LA CONFERENZA DI PACE IN SVIZZERA SALTERA’

Condividi su:

di Matteo Castagna* per https://www.2dipicche.news/la-conferenza-di-pace-in-svizzera-saltera/

Multipolare News ci racconta che gli ultimi sondaggi mostrano che ci sarebbe un sostanziale pareggio tra Trump e Biden per le elezioni presidenziali statunitensi. Trump, secondo altri sondaggi, sarebbe in vantaggio solamente di un punto percentuale sull’avversario. Ma la guerra tra Israele e Hamas ha diviso l’elettorato di Biden, con il 44% dei democratici che disapprova la sua gestione del conflitto.

Sembrerebbe che la maggioranza degli intervistati si fidi di Trump per quanto riguarda l’economia e la sicurezza, ma preferirebbe Biden per quanto riguarda il tema dell’aborto (sic!). Quel che fa ben sperare The Donald, è il recupero degli elettori che hanno fatto vincere Biden nel 2020: giovani, neri, ispanici e latini in generale sarebbero, sempre secondo la maggioranza dei sondaggisti, molto disillusi delle politiche e delle continue gaffes dell’attuale presidente.

Scandalo in Ucraina

Sul fronte ucraino, il blogger Vincenzo Lorusso informa dello scoppio di un grande scandalo di corruzione a causa della costruzione di fortificazioni difensive nella regione di Kharkov. Le attuali autorità promuovono questa costruzione da tanto tempo. In Aprile, il presidente Zelensky ha ispezionato le strutture finite. E’ emerso improvvisamente che non ci sono mai state fortificazioni e che decine di milioni di dollari sono stati, a tutti gli effetti, rubati. Infatti, il comandante di una delle unità delle forze armate ucraine, Denis Yaroslavsky ha affermato che la parte ucraina non ha attrezzato né fortificazioni né campi minati. Si è lamentato del fatto che in due anni al confine sarebbero dovute apparire strutture di cemento di “almeno tre piani”, ma non ci sono mai arrivate nemmeno le mine.

La corruzione in Ucraina rimane una delle più alte d’Europa. Lo afferma il rapporto al Congresso USA dell’Ispettore Generale del Pentagono Robert Storch. Egli afferma che il lavoro del Ministero della Difesa dell’Ucraina si basa su tangenti, bustarelle e prezzi eccessivi sugli approvvigionamenti. Secondo Storch, l’opacità del processo di approvvigionamento aumenta il livello di corruzione nel Paese di Zelensky.

Incontro Putin – Xi Jinping

La rivista The Economist ha contato il numero di incontri tra il leader cinese Xi Jinping e leader di altri Stati. Il 16 Maggio il presidente della Russia e il presidente della Repubblica Popolare cinese si sono incontrati per la 43ma volta.

E’ un dato che indica come siano diventati stretti i rapporti tra le due Superpotenze, in un’alleanza che si consolida sempre più a fronte di un Occidente sempre più sfilacciato e indeciso. Anche la Corea del Nord si sta muovendo. L’Agenzia KCNA ha riportato la notizia per cui Kim ha testato con successo un missile balistico tattico, con sistema di guida, “finalizzato allo sviluppo attivo di tecnologie belliche”.

La “conferenza di pace” Ucraina

Intanto, sempre l’Ucraina convocherà la sua “conferenza di pace” in Svizzera il 15 e 16 giugno. Sono stati invitati 160 Paesi. La Russia non vi parteciperà. La Svizzera afferma di aver ricevuto 50 telegrammi di conferma partecipazione. Lo scopo della conferenza è quello di esercitare “un’ampia pressione internazionale” sulla Federazione Russa nel contesto necessario all’Occidente per quanto riguarda le sue azioni in Ucraina.

Il Presidente Xi Jinping ha dichiarato durante durante i colloqui informali a Pechino con Putin, che la Cina sosterrà una conferenza di pace alla quale partecipino sia la Russia che l’Ucraina.

Il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa non parteciperà. ieri il leader brasiliano Josè Inàcio Lula da Silva ha annunciato il suo rifiuto. La CNN spiega che il motivo del rifiuto è che la diplomazia brasiliana non vede il motivo di un incontro di pace che non includa la Russia. Anche l’India si è ritirata.

Insomma, i BRICS+ fanno asse con Putin.

Perfino Joe Biden si è rifiutato di partecipare alla conferenza, evidentemente infruttuosa; non ha motivo di farsi carico di una situazione tossica alla vigilia delle elezioni. E se non ci vanno gli Stati Uniti, che senso ha che ci vadano gli altri? Per alcuni analisti, infatti, l’iniziativa non si farà.

Secondo la DZEN forse una cerchia ristretta di Paesi occidentali e Zelensky firmeranno qualcosa. Gli altri aspetteranno una vera conferenza di pace sull’Ucraina, ma nessuno sa quando né di cosa si parlerà.

 

*Pubblicista, Comunicatore Pubblico e Istituzionale tessera 2353, scrittore, finora di 3 libri e appassionato di Geopolitica, scrive ogni fine settimana, da oltre tre anni per: www.2dipicche.news, www.affaritaliani.it , www.informazionecattolica.it Stilum Curiae: www.marcotosatti.it  e, all’estero, viene tradotto e pubblicato in spagnolo da Voces del Periodista (America Latina) e Info.Hispania (per leggere tutti i suoi numerosi editoriali e articoli andate sulla home page dei media online indicati e scrivete il suo nome e cognome sul motore di ricerca) e, saltuariamente per altri quotidiani o riviste.

 

La Guerra Nato-Russia, la UE “strozzinata” dal Gas USA

Condividi su:
Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna offre alla vostra attenzione queste considerazioni di geopolitica. Buona lettura e condivisione.

La Guerra Nato-Russia, la UE “Strozzinata” dal Gas USA. Matteo Castagna

§§§

di Matteo Castagna

Il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Galuzin ha detto che gli Stati Uniti considerano, da tempo, il Caucaso meridionale come un possibile trampolino di lancio contro la Federazione Russa.

In quella zona, infatti, ci sono molti russofobi. Basti pensare alla Georgia, ma anche all’Armenia, che ha, recentemente, puntato la sua politica verso un riavvicinamento con l’Occidente. Inoltre, entrambi i Paesi sono desiderosi di entrare nella NATO. Cosa porterà questa posizione, in termini di sicurezza dell’Armenia e degli interessi del popolo armeno è, ovviamente, un punto interrogativo.

