L’età dell’impotenza

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di Marcello Veneziani

Fonte: Marcello Veneziani

Il ghiacciaio si scioglie e genera una tragedia sui monti, sulla Marmolada. Il clima impazzisce e genera disastri atmosferici nel pianeta. Il contagio del covid riprende a correre per il terzo anno. In Ucraina la guerra continua e nessuno riesce a fermarla. E aspettiamo la solita, inevitabile catena di incendi d’estate, che di solito partono da errori o colpe ma si ripetono sempre, e non c’è efficace prevenzione e dissuasione.
Per completare il quadro e aggiungere benzina sul fuoco, non c’è giorno che la follia di un uomo non si scateni su vittime innocenti, dagli Stati Uniti al mondo. I sistemi di sorveglianza e controllo nulla possono davanti all’imprevedibile follia, alla malvagità senza movente. Si pensa che il rimedio sia solo vietare le armi, e può essere un mezzo per limitare le occasioni e il numero delle vittime, ma non estirpa certo il male.
Eventi disparati, atmosferici, sanitari, storici, delitti ambientali, umane follie ma che rivelano una cosa: siamo entrati nell’Età dell’Impotenza. Qualcuno dirà che siamo rientrati nell’Età dell’Impotenza e altri, più accorti, diranno che in realtà non ne siamo mai usciti. Da sempre ci dominano fattori ingovernabili, che un tempo chiamavano Sorte, Fato, Necessità. E ad essi si aggiunge il fattore ineliminabile che potremmo definire con tono biblico malvagità, umana o non solo. Ma quel che più colpisce è la percezione della nostra Impotenza rispetto agli accadimenti, in un’epoca che invece è culturalmente dominata dalla Volontà di Potenza e dai desideri illimitati. Ci hanno allevato alla libertà e ai diritti come principi assoluti, ci hanno insegnato che la modernità si distingue dall’antichità perché l’uomo domina e non subisce il destino e gli eventi, e invece ecco rivelata tutta la nostra impotenza. In che senso nostra? In senso personale, prima di tutto. Poi in senso sociale. Nulla possiamo da soli, ma anche insieme, pur essendo preziosa la solidarietà e pure il conforto comunitario. Ma anche riferita agli Stati, al Potere delle Istituzioni, della Scienza, della Tecnica, della Terapia, la condizione impotente non cambia. Nessuno riesce a fermare queste emergenze, e non dico solo quelle impreviste, ma anche – e soprattutto – quelle previste, annunciate da tempo o temute da anni. Non c’è possibilità di prevenzione, non ci sono protocolli e misure per frenare e nemmeno per rispondere agli eventi che si abbattono su di noi. I vaccini non bastano, o forse non servono, si insinua perfino il dubbio che siano la principale causa delle varianti e della ripresa dei contagi. Ovvero il rimedio non frena o estingue il male, e forse addirittura lo provoca (senza considerare gli inquietanti e rimossi effetti collaterali). I discorsi sull’ecosostenibilità, sul riscaldamento del pianeta, sul tracollo climatico sono montagne di parole che partoriscono topolini, impotenti rispetto al funesto evento di un ghiacciaio che si scioglie e trascina gli uomini nella rovina. Grandi mobilitazioni, piccoli risultati. Anche perché per sperare di ottenere risultati sensibili, ammesso che si sia ancora in tempo, si dovrebbe rimettere radicalmente in discussione il modello di società in cui viviamo. Non solo arrestare lo sviluppo, ma arretrare perfino. Anche i più scalmanati sostenitori della svolta ambientalista non riuscirebbero ad accettare le implicazioni e le limitazioni enormi al nostro attuale modo di vivere.
Vanamente i media, i poteri, cercano di colpevolizzare i popoli e i cittadini, e quasi scaricare sulla loro incuria e refrattarietà a seguire i protocolli di sicurezza, se la pandemia riprende, se la terra impazzisce, se accadono incendi e se non si sopportano le conseguenze delle misure per dissuadere i malvagi e i guerrafondai. In realtà la responsabilità dei singoli è morale più che reale. Il raggio d’incidenza dei singoli comportamenti è quasi impercettibile. E comunque agisce in minima misura sugli effetti ma è del tutto inerme rispetto alle cause, ai processi in corso, alle minacce incombenti. Il senso di impotenza scatena inevitabilmente l’ansia fino all’angoscia che non è uno stato provvisorio, limitato nel tempo e alle circostanze, ma coinvolge interamente la nostra mente, la nostra persona e il nostro tempo presente e futuro. L’ansia ci avverte di un pericolo, l’angoscia ci dice che non c’è scampo. Dunque, lo stato dell’angoscia è legato alla percezione dell’impotenza. Che è poi il senso proprio della tragedia, dove non c’è rimedio, non c’è via d’uscita. È l’età dell’Impotenza.
Ma si può vivere con questa spada di Damocle pendente sulle nostre teste, si può essere cittadini leali e osservanti delle norme se il potere non ci garantisce la prima delle fonti su cui sorge lo Stato, ossia la sicurezza o l’argine alla paura? Ecco il pericolo che si aggiunge a quelli legati agli eventi: che si possa allentare o sciogliere il patto su cui regge l’alleanza tra potere e popolo, tra governanti e governati, visto che gli Stati non garantiscono effettivi argini ai cataclismi e alle tragedie. E allora, non ci resta che convivere con la catastrofe? Dobbiamo comunque reagire, prevenire, aumentare la soglia di attenzione e di sicurezza, ma dobbiamo cambiare mentalità. L’uomo non è il signore dell’universo, la nostra vita non è assoluta e permanente, ricacciamo la volontà di potenza e i desideri illimitati, recuperiamo il senso del limite, accettiamo il nostro destino con amor fati. Siamo fragili, mortali, esposti al pericolo. Solo un dio ci può salvare. O peggio, solo un dio si può salvare.

