Tassa sugli extraprofitti a rischio di incostituzionalità

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Segnalazione Wall Street Italia

di Valentina Magri
11 Settembre 2023 12:26

Si apre una settimana clou per la tassa sugli extraprofitti. A partire da domani, 12 settembre, inizieranno le audizioni in Parlamento per discutere eventuali modifiche alla tassa, contenuta nel decreto legge asset di agosto. Facciamo il punto.

Le audizioni sulla tassa sugli extraprofitti

Innanzitutto, ci saranno numerose audizioni alle Commissioni Ambiente e Industria del Senato nell’ambito dell’esame del decreto asset, a partire da mezzogiorno di domani. Sulla tassa sugli extraproditti interverranno Abi, Assopopolari e Federcasse. Tra gli auditi anche Ance, Asstra, Agens, Anav, Confetra, Confartigianato, Cna e i sindacati Cgil, Cisl, Uil e Ugl.

La corsa agli emendamenti

Come annunciato da Giancarlo Giorgetti agli imprenditori riuniti a Cernobbio una settimana fa, la tassa sugli extraprofitti “migliorerà” e i cambiamenti sono già in via di definizione. Sempre questa settimana scadrà il termine per gli emendamenti al decreto asset.

Sul tavolo la proposta di Forza Italia, di cui si è fatto portavoce il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Quest’ultimo a fine agosto ha fatto notare che, per come è stata strutturata, la tassa sugli extraprofitti colpirà anche i rendimenti delle obbligazioni, comprese pertanto quelle governative. L’imposta indeducibile del 40% si aggiunge alla preesistente imposta del 26% sugli strumenti finanziari, che sono così soggetti a una doppia tassazione. In questo modo, lo Stato Italiano scoraggia le banche dall’acquistare i suoi titoli di Stato e comprende nella definizione di “extraprofitti” anche la remunerazione ai sottoscrittori delle sue obbligazioni, lasciando intendere che li paga troppo, quando quelli acquistati tempo fa, con i tassi vicini allo zero, avevano rendimenti molto bassi. Il ministro Tajani, intervistato sempre da “Il Sole 24 Ore”, si era detto preoccupato e aveva auspicato:

“Bisogna scrivere bene la norma affinché produca un effetto positivo sui conti dello Stato senza creare problemi al nostro sistema economico-finanziario e al bilancio dello Stato”.

In sostanza, Forza Italia punta a specificare chiaramente che la tassa sugli extraprofitti è una misura una tantum e non replicabile in futuro. Inoltre, intende escludere dalla tassazione i titoli di Stato nei portafogli delle banche e rendere deducibile la tassa al 50%. Infine, vuole che la tassa tenga conto delle specificità delle banche più piccole, che rischiano di essere penalizzate rispetto ai grandi colossi bancari.

I rischi di incostituzionalità della tassa sugli extraprofitti

Vi sono poi i dubbi dei tecnici del Senato su possibili rischi di costituzionalità, “in particolare con gli articoli 3 e 53, qualora non si tenga adeguatamente conto della effettiva capacità contributiva dei soggetti passivi del prelievo o si creino distorsioni fiscali irragionevoli”.

Inoltre, i tecnici di Palazzo Madama mettono in dubbio se il margine d’interesse delle banche tassato sia un “idoneo indice di effettiva capacità contributiva”, paventando altresì il rischio di un’alterazione del nesso fra imposizione fiscale e capacità contributiva, fra l’altro nell’ambito della medesima categoria di contribuenti, con possibile sindacato negativo di costituzionalità”.

Qualora la norma che introduce la tassa sugli extraprofitti fosse dichiarata incostituzionale dopo che il Governo ha incassato e speso il relativo gettito, dovrebbe restituire i soldi alle banche, peggiorando i saldi.

Nessun problema lato costituzionalità invece per il carattere “straordinario” della tassa; la presenza di “circostanze che possono esser considerate eccezionali”; la “temporaneità” e la “finalità solidaristica” del prelievo che giustificherebbero una imposizione “soggettivamente differenziata”.

Infine, i tecnici mettono in guardia da un possibile effetto boomerang della tassazione sugli extraprofitti, per cui le banche potrebbero rivedere la loro politica dei tassi d’interesse per ridurre l’imposizione fiscale a loro carico, peggiorando sia il loro conto economico, che le entrate fiscali per lo Stato Italiano.