Quanto alla Russia, osserviamo un atteggiamento ammorbidito da parte della UE. Non figurano, infatti, nel 12° pacchetto di sanzioni ben 3 proposte, che sono state respinte: 1) il divieto di trasferimento fondi in Russia. 2) il divieto di vendita navi cisterna alla Russia. 3) l’ inserimento obbligatorio di clausole che vietino di ri-esportare, nelle vendite a paesi terzi.

Una recente analisi di “Sputnik” sui dati Eurostat ha scoperto che i Paesi dell’Unione Europea hanno dovuto pagare circa 185 miliardi euro in più per il gas naturale negli ultimi 20 mesi, dopo aver smesso di utilizzare i gasdotti russi, affidabili e a basso costo.

In compenso, la prestigiosa agenzia Reuters riporta che le esportazioni statunitensi di gas naturale liquefatto (GNL) hanno raggiunto livelli record mensili e annuali a dicembre, secondo i dati di monitoraggio delle navi cisterna, con gli analisti che affermano che ciò consentirà agli Stati Uniti di scavalcare Qatar e Australia, divenendo il più grande esportatore di GNL del 2023.

L’Europa è rimasta la principale destinazione delle esportazioni di GNL statunitense a dicembre, con 5,43 tonnellate, ovvero poco più del 61%. L’Asia è stato il secondo mercato di esportazione per il GNL statunitense a dicembre, assorbendo 2,29 milioni di tonnellate, ovvero il 26,6%, delle esportazioni. Sempre Reuters riporta che Il gigante energetico russo Gazprom ha annunciato di aver stabilito un nuovo record giornaliero per le forniture di gas alla Cina, attraverso il gasdotto Power of Siberia.

Gazprom ha detto che la cifra di esportazione del 2023 era di 700 milioni di metri cubi in più di quanto non fosse contrattualmente obbligata a spedire in Cina, attraverso il Potere della Siberia. Ha ribadito che il gasdotto raggiungerà la piena capacità di esportazione di 38 miliardi di metri cubi nel 2025. La Russia sta aumentando le forniture alla Cina per compensare la perdita della maggior parte delle sue vendite di gas in Europa, dall’inizio della guerra in Ucraina, aggirando, così, le sanzioni.

Il quotidiano britannico The Times riporta che i ministri britannici e della UE stanno “cercando disperatamente di aumentare la capacità produttiva in tutto il continente, per essere in grado di inviare armi e munizioni al fronte e contenere Vladimir Putin per almeno un altro anno, indipendentemente dal sostegno degli Stati Uniti”. Va notato che alcuni esperti americani che commentano l’articolo del Times osservano che, in assenza del sostegno degli Stati Uniti, una corsa agli armamenti con la Russia potrebbe essere fatale per l’UE, quanto una corsa simile lo fu con gli Stati Uniti, per l’economia dell’URSS. In effetti, la situazione generale degli USA di Joe Biden potrebbe destare qualche preoccupazione all’alleanza occidentale.

The Washington Post riferisce che il debito nazionale ha superato la soglia dei 34 mila miliardi di dollari. I principali acquirenti del debito pubblico americano sono i Paesi asiatici (Corea del Sud, Giappone e Cina) e se le loro quote venissero ridotte, in futuro, potrebbero avere ripercussioni sulla sicurezza nazionale e su molte sfere sociali degli Stati Uniti. “Washington ha speso soldi come se avesse risorse infinite, ma non ci saranno più pasti gratuiti, e le prospettive sono piuttosto cupe”, ha commentato l’economista Son Won-sung.

Per intenderci, in generale l’Occidente utilizza il denaro (o meglio il suo ritiro dalle economie di altri paesi) come leva nel quadro di una guerra economica internazionale. Il principale avversario degli Stati Uniti è la Cina, da dove vengono sistematicamente ritirati i soldi. Svendendo il loro debito nazionale a destra e a manca (e aumentandolo) gli Stati rischiano di mettere tutte le loro sfere sociali sull’orlo del collasso, se i “grandi attori” vogliono fare pressione su Washington, senza tener conto dell’aspetto materiale della questione (o, ad esempio, in caso di conflitto a Taiwan).

Quanto all’Ucraina, la situazione si fa sempre più difficile. Il giornale tedesco Der Spiegel riporta le parole del deputato ed economista dei Verdi Sebastian Schaefer, il quale ha affermato che a Kiev non è rimasto praticamente in servizio alcun moderno carro armato tedesco Leopard 2A6. Secondo Schaefer, al momento, dei 18 carri armati consegnati, quasi tutti sono gravemente danneggiati e tecnicamente usurati. Secondo Schaefer esiste “un’ urgente necessità” che la situazione delle riparazioni dei carri armati migliori il più rapidamente possibile. Altrimenti, Kiev rischia di rimanere senza carri armati, oltre che senza la possibilità di ripararli.

Il canale telegram ucraino Resident aggiunge: “La nostra fonte nell’ufficio del presidente ha affermato che il problema principale della mobilitazione è la scarsa motivazione degli ucraini, che sono pronti a rinunciare alla cittadinanza o a ricevere una vera pena detentiva, ma non ad andare al fronte. Il fallimento della controffensiva è diventato un catalizzatore di delusione nella società, e le grandi perdite hanno confermato l’incompetenza del comando.

Si è consolidata l’opinione che se vieni portato al fronte, nella migliore delle ipotesi tornerai invalido e nella peggiore delle ipotesi morirai”. Il Corriere della Sera sembra allinearsi a questa posizione, scrivendo di diminuzione del sostegno occidentale, popolarità in calo, crescita del pessimismo sulla situazione al fronte, crescita dell’opposizione interna. Il Corsera si riferisce a un sondaggio del KIIS, i cui risultati hanno mostrato un atteggiamento negativo nei confronti dell’attuale governo, dopo la sconfitta della controffensiva, che sta portando il Paese su una strada ostile alle decisioni della NATO.

Sulla stessa lunghezza d’onda, si colloca un pesante articolo del New York Times del 3 gennaio. Gli ucraini non si fidano più delle autorità e ritengono le trasmissioni televisive di Zelensky come propaganda. “Dopo quasi due anni di guerra”, scrive il NYT, “gli ucraini sono stanchi del Telethon. Quello che un tempo era considerato uno strumento fondamentale per unire il Paese, oggi è sempre più ridicolizzato…Gli spettatori lamentano che il programma dipinge un quadro troppo roseo, nascondendo eventi preoccupanti al fronte e il calo del sostegno occidentale all’Ucraina… e, infine, non riesce a preparare i cittadini per una lunga guerra”.

The Telegraph scrive che la difesa aerea ucraina non sarà in grado di respingere tutti gli attacchi russi, quest’inverno. E prosegue: “le forze armate ucraine sono costrette a conservare le munizioni per i sistemi di difesa aerea. Quest’inverno, secondo gli esperti, i sistemi missilistici di difesa aerea dovranno prendersi cura di loro ancora di più. Le forze di difesa aerea saranno costrette a non rispondere affatto ad alcuni obiettivi, poiché non avranno missili intercettori. Di particolare preoccupazione è la possibile carenza di missili intercettori per la difesa aerea Patriot”.

The Guardian scrive che il presidente Vladimir Putin ha detto che Mosca intensificherà gli attacchi contro obiettivi militari in Ucraina. Putin ha parlato dopo l’attacco ucraino di sabato scorso alla città russa di Belgorod, che secondo le autorità locali ha ucciso 25 persone, tra cui cinque bambini. Dal canto suo, Kuleba ha spiegato agli americani che devono pagare la guerra in Ucraina perché Kiev non ha un piano B.

John Kirby, coordinatore per le comunicazioni strategiche del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha specificato che il pacchetto di assistenza militare all’Ucraina, annunciato da Washington il 27 dicembre, è stato l’ultimo di quelli che gli Stati Uniti potranno fornire a Kiev, fino a quando il Congresso non avrà stanziato fondi aggiuntivi per questi scopi. Secondo lui, la Casa Bianca non sarà in grado di trovare fondi per l’Ucraina da fonti alternative, se il Congresso, con la maggioranza dei Repubblicani già scettica, non sarà d’accordo sulla richiesta di nuovi aiuti a Kiev.

L’escalation di violenza è proseguita dopo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dichiarato all’Economist che l’idea che la Russia stesse vincendo la guerra, durata quasi due anni, era solo una “sensazione” e che Mosca stava ancora subendo pesanti perdite sul campo di battaglia. Zelensky non ha fornito alcuna prova delle sue affermazioni sulle perdite russe.

Putin ha indicato che l’”iniziativa strategica”, nel prolungato conflitto in Ucraina, è da parte russa, dopo il fallimento della controffensiva ucraina, in estate. Ha, anche, sottolineato che Mosca vuole porre fine al conflitto, che dura da quasi due anni, “il più rapidamente possibile”, ma “solo alle nostre condizioni”.

Secondo un sondaggio, prodotto da USA Today in collaborazione con l’Università di Suffolk, il sostegno al presidente degli Stati Uniti Joe Biden tra gli elettori neri e ispanici è diminuito in modo significativo, con le generazioni più giovani che preferiscono l’ex presidente Donald Trump. Nell’articolo si legge che “Biden ora rivendica il sostegno di appena il 63% degli elettori neri, in netto calo rispetto all’87% che aveva nel 2020”.

C’è già un retroscena, secondo il quotidiano statunitense “Politico”: il “Deep State” non può permettersi il ritorno di Trump, che scompaginerebbe molti piani dei globalisti liberal americani.  “Politico” ha scritto che tutto ruota attorno ai finanziamenti per l’Ucraina.

Vogliono usare Israele per giustificare il pacchetto di finanziamenti per l’Ucraina. Stanno promuovendo DeSantis e Haley, cercando disperatamente di convincere uno di questi due a battere Trump alle primarie, perché sostengono il finanziamento dell’Ucraina. Come previsto, il 2024 sarà un anno molto difficile, ma, forse, determinante, per gli equilibri globali.

Previsioni per il 2024

Condividi su:

di Malek Dudakov

Il 2024 è un anno elettorale. E promette di essere un successo per la destra in molti Paesi contemporaneamente. Il Partito Popolare di Modi si avvia alla terza vittoria elettorale consecutiva in India, consolidando la sua posizione in Parlamento. In Portogallo, i populisti di destra del partito Chega stanno facendo centro.

Ma ancora più critico per Bruxelles sarà l’esito delle elezioni in Austria, dove il Partito della Libertà, gli euroscettici e gli oppositori della guerra con la Russia hanno buone probabilità di vincere. Così come le elezioni in Sassonia, Brandeburgo e Turingia, con una vittoria schiacciante dell’Alternativa per la Germania.

Alle elezioni del Parlamento europeo del giugno 2024, il blocco della destra sistemica – i Conservatori e Riformisti – otterrà il terzo posto, mentre la destra non sistemica di Identità e Democrazia otterrà il quarto posto. Con loro dovranno condividere le posizioni dei commissari europei, il che aggraverà ulteriormente le disfunzioni di Bruxelles.

L’eccezione sarà la Gran Bretagna, dove i laburisti vinceranno e l’eurofilo Keir Starmer sostituirà Sunak. Le elezioni di gennaio a Taiwan saranno sorprendentemente tranquille. Ma una nuova escalation potrebbe iniziare alla fine del 2024, in mezzo all’instabilità politica con il passaggio del potere agli Stati Uniti.

Trump otterrà l’ammissione alle primarie e alle elezioni nella stragrande maggioranza degli Stati ma sarà ancora più attivamente sfidato da cause penali. Non si può escludere un verdetto di colpevolezza proprio alla vigilia delle elezioni. La situazione negli Stati Uniti sarà molto caotica: la probabilità di un attentato a uno dei candidati o di un grave attacco terroristico è piuttosto alta.
Nel caso in cui Trump riesca fisicamente ad arrivare alle elezioni e non finisca in carcere, vincerà contro Biden o Harris, qualunque di loro sia il candidato dei Democratici. I repubblicani, invece, otterranno la maggioranza al Senato, vincendo in Montana, Ohio e West Virginia. I Democratici non lo accetteranno, quindi possiamo aspettarci grandi rivolte e disordini nelle strade.

La squadra di Biden invierà attivamente emissari a Doha e Istanbul, cercando di negoziare con l’Iran sugli Houthi e con la Russia sull’Ucraina. Le tranche per Kiev saranno concordate entro la fine di gennaio ma in un volume minore. La situazione sul fronte di Kiev si deteriorerà costantemente, minando la posizione di Biden.

La FED inizierà a ridurre rapidamente il tasso di riferimento a febbraio, seguita dalla BCE e da altre banche centrali. Questo aiuterà gli Stati Uniti a evitare la recessione ma non la stagnazione. L’Europa sarà già saldamente in recessione, con la minaccia di una destabilizzazione politica nel 2025.

Casa Bianca 2024. Nuova tegola per Biden. Via libera alle indagini per l’impeachment

Condividi su:
L’accusa dei repubblicani: è coinvolto negli affari esteri del figlio Hunter. E la memoria del presidente fa cilecca anche sull’11 settembre. Assist di Putin all’amico Trump: “Donald è un perseguitato politico”

Washington, 13 settembre 2023 – I pompieri della Casa Bianca sono già in azione. Joe Biden continua a crollare nei sondaggi e da ieri rischia un processo di impeachment che ha avviato il presidente repubblicano della Camera McCharty. Il capo della Casa Bianca è accusato di aver mentito agli americani sui suoi affari di famiglia e di aver favorito i traffici poco chiari in Ucraina e Cina del disgraziato figlio cocainomane Hunter. Un’accusa non dimostrata è quella di aver nascosto o riciclato 20 milioni di dollari in diverse società di comodo. Hunter è stato indagato dall’Fbi per oltre 4 anni andrà di nuovo davanti al giudice il prossimo 29 settembre. Il patto con i procuratori nel quale si dichiarava colpevole di evasione fiscale e di acquisto illegale di una pistola, è stato annullato a giugno da un giudice e non vale più.

Donald Trump, che ieri ha incassato un assist (o forse uno sgambetto?) da parte di Putin (“Donald è un perseguitato politico”) gongola e continua a svettare nei sondaggi del suo partito. La corsa elettorale anche se siamo a 15 mesi dal voto si è fatta già rovente. Senza risparmio di colpi bassissimi.

I repubblicani non hanno portato alcuna prova in commissione, ma hanno la forza per chiedere l’impeachment, come avevano fatto i democratici 2 volte con Trump. Sanno benissimo che verrà bocciato al Senato e non sono nemmeno sicuri che passi alla Camera, perché la loro maggioranza è minima, ma nel bloccare Biden con lo scandalo di famiglia cercano di ottenere l’esaltazione della loro base e forse rafforzano anche le perplessità dei democratici e degli indipendenti. Molti di loro pensano con sempre maggiore insistenza che Biden non sia stato un cattivo presidente ma fisicamente è diventato troppo vecchio e fragile per continuare a farlo per altri 4 anni.

B-(RICS)

Condividi su:

di Pierluigi Fagan

Fonte: Pierluigi Fagan

Il 2 ottobre si vota per le presidenziali in Brasile. Lo scontro è polarizzato tra il presidente Bolsonaro e lo sfidante Lula. Nessun sondaggio dà vincente Bolsonaro e chi invece dà vincente Lula lo fa con diversi margini di scarto, allego il poll of polls (media di tutti i sondaggi).
Se Lula vincerà anche di un solo voto oltre il 50% diventerà presidente, altrimenti si andrà al secondo turno a fine ottobre. Anche lì Bolsonaro ha poche speranze di veder confluire la preferenza ad altri candidati, molti voterebbero Lula sebbene con il mesto giudizio di “male minore”. C’è però una certa apprensione per questa eventuale seconda fase. Lo scontro tra i due ovvero tra i due blocchi sociali e di interesse, promette di diventare molto aspro. Esercito, evangelici e capitalismo fazendero che supportano apertamente Bolsonaro, potrebbero tentar di rovesciare il tavolo. Litanie preventive su manipolazioni del voto, da parte di Bolsonaro stile Trump, sono già di ampio volume.
Il Brasile è dato da IMF’22 come 10° economia del mondo, di pochissimo dopo l’Italia. Piccola differenza con resilienza dell’economia brasiliana fondata per lo più su un cospicuo tesoro di materie prime e annunciata recessione italiana dentro quella europea dentro quella occidentale, fanno prevedere che l’anno prossimo il Brasile ci sorpasserà. Del resto, le previsioni a medio periodo danno il Brasile ancora più su, quindi è solo questione di tempo. Quest’anno, IMF ha rivisto ad aprile le previsioni per il Brasile, raddoppiando la stima di crescita (a 1.7%).
A quel punto, già l’anno prossimo, si dovrebbe avere una fotografia già perfettamente multipolare delle principali ricchezze delle nazioni. Tre asiatiche (India, Cina, Giappone con le prime due in crescita), tre europee (Germania, Francia, Italia tutte e tre in declino non episodico) due nordamericane (USA e Canada), una sudamericana (Brasile), più l’UK che è in una tempesta valutaria ed economica, in parte autoprocurata dall’intrepida Liz Truss che, pare, non avrà un gran futuro davanti a sé. Dopo seguono la Russia che avrà una battuta d’arresto, la Corea del Sud in crescita, l’Iran, Il Messico, l’Indonesia in crescita. Così va il mondo.
Primo partner commerciale del Brasile è la Cina (dati 2020 OEC-MIT), per un 32% dell’export ed un 23% dell’import. Ma l’export, più in generale, è legato all’economia asiatica per un 53% quindi beneficia del locomotore più potente dell’economia mondo, oggi, domani e dopodomani. Del resto, come detto, il Brasile è principe nelle materie prime: soia, ferro, petrolio, mais, zucchero, carne etc.
Detto ciò, cosa possiamo aspettarci in termini geopolitici dal nuovo Brasile-Lula 2.0 sempre che vada tutto secondo previsioni e non ci siano sussulti extra-elettorali (il che non è scontato)?
Nulla di più o di meno dal Lula 1.0, ma in nuovo contesto. Bolsonaro stesso, a parte una sbandata per gli USA ai tempi di Trump ma anche in ragione della composizione dell’élite fazendera che lo supportava, non ha tolto il Brasile dai BRICS, anche per l’ovvia ragione fotografata dall’analisi dei flussi commerciali prima riportata. Lula però era tra i fondatori del forum BRICS. Ma da Lula ci si può aspettare anche un rinforzo della cooperazione tra paesi sud e centro-americani, cosa che per altro segnò già la sua prima presidenza (2003-2011). Nei fatti, il Brasile è il polo naturale dell’area e di gran lunga ed a Lula è noto l’andamento verso la formazione di sistemi macroregionali, la sua stessa consistenza economica, quindi geopolitica, oltreché sui volumi economici propri, si basa sull’essere nodo di rete di un sistema più ampio che conta circa una volta e mezzo l’UE (666 milioni dati UN ’22).
L’America Latina si prefigura quindi come un partner ideale per l’Asia e financo un possibile modello per il problematico sviluppo africano. Naturalmente tutto ciò “in prospettiva”. All’oggi l’America Latina è un sistema ancora pieno di problemi, ma è in flusso crescente e quindi ha agio di poterli affrontare.
E gli USA? Sappiamo della storica posizione da tutore non richiesto che gli americani del Nord hanno avuto e continuano ad avere verso quelli del Centro e del Sud. Negli ultimi anni però, non si nota una grande presenza o capacità di sovversione come è stato in passato. Il tempo passa, gli US hanno i loro problemi interni e ne hanno sempre più di esterni oggi monopolizzati dalla crisi ucro-russa-europea mentre sappiamo che quella poi più importante è volta alla Cina-Asia, con grovigli lì dove il groviglio geopolitico ha la sua apoteosi ovvero in Medio Oriente. Nonché col problema del ritiro degli europei dall’Africa e subentro di cinesi, indiani, coreani, russi et varia. Il Centro e Sud America sono comunque legati da forti e naturali interessi economici con gli US, lo stesso Brasile ha gli US come secondo partner per il proprio import dopo la Cina; quindi, fino a che il “business as usual” va avanti, sul resto dovranno accontentarsi. Del resto, realisticamente, non sono più gli anni ’60 e ’70, ripeto, i legami economici sono strutturali (stanno sullo stesso continente), quindi garantiti oggi, domani e dopodomani.
Dopo l’improvvisata Guaidò in Venezuela finita a risate ed il fallimento completo del “Vertice degli americani” che Biden ha organizzato a Los Angeles quest’anno, nonché il passaggio a sinistra dello storico pied-à-terre colombiano, a Washington forse qualcuno avrà cominciato a capire che i tempi non sono più quelli di una volta. Realisticamente, certe cose non si possono più fare e tocca adattarsi al cambiamento quando questo ha linee di fondo irreversibili. Se poi i dollari continuano a girare, si farà di necessità virtù. Ma per cautela, tutto ciò potrebbe gettare qualche sospetto su quello che potrebbe succedere nel mese di campagna elettorale se Lula non avrà la maggioranza al primo turno. Non è un mistero che esercito, evangelici e capitalismo fazendero alla base di Bolsonaro, hanno forti legami con gli US e che gli US, di questi tempi, sono assai nervosetti. Vedremo.

Da Kabul a Kiev, il fallimento geopolitico dell’America di Biden

Condividi su:

di Tic Toc

Il crollo democratico nei sondaggi delle elezioni di midterm di fine 2022 non è l’unica fonte di preoccupazione per l’amministrazione Biden. L’apertura americana al colosso cinese, nel disperato tentativo di ricercare un ruolo di mediazione per risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina, pare trasmettere la progressiva uscita di scena degli Stati Uniti dal ruolo di prima potenza mondiale, almeno sotto il profilo geopolitico.

La tragica ritirata di Kabul di quest’estate; il rifiuto di Arabia Saudita ed Emirati di parlare telefonicamente con il presidente americano, causa il raffreddamento dei rapporti tra i Paesi dopo la fine del mandato Trump; l’apertura al dialogo con il Venezuela di Maduro, dopo aver criticato il Tycoon di trattare con i dittatori per l’intera campagna elettorale 2020, sono stati alcuni degli esempi che mostrano un’America sempre più isolata, incapace di imporsi in prima persona nel tavolo della grandi potenze geopolitiche globali.

Per ultimo, mentre l’amministrazione Trump mediò con successo numerosi accordi di pace in Medio Oriente tra Israele, Bahrein, Marocco, Sudan ed Emirati Arabi Uniti, i democratici hanno riaperto i canali con Teheran (tra gli alleati di Putin), dichiarando la propria disponibilità a raggiungere un accordo sul nucleare iraniano, congiuntamente con Mosca. La posizione non solo potrebbe essere interpretata come un potenziale e fortissimo fattore di destabilizzazione del Medio Oriente; ma, in ambito internazionale, la decisione pare aver già incrinato i rapporti tra Washington e Gerusalemme, quest’ultima da sempre contraria a qualsiasi discussione sul nucleare iraniano. Lo step che potrebbe alterare definitivamente il ruolo geopolitico statunitense rimane proprio la “questione cinese”. Ci sono almeno due ragioni per cui l’amministrazione Biden dovrebbe scongiurare qualsiasi delega di mediazione al regime cinese nel conflitto russo-ucraino.

La prima: la Cina non è Paese assolutamente neutrale. Non solo perché il Dragone si è astenuto dal condannare l’invasione di Putin in sede Onu, ma anche perché, su confessione dello stesso ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, l’amicizia con la Russia è “solida come una roccia. I due Paesi contribuiscono a portare pace e stabilità nel mondo”. Secondo alcuni scoop di dicembre del “New York Times”, l’amministrazione Biden avrebbe consegnato a Xi dossier e materiale di intelligence americano strettamente riservato, nel tentativo di convincere Putin a rinunciare all’aggressione dell’Ucraina. Anzi, sempre secondo il Nyt, la Cina avrebbe appoggiato l’invasione russa ad una condizione: rimandarla dopo la fine delle Olimpiadi. E non sembra un caso che i rispettivi leader si siano incontrati il 4 febbraio, il giorno dell’inaugurazione dei giochi olimpici.

In definitiva: che senso avrebbe appoggiare la Cina in un’eventuale mediazione tra Ucraina e Russia, se questa si manifesta apertamente a fianco di Putin, contro la Nato e l’Occidente? Un eventuale esito positivo di tale intervento non potrebbe essere frutto di un promesso sostegno russo in caso di invasione del Dragone di Taiwan?

La seconda: l’apertura al regime di Maduro per limitare i prezzi stellari di gas e petrolio significa consegnarsi nelle mani di Russia e Cina. Infatti, ormai da molti anni, sia Mosca che Pechino sono le due principali fonti economiche e militari del Venezuela, fortemente compromesso dalle sanzioni americane imposte dalla precedente amministrazione repubblicana. La Russia sta contribuendo alla ristrutturazione del debito venezuelano con cifre che sfiorano picchi di 40 miliardi; la Cina ha contribuito con prestiti dall’ammontare di 60 miliardi, oltre ad un sostegno di circa 25 miliardi in ambito energetico; compagnie statali russe detengono quasi il 10 per cento del processo di estrazione e trasformazione del petrolio venezuelano.

Insomma, mentre Maduro trattiene stretti rapporti con i due principali avversari politici dell’alleanza atlantica nei settori strategici; proprio in questi ultimi giorni, il leader venezuelano ha incarnato la dose affermando di schierarsi a fianco di Mosca, e definendo le sanzioni “un crimine nei confronti dei russi”. Che senso avrebbe intrattenere legami con uno Stato tra i principali sponsor di Xi e Putin, nemico Usa a pochi chilometri dai propri confini, se non quello di creare un cortocircuito senza precedenti?

Con la precedente amministrazione Trump, gli Stati Uniti erano tornati al centro del ring geopolitico, conciliando al meglio autorevolezza nazionale e contenimento dell’avversario. Quella forza sembra ormai persa, smarrita, scomparsa. E Putin ne ha approfittato. Ad oggi, rimane esclusivamente un’alternativa: aspettare il 2024 per le nuove elezioni americane, in nome di un presidente in grado di conciliare una rispettata alleanza atlantica contro i nuovi regimi. Nel frattempo, incrociamo le dita affinché la Cina non ne approfitti per spogliare Taiwan della sua sovranità…

Il diktat UniDem

Condividi su:

di Marcello Veneziani

Fonte: Marcello Veneziani

Come funziona la macchina dei media e delle opinioni al tempo della guerra all’Ucraina? Segue lo schema già collaudato con la pandemia, con i grandi temi storici e con le gravi crisi: in primo luogo diventa monomaniacale, ossessivo, pervasivo, passa da tema principale a tema unico dei telegiornali, degli approfondimenti. Non accadde neanche durante la guerra mondiale che i giornali fossero ridotti al solo tema principale di quei giorni.

La fabbrica del consenso fornisce poi la ripetizione all’infinito dell’Identico: fiumi di servizi e di reportage che si discostano poco o nulla, che riferiscono ogni giorno la stessa versione ufficiale dei fatti e commentano le stesse immagini restando nello stesso ambito, con un sottofondo da propaganda di guerra.

Guai a chi accenna a una lettura semplicemente richiamando dati: ad esempio, chiedono di cacciare Marc Innaro dalla corrispondenza da Mosca per la Rai solo perché ha osato accennare all’espansione della Nato. Che è un fatto oggettivo, basta vedere in qualsiasi cartina come si è allargata negli ultimi vent’anni. Ma notare questo diventa subito intelligenza col nemico… Da qui la militarizzazione delle opinioni: se non ripeti tutto quel che ripetono ogni giorno, allora sei dalla parte di Putin, sei un suo sostenitore. E se sei in servizio pubblico, è un’aggravante.

Avviso superfluo a chi ragiona ma necessario ribadirlo per i poliziotti del pensiero e per gli imbecilli militanti: vedere le cose in un orizzonte più ampio e articolato e non attraverso lo schemino puerile e manicheo del bene/male esclude ogni indulgenza verso l’aggressione e il metodo sovietico di Putin e include ogni solidarietà verso il popolo ucraino che è sicuramente vittima e sta patendo l’inferno.

Infine, anche in questo caso, conservatori e progressisti, moderati e radicali, falchi e colombe, populisti ormai ridotti a baciapile; nazionalisti e radicali antisistema aderiscono tutti all’UniDem, ovvero l’unificazione di tutte le posizioni al Canone Dem, valevole negli States da quando sono tornati al potere i democratici con Biden, nell’Europa tecno-dem e in Italia con le sue periferiche. Ricordate come erano diverse le opinioni tre anni fa, o anche meno? È bastato il covid, e ora la guerra, e si è arrivati all’Uniformità assoluta, con minime sfumature e variabili lessicali secondarie. Draghi per tutti, tutti per Draghi. E a sua volta Draghi è la continuazione della Nato in campo economico-finanziario.

È lecito dubitare che se si fosse aperta seriamente la trattativa sulla possibilità di rendere neutrale l’Ucraina, cioè fuori dalla presenza Nato e dall’influenza russa, forse non saremmo arrivati a questo? Poi possiamo fare tutti i processi alle intenzioni e dire che Putin ha preso a pretesto la rigidità occidentale e la sue pretesa egemonia, per attaccare. È lecito dire che forse con Trump non saremmo arrivati a questo punto, considerando che con quel bizzarro spaccone guerre non sono esplose? È un dubbio, quantomeno, ma la questione Ucraina/Europa/Nato ribolliva già nei suoi anni.

È lecito notare che dopo aver per anni calpestato, svilito, squalificato ogni richiesta di sovranità nazionale e ogni relativo nazionalismo, è grottesco ora elogiare il patriottismo sovrano degli ucraini? È lecito sostenere che il dramma aggiuntivo di questo conflitto è che non ci sono arbitri, garanti, figure terze che possano essere accettate da ambo le parti per cercare una soluzione? Finora solo le figure religiose, soprattutto della Chiesa ortodossa, possono svolgere un ruolo importante quando non diventano chiese nazionali. Ma non ci sono Stati terzi, leader di organismi internazionali come l’ONU, in grado di svolgere questo ruolo di ponte. Solo mediatori.

E infine, è lecito dire che aver reso Putin il nemico numero uno dell’umanità, già prima che invadesse l’Ucraina, anziché considerarlo un autocrate con cui doversi inevitabilmente confrontare come con Xi Jin Ping, Erdogan e altri, può far precipitare la situazione a livelli impensati. Se davvero Putin è quel dittatore folle additato, incarnazione del maligno, dovrebbe inquietare il fatto che non avrebbe remore a usare il famoso bottone nucleare già minacciato.

E allora si avvia un gioco assai pericoloso: cercare di far cadere Putin, caldeggiare la congiura degli oligarchi, acuire il dissenso interno, spaccare il potere russo e la sua filiera. Pericolo seguente: un paese isolato dal mondo, un leader nemico di tutti può essere spinto all’alleanza con la Cina che ha rispetto alla Russia un profilo più inquietante per il mondo: la Russia vuole ripristinare il suo dominio di area, la Cina sta cercando di colonizzare il mondo, di invaderlo con l’economia, la tecnologia, espandendosi e incuneandosi in ogni sistema-paese. La Russia ha solo la possibilità di incidere attraverso il gas e in generale le energie. Si capirà il potere inquietante di un blocco asiatico tra Russia e Cina.

Chi sostiene queste cose non sta assolutamente stabilendo una preferenza verso la dittatura di Putin e nemmeno una sorta di neutrale indifferenza tra una democrazia e un’autocrazia. Ma sta semplicemente cercando di dire che non andiamo avanti se continuiamo con questa semplificazione militante, militare e bipolare, per cui la verità coincide con l’Occidente, il Bene Assoluto con la Nato.

Stendiamo infine un velo pietoso sui tre populismi, grillino, leghista e nazionale e il loro capovolgimento nell’arco breve di un paio d’anni. Se sono solo la versione debole dell’UniDem hanno perso la loro funzione, non garantiscono la dialettica politica necessaria a ogni democrazia, e non rappresentano la loro area d’opinione, così subalterni al Pensiero Corretto.

Ogni volta che il pensiero smette di osservare la realtà da più punti di vista e in tutte le sfaccettature, non è solo una mortificazione per l’intelligenza; ma si mette in pericolo la libertà e la dignità dei singoli, dei gruppi, dei popoli e degli Stati. Insomma, il Male a cui stiamo assistendo in Ucraina è doppio, e non è solo quello che ci fanno vedere.

Castagna a Telenuovo: “Il lupo è gli USA, ma l’Orso se lo mangia”…

Condividi su:

di Redazione

VIDEO puntata de “Rosso&Nero” su Telenuovo, oggi alle 12.40 con il nostro Responsabile Nazionale Matteo Castagna, l’On. Sergio Berlato, eurodeputato di Fratelli d’Italia e Franco Corti, Segretario del Partito Democratico di Padova: https://fb.watch/bnhWMSMujz/

Castagna: “Non devo fare professioni di fede atlantiste, soprattutto se gli aggressori sono gli imperialisti USA attraverso la NATO, che è un’istituzione obsoleta da sciogliere perché rappresenta solo gli interessi americani in Europa, che ne diviene lo scendiletto. La Russia di Putin vede violata la sua sovranità e fa bene a difendersi. Le sanzioni? Sarebbero l’ulteriore dimostrazione di una UE che fa come Tafazzi, ma sbattendo la bottiglia sui cosiddetti dei cittadini, che pagherebbero molto salato il conto in bolletta e nei consumi. La diplomazia e la politica hanno già fallito in favore dell’alta finanza e del primato dell’economia. Ora se Biden e Ue continuano a mostrare i muscoli sarà sempre peggio. E la Cina? Non dimentichiamoci che parallelamente si sta muovendo verso Taiwan”…

 

 

Usa: sdoganato l’aborto, “salta” l’obiezione di coscienza

Condividi su:

Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Quanto accaduto a fine ottobre in Vaticano ha lasciato il segno. E non poteva essere altrimenti. Il fatto che, dopo l’incontro avuto, papa Francesco si sia detto felice che il presidente americano Biden «sia un buon cattolico» ed abbia dichiarato ch’egli debba «continuare a ricevere la Comunione», secondo quanto dichiarato dall’interessato, pur in assenza di conferme dirette da parte del Vaticano, non può passare sotto silenzio. Il fatto che, come riferito dall’agenzia Associated Press, l’attuale inquilino della Casa Bianca con le sue idee filoabortiste abbia ricevuto nonostante tutto, come tutti gli altri fedeli, la Santa Comunione nel corso di una Messa, celebrata presso la chiesa di St. Patrick, a Roma, vuole essere – ed è! – un segno molto chiaro. Il cui primo, triste frutto è stato l’atteso testo generale sul Mistero dell’Eucaristia nella vita della Chiesa, approvato dai Vescovi statunitensi al termine della loro assemblea autunnale, svoltasi dal 15 al 18 novembre scorsi a Baltimora, con ben 222 voti favorevoli, solo 8 contrari e 3 astensioni. Nel documento, proposto un anno fa per ribadire quel che la Dottrina cattolica dice a chi, anche se presidente, pur dichiarandosi cattolico, si opponga agli insegnamenti della Chiesa promuovendo aborto e gender, è improvvisamente sparito qualsiasi riferimento al fatto di negare a lui o a chiunque altro la Santa Comunione, ricordando soltanto ai fedeli, che rivestano cariche pubbliche e che occupino posizioni d’autorità, come essi abbiano «una speciale responsabilità» nel dover rispettare la legge della Chiesa. Tutto qui. Nessuna condanna, nessun provvedimento, nessuna restrizione.

Del resto, era già tutto contenuto nella lettera inviata nel maggio scorso dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Louis Ladaria, al presidente della Conferenza episcopale americana, l’arcivescovo di Los Angeles José Gomez. In essa si invitava espressamente al dialogo, raccomandando di evitare che «la formulazione di una politica nazionale» su di una questione «potenzialmente controversa» (sic!)possa diventare «fonte di discordia piuttosto che di unità all’interno dell’episcopato e della più grande Chiesa negli Stati Uniti». Per poi concludere, specificando come ogni discussione in merito debba «essere contestualizzata nella più ampia cornice della dignità di ricevere la Comunione da parte di tutti i fedeli, anziché da parte di una sola categoria di cattolici», ritenendo il documento dei Vescovi Usa, allora in fase ancora embrionale, «fuorviante se desse l’impressione che l’aborto e l’eutanasia costituissero da soli le uniche questioni gravi dell’insegnamento morale e sociale cattolico, che richiedono l’intervento della Chiesa».

Dunque, «Roma locuta, causa soluta»? No, certo! Biden e le lobby abortiste, che lo hanno sostenuto durante la campagna elettorale, non considerano questo un punto di arrivo, bensì solo un punto di partenza. Intendono anzi “capitalizzare” il via libera vaticano, per rilanciare. Ed ecco l’Ufficio per i Diritti Civili ed il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani lanciati in una nuova sfida: cancellare i provvedimenti dell’amministrazione Trump, in particolare l’Rfra-Religious Freedom Restoration Act, e costringere così i medici e le cliniche cattolici a praticare aborti ed interventi di transizione di genere. Grazie ai documenti giudiziari ottenuti, la Catholic Benefits Association ha dimostrato una stretta relazione sussistente tra il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani americano e numerose organizzazioni attiviste di Sinistra, come la Leadership Conference on Civil and Human Rights.

L’eventuale prevalere della linea Biden ammazzerebbe il diritto a qualsiasi obiezione di coscienza, nonché l’autonomia della Sanità cattolica (e non solo). Se ad un posto in una clinica cattolica ambisse un medico abortista, questi dovrebbe essere comunque assunto, benché in chiaro contrasto coi principi etici della struttura.