Tragedia Marmolada: la natura ha sempre le sue regole, a prescindere dall’uomo

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/?p=45641

SOGGIORNANDO A POCHI CHILOMETRI DALLA MARMOLADA HO SENTITO LA SOFFERENZA PER LA TRAGEDIA DEL DISTACCO DI UNA PARTE DI GHIACCIAIO, CHE HA DILANIATO I CORPI DI 11 ESCURSIONISTI

“La montagna è come una bella donna: va amata, va coccolata, va ammirata e, soprattutto, rispettata”.

Erano queste le parole che il mio maestro di sci utilizzava, per insegnarmi come si va sulle Dolomiti, che sono paradisi naturali, con regole, spesso, spietate.

Anche se molto giovane, ricordo perfettamente la slavina che distrusse il paese di Stava, così come la caduta fatale del fratello di Messner dalla Torre del Vajolet, per un fulmine che gli colpì il chiodo piantato per l’ascesa.

E, in questi giorni, soggiornando a pochi chilometri dalla Marmolada, ho sentito la sofferenza ed espresso il cordoglio per la tragedia del distacco di una parte di ghiacciaio, che ha dilaniato i corpi di 11 escursionisti. La natura ha degli equilibri ben precisi.

Noi viviamo un periodo storico particolare, che non ha nulla a che vedere con l’ideologia gretina del riscaldamento globale, perché non esiste, se non come sinistra ideologia.

Ce lo confermò, di fatto, il censuratissimo Prof. Zichichi, sostenendo che i cambiamenti climatici sono dovuti a mutamenti ciclici del sole.

Qui, in val di Fassa, la deformazione professionale e le conoscenze acquisite in oltre quarant’anni di frequentazione di questi luoghi meravigliosi, mi hanno portato ad informarmi da guide alpine ed esperti in merito alle possibili cause di questa immane tragedia.

Tutti hanno concordato con l’autore di www.storiologia.it Franco Gonzato, che ha salito la Marmolada 35 volte, ed ha affermato: “non si sale né si scende sulla Marmolada quando ci sono 10 gradi”. (…) “La strada è ben segnata, la forcella é attrezzata da un cavo d’acciaio, da staffe e pioli metallici. Poi, giunti sulla cresta in 10 minuti si raggiunge la Punta Penia. Non é per nulla difficile , tutto in 2 ore, ma ci devono essere le condizioni climatiche ottimali. Alle ore 13,25, con 10 gradi sopra lo zero é un suicidio!!!”

“Carlo, il gestore del rifugio Penia, poco distante aveva postato tre giorni prima un video con lo smartphone per la situazione allarmante, non del piccolo ghiacciaio, ma del blocco del seracco in pendenza che, a causa dell’acqua infiltratasi rischiava di staccarsi e precipitare. L’allarme non è stato ascoltato, e anche se lo fosse stato, nessuno avrebbe bloccato tutto il turismo a valle”.

Continua Gonzato:

“Prevedibile? Nello stesso punto, due anni fa, una valanga distrusse il rifugio del Pian dei Fiacconi. Ma quest’anno la situazione climatica era ancora peggiore. Se ci vai o ci scendi a mezzogiorno non dire che è “imprevedibile”; é facilmente fatale.

“Nel ’57 un enorme pezzo di ghiacciaio staccatosi dall’Ortles, dopo aver squarciato un’ intera foresta, raggiunse i 4 tornanti della strada per Solda, dove stava passeggiando il curato leggendo il breviario. Lo ritrovarono dopo 4 mesi.

Nel 1916 alla stessa Marmolada ci fu una valanga quasi uguale perfino maggiore, trascinò nel sottostante lago tutte le caserme degli austriaci: 300 furono i morti.

Ma anche nel 1957 e 1962, la pioggia mancò per mesi e mesi.
Nel 1893 fu l’anno di siccità più grave di tutta Europa. Non piovve per quasi un anno. Il petrolio doveva essere ancora utilizzato, di conseguenza non c’erano i motori a scoppio né le auto che “inquinavano”!

La siccità colpì duramente l’agricoltura; tutti i raccolti: nelle vigne non vi era un grappolo d’uva; di granoturco nemmeno una pannocchia; frutta e verdura appena l’ombra.
Ma nei secoli precedenti non sono mancati i ritiri dei ghiacciai lasciandoci come ricordo “le morene”. Una delle più famose d’Europa è quella alla fine della Val d’Aosta “La Serra”, che va da Ivrea a Santhià (53km – lasciando un muro laterale alto 300 m.).

Significa che dal Monte Bianco il ghiacciaio era su tutta l’attuale Val d’Aosta fino a sbucare a Ivrea nella Val Padana. Mi risulta che allora non c’era l’inquinamento del carbone, del petrolio, delle auto, ecc.

La natura faceva il suo corso, ieri, come con l’uomo di oggi e lo farà anche senza l’uomo…domani”.

Afghanistan in mano ai talebani: la tragedia continua…

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di Ferdinando Bergamaschi

Afghanistan: da quando l’ultima truppa americana si è ritirata lo scorso 31 agosto, lasciando il Paese nelle mani dei talebani, la situazione a Kabul rimane sempre drammatica per non dire tragica. Le cronache della capitale raccontano per esempio di due esplosioni che il 10 dicembre hanno ucciso almeno due persone e causato quattro feriti. Sui social era circolata una presunta rivendicazione dell’attentato da parte dell’Isis-k, la formazione affiliata allo Stato islamico che si oppone al governo dei talebani. E sempre all’Isis-k molto probabilmente è da attribuire l’attentato del 14 dicembre, quando l’esplosione di una mina posizionata lungo una strada di Kabul ha causato la morte di un civile e il ferimento di due membri delle forze dell’ordine.

