Dragocrazia
QUINTA COLONNA
di Marcello Veneziani
È davvero prematuro rinfacciare al governo Draghi di essere la riedizione del governo Conte o di esultare per questo, come fanno i grillo-contini. È stato quantomeno puerile gridare subito alla continuità con Conte quando non si era ancora insediato il governo. Certo, serve per galvanizzare le tifoserie e dire agli uni che il Maligno ha cambiato solo nome e fattezze e si è fatto più terribile, come dice il cognome fiammeggiante del premier; e agli altri far credere che Conte è così insostituibile che il suo modesto successore è schiacciato dalla sua gigantesca ombra e non può che tentare di imitarlo.
Ma se provate a fare il gioco delle differenze, risaltano subito alcune cose: il profilo e il curriculum di Draghi rispetto a quello di Conte, alcuni ministri tecnici nei dicasteri economici al posto di grillini e piddini, il cambio in meglio alla giustizia, alla pubblica amministrazione e istruzione e allo sviluppo economico, il peso dei ministri leghisti e forzisti, il ridimensionamento di Arcuri che prelude probabilmente alla sua non riconferma. E poi la novità, anche inquietante se volete, di un governo di unità nazionale, e in positivo lo stile diverso nelle riunioni ministeriali e nella comunicazione. Non è poco, come avvio. Dall’altra parte la continuità della politica sanitaria, le troppe facce riemerse di ministri al governo, alcuni segnali non promettenti sulla giustizia, un governo imbottito di politici di basso profilo, non fanno ben sperare. In ogni caso è prematuro e disonesto azzardare un giudizio, parlare già di svolta o di continuità. Vedremo in corso d’opera e valuteremo senza paraocchi.
Una cosa però si profila sin dagli esordi, dalle scelte ministeriali e dai segnali di fumo lanciati all’Europa. Il governo Draghi ha a cuore principalmente una cosa, rispetto a cui tutto il resto fa da corollario e può essere oggetto di trattativa: la gestione dei fondi e delle linee economiche. Per dirla nel linguaggio proprio, il core business del governo Draghi, la specificità del suo mandato, è il Recovery fund e le sue conseguenze. Può assecondare la politica sanitaria precedente, può far la voce grossa sui vaccini, non modificare le linee politiche, culturali e civili ma resta prioritario e non negoziabile decidere come verranno spesi i soldi. Questa è la mission di Draghi e la ragione dell’incarico a lui; è lì che si gioca quasi tutto, pure il Quirinale; ed è quello che non andava permesso a un governo politico qualsiasi. Tutto il resto è relativo. Sarà lì che si paleserà la Dragocrazia. Continua a leggere