Non solo. L’amministrazione Biden starebbe introducendo anche il “diritto” dei single socialmente infertili e delle coppie Lgbt a ricevere trattamenti di fertilità, per poter comunque “avere figli”. Una novità subito ben accolta dall’industria sanitaria, che vede in ciò l’occasione per nuovi, insperati business, per quanto disumani. La strategia è quella di giungervi grazie alle sentenze dei tribunali, bypassando così anche gli eventuali ostacoli resi possibili da un dibattito in sede di Congresso. È, questa, la democrazia “fai-da-te”, che si costruisce e si smonta a piacimento, a seconda di dove portino gli interessi di bottega e di lobby. Non va dimenticato come della squadra di Biden facciano parte anche numerose altre sigle di Sinistra quali l’Aclu, gli Atei americani, l’Anti-Defamation League, la Human Right Campaign, il Southern Poverty Law CenterPlanned Parenthood ed il Center for American Progress, da sempre ontologicamente ostili alla presenza cattolica.

Sarebbe buona cosa che chi ha posto le premesse della rivoluzione in atto riflettesse, almeno ora, sulle conseguenze…

I migranti al confine polacco e le scelte della Ue: due pesi e due misure?

Condividi su:

di Ferdinando Bergamaschi

Migranti al confine tra Bielorussia e Polonia: chi sono? Probabilmente iracheni e più in generale mediorientali. Ma soprattutto: è questa una migrazione spontanea o indotta? Tutto fa pensare che non vi sia nulla di naturale in questo fenomeno. Dai protagonisti che sono coinvolti in questa situazione, al tempismo degli eventi, alle implicazioni geopolitiche: tutto sembra rimandare a una lettura di una situazione forzata e forse pianificata. 

Partiamo dai fatti: martedì scorso la Polonia ha annunciato di aver arrestato oltre 50 migranti al confine con la Bielorussia, e precisamente vicino a Bialowieza. In  mattinata il ministro della Difesa polacco, Mariusz Baszczak, ha reso noto che erano stati fatti molti tentativi di violare il confine con la Bielorussia nella notte. E ha aggiunto di aver aumentato a 15.000 il numero dei soldati dell’esercito polacco alla frontiera. A pressare sul confine ci sono infatti centinaia di migranti. Uomini e donne che pagano dai 5.000 ai 15.000 dollari per giungere in Europa. E sono stati illusi dal governo di Minsk di poterlo fare.  

Il gioco della Bielorussia 

Secondo il Guardian, i migranti sarebbero stati attirati dalla Bielorussia, che avrebbe concesso il visto e offerto loro voli per raggiungere Minsk, la capitale del Paese, promettendo poi di portarli nell’Unione europea. Una volta raggiunto il confine, però, i migranti non sono riusciti a entrare in Polonia perché il Governo di Varsavia da giorni presidia con le sue truppe le frontiere con la Bielorussia. 

Per questo il presidente polacco Mateusz Morawiecki ha affermato che è necessario bloccare i voli dal Medio Oriente per la Bielorussia e concordare con la Ue nuove sanzioni contro il regime di Aleksandr Lukashenko. Il premier polacco, in conferenza stampa congiunta con il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha parlato di “terrorismo di Stato” da parte di Minsk. 

Due pese e due misure

In questo contesto Michel ha aperto alla possibilità di finanziare muri a protezione dei confini polacchi: “È legalmente possibile nell’ambito del quadro legale attuale, finanziare infrastrutture per la protezione dei confini dell’Ue”. E poi ha insistito proprio sul concetto che difendere i confini polacchi, così come quelli lituani significhi proteggere i confini della Ue. Una posizione che ha spiazzato molti, anche in virtù della forte polemica che lo scorso anno l’Unione Europea aveva portato avanti contro la linea di Donald Trump che voleva proseguire la costruzione del muro al confine col Messico.

In più, la solerzia con cui Bruxelles si è mossa per salvaguardare i confini orientali dell’Unione europea è quantomeno sospetta, guardando all’inerzia con la quale affronta il fenomeno migratorio ai suoi confini meridionali. Come se ci fossero due pesi e due misure: quando la rotta punta alla Germania, l’atteggiamento dell’Europa è ben diverso rispetto a quando punta all’Italia. 

Nuove sanzioni

Intanto l’asse tra Ue e Usa si è mosso prontamente. Al termine dell’incontro a Washington con il presidente americano Joe Biden, la presidente della Commissione Ue  Ursula von der Leyen ha affermato: “Estenderemo le nostre sanzioni contro la Bielorussia all’inizio della prossima settimana; e gli Stati Uniti prepareranno sanzioni che saranno in vigore da inizio dicembre”. Aggiungendo che “con il presidente americano guarderemo alla possibilità di sanzionare quelle compagnie aeree che facilitano il traffico di esseri umani verso Minsk e il confine tra Bielorussia e Ue”. 

Sanzioni di per sé ineccepibili, ma anche in questo caso non si può non notare una grande incongruenza. Infatti quando era Erdogan a minacciare di far entrare in Europa due milioni di profughi siriani, Bruxelles aveva concesso sei miliardi di euro al Governo turco per la gestione della situazione migratoria. 

Il ruolo di Mosca 

Molti analisti sostengono che dietro alla “guerra ibrida” di Lukashenko vi sia la Russia. La Bielorussia infatti è una stretta alleata di Mosca. E non è difficile immaginare che Vladimir Putin abbia tutto l’interesse ad indebolire e dividere l’Unione europea, che tra l’altro ha visto al suo interno uno scontro recente proprio con la Polonia per l’applicazione dei suoi dettami costituzionali rispetto alle norme dell’Unione. La stessa Ue ha poi sanzionato la Russia e recentemente è arrivata ai ferri corti con il Cremlino per l’aumento dei prezzi del gas. 

Mosca comunque ha respinto le accuse di chi, come il premier Morawiecki, ritiene ci sia il Cremlino dietro la crisi migratoria al confine con la Bielorussia. Il portavoce del Governo, Dmitry Peskov, ha affermato di considerare “del tutto irresponsabili e inaccettabili le dichiarazioni del primo ministro polacco secondo cui la Russia è responsabile di questa situazione”. Dal canto suo il presidente Putin ha rincarato la dose puntando il dito su Bruxelles: “Le organizzazioni criminali impegnate nel traffico di esseri umani hanno sede in Europa”, ha detto. “È dunque compito della Ue gestire il problema”. 

Comunque stiano le cose, Angela Merkel ha voluto telefonare al presidente russo. Nel colloquio la cancelliera tedesca gli ha chiesto di intervenire ed esercitare la sua influenza su Lukashenko, definendo “disumana e del tutto inaccettabile” la strumentalizzazione dei migranti a cui stiamo assistendo.

1 2 3 4 11