A tutto ciò va aggiunta la denuncia del vice Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu Nada Al-Nashif. Sempre il 14 dicembre, ha accusato i talebani di aver effettuato almeno 72 “uccisioni extragiudiziali” di ex membri delle forze di sicurezza e di altri esponenti del precedente governo afghano. Al-Nashif ha aggiunto che “in diversi casi i corpi sono stati esposti in pubblico. Ciò ha esacerbato la paura in una parte significativa della popolazione”. 

Ma al di là degli attentati e delle denunce registrati dalle cronache, la questione afghana sembra essere stata messa nel dimenticatoio. E questo è tanto più sorprendente se si considera la sistematica violazione dei più basilari diritti umani da parte dei talebani sia da un punto di vista sociale, che economico, che culturale.

La tempesta perfetta

La Commissaria europea agli Affari interni Ylva Johansonn aveva delineato un quadro del genere già durante il vertice che aveva presieduto lo scorso 7 ottobre: “Si sta preparando una tempesta perfetta. Oltre il 90% degli afghani affronta la minaccia della fame, il sistema sanitario rischia il collasso. E così l’economia. Ci sono notizie preoccupanti di oppressione, coloro che hanno lavorato con noi e condividono i nostri valori hanno molto da perdere: gli interpreti e le loro famiglie sono vittime di minacce; operatori per i diritti umani vengono arrestati. Ed è peggio per le donne e le ragazze, che spesso hanno paura di andare a scuola o al lavoro: donne giornaliste e dipendenti pubblici licenziate, donne giudici braccate dagli uomini che hanno messo in prigione.” E le cose, purtroppo, sembrano tutt’altro che migliorate.  

Crisi umanitaria 

Secondo il Norwegian Refugee Council, nel Paese 18 milioni di afghani su quasi 39 milioni sopravvivono grazie agli aiuti umanitari; un terzo della popolazione è sottoalimentata e un milione di bambini rischiano di morire di freddo e fame durante l’inverno. Una crisi umanitaria sempre più grave dopo che le riserve della Banca centrale afghana depositate all’estero sono state congelate e i trasferimenti di denaro interrotti, in seguito alla riconquista dei talebani. Per questo a metà ottobre la Commissione europea era intervenuta con un pacchetto di aiuti da un miliardo di euro che andranno direttamente alla popolazione tramite le Ong sul territorio. 

Il dramma dei profughi

Chi non ricorda le resse infernali all’aeroporto di Kabul per fuggire dal Paese? Secondo i dati dell’Onu sono state oltre 200.000 le persone evacuate da Kabul. La grande maggioranza è scappata in Pakistan e Iran con destinazione Turchia, considerata la porta d’accesso per l’Europa. Tuttavia questo flusso spesso si è arrestato nel Paese di Erdogan. Con l’autocrate turco che tiene i profughi in pugno, forte degli accordi con l’Unione europea e li utilizza come leva politica. 

La situazione delle donne

Nel Paese peggiora anche la condizione delle donne. I divieti e le punizioni per loro sono agghiaccianti: fuori casa non possono lavorare; e nemmeno svolgere attività se non accompagnate da un parente stretto; c’è il divieto di studiare in scuole, università o altre istituzioni educative; naturalmente per loro vige l’obbligo di indossare il burqa; è prevista la lapidazione pubblica se accusate di avere una relazione al di fuori del matrimonio; vengono frustate in pubblico le donne che hanno le caviglie scoperte; e ancora per loro c’è il divieto di praticare sport.

Questi sono solo alcuni dei terribili aspetti del nuovo (o per meglio dire vecchio) corso che il regime dei talebani ha imposto alle afghane. E a noi fa venire i brividi soltanto il fatto che possa esistere una legislazione appositamente femminile, con il mondo che sta a guardare.

 

I VERI MOTIVI DELLA TRAGEDIA. Lo sporco sistema dei ribassi

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Dalle notizie pervenute, i nostri militanti e simpatizzanti genovesi sono illesi. Ci uniamo al cordoglio dei familiari delle vittime e dedichiamo una prece in suffragio di tutte loro.

Scritto e segnalato da Antonio Amorosi

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