Draghi molla il tavolo con i sindacati: rottura sulle pensioni, verso lo sciopero

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di Adolfo Spezzaferro

Roma, 27 ott – E’ rottura sulle pensioni, con il premier Mario Draghi che lascia il tavolo con i sindacati: “Ho un altro impegno, indietro non si torna“. Cgil, Cisl e Uil, che chiedevano una trattativa, verso la mobilitazione: “Nessuna risposta, troppo poco per gli ammortizzatori“. Draghi dunque tira dritto sulle pensioni: “Transizione graduale verso la normalità”, ossia il ritorno alla legge Fornero. E’ quella – secondo il premier – l’unica riforma possibile, quella peraltro imposta dalla Ue.

Pensioni, rottura governo-sindacati. Draghi respinge le richieste di Cgil, Cisl e Uil

Il premier non ascolta i sindacati sul fronte delle pensioni. “Possiamo discutere di quota 101, 102 o anche 102,5, ma il percorso progressivo verso il sistema contributivo non cambia. Indietro non torniamo, perché il sistema previdenziale retributivo ha creato delle vulnerabilità che tutti anche all’estero ci rimproverano“. Dopo un incontro di quasi tre ore, è rottura con i sindacati, che chiedevano una riforma complessiva delle pensioni. E Draghi prende e se ne va, ha un altro impegno “programmato”. Circa la riunione, il premier non nasconde l’irritazione: “Non mi aspettavo un intervento tanto polemico, con 3 miliardi sugli ammortizzatori sociali e 8 sulla riduzione delle tasse, mi sarei aspettato un atteggiamento diverso. La manovra è un pacchetto corposo di misure”. E’ la prima rottura tra governo e parti sociali. Ora i sindacati valuteranno la mobilitazione e un possibile sciopero generale.

Sindacati pronti allo sciopero generale

“Se il governo va avanti in questa direzione valuteremo il da farsi. Noi siamo pronti al confronto. Se il governo ci ascolterà nei prossimi giorni bene, altrimenti adotteremo le iniziative di mobilitazione più adatte con Cisl e Uil“. Così il segretario della Cgil Maurizio Landini a margine dell’incontro con Draghi a Palazzo Chigi, giudicato “insoddisfacente”. Luigi Sbarra della Cisl parla di “grandi insufficienze e squilibri, per effetto del mancato dialogo con le parti sociali“. Le misure sono “largamente insufficienti sia per le pensioni, che per gli ammortizzatori sociali e per la non autosufficienza“, aggiunge. Non bastano soli 600 milioni, sottolinea Pierpaolo Bombardieri della Uil: “Non è una riforma degna di questo nome. Noi ci battiamo per garantire pensioni dignitose ai giovani e alle donne“. Tutto dipenderà dunque da cosa deciderà domani il Cdm con il varo della legge di Bilancio. Sabato al più tardi i sindacati faranno sapere come intendono muoversi.

Il premier deve trovare la quadra anche con la Lega

Il superamento di Quota 100, misura di bandiera della Lega, è un problema anche interno alla maggioranza, con Salvini che vuole strappare un compromesso per potersi intestare la non sconfitta. L’ultima opzione all’esame dei tecnici è stata costruita attorno al requisito fisso dei 41 anni di contributi, sulla falsariga di quella Quota 41 cara alla Lega. Ossia la possibilità di uscita al raggiungimento appunto del 41esimo anno di contribuzione, con un’età minima di 62 anni. Misura che però non avrebbe le coperture necessarie.

Draghi tira dritto perché i saldi sono decisi e la legge di Bilancio in sostanza sarà approvata così com’è, anche perché è convinto che con la Lega troverà un accordo. Allo stato attuale dunque il premier non sembra preoccupato all’idea di uno sciopero dei sindacati.

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/politica/draghi-molla-tavolo-sindacati-rottura-pensioni-verso-sciopero-212304/

Quanti miliardi incassano i sindacati: i bilanci segreti di Cgil, Cisl e Uil

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Risultati immagini per CGIL, CISL, UILI conti delle grandi associazioni dei lavoratori sono uno dei segreti meglio custoditi d’Italia. “L’Espresso” però ha fatto un po’ di analisi, sommando i proventi delle iscrizioni ai finanziamenti pubblici. Risultato? Un montagna di denaro

CONSIDERATE CHE L’ARTICOLO E’ DI 3 ANNI FA MA MOLTO ATTUALE (N.D.R.)

di STEFANO LIVADIOTTI 
Per Susanna Camusso è quasi un’ossessione. Da quando si è insediata al vertