ereticali del post-conciliabolo. La sua elezione era invalida perché fatta da altri modernisti (“ipso facto et sine ulla declaratione” decaduti da ogni Autorità nella Chiesa ex can. 188,4 del CDC 1917 per eresia manifesta) così come tutti i suoi predecessori fino a Roncalli. Una crisi senza precedenti, figlia di un castigo per l’umanità incredula e peccatrice, che Dio risolverà quando e come riterrà opportuno. (Il Circolo Christus Rex)

di Enrico Maria Radaelli

1. PREMESSA. DIO (IN SAN PAOLO, GAL 1,8) STABILISCE:
SOLO CIÒ CHE VIENE DA DIO È “SPIRITO”.
TUTTO CIÒ CHE INVECE VIENE DALL’UOMO È “CARNE”.
Tutti noi conosciamo le parole con cui san Paolo mette in guardia gli errabondi cristiani della Galizia (i celebri Gàlati) dall’accogliere una dottrina diversa da quella da lui insegnata: « Se anche noi stessi, o un Angelo del Cielo, venisse ad annunciarvi un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato noi, sia egli anàtema » (Gal 1,8).

Con queste parole l’Apostolo stabilisce un principio potente, diciamo anche il principio dei princìpila Parola divina è da più del parlante umano che la proferisce, fosse pure esso – come nel suo iperbolico paradosso l’Apostolo chiama il più venerabile annunciatore che gli uomini possano aspettarsi – « un Angelo del Cielo »: la Parola divina non può essere cambiata da nessuno: essa è quella che è e tale deve a ogni costo e assolutamente restare e permanere in eterno.
Per san Paolo, ossia per Dio attraverso san Paolo, il Logos, il Verbo rivelato nel Vangelo, va annunciato. Poi non importa chi lo annuncia, ma solo e unicamente la perfetta fedeltà dell’annunciatore al messaggio annunciato: la verità è il primum, poi è l’unicum, e infine è il supremum. Il resto è nulla.
Che è a dire, come si esprime l’Apostolo: solo ciò che viene da Dio è “Spirito”. Ciò che viene dall’uomo è solo “carne”.
Questo principio è potente. E imprescindibile: è il perno solo in base al quale l’Apostolo potrà apostrofare Cefa, Pietro, il suo Superiore, senza contravvenire all’obbedienza e al rispetto dovutigli. Infatti, con i due paradossi più estremi che si possano concepire: « se anche noi stessi » e « o un Angelo del Cielo », egli afferma che non c’è annunciatore che tenga: la Parola divina è una e una sola: quella annunciata da Gesù Cristo, e, a partire da Lui, dai santi Apostoli.
Dunque, per stare a noi, non è importante per un fedele essere “papalino” o non “papalino”, per usare una parola di recente utilizzata da un riverito cardinale da poco scomparso, ma essere cristiano o non cristiano, perché, anche se la Parola di Dio fosse oggi, per assurdo, annunciata da « un Angelo del Cielo », cioè da qualcuno che potrebbe magari anche sembrare un angelo, come di certo lo sembra, p. es., una personalità molto e da tutti apprezzata, amata, venerata per la sua mitezza e bontà, ma tale Parola venisse però annunciata da tale pur amabilissima persona diversamente da quella che è, ossia deviata da qualche cambiamento, ebbene: « egli sia anàtema », ossia venga respinta, venga rigettata, sia quella parola, sia chi la propaga (se pur respinte e rigettate, l’una e l’altro, con somma carità e massima giustizia, naturalmente, come peraltro esorta a fare lo stesso Apostolo in altri testi), perché quella tal parola, in ogni caso in qualche modo variata, non essendo più la Parola divina, ma un’altra purchessia, non salva più nessuno, non serve più a nulla, anzi danna irrimediabilmente: e danna sia chi l’ascolta, sia, e ancor più, chi l’annuncia, perché anche a quest’ultimo non bastano mitezza, bontà, dolcezza e ogni altra virtù, poiché, come dice sant’Ignazio d’Antiochia agli Efesini, « la fede è il principio, la carità il fine », ossia, come spiega san Bonaventura nel Breviloquio, « è per mezzo della fede che Cristo abita nei nostri cuori », ma una fede mal riposta, ossia riposta nella parola sbagliata, non è più riposta in Cristo, e la carità che ne discende non è più la carità di Cristo, divina, ma una semplice carità umana.
Fra poco vedremo poi le conseguenze di tutto ciò fino in fondo. In ogni caso, ora si è ben visto il motivo per cui l’Apostolo è così veemente. E se l’Apostolo fosse presente ora, se fosse presente nella Chiesa di oggi, probabilmente lo sarebbe dieci volte di più.

 

* * *

 

Detto ciò, qui si vogliono offrire ora almeno cinque dei numerosi esempi di totale inconciliabilità, da una parte, degli insegnamenti dati da Sacre Scritture e Dogmi della Chiesa, dall’altra, degli insegnamenti di Joseph Ratzinger, esposti in un suo celebre libro del 1968, quand’era professore di Teologia a Tubinga e ancor oggi vero e unico paradigma del suo pensiero, Introduzione al cristianesimo, venduto da cinquant’anni in tutto il mondo, mai smentito, anzi confermato nel 2000 da un nuovo Saggio introduttivo vergato dal suo stesso Autore, all’epoca Prefetto della sacra Congregazione per la dottrina della fede, e, nella sua linea dorsale, ancora la lui ribadito in un’intervista pubblicata su L’Osservatore Romano il 17-3-16, dunque solo due anni fa, persino dopo tre anni dalla sua Rinuncia al Papato. Libro dunque ancora attualissimo.
Esso costituisce l’oggetto dell’analisi del mio Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondopro manuscripto, Aurea Domus, Milano novembre 2017, pp. 370, disponibile nelle librerie Àncora (Milano e Roma), Coletti (Roma), Hoepli (Milano), Leoniana (Roma), oltre che sul sito Aurea Domus.
Si vuole altresì rassicurare il lettore della più ampia contestualizzazione, in questo mio lavoro, delle citazioni del pensiero ratzingeriano, così da poter garantire allo studioso il più largo aiuto per afferrare, di quelle pagine, oltretutto, il loro non sempre limpido ma piuttosto implesso significato.
Si ritiene urgente la massima diffusione di Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, affinché sia evidente che il sottoscritto, potendo cominciare a lavorarvi solo dal settembre del 2015, ha fatto di tutto per arrivare in tempo a tentare – quantomeno a tentare – di convincere l’esimio e mite Autore di Introduzione al cristianesimo della necessità di riflettere su tutti quei suoi molto pericolosi assunti prima che sia troppo tardi.
In questo mio lavoro ho però anche voluto proporre quattro paragrafi (76-79) in cui espongo all’apprezzamento del lettore anche cinque pregevoli pensieri dell’esimio Teologo, la cui presenza, pur nell’oceano delle più biasimevoli dottrine fuori strada, permette di capire quanto la mia disamina su quel suo scritto sia scevra da ogni apriorismo personale, ma dettata, come si diceva all’inizio, solo dalla divina e a tutti superiore Norma normans del Logos.

Questi i cinque esempi.

2. PRIMO “PECCATO DELLA CARNE” DI JOSEPH RATZINGER,
O Ia INCONCILIABILITÀ TRA I SUOI SCRITTI E IL VANGELO.

Nel 2005, salito da poco al papato col nome di Benedetto XVI, colui che era stato il Professor Joseph Ratzinger insegnava che quella di Dio « rimane l’ipotesi migliore, benché sia un’ipotesi » (Joseph Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, p. 123).
Ma dire che Dio è « l’ipotesi migliore » significa comunque fondare la fede in Dio – credere Deum – su un’ipotesi, se pur la migliore, ossia su un dubbio, il che però significa fondare la fede su un atto umano: è l’uomo che ipotizza l’esistenza di Dio, è l’uomo che, nella sua mente, “produce Dio”.
Ma la fede è una conoscenza per testimonianza, e la testimonianza è quella del Cristo, che dice, proclama e afferma: « Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato » (Gv 1,18), e infatti san Bonaventura – contro il futuro storicismo –, ancora nel Breviloquio, afferma: « L’origine della Sacra Scrittura non è frutto di ricerca umana, ma di rivelazione divina ». Sicché è Dio che si muove per primo verso l’uomo, e non l’uomo verso Dio.
E dato che san Paolo con i Galàti è andato fino in fondo, questo è il momento per andare fino in fondo anche noi.
Dice l’Apostolo: « Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito, o per aver creduto alla predicazione? » (Gal 3,2). E precisa, affondando il coltello fino all’elsa, senza alcun riguardo: « Siete così privi di intelligenza che, dopo aver cominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? » (Gal 3,3), ossia: Siete così privi di luce spirituale che, dopo aver accolto la mia Parola spirituale, e spirituale perché fondata sulla Rivelazione di Dio compiuta dal Figlio, ora volete basare la vostra ragione per credere sulla base di una tutta umana ‘carne’, ossia sulle opere umane?”
San Paolo chiama ‘carne’, nei Galàti, ciò che essi elaborano a partire dalle opere della Legge, e chiama ‘Spirito’ la Grazia della terza Persona della ss. Trinità che discende nei cuori se essi credono alla Rivelazione data loro da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli.
Analogamente, oggi san Paolo chiamerebbe ‘carne’ ‘l’ipotesi Dio’, il percorso compiuto dall’uomo Joseph Ratzinger col metodo storicistico per individuare l’esistenza di Dio.
Nell’uno e nell’altro caso ‘carne’ è infatti tutto ciò che origina dall’uomo. ‘Spirito’ invece è ciò che viene da Dio. Uomo e Dio sono nettamente e irriducibilmente divisi. E la fede – virtù squisitamente soprannaturale, non c’è alcun dubbio – viene da Dio e solo da Dio. Se invece viene dall’uomo non è fede, è ragionamento, è un sillogismo qualsiasi: è carne.
Si noti che questo pensiero ipotetico drammaticamente errante anche del più recente Ratzinger, che conferma come si debba cercare di correggerne il fideismo di fondo, lo si è potuto raccogliere proprio da chi credeva, con l’improvvida citazione di quelle sue parole, di difenderlo dal mio dire (v. http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/01/04/joseph-ratzinger-teologo-non-modernista-ma-moderno).
Nelle prime settantatre pagine del suo libro il Professor Ratzinger, ben trentadue anni prima, aveva già steso il concetto fondante della sua fede “ipotetica”, e l’aveva steso con plurime e sempre molto drammatiche espressioni, di cui qui si riportano solo le tre più esemplari e struggenti: « …il credente può vivere la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbiotrovandosi assegnato il mare dell’incertezza come unico luogo possibile della sua fede,… » (Introduzione al cristianesimo, p. 37);
« È la struttura fondamentale del destino umano poter trovare la dimensione definitiva dell’esistenza unicamente in questa interminabile rivalità fra dubbio e fede, fra tentazione e certezza » (Introduzione al cristianesimo, p. 39);
« Il credente sperimenterà sempre l’oscura tenebra in cui lo avvolge la contraddizione dell’incredulità, incatenandolo come in una tetra prigione da cui non è possibile evadere,… » (Introduzione al cristianesimo, p. 73).
Ma Gesù, a proposito di certezza e solidità della fede, ci dice: « …e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli » (Lc 22,32); « Io sono la via, la verità e la vita » (Gv 14,6), e: « beati quelli che pur non avendo visto crederanno » (Gv 20,29).
E san Paolo ricorda che « ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto [è manifesto agli uomini]; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa » (Rm 1,19-22).
Conclusione: « Senza la fede è impossibile piacere a Dio » (Eb 11,6). Su tali inerranti Scritture la Chiesa dogmatizza (con affermazione cui è dovuta obbedienza de fide): « Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create » (Vaticano I, Cost. dogm. Dei Filius, cap. 2, Denz 3004).
Bisogna qui aprire una parentesi di ordine generale che ci permette di notare come il postulato iniziale generalissimo del Professor Ratzinger, secondo cui: « …il credente può vivere la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbio », nullifica tutto il libro nonché se stesso medesimo, in quanto circolarmente contradditorio. Se infatti, per principio, tutto è incerto, allora sarà incerto, per principio, anche il postulato medesimo, che quindi potrebbe essere falso, e saranno comunque incerte, forse false, per principio, tutte le proposizioni del libro e, allora, a che pro non solo scriverlo, ma anche leggerlo? (v., in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, i §§ 11-21 sul dubbio socratico, giusto, e su quello scettico, da rigettare, pp. 51-82).

3. SECONDO “PECCATO DELLA CARNE” DI JOSEPH RATZINGER,
O IIa INCONCILIABILITÀ TRA I SUOI SCRITTI E IL VANGELO.

In un’intervista del 2016 a Jacques Servais s.j., pubblicata sull’Osservatore Romano, l’augusto Teologo, già Papa, tornato cardinale pur ricusandone la qualifica, riconfermava la dorsale del suo pensiero ribadendo la convinzione che la Redenzione come ‘riparazione dell’« offesa infinita fatta a Dio »’ è solo una dottrina medievale, dovuta, secondo lui, unicamente a un vescovo, peraltro santo, il vescovo Anselmo d’Aosta, la cui « ferrea logica » resta « difficilmente accettabile dall’uomo moderno », così mantenendo inalterato il pensiero formulato cinquant’anni prima in Introduzione al cristianesimo, per il quale essa « ci appare come un crudele meccanismo per noi sempre più inaccettabile » (Introduzione al cristianesimo, p. 221).
Ma Gesù stesso parla di “ira di Dio”: « Chi rifiuta di credere nel Figlio – dice, riferendosi a Sé – non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui » (Gv 3,36). Quale ira? perché ira? L’ira del Creatore per il peccato della sua creatura; e san Paolo chiarisce: « Quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del suo Figlio » (Rm 5,10): nemici per il peccato dell’uomo, che solo la morte per Olocausto cruento di Cristo, Vittima innocente, pienamente riscatta.

Infatti: « Anche noi tutti, … eravamo per natura figli dell’ira » (Ef 2,3); “per natura” a causa del peccato originale trasfuso in noi da Adamo attraverso il seme biologico dei nostri padri.

E l’Apostolo (Dio attraverso l’Apostolo) rincara: « E voi, che già eravate estranei e nemici nella vostra mente e nelle vostre opere malvagie, ora Dio vi ha riconciliati nel corpo di carne di Lui, per mezzo della Sua morte » (Col 1,21-2); cui si aggiunge Giovanni, l’Apostolo prediletto (ossia sempre Dio, stavolta attraverso l’Apostolo prediletto): « In questo si è manifestato l’amore di Dio verso di noi: che Dio [Padre] ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, … In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che Dio ha amato noi e ha inviato il suo Figlio per essere l’espiazione per i nostri peccati » (I Gv 4,9-10).
Su tali inerranti basi scritturali, il dogma ordina (Concilio di Trento, Denz 1743 e 1753) che la Chiesa professi la dottrina della Redenzione come Olocausto di Cristo al Padre, e in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo (§§ 40-3, pp. 155-72) è percorsa tutta la storia del dogma in proposito, che esige che sia obbedito, accettato, creduto e liturgicamente sempre celebrato proprio ciò che il Professor Ratzinger da sempre rigetta (e che oggi la Chiesa più non celebra).

4. IL TERZO “PECCATO DELLA CARNE” DI JOSEPH RATZINGER,
O IIIa INCONCILIABILITÀ TRA I SUOI SCRITTI E IL VANGELO.

Il Professor Ratzinger afferma: « Dio è e sarà sempre per l’uomo l’essenzialmente Invisibile … Dio è essenzialmente invisibile » (Introduzione al cristianesimo, p. 42); e ancora: « nell’Antico Testamento questa affermazione – che “Dio non compare né mai comparirà all’uomo” – assume valore di principioDio non è soltanto colui che è ora effettivamente fuori del nostro campo visivo …; no, egli è invece colui che ne sta fuori per essenza [marcatura dell’Autore], indipendentemente da tutti i possibili e pensabili allargamenti del nostro campo visivo » (Introduzione al cristianesimo, pp. 42-3).
Ma il Cristo di Sé dice: « Chi vede me vede Colui che mi ha inviato » (Gv 12,45); « Chi vede me vede il Padre » (Gv 14,9); e l’Apostolo prediletto afferma (ossia, come sempre, Dio in lui): « [Dio] lo vedremo così come Egli è » (I Gv 3,2).
E san Paolo precisa: « Egli [il Cristo] è immagine del Dio invisibile » (II Cor 4,4, oltre che Col 1,15), e ancora: « Egli [il Cristo] è lo specchio della gloria di Dio e l’impronta della sua sostanza » (Ebr 1,3), il che significa che Dio Padre è perfettamente visibile, e lo è appunto nel Figlio, Dio come il Padre, né più né meno, e ciò basta alla Chiesa per affermare – al contrario di ciò che insegna, p. es., oltre al Professor Ratzinger, la falsissima nozione mussulmana – la perfetta visibilità di Dio ai Beati, così chiamati appunto per il fatto che essi godono perfettamente della visione divina (vedasi, in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, il § 18, pp. 70-4).

5. QUARTO “PECCATO DELLA CARNE” DI JOSEPH RATZINGER,
O IVa INCONCILIABILITÀ TRA I SUOI SCRITTI E IL VANGELO.

Il Professor Ratzinger sostiene che l’uomo, nella beatitudine del Paradiso, « vivrà nella memoria di Dio » (Introduzione al cristianesimo, p. 343), e precisa che « Paolo insegna … non la risurrezione dei corpi (Körper), bensì delle persone, e questa non nel ritorno dei ‘corpi di carne’, ossia delle strutture biologiche, che egli indica esplicitamente come impossibile » (Introduzione al cristianesimo, p. 347).
Ma i Vangeli, parlando dell’incontro tra Gesù risorto e gli Apostoli, notano invece che: « siccome stentavano a credere ed erano pieni di meraviglia, [Gesù] chiese loro: “Non avete nulla da mangiare?” Gli diedero un pezzo di pesce arrostito e un favo di miele. E dopo aver mangiato davanti a essi, prese gli avanzi e li diede a loro » (Lc 24,41-3).
Per non dire del celebre episodio di Gv 20,27: « Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani! Accosta la tua mano e mettila nel mio costato! », da cui si evince che un corpo glorioso non è per questo meno carnale, biologico, fisico, materiale, di un corpo mortale; e san Paolo, da qui, insegna: « E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi » (Rm 8,10-1).
Anche qui, sulla base di tali chiarissime e univoche risultanze poste dalle Sacre Scritture, la Chiesa così dogmatizza: « Tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti » (Concilio Laterano IV, 1215, Definizione contro gli Albigesi e i Catari, Denz 801), (vedasi, in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, i §§ 50-2, pp. 196-213, in cui l’inconciliabile opposizione tra l’insegnamento della dottrina cattolica e quello del Professor Ratzinger è evidenziata anche da plurime altre argomentazioni e scritturali e dogmatiche).

6. QUINTO “PECCATO DELLA CARNE” DI JOSEPH RATZINGER,
O Va INCONCILIABILITÀ TRA I SUOI SCRITTI E IL VANGELO.

Il Professor Ratzinger sostiene che « la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano » (Introduzione al cristianesimo, p. 265), infatti, a suo avviso, la figliolanza divina di Gesù « non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell’eternità di Dio » (Introduzione al cristianesimo, pp. 265-6).
Ma l’Evangelista (Mt 1,18-26) scrive: « Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe », ‘promessa sposa’, dice, non ‘moglie’: ‘moglie’ è colei che, col coniugio, ha perso la verginità; ‘sposa’ invece è la donna che, unita in matrimonio, non ha ancora compiuto il coniugio; « prima che andassero a vivere insieme »: l’Evangelista segnala che quanto sta per narrare precede il momento in cui la vergine Maria si accaserà con Giuseppe; « si trovò incinta per opera dello Spirito Santo », come riporta san Luca nel suo Vangelo (1,26-38), « Giuseppe, suo sposo », ‘sposo’, anche qui, e non ‘marito’, a confermare lo stato non ancora coniugale dei due nubendi, « che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di ripudiarla in segreto », ossia di non ripudiarla pubblicamente, ossia che avrebbe provveduto a Maria e al nascituro, dando loro cibo, le vesti, un tetto, ma senza coniugarsi a lei; « Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa », “di prendere con te”, dice l’angelo, con espressione casta, invece di dire “di maritarti”, per indicare a Giuseppe come egli avrebbe dovuto condurre l’unione con Maria “sua sposa”: proprio come aveva pensato lui, un “giusto”, che dunque ragiona con giustizia, secondo il cristiano discernimento degli spiriti, come dev’essere chi il Signore ha designato a proteggere la Madre del Suo Figlio e Suo Figlio stesso; « perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo », e non da un uomo, così sospendendo il passaggio degli influssi negativi dovuti al peccato originale; « … Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del Profeta: “Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio” »: si noti bene che san Matteo riconosce nella profezia la causa remota, ma non per questo meno efficace, di ciò che stava santamente avvenendo, così riconoscendo a Dio la Sua potenza: ciò che avviene ora è dovuto alla Parola di Dio data allora; in secondo, ricordando la profezia, ne sottolinea il concetto base: il concepimento del Figlio di Dio è dovuto, per parte di madre, a una miracolosa formazione di un embrione in una donna vergine che resta vergine, per cui il Profeta la chiama “Vergine” in quanto lo è per antonomasia, è “Vergine” ontologicamente; e, per parte di padre, è dovuto allo Spirito Santo, per il motivo sopra detto; poi «… Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù».
Ma tutto ciò è impugnato dal Professore Ratzinger, il quale ritiene invece erroneamente che:
– primo, « la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano »;
– secondo, che, a proposito del Vangelo ora visto e di quello di san Luca segnalato nel testo, « la formula della filiazione divina ‘fisica’ di Gesù è quanto mai infelice e ambigua », così accusando la Parola di Dio, e dunque Dio stesso, di essere, qualificandola “infelice”, una Parola inetta, e, con “ambigua”, una Parola falsa, e ciò il Teologo che un giorno sarà persino Papa, senza però purtroppo rigettare nemmeno mezza delle numerose svianti e fuorvianti dottrine insegnate, riesce a fare in un colpo solo, e, quel che è peggio, senza che nessuno se ne accorga (per entrambi i punti si veda, nel mio Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, il § 71, pp. 305-19).

7. CONCLUSIONI:
IERI I GALATI, OGGI IL CARDINALE RATZINGER, ENTRAMBI
DEVONO RESPINGERE LA “CARNE” E TORNARE ALLO “SPIRITO”.

Questi cinque esempi, specie il primo, col quale dal 1968 al 2016 l’Autore di Introduzione al cristianesimo persiste nel dubbio dell’esistenza di Dio, che per lui « rimane l’ipotesi migliore, benché sia un’ipotesi », dimostrano l’impostazione mentale scettica, storicista e fideista che le ha originate e che, mutando uno per uno tutti gli articoli del Credo, come dimostro con ogni evidenza nel mio Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, non conducono affatto alla salvezza, ossia non conducono affatto a Dio: non vi conducono né il loro Autore, né i suoi lettori, discepoli, ammiratori, così come non sarebbero stati condotti alla salvezza, all’epoca, i poco saldi Gàlati da quelle dottrine anatemizzate da san Paolo, fossero pur state annunciate loro da « un Angelo del Cielo », perché, come si è detto, entrambe le dottrine – ieri quelle dei Gàlati, oggi quelle di Ratzinger – e dunque entrambe le fedi in esse mal riposte e che comunque proprio da esse purtroppo ancora germinano, sono “carne”: elucubrazioni umane mal condotte, inferenze che, non poggiando su basi metafisiche, non possono dirsi neanche scientifiche, e che infatti poi, in quanto tali, lasciano titubanti, nel più tragico dei dubbi, chi vi si appende, il loro pur esimio Autore e i suoi miseri lettori, e non può essere che così: solo Dio può portare l’uomo a Sé, e con fede certa, salda, potente e definitiva: ferma come è ferma solo la sua Roccia.
Si spera che questi cinque esempi possano essere utili a far conoscere la mia disamina al più largo pubblico di fedeli possibile, così da metterli in guardia sulle dottrine insegnate in Introduzione, e riescano a sollecitare, come si può riscontrare nelle ultime mie pagine, a trovare presto, e con ogni prudenza, la via per convincere l’illustre Soggetto a ritenere – almeno – che quel suo libro e le dottrine contenute non siano più proponibili alla Chiesa come sue convinzioni profonde, come a suo tempo il cardinale Dal Poggetto riuscì ad avvicinarsi al letto di Papa Giovanni XXII, a parlargli, a convincerlo, così da raggiungere il santo fine di far cadere ogni pericolo che i cancelli aurei gli restassero per sempre sbarrati.

8. PERÒ POTREBBE ESSERE ANCORA JOSEPH RATZINGER,
SE SOLO LO VOLESSE, A ILLUMINARCI LA STRADA VERSO DIO:
SEGUENDO L’ORSO DI SAN CORBINIANO DI CUI RACCONTA,
E L’ANIMALE DA SOMA IN CUI SI DOVETTE TRASFORMARE.

Nel suo La mia vita. Autobiografia, Joseph Ratzinger, a proposito della resa in italiano di Salmo 72,23, che in latino suona: « Ut iumentum factus sum apud te et ego semper tecum », con finezza rileva l’insoddisfazione di sant’Agostino a tradurre semplicemente in “bestia” il latino « iumentum », perché l’espressione, a suo avviso, designerebbe più precisamente, come leggiamo a p. 157, « gli animali da tiro che vengono usati dai contadini per lavorare la terra », ed è questo: un animale da tiro, l’animale in cui si dovette in qualche modo trasformare l’orso in cui si era imbattuto il monaco san Corbiniano secondo le antiche cronache di Frisinga, la città dove il futuro Papa doveva essere ordinato vescovo, orso che aveva sbranato la cavalcatura che stava portando a Roma il santo e il suo bagaglio: per riparare al mal fatto, l’orso, comandato dal monaco, dovette prendere il posto della sua cavalcatura, così « divenendo – contro la sua volontà – animale da soma ».
Il futuro Papa nota che è proprio questa: di andare contro la propria volontà, la differenza di un uomo che si comporta come una bestia selvatica, p. es. come un orso, e un uomo che si comporta come un animale da soma, come un animale aggiogato a una razione superiore alla sua, come è superiore, fuor di metafora, la ragione divina sulla umana.

Ma tale è anche la differenza, si fa notare qui, tra quel teologo che, come un orso tutto attaccato alla terra e a ciò che proviene dalla terra, elabora una fede in Dio su basi naturalistiche, storicistiche, soggettiviste, e il teologo che invece si lascia imbrigliare da Dio, accetta di essere attaccato al suo carro, con le spranghe e le redini di una fede dovuta a una razionalità superiore, a una razionalità « caduta dal cielo » come scrive ancora il Professore di Tubinga a p. 102 di Introduzione al cristianesimo parlando della Rivelazione.

Sicché “l’orso”, ossia la ragione umana, non imbrigliata come dev’essere da quella divina, deve completare anche in lui, nell’antico Teologo, la mutazione richiesta dalla fede per farsi perfetto “animale da tiro”: abbandonarne l’origine storicista e naturalistica, e abbracciarne la discesa dal Cielo, la sorgente divina, sacrificando a ciò, in obbedienza alla Chiesa, anche la propria libertà.
E questo devono fare anche tutti i suoi lettori e ammiratori, perché solo così si compirà in tutta la Chiesa, in tutta la cristianità, oggi, la trasformazione completa dell’ “orso” di una fede ancora troppo attaccata a motivazioni “carnali”: storiciste, come erano “carnali”, nella prospettiva giudaizzante, le motivazioni di fede dei Gàlati, in una fede felicemente tutta e solo aderente allo Spirito, alla grazia, ossia la trasformazione di una fede di “carne” nella fede tutta “a carico”, come quella data da quell’ “animale da tiro” che ha messo la propria libertà tutta a servizio di Dio.

 

Il Natale di Cristo è stato necessario

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI per https://www.informazionecattolica.it/2022/12/26/il-natale-di-cristo-e-stato-necessario/

di Matteo Castagna

“L’OFFESA FATTA A DIO COL PECCATO È INFINITA, SOTTO TUTTI I PUNTI DI VISTA, PERCHÉ RIBELLIONE DELLA CREATURA VERSO IL CREATORE E, PERCIÒ SE NON FOSSE UNA PERSONA INFINITA A RIPARARE, NON POTREBBE ESSERCI PERFETTA RIPARAZIONE”

Molti sono gli usi folkroristici del giorno di Natale, particolarmente nei Paesi nordici. Così l’uso dei dei doni natalizi, perché l’Eterno Padre ci ha dato in grande dono il Suo Figlio, Seconda Persona della Santissima Trinità e Messia profetizzato ed atteso da secoli. Per questo anche gli uomini vogliono darsi un dono. Poi c’è l’albero di Natale, da origine pagana, ma preso come simbolo di Cristo, vero albero di vita, il quale con la sua venuta ha illuminato tutto il mondo.

Le tante luci accese in questo periodo, nonostante la crisi energetica, sono l’emblema della Luce di Cristo sulle tenebre del peccato. La Sua Luce non conosce crisi, nonostante il mondo secolarizzato si inventi di tutto per deviare l’attenzione dal fatto che ha cambiato la storia: la Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, per la nostra redenzione. Tutti i soloni del luciferino “non serviam” solitamente tacciono, in questo periodo, o perché ingrassano il loro Vitello d’Oro o perché possono godersi delle mondane vacanze, tra feste e lussuria.

Il Bambino che nasce ogni anno per ricordarci Chi sia l’unica Via di salvezza, trova sempre chi non ha una stanza da prestargli o un animo in cui dimorare. Per questo nasce sempre in una stalla, nella semplicità e nell’umiltà, facendosi adorare sinceramente solo da chi ha il cuore puro e comprende la regalità dell’Incarnazione.

La festa è introdotta fra il 243 e il 336 ed è di origine occidentale e più precisamente è una istituzione romana. La celebrazione nel giorno del 25 dicembre fu fissata anche per opporre una festa cristiana al natale del dio sole invitto (Natalis Solis invicti) stabilito ai tempi dell’imperatore Aureliano (270-275) come festa pagana dell’Impero, e che veniva celebrata con solennità dai numerosi cultori di Mitra. Alla scelta di tale data però poté infine contribuire il simbolismo naturale; il pensiero, cioè, di festeggiare nei giorni in cui la luce comincia a ricrescere (dopo il solstizio invernale), il natale del Sole di giustizia.

“Con la ricorrenza del Natale del Redentore, sembra quasi ricondurci alla grotta di Betlemme (dall’aramaico: “casa del pane”), perché vi impariamo che è assolutamente necessario nascere di nuovo e riformarci radicalmente; il che è possibile soltanto quando ci uniamo intimamente e vitalmente al Verbo di Dio fatto uomo, e siamo partecipi della sua divina natura alla quale veniamo elevati” (Pio XII, Litterae Encyclicae Mediator Dei, 20/11/1947).

Appare giusto, in tempi di particolare apostasia ed ignoranza religiosa, rispondere ad una domanda fondamentale: il Natale del Salvatore è stato una necessità assoluta o di necessità ipotetica e relativa? “E’ teologicamente certo che la necessità dell’Incarnazione non è assoluta, ma solo conveniente, anche supposta la volontà divina di riparare il genere umano” (Somma di Teologia Dogmatica, Giuseppe Casali, Ed. Signum Christi, Lucca, 1955, con imprimatur ecclesiastico del 11/02/1964). Dio, infatti, avrebbe potuto distruggere il genere umano decaduto col peccato originale, così come avrebbe potuto riparare in altri modi, come condonando gratuitamente, esigendo una riparazione imperfetta da ciascun uomo oppure affidando ad un semplice uomo , pieno di grazia e virtù, il compito di soddisfare per tutti, sebbene imperfettamente. “Dio è libero in tutte le sue operazioni (…) ma dopo il peccato, posto che Dio esigesse una soddisfazione equivalente era necessaria l’Incarnazione di una Persona divina”.

San Leone Magno, nel sermone della Natività 81,2) afferma: “Se non fosse vero dio, non porterebbe rimedio” in linea con quanto già affermato precedentemente da S. Agostino, S. Basilio e dai Padri della Chiesa, che riferendosi alla Scrittura, danno testimonianza in questo senso.

La spiegazione tomista, che è propria di chi ha la mia formazione teologica, ritiene questo: “l’offesa fatta a Dio col peccato è infinita, sotto tutti i punti di vista, perché ribellione della creatura verso il Creatore e, perciò se non fosse una Persona infinita a riparare, non potrebbe esserci perfetta riparazione”. Poiché Dio ha decretato l’Incarnazione liberamente, ha voluto manifestare le sue perfezioni ossia la sua gloria esterna. Avrebbe potuto volere l’Incarnazione, anche indipendentemente dal peccato, o da qualsiasi altra ipotesi.

I Tomisti rispondono che nella presente economia divina l’Incarnazione è talmente ordinata alla redenzione degli uomini, che se Adamo non avesse peccato, l’Incarnazione non ci sarebbe stata. Troviamo la prova nella Scrittura, almeno in tre passi evangelici: Luca, 19,10, Giovanni, 3,17: I Tim. 1,15 così come in tanti altri passi leggiamo il motivo della venuta di Gesù per la salvezza degli uomini. Poi anche nella Tradizione: I Padri S. Ireneo, S. Atanasio, S. Agostino sostengono tale unica tesi. Nel Simbolo Niceno-Costantiniano troviamo come unico motivo dell’Incarnazione “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal Cielo”.

Nella Liturgia del Sabato santo si legge: “O certamente necessario peccato di Adamo che è stato cancellato con la morte di Cristo. O felice colpa che meritò di avere un tale e sì grande Redentore”. Nella ragionevolezza, di fatto, il decreto della divina Volontà stabilì che il Verbo si incarnasse nella carne passibile e non ha decretato niente riguardo all’ipotesi di Adamo innocente, che in realtà non ha conservato l’innocenza. La Chiesa non obbliga a credere a questa o all’altra tesi.

La7: interviste a Matteo Castagna sulla Tradizione Cattolica

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di Redazione

17.10.2022 L’Aria che tira – La7

Una giornalista de “L’Aria che tira”, in onda ogni giorno su La7 dalle 11.00 alle 13.30 del mattino, ha intervistato il nostro Responsabile Nazionale Matteo Castagna presso la sua abitazione, in merito all’elezione del veronese Lorenzo Fontana a Presidente della Camera:

Ecco la registrazione della puntata: https://www.la7.it/laria-che-tira/rivedila7/laria-che-tira-17102022-17-10-2022-456050

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GIOVEDI 20 OTTOBRE in PRIMA SERATA andrà in onda uno stralcio della lunga intervista che il giornalista Salvatore Gulisano ha fatto al nostro Matteo Castagna, nel suo studio di casa, per la trasmissione PIAZZAPULITA condotta da Corrado Formigli. Si è parlato di dottrina cattolica tradizionale, Messa tridentina, bioetica. La registrazione della puntata sarà disponibile sul sito di piazzapulita.

Ecco la registrazione: https://www.la7.it/piazzapulita/video/dentro-il-mondo-ultracattolico-di-lorenzo-fontana-20-10-2022-456662

 

Paranoia anticristiana: mercatino di Natale senza crocifissi

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Strasburgo: la paranoia laicista ed ecologista colpisce i mercatini di Natale 
 
In diverse nazioni europee la maggioranza della popolazione è ostaggio delle paranoie ideologiche o delle perversioni sessuali del partito del politicamente corretto. Un esempio proviene da Strasburgo, dove imperversa il sindaco “ecologista” madama Jeanne Barseghian, che sta stravolgendo i tradizionali mercatini natalizi.
 
Strasburgo. Il mercatino di Natale è troppo cristiano, via i crocifissi
 
La giunta ecologista della città francese fa una lista dei prodotti che non si potranno vendere al tradizionale “mercato di Gesù Bambino”: niente prodotti tipici, poco multiculturali, “croci di JC” ammesse solo “ad alcune condizioni”
 
Parigi. Robert Schuman concepì il progetto di un’Unione europea meditando fra le vetrate della cattedrale di Strasburgo, epicentro della cristianità in Francia e gioiello dell’arte gotica, tanto da essere definita da Victor Hugo «un prodigio di grandezza e leggiadria». Nei pressi dalla cattedrale e a Place Kleber si svolge ogni anno il “Christkindelsmärik”, ossia “il mercatino di Gesù Bambino”, uno dei più importanti mercatini di Natale d’Europa (quest’anno festeggia il suo 452esimo anniversario). Da sempre si respira una gioiosa atmosfera cristiana: è un momento speciale per tutti gli abitanti di Strasburgo, ma anche per i milioni di turisti che si recano nella città alsaziana.
 
Niente piatti della tradizione né crocifissi in vendita
Per l’edizione 2022, tuttavia, il comune guidato dalla giunta ecologista di Jeanne Barseghian vuole a quanto pare rovinare la festa: mettendo da parte le tradizioni “troppo” franco-francesi, e dunque non abbastanza multiculturali, e sgonfiando il più possibile la dimensione cristiana dell’evento. Secondo quanto rivelato dal quotidiano Dernières Nouvelles d’Alsace (Dna), i commercianti di Strasburgo che parteciperanno al mercatino hanno ricevuto una mail da parte del Comune che vieta loro la vendita di un certo numero di prodotti. La lista è stata diffusa su Twitter da Dna.
Sarà fermamente vietata la vendita delle bevande e dei piatti gastronomici della tradizione francese, champagne, tartiflette e raclette, ma soprattutto, ed è questa l’interdizione più scioccante, dei crocifissi, o meglio, delle “croix de Jc” (croci di Gesù Cristo, ma con le sole iniziali), come le chiama nel linguaggio politically correct il Comune ecologista. Nella lista inviata dalla sindaca Jeanne Barseghian e dai suoi pasdaran si specifica che i crocifissi, inseriti peraltro nello stesso gruppo dei cavatappi e dei posacenere, potranno essere venduti soltanto «ad alcune condizioni».
 
I Verdi a Strasburgo e il mercatino di Natale senza Gesù
«Al mercatino di Natale di Strasburgo, le “croix Jc” (sic), relegate al rango dei cavatappi o dei posacenere, sono autorizzati “ad alcune condizioni”? Ma quali condizioni? Senza crocifisso, il Natale sparisce», ha denunciato la giornalista di Boulevard Voltaire Gabrielle Cluzel. Lo sgomento dinanzi agli ordini della giunta green è tanta sia tra gli abitanti sia tra i consiglieri comunali dell’opposizione. Come Pierre Jakubowicz, centrista. «Dopo i musei e la cultura… il mercatino di Natale o quando le decisioni arbitrarie della sindaca ecologista di Strasburgo rovinano la festa. Sì a un momento festivo che rivendica le sue radici e smettiamola di voler impedire tutto e mettere regole ovunque», ha twittato Jakubowicz.
Il cinguettio sdegnato dell’eletto centrista è accompagnato da una lettera aperta alla sindaca di Strasburgo, rea non solo di voler svuotare il mercatino di Natale del suo significato cristiano, mettendo fine a una tradizione che va avanti da quasi cinquecento anni, ma anche di aver comunicato la lista in maniera tardiva e senza concertazioni. «Siamo sorpresi dall’arrivo tardivo di questa lettera, ossia a sole cinque settimane dall’inaugurazione del mercatino», ha attaccato Jakubowicz, denunciando un comportamento «unilaterale e brutale, in totale opacità».
 
«Trattiamo tutto allo stesso modo, crocifissi e souvenir»
In seguito alla levata di scudi trasversale, il vice sindaco di Strasburgo, Guillaume Libsig, ha provato a giustificare la scelta con la scusa della “scarsa qualità” degli oggetti venduti, tra cui i crocifissi, e dell’effetto “supermercato per i turisti”. Libsig ha spiegato che il Comune vuole mantenere l’autenticità del Natale in tutti i campi, non solo in quello religioso.
«Il lavoro che stiamo portando avanti è incentrato sulla volontà di garantire l’autenticità», ha scritto sul suo account Facebook il vice sindaco, prima di aggiungere: «E l’insieme dei prodotti è stato trattato allo stesso modo. Boule de neige… presepi… ghirlande… crocifissi… santoni… souvenirs». Il problema, appunto, è quello di trattare i crocifissi e i presepi come un oggetto qualsiasi, a maggior ragione in un evento che porta il nome di Gesù Bambino.
 
 

 

Cristo il Maestro, Tolkien la guida, il Rosario la vittoria

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/10/17/cristo-il-maestro-tolkien-la-guida-il-rosario-la-vittoria/

LA LOTTA ALL’OMOLOGAZIONE MASSIFICANTE DA PARTE DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA LORENZO FONTANA

Il neo-eletto Presidente della Camera dei Deputati On. Lorenzo Fontana, nel suo discorso d’insediamento ha citato due esempi di santità e lanciato un forte messaggio a favore delle diversità in un’ottica di lotta all’omologazione massificante. Non ho memoria che una delle più alte cariche dello Stato, la terza, subisse un linciaggio politico e mediatico preventivo così sguaiato e zeppo di pregiudizi, soprattutto perché cattolica. Curioso che tutti i sostenitori del ddl Zan si siano profusi nelle contumelie di peggior gusto. Loro…quelli del rispetto, dell’uguaglianza, dei desideri da chiamare “diritti”… Siamo alla Fontanofobia?L’insulto sistematico, iniziato con lo squallido striscione a Montecitorio e proseguito nei tweet e sulla bocca dei radical chic che hanno spopolato negli ultimi dieci anni con le loro fissazioni “arcobalenghe”, talvolta liberticide, fa provare un senso di pietà e di orrore verso questi personaggi, servi di ideologie di morte e contro natura, che fanno a gara a chi la spara più grossa per cercare disperatamente di supplire, con la loro bieca volgarità, alla privazione di potere, che logora sempre chi non ce l’ha o lo perde perché sonoramente bocciato dagli elettori.

Il protagonista buono Gandalf dice che “tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare col tempo che ci viene dato” – scrive John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973) ne “Il Signore degli Anelli”, che si può leggere come un manuale di sopravvivenza tra gli errori e gli orrori della Modernità. Il dott. Paolo Gulisano, nella sua prefazione al libro Tolkien, l’Europa e la Tradizione (Edizioni Passaggio al Bosco) ricorda come uno dei principali critici dell’omologazione, nell’accezione cui si è riferito il Presidente della Camera, fu Tolkien, che “ad essa contrapponeva la cultura dell’appartenenza e del radicamento“.

E’ Tolkien che scrive nel suo capolavoro: “Tutto diventerà una piccola maledetta periferia provinciale. Quando avranno introdotto il sistema sanitario americano, la morale, il femminismo e la produzione di massa all’est, nel medio oriente, in Russia, nella Pampa, nel Gran Chaco, nel bacino danubiano, nell’Africa equatoriale, a Lhasa e nei villaggi del profondo Berkshire, come saremo tutti felici…Ma scherzi a parte: trovo questo cosmopolitanesimo americano terrificante“.

La formidabile bellezza del pensiero di Tolkien è che non si basa su ideologie e non è etichettabile, se non da chi è in malafede o non ne conosce gli scritti. Il grande scrittore constata la Caduta del genere umano (in termini cristiani Peccato Originale) e ha ben chiaro davanti a sé il Nemico da abbattere (Sauron o Saruman) ma soprattutto il male che si annida infido in ciascuno di noi. Tolkien ci invita a non sprecare le occasioni, a fare un buon uso del tempo e della vita stessa, con coraggio e lealtà, per il Bene, nell’ancestrale guerra con le forze delle tenebre. Il bene è bellezza e onore, che trovano nella Tradizione Cattolica la loro sublimazione, secondo Tolkien, che rigettò le pulsioni progressiste degli anni sessanta e rimase fedele solo alla Messa tradizionale more antiquo. Fu pre-conciliare? Sì! Un po’ come Fontana, sperando che i sinistri, sull’onda dei BLM ora non brucino Il Signore degli Anelli

Se sant’Agostino ci insegna che il male non è il contrario del bene ma la sua privazione, è del tutto ovvio che quando Gandalf dice che dobbiamo decidere cosa fare col tempo che ci viene dato, comprendiamo quanto possano essere complementari i due assunti: dobbiamo trascorrere il tempo a fare il Bene, a fare straordinariamente bene le cose semplici, ad imbracciare quella “mitragliatrice a 50 colpi che è il Rosario” (cit. di un sacerdote e predicatore degli Esercizi di S. Ignazio di Loyola), arma che già i nemici dichiarano di temere a ragione, perché la Madonna schiaccerà la testa del serpente che loro coccolano e liberano nelle stanze della Sovversione.

I 60 anni del Concilio

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Oggi ricorrono i 60 anni dell’apertura del concilio Vaticano II. Per l’occasione segnaliamo le lezioni del seminario di studi tenuto da don Francesco Ricossa per il cinquantesimo anniversario: “Noi vogliam Dio! 1962 – 2012: il Concilio contro la fede, i cattolici contro il Concilio”.
 
Prima lezione – Il Vaticano II: l’anti Pascendi
 
Seconda lezione – Il cuore del problema: il modernismo agnostico
 
Terza lezione – La professione della fede 50 anni dopo il Concilio
 

La Sovversione anticristiana e contro-identitaria è sempre più palese

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/04/17/la-sovversione-anticristiana-e-contro-identitaria-e-sempre-piu-palese/

IL CATTOLICESIMO PUÒ FERMARE LE LOBBY SOVRANAZIONALI

Negli ultimi mesi si è sentito parlare su tutti gli organi di informazione del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale (N.O.M.), che determinate lobby sovranazionali occidentali vorrebbero edificare tramite la “società aperta”, teorizzata e finanziata, ovunque, dall’oligarca George Soros. Prima della guerra, l’argomento era un tabù. Se ne occupavano, come la geopolitica, solo alcuni appassionati, oltre agli addetti ai lavori e, con esasperazioni grottesche, alcune conventicole complottiste.

Attraverso un’analisi equilibrata dell’attuale situazione potremmo definire il N.O.M. come l’Anti-Tradizione. Non si offenderebbe alcuno, soprattutto oggi che la Sovversione anticristiana e contro-identitaria è sempre più palese, alla luce del sole. Non ha più bisogno di tramare nell’ombra perché ha raggiunto o condizionato tutti i vertici, in tutti i poteri.

Se esemplifichiamo, possiamo definire l’Illuminismo, che spianò la strada alla Rivoluzione francese e alle rivoluzioni del XIX secolo, come il principale movimento che, gradualmente e, inizialmente, con la violenza delle guerre e della repressione, attuò la sostituzione della Civitas Christiana con l’Europa liberale. Certamente trovò degli ostacoli, lungo il percorso, posti soprattutto dalla Chiesa Cattolica e dai grandi Pontefici della Dottrina Sociale, da Pio IX a Leone XIII, da San Pio X a Pio XI e Pio XII.

Anche in ambiente politico, la contro-rivoluzione ebbe esponenti di prim’ordine, che, spesso, sacrificarono la loro vita per la difesa dell’Ordine naturale e divino. Oggi possiamo dire, senza timor di smentita, che il Nuovo Ordine Mondiale basato sull’ateismo, sulla fluidità di ogni manifestazione della vita, sull’internazionalismo, sul mondialismo e sul primato dell’economia in mano a poche famiglie stia, apparentemente, vincendo, demolendo tutto ciò che profuma di virtù, di Patria, di cattolicesimo, di Tradizione e di identità.

La reazione all’Occidente liberale perviene da ambienti sani che rifiutano fin da principio, il compromesso con la “società aperta”, prima e a prescindere dalla Russia, da Putin e da Kirill. Purtroppo questa eroica difesa lotta materialmente con armi impari ed è numericamente esigua.

Sul piano spirituale, il più piccolo dei contro-rivoluzionari vale almeno cento dei perversi teorici della Sovversione. Le porte degli Inferi non prevarranno perché ce l’ha detto Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, morto e risorto per la nostra salvezza. Perciò, anche se non possiamo sapere né quando né come, qualcosa dovrà per forza accadere, perché la Luce trionfi sulle tenebre e la Verità schiacci la testa al serpente.

Abbiamo visto cadere ufficialmente, ma non del tutto, il comunismo come forma di sovversione anti-tradizionale. Sembra, invece, aver ripreso una certa vitalità e diffusione l’ateismo illuminista, scientista, che già nel XIX secolo adottò strutture religiose come il Deismo, “il Culto della Natura” ovvero il panteismo alla Greta, la prassi New Age.

Il noto storico americano dell’ateismo Conrad Goeringer spiega come la Massoneria abbia un ruolo fondamentale nel portare la Sovversione all’instaurazione della “società aperta” dell’Anti-tradizione. Egli scrive sul suo “The Enlightenment, Freemasonry” che l’Illuminismo “è stato un fenomeno che ha travolto il mondo occidentale, affogando nella sua scia molte delle istituzioni sclerotiche e dispotiche dell’antico regime e del vecchio ordine, contribuendo a cristallizzare una nuova visione dell’uomo e dei ruoli della ragione, della natura, del progresso e della religione”. Goeringer spiega che gran parte dell’agitazione era motivata dall’odio per il cattolicesimo, come fondamento dei residui sociali tradizionali. Goeringer sottolinea che queste dottrine dell’umanesimo e del razionalismo hanno costituito la base di quello che oggi viene considerato il pensiero democratico normativo, di provenienza anglosassone, fondamentali per la rivoluzione Americana.

Scrive Goeringer che “Benjamin Franklin (1706-1790) fu un deista, firmatario della Dichiarazione d’Indipendenza, …membro della “Loggia delle Nove Muse” di Parigi, uno dei gruppi massonici continentali dove la “rivoluzione stava per uscire dall’uovo” “.

Lo storico massonico Mackey ha scritto: La storia della Loggia delle nove Sorelle è stata scritta da Louis Amiable, avvocato e un tempo Sindaco del Quinto Distretto di Parigi, Consigliere della Corte d’Appello, Grande Oratore del Grande Collegio e già membro del Consiglio del Grande Oriente di Francia”. Mackey cita frat. Amiable: “La massoneria è stata, incontestabilmente, uno dei fattori dei grandi cambiamenti che sono stati prodotti in Nord America e in Francia” (confronta Kerry Bolton, “Movimenti occulti e sovversivi”, Gingko Edizioni, 2020).

Restare ancorati alla Tradizione ed all’identità, valorizzare il patriottismo, la religiosità, la famiglia naturale significa nella post-modernità compiere un atto rivoluzionario, nel senso di anti-sovversivo e anti-massonico e costituisce il lavoro quotidiano che ogni uomo libero europeo dovrebbe compiere quotidianamente per non soccombere negli abissi della società aperta di Soros.

“E’ la massoneria che comanda. E’ oramai documentato attraverso numerose indagini che Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta sono cresciute proprio grazie alla massoneria” – sostiene il Procuratore Nazionale antimafia Federico Cafiero De Rao. Saldi nella Fede, con la consapevolezza della Speranza e pieni di autentica Carità affrontiamo il potente Leviatano globalista, le cui fila sono mosse dal male assoluto.

 

Russia vs. Anti-Russia: interessi e valori

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L’OPINIONE DELL’IDEOLOGO DI PUTIN

di Aleksandr Dugin

La scala globale del problema ucraino

Il destino dell’ordine mondiale si sta decidendo in Ucraina. Questo non è un conflitto locale tra due potenze che non hanno diviso qualcosa tra loro. È uno spartiacque fondamentale nella storia.

C’è la pratica comune di separare gli interessi e i valori. Gli interessi sono legati all’equilibrio politico e geopolitico del potere, i valori – agli ideali di civiltà. Non ci sono conflitti militari che non abbiano avuto entrambe le dimensioni: la questione del valore e gli obiettivi pragmatici. Nel caso dell’Ucraina, entrambi – interessi e valori – sono di natura globale e riguardano direttamente tutti sul globo. Questo non è un incidente locale.

L’Ucraina ha perso l’occasione di costruire uno Stato

Cosa rappresenta l’Ucraina? A prima vista è il suo Stato nazionale con i suoi interessi (presumibilmente) razionali, i suoi valori e ideali nazionali. L’Ucraina ha avuto la sua opportunità di diventare uno Stato relativamente di recente – come risultato del crollo dell’URSS. Non aveva una storia nazionale. Ecco perché la questione dell’identità era in primo piano. C’erano due popoli sul territorio dell’Ucraina – uno occidentale e uno orientale. Il primo si considerava un ethnos indipendente, mentre il secondo faceva parte del grande mondo russo, tagliato fuori da esso solo per caso. All’Ucraina fu data la possibilità di creare uno Stato, ma solo se teneva conto delle posizioni di entrambi i popoli, entrambi quasi alla pari.

Entrò poi in gioco un fattore esterno: la geopolitica, la Grande Guerra dei Continenti. L’Occidente, da parte sua, ha visto nell’Ucraina indipendente (quasi accidentalmente) un’opportunità per creare una testa di ponte antirussa su questo territorio, al fine di contenere il probabile rafforzamento della Russia dopo l’uscita dallo shock del crollo dell’URSS. Era inevitabile, e l’Occidente si stava preparando per questo.

Quindi, fu l’Occidente che puntò sugli abitanti delle regioni occidentali dell’Ucraina e sulla loro identità e cominciò a sostenere solo loro in ogni modo possibile a nome dell’altra metà, quella                          filorussa.

La genesi geopolitica del nazismo ucraino

Fu allora che si presentò il compito di stabilire un’identità ucraina occidentale come identità pan-ucraina. Per fare questo, era necessario compiere un genocidio culturale e, se necessario, diretto dei popoli dell’Ucraina orientale. Per accelerare la formazione della nazione ucraina, che non era mai esistita nella storia, l’Occidente accettò misure estreme, per creare artificialmente un simulacro di “Una Nazione” e sopprimere i sentimenti filorussi dell’Ucraina orientale, si ricorse all’ideologia nazista. Tuttavia, non è la prima volta – per combattere le influenze sovietiche nel mondo islamico durante la guerra fredda (e più tardi per contrastare la Russia) l’Occidente ha effettivamente creato, sostenuto e pompato armi e denaro nel fondamentalismo islamico (da al-Qaeda all’ISIS).

Il nazismo in Ucraina non è solo quello di singoli partiti e movimenti estremisti, è il principale vettore politico-tecnologico che, con il sostegno dell’Occidente, ha iniziato a prendere forma nei primi anni ’90. Mentre perseguivano il nazismo sul loro territorio, i liberali occidentali – e i più radicali (Soros, Bernard-Henri Levy, ecc.) – fraternizzavano apertamente con i nazisti ucraini. La nazificazione dell’Ucraina era l’unico modo per l’Occidente di creare rapidamente un Anti-Russia sul suo territorio. Altrimenti, se la democrazia, anche se relativa, fosse stata conservata, la voce dell’Est non avrebbe permesso di costruire l’Anti-Russia (almeno alla velocità desiderata).

Fasi del nazismo ucraino

La presa del potere da parte dei nazisti filoccidentali in Ucraina è avvenuta per tappe. Dall’inizio degli anni ’90, cominciarono a formarsi movimenti e partiti nazionalisti, e la propaganda influenzò i giovani, instillando atteggiamenti russofobi nelle loro menti. Allo stesso tempo, l’identità ucraina si trasformò in un Giano bifronte:

– un sorriso liberale all’Occidente

– una smorfia nazista (Bandera, Shukhevich) di odio verso la Russia.

Il nazionalismo ucraino si è dichiarato più distintamente durante la rivoluzione arancione del 2004-2005, quando gli occidentali si sono ribellati alla vittoria del candidato dell’est ucraino. Di conseguenza, l’occidentale Yushchenko è salito al potere, sostenuto da nazionalisti e liberali, ma il suo governo fu un completo fallimento, e fu sostituito da Yanukovich, presumibilmente filorientale.

Tuttavia, durante tutto il tempo il pompaggio del nazismo ucraino continuò. In tutte le fasi, l’Occidente ha continuato a costruire l’Anti-Ucraina.

Un’alleanza dei liberali con i nazisti

Al Maidan nel 2013-1014 c’è stata una svolta finale. Con il sostegno diretto e aperto dell’Occidente, un colpo di stato ha avuto luogo, e un’alleanza russofoba di nazisti e liberali ha preso il potere, fondendosi in qualcosa di indivisibile nel nuovo governo. Gli oligarchi liberali Poroshenko e Kolomoisky hanno contribuito a trasformare l’Ucraina in un perfetto stato nazista. L’Occidente ha chiesto l’antirusso, e Kiev ha seguito rigorosamente questo piano.

La reazione della Russia con la riunificazione con la Crimea, e la rivolta del Donbass filorusso seguirono. La Primavera russa doveva dividere l’Ucraina in Ucraina occidentale e Novorossia sulla linea dei due popoli, due identità, ma è stata scartata per una serie di motivi. Così Kiev ha avuto l’opportunità di iniziare la nazificazione dei territori orientali. Il genocidio dell’Est è iniziato con nuova forza e non solo contro il Donbass resistente, ma contro tutte le zone della Novorossia – sia le parti occupate delle regioni di Donetsk e Lugansk che tutte le altre.

L’Occidente non ha semplicemente chiuso un occhio su questo, ma lo ha promosso in ogni modo possibile. In questo caso possiamo dire che l’Occidente ha compromesso i suoi valori per il bene dei suoi interessi. La geopolitica (atlantismo) questa volta è stata più importante del liberalismo.

L’anti-Russia è stata in tal modo creata.

Allo stesso tempo, idee e norme occidentali come la politica di genere, LGBT+, la circolazione più o meno libera delle droghe, la cultura post-modernista (intesa dagli ucraini come nichilismo totale e cinismo), la cancellazione, il femminismo, il wokeismo e così via sono penetrati attivamente nella società ucraina. Come risultato, nel 2022 l’Ucraina era diventata un’anti-Russia a tutti gli effetti.

I suoi interessi nazionali a questo punto consistevano in:

– riconquistare il Donbass e la Crimea,

– l’adesione alla NATO,

– completare il ciclo completo del genocidio nell’Est,

– ottenere armi nucleari e biologiche da usare contro la Russia,

– inoltre, l’ideologia consisteva in russofobia e nazismo combinati con l’occidentalismo e il liberalismo.

Questo è ciò che Kiev difende oggi a livello di interessi e valori. L’Occidente sostiene pienamente Kiev in tutto tranne che nella sua disponibilità ad entrare in un confronto nucleare con la Russia. L’Occidente ha trasformato l’Ucraina nell’Anti-Russia, e ne ha bisogno solo in questa veste.

La russofobia come nuova ideologia globale

È indicativo che nella situazione critica dell’operazione militare speciale, l’Occidente si è trovato in una posizione difficile: ora deve non solo spiegare i suoi interessi, ma anche giustificare il nazismo ucraino, che non era più possibile nascondere. Prendete la recente fotografia a Odessa di Bernard-Henri Levy, l’ideologo iconico del liberalismo globale e ardente sostenitore del Grande Reset, con apertamente neonazista, ex capo del battaglione punitivo “Aidar” e capo dell’amministrazione militare di Odessa, Maxim Marchenko. Ecco come il liberal-nazismo come ideologia pragmatica dell’Ucraina è diventato per necessità accettato dall’Occidente stesso. Da qui la politica delle reti globali di sostegno al nazismo ucraino e la cancellazione di tutte le voci alternative – Youtube, facebook, twitter, Instagram, Google e così via – che sono state dichiarate recentemente “organizzazioni terroristiche” e vietate nella Federazione Russa. La russofobia è diventata il comune denominatore di questa empia alleanza tra nazisti e liberali globalisti.

L’Occidente ha trovato rapidamente una via d’uscita: equiparando la Russia stessa al “nazismo”, è stata dichiarata una crociata contro di essa, in cui il nazismo anti-russo è stato considerato un alleato completamente accettabile, cioè “non è affatto nazista” – nonostante i suoi simboli, le pratiche criminali, il genocidio dichiarato e attuato, la tortura, gli stupri, il traffico di bambini e di organi, la pulizia etnica, ecc.

Interessi e valori dell’Occidente globale: egemonia, totalitarismo liberale, russofobia

Così è stata costruita la configurazione del confronto tra due campi. Da un lato, abbiamo l’Occidente e i suoi interessi geopolitici – il desiderio

– espandere la NATO,

– preservare il modello unipolare,

– continuare la globalizzazione e il processo di trasformazione dell’umanità in un’unica massa sotto il controllo del governo mondiale (il progetto del Grande Reset),

– per salvare la fatiscente egemonia degli Stati Uniti.

Questo corrisponde ad una diffusione altrettanto totale dell’ideologia –

– liberalismo,

– globalismo,

– individualismo,

– la richiesta di cancellazione di tutti i dissensi,

– LGBT+, femminismo e transgenderismo,

– postmodernismo, distruzione deliberata e derisione dell’eredità culturale classica,

– wokeismo, la volontà di denunciare coloro che contestano il liberalismo (si qualificano come nemici della società aperta e quindi commettono crimini di pensiero),

– postumanesimo, migrazione forzata dell’umanità in una dimensione virtuale (progetto Meta, un’altra organizzazione terroristica vietata nella Federazione Russa),

– e a questo oggi si aggiunge il nazismo russofobico.

L’ideologia liberal-nazista dell’anti-russismo, creata artificialmente in Ucraina, sta penetrando nell’Occidente stesso, dove la russofobia sta diventando una norma obbligatoria, e la sua assenza o il suo disaccordo è oggetto di una persecuzione amministrativa o penale. Così la coda ucraina ha iniziato a scodinzolare il cane di Washington. Oggi, di fronte all’operazione militare speciale della Russia, il liberalismo si è finalmente e inseparabilmente fuso con il nazismo (nella sua versione russofoba).

Gli interessi della Russia: un mondo multipolare

Ora quali sono gli interessi e i valori della Russia in questo conflitto fondamentale?

In primo luogo, gli interessi geopolitici. La Russia rifiuta categoricamente il globalismo, un mondo unipolare e l’egemonia occidentale. In pratica, questo significa una dura resistenza all’espansione verso est della NATO e a tutte le altre forme di pressione occidentale sulla Russia. Mosca sta costruendo un mondo multipolare in cui sta reclamando il suo posto come polo indipendente e sovrano. È sostenuta in questo da Pechino e da un certo numero di paesi islamici e latino-americani. Anche l’India sta andando alla deriva verso un modello di ordine mondiale simile. In seguito, tutti gli altri – compresi i paesi dell’Europa e dell’America – si convinceranno dell’attrattiva, della validità e dell’inevitabilità di una tale costruzione.

Affinché gli interessi geopolitici russi si realizzino, l’anti-Russia non deve esistere sul territorio dell’Ucraina. E visto dal punto di vista dell’Occidente, è proprio il contrario, perché l’Occidente ha creato questo anti-Russia proprio per non farlo accadere. Quindi, abbiamo un conflitto di interessi fondamentale, che la Russia ha cercato di risolvere pacificamente, ma non ha funzionato. Da qui la nuova fase, più dura.

L’atlantismo contro l’eurasiatismo è la battaglia finale nel territorio dell’Ucraina. Questa è una posizione classica della teoria geopolitica da Mackinder a Putin. Come ha detto Brzezinski (piuttosto correttamente) negli anni ’90: “Senza l’Ucraina, la Russia non risorgerà mai più”, e con l’Ucraina lo farà, hanno deciso correttamente gli strateghi di Mosca.

I valori della Russia: Tradizione, Spirito, Uomo

Passiamo ai valori. Oggi, l’Occidente e Kiev stanno lottando per una sintesi patologica (dal punto di vista della teoria politica) di liberalismo e nazismo. Entrambi sono uniti dalla russofobia.

La russofobia dei globalisti liberali si spiega con il loro odio per una Russia sovrana che faccia cadere il mondo unipolare, distrugga i piani dei globalisti e l’egemonia dell’Occidente. La russofobia di Kiev si basa sul fatto che la Russia impedisce il genocidio della popolazione dell’est e la creazione della nazione ucraina. È così che il liberalismo e il nazismo si uniranno in un unico impulso. L’odio per i russi, gli appelli alla distruzione fisica dei russi a partire dal presidente Putin fino ai neonati, alle donne e ai vecchi si fondono con la propaganda LGBT+, la difesa dei matrimoni gay e la cultura postmodernista. Questi sono i valori di una civiltà che ha dichiarato guerra alla Russia.

La Russia difende altri valori. In primo luogo, i valori tradizionali – potere, sovranità, fede, una famiglia normale, umanità, patrimonio culturale. Secondo, la Russia insiste sulla legittima protezione dei russi – concretamente in Ucraina, minacciata dallo sterminio e vittima di genocidio. Terzo, i valori eurasiatici – la Russia stessa è aperta ai diversi popoli e culture e rifiuta categoricamente ogni forma di nazismo e razzismo. La Russia riconosce il diritto degli altri ad andare per la propria strada e a costruire il tipo di società che sarà scelto – ma non a spese della Russia stessa e dei popoli che cercano in Russia – come nell’Arca – la salvezza. Questi sono i fondamenti della moderna Idea Russa contrapposta al liberal-nazismo occidentale e ucraino.

Civiltà russa contro civiltà antirussa

Gli interessi e i valori di noi e loro sono opposti. Gli obiettivi e le conseguenze del conflitto sono globali, riguardano l’intero ordine mondiale, tutti i paesi e i popoli. La scala del conflitto è planetaria.

Due sistemi si scontrano – il campo liberale-nazista dell’Occidente e la Russia, difendendo non solo la loro Idea Russa, ma anche un ordine mondiale multipolare, in cui possono esistere altre idee – cinese, islamica, e la stessa occidentale, ma dove non c’è posto per il nazismo e il liberismo globalista obbligatorio.

Quindi lo scopo dell’operazione militare speciale è la denazificazione. Questo vale direttamente per l’Ucraina, ma indirettamente per tutti gli altri. La Russia non tollererà la russofobia in nessuna forma. Questa è già una questione di principio.

È uno scontro di civiltà: la civiltà russa contro quella antirussa.

Il destino della quinta colonna nella stessa Russia

Ora dovremmo prestare attenzione alla quinta colonna, che ha cercato di ribellarsi all’operazione militare speciale, ma è stata rapidamente fermata e fuggita all’estero nella prima fase, e soprattutto alla sesta colonna, che in precedenza ha imitato con successo per anni, esprimendo fedeltà formale a Putin.

La quinta colonna dei liberali è stata inequivocabilmente dalla parte degli antirussi fin dalla prima campagna cecena. I discorsi e le dichiarazioni della maggior parte degli esponenti liberali dell’opposizione russa sono pieni di odio per la Russia. Molti di loro erano fuggiti dalla Russia anche prima, stabilendosi negli Stati Uniti, in Europa, in Israele e a Kiev. Molti di loro hanno scelto Kiev consapevolmente, come roccaforte dell’Anti-Russia, cioè come loro feudo ideologico; e, naturalmente, non hanno notato il fiorire del nazismo ucraino lì – con esso condividono una russofobia comune per entrambi. Molti dei liberali della quinta colonna russa divennero anche loro nazisti, o almeno i loro apologeti.

Oggi, la quinta colonna in Russia è sotto una stretta interdizione e non rappresenta una grande minaccia. Ma nel complesso, i suoi interessi e valori coincidono con Washington, la CIA, il Pentagono, il blocco NATO e Kiev, che servono. Quindi è un nemico puro.  Non ho bisogno di ricordarvi ancora una volta cosa si fa con un nemico sotto legge marziale.

I liberali sistemici sono tra l’incudine e il martello

La situazione della sesta colonna è molto più complicata. Oggi è proprio questa colonna ad essere al centro dell’attenzione. È composta da quelli che sono stati chiamati “liberali di sistema” come oligarchi, politici, burocrati e figure culturali che condividono l’ideologia liberale (monetarismo, imperialismo del dollaro, currency board, cosmopolitismo, LGBT+, transgender, globalizzazione, digitalizzazione, ecc) ma non si oppongono apertamente a Putin.

Oggi, si trovano in una posizione difficile – tra l’incudine e il martello. È contro la sesta colonna che l’Occidente ha imposto gravi sanzioni economiche, ha portato via i loro yacht e palazzi, ha congelato i loro conti bancari e sequestrato i loro beni immobili. L’obiettivo era lo stesso: farli rovesciare Putin. Ma questo è impossibile e significa un suicidio.

Così la sesta colonna è ora confusa – l’Occidente ha preteso da lei qualcosa di impossibile.  Quindi o devono fuggire dalla Russia e combattere Putin dall’esterno (come hanno fatto Chubais e un certo numero di altre figure iconiche dell’oligarchia russa), o solidificarsi con un’operazione militare speciale, ma questo cancellerebbe la loro posizione in Occidente e li priverebbe del loro bottino ammassato lì. Ed ecco il punto principale: non possono più rimanere liberali – nemmeno sistemici, perché il liberalismo oggi si è fuso con la russofobia su scala globale, è diventato una versione del nazismo, e non si può essere un nazista e allo stesso tempo lottare contro il nazismo, paradosso irrisolvibile.

Si scopre che o la Russia o il liberalismo.

Se i liberali sistemici (la sesta colonna) vogliono rimanere sistemici, devono smettere di essere liberali. Il liberalismo oggi è uguale al nazismo, e la Russia ha lanciato un’operazione di denazificazione senza precedenti. Di conseguenza, i liberali sistemici devono denazificare (cioè de-liberalizzare) se stessi.

Conversione al patriottismo

Molti ex liberali degli anni ’90 avevano già preso la loro decisione nelle fasi precedenti, scegliendo tra la Russia con i suoi valori tradizionali e l’Occidente con i suoi valori liberal-nazisti. Questi hanno scelto la Russia e la tradizione. Ed è una grande e giusta decisione. Nessun problema con loro. Una persona può cambiare idea, può sbagliarsi, può perseguire obiettivi tattici, alla fine può peccare e pentirsi. Nessuno tirerà pietre agli ex-liberali che sono diventati patrioti. Ma un certo rituale di cambiamento dell’ideologia, una sorta di conversione al patriottismo, è comunque utile.

Sarebbe sbagliato convertire, come gli ebrei spagnoli al cattolicesimo, i liberali sistemici al patriottismo con la forza. È una questione di ideologia e di libertà di coscienza. E qui la violenza avrà solo l’effetto contrario. Ma l’élite dirigente della società in un momento così teso e decisivo dovrebbe essere composta da coloro che condividono pienamente gli interessi e i valori del paese che sta combattendo una guerra ontologica contro un avversario forte e potente – per gli interessi e i valori. E se l’élite non condivide i valori, e non capisce gli interessi, allora non ha senso essere un’élite – almeno quella al potere.

Oggi, la guerra tra la Russia e l’Anti-Russia globale è in pieno svolgimento. Sarebbe innaturale mantenere reti nemiche all’interno della Russia. Pertanto, se la sesta colonna sceglie la Russia, non può più essere chiamata “liberali di sistema”, suonando come contraddizione come essere “nazisti di sistema”. Lo stato attuale delle cose non lo permette.

La Russia deve diventare la Russia: la luce russa

La nostra vittoria non dipende solo dalle azioni eroiche del nostro esercito, dai successi della pianificazione militare e strategica, dal supporto materiale dell’operazione, dall’efficace gestione politica e amministrativa dei territori liberati, ecc. Dipende da quanto profondamente e completamente la Russia diventa Russia. Oggi l’appello all’Idea Russa non è un capriccio del potere. Anche i comunisti sovietici, per bocca di Stalin in una difficile situazione critica si appellavano al popolo russo, alla Chiesa ortodossa, alla Tradizione e alla nostra eroica storia. Oggi, nulla si oppone a questo. Tranne i pregiudizi dei liberali sistematici, che, spero, semplicemente non si sono ancora resi conto della gravità della loro situazione.

La gente sia in Russia che in Ucraina sta aspettando che Mosca dica parole vere. Un discorso vero. Un appello sincero al profondo dell’essere della gente. È ora di dire che questa operazione militare speciale appartiene alla categoria del sacro.

Oggi di nuovo un soldato russo e un cittadino russo nelle retrovie, un figlio russo e una madre russa, un prete russo e un poeta russo stanno decidendo il destino dell’umanità.

La Russia in lotta mortale con l’Anti-Russia si erge come una civiltà della Luce. Questo è il nostro interesse e i nostri valori. Portiamo ancora una volta la Luce al mondo, silenziosa, ma inestinguibile tranquilla Luce Russa.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

26 marzo 2022

Fonte: https://www.ideeazione.com/russia-vs-anti-russia-interessi-e-valori/

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