Nigeriane, dai barconi ai marciapiedi della tratta

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Segnalazione FB di Matteo Salvini

Luigi De Ficchy, procuratore capo di Perugia: “Così avviene il traffico delle giovani dalla Nigeria all’Italia”

di Giacomo De Sena

Prostitute nigeriane

Prostitute nigeriane

Otto persone arrestate, sei donne e due uomini, tutti nigeriani. È questo il risultato nei giorni scorsi di un’operazione della Squadra mobile della Polizia di Perugia, con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Perugia, che ha smantellato un’organizzazione criminale dedita allo sfruttamento della prostituzione nel capoluogo umbro. Il gruppo di uomini e donne – a partire dal 2015 – faceva arrivare ragazze dalla Nigeria all’Italia, attraverso la Libia, per farle prostituire. Le giovani salivano su camion gremiti, poi sugli ormai arcinoti gommoni che navigano nel Mediterraneo per finire sui marciapiedi italiani. L’indagine toglie il velo su una piaga diffusa e complessa, sulla quale In Terris ha provato a far luce intervistando Luigi De Ficchy, procuratore capo di Perugia.

Da quest’ultima operazione emergono i profondi interessi commerciali che trasformano queste donne in merce da piazzare sui vari mercati della criminalità: quanto è diffuso questo fenomeno in Italia e cosa si può fare per stroncarlo?
“Anzitutto il pubblico deve prendere consapevolezza del fatto che siamo di fronte non ad un’emergenza, ma ad una permanenza. Ci sono elementi, studi, analisi, investigazioni su questo fenomeno da almeno venticinque anni. Personalmente, stando alla procura nazionale, ne scrivevo al riguardo già vent’anni fa. Certo, sono cambiate le modalità del traffico, magari un tempo si arrivava in Italia in modo diverso, i flussi migratori seguivano altre strade, ma la tratta di persone proveniente da Nigeria e Paesi limitrofi è un fenomeno antico”.

Il fenomeno è stato sottovalutato?
“Ritengo che in troppi che dovevano fronteggiare questa piaga, purtroppo hanno messo la testa sotto la sabbia. La magistratura fa quello che può, con investigazioni che non sono facili, perché in gran parte sono transnazionali e internazionali, che riguardano organizzazioni criminali di diversi Paesi”.

In genere quante organizzazioni criminali sono coinvolte in questi traffici?
“Se parliamo dei traffici della Nigeria, esistono organizzazioni che agiscono già in Nigeria. Poi, dello spostamento delle persone dal subsahara alla Libia se ne occupano già altre organizzazioni. E ancora, in Libia, queste persone vengono prese in consegna da gruppi libici che si occupano del viaggio fino in Italia. Una volta qui, tante cellule si attivano per lo smistamento di queste donne sui vari mercati”.

C’è anche un forte legame tra traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione…
“Certo, c’è un legame, spesso queste stesse donne vengono utilizzate per il trasporto della droga. La Nigeria, del resto, è un crocevia di sostanze stupefacenti: passano di lì la cocaina che viene dal Brasile e dalla Colombia e l’eroina proveniente dal Sud-Est asiatico e dal Pakistan, queste sostanze vengono poi stoccate e portate verso i Paesi consumatori. Negli anni ’80 i nigeriani operavano come corrieri per altre organizzazioni, oggi stanno gestendo questo traffico in proprio perché hanno acquisito una capacità criminale maggiore. In Nigeria questa attività viene organizzata liberamente perché c’è una notevole corruzione e poi perché la povertà è dilagante”.

Quanto è forte l’aspetto pseudo-religioso sul traffico di prostituzione?
“Nel caso della Nigeria è fortissimo. Nelle ragazze nigeriane c’è una forza costrittiva legata ai riti voodoo. In molte occasioni, queste giovani sanno che vengono qui a prostituirsi, mentre in tante altre non lo sanno. In ogni caso, tuttavia, sono consapevoli che devono pagare un prezzo molto alto, quello del viaggio, che si aggira tra i 10 e i 20mila euro. Soldi che devono corrispondere sotto minaccia nei confronti loro e dei loro familiari. E poi prima che partano, spesso vengono loro sottratti degli effetti personali con riti voodoo, magari un ciuffo di capelli o una parte di un abito, facendo loro credere che ciò serva per controllarle a distanza. Non va poi trascurata la figura della maman, la donna che va a prendere queste ragazze direttamente nei campi di prima accoglienza per prendersene carico e costringerle alla prostituzione”.

Ci sono zone a Perugia, ma anche in tanti altri territori d’Italia, in cui la prostituzione è radicata, quasi da sembrare impossibile da smantellare. Come è possibile che ciò avvenga?
“Perché c’è grande disattenzione sul fenomeno della prostituzione. Il retroterra criminale che vi sta dietro viene spesso ignorato, così lo sfruttamento viene visto come un reato minore, con pene relativamente basse, difficilmente repressive dell’ampio fenomeno in questione. E poi c’è una domanda continua e numerosa: sarebbe necessaria maggiore consapevolezza da parte di chi utilizza queste donne sul fatto che così si rende responsabile di queste storie tristi e cariche di sofferenza. Ritengo dunque necessario stroncare la domanda, ma non con mezzi sanzionatori, bensì con la cultura”.

Qual è la percentuale, tra le donne che arrivano in Italia sui barconi, di quelle che finiscono sui marciapiedi? È possibile fare una stima?
“Non è possibile. Tenga però presente che, se parliamo della Nigeria in particolare, è quasi normale che le donne vengano avviate alla prostituzione, anche se spesso viene promesso loro, al termine del viaggio, un lavoro diverso, dignitoso. Per quanto riguarda gli uomini, gran parte di essi, giunti in Italia, sanno già che non avendo altre opportunità lavorative, dovranno unirsi a gruppi criminali oppure dedicarsi all’accattonaggio”.

Dalle intercettazioni utilizzate nell’inchiesta emerge la preoccupazione da parte degli organizzatori che questi traffici possano essere arginati dalla linea del nuovo governo?
“L’indagine non riguarda solo gli ultimi due mesi scarsi in cui è in carica il nuovo governo, riguarda un periodo pregresso, dunque al momento non è possibile fare queste valutazioni. Vedremo in futuro se, in qualche modo, la nuova linea influirà sul fenomeno”.

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Immigrazione: quanti falsi miti da sfatare!

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Risultati immagini per stop immigrazionedi Tatiana Santi

“Fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare”, “pagano le pensioni agli italiani”, “solo loro fanno figli in un Paese morente”. Il presidente dell’Inps Boeri vede proprio nell’arrivo di nuovi immigrati la soluzione a tutti i problemi italiani. Gli immigrati sono davvero così indispensabili?

Mentre i giovani italiani scappano all’estero in cerca di un lavoro e mentre le famiglie rinunciano a fare figli per mancanza di sicurezze, secondo il presidente dell’Inps Tito Boeri l’Italia ha bisogno di immigrati. Sarebbe curioso capire se Boeri si riferisce ad altri immigrati ancora che finirebbero a lavorare sui campi senza contratto, quindi sottopagati e senza alcun diritto. Il cosiddetto lavoro che gli italiani non farebbero più.

Per quanto riguarda il calo demografico, fenomeno preoccupante per il Paese, i dati Istat hanno mostrato come a fare meno figli siano tutti, italiani e immigrati. A mancare sono le sicurezze e il lavoro per poter mantenere una famiglia con i bimbi. Al di là della propaganda e delle dichiarazioni politiche del presidente dell’Inps, quali sono i miti legati all’immigrazione ancora da sfatare? Sputnik Italia ha raggiunto per un’intervista Laura Tecce, giornalista e sociologa.

Laura Tecce, qual è il suo punto di vista sulla dichiarazione di Boeri in merito alla necessità di una maggiore immigrazione per pagare le pensioni ai contribuenti?

Questo è lo slogan di tutti gli immigrazionisti, di chi è pro immigrazione e pro sostituzione della popolazione italiana, perché di questo si tratta. Boeri, che è il presidente dell’Inps, messo a capo dell’ente previdenziale da Renzi nel 2015, ha fatto dichiarazioni assolutamente opinabili. Ha affermato che l’invecchiamento della popolazione, il declino demografico e la fuga dei giovani all’estero possono essere compensati solo dagli immigrati.

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Nomi, finanziatori e intrighi. Ecco tutti i segreti delle navi Ong

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Da Soros al tifoso di Hillary Clinton, ecco dove prendono i soldi e come li spendono le Ong che portano migranti in Italia

di  – Ven, 21/04/2017

Le Ong di nuovo nell’occhio del ciclone. Dopo le accuse di Frontexle indagini di tre procuree il sospetto di “affari sporchi”, ieri anche Matteo Renzi ha accusato le organizzazioni umanitarie di “non rispettare le regole”.

È vero? Chissà. Di certo ci sono molti lati oscuri su cui è doveroso fare un po’ di luce.

Medici Senza Frontiere

Partiamo dalle associazioni più grandi. In cima alla lista va messa ovviamente Medici Senza Frontiere, che nel 2016 poteva contare su tre navi: la Dignity I, la Bourbon Argos e Aquarius. Oggi è rimasta attiva solo la Aquarius, a cui però è stato affiancato il nuovo acquisto “Prudence“, un’imbarcazione commerciale da 75 metri e 1000 posti a bordo. Un gigante del salvataggio.

Niente da ridire sulle attività che Msf porta avanti nel mondo. Anzi. Fa però sorridere il fatto che tra i suoi fondatori compaia Bernard Kouchner, medico francese che ha visto più palazzi della politica che sale operatorie. Dal 2007 al 2010 infatti è stato ministro degli Affari Esteri da Nicolas Sarkozy, ovvero di quel governo che nel 2011 ha bombardato Muhammad Gheddafi e trasformato la Libia nel porto senza regole da cui oggi partono i barconi carichi di immigrati. Continua a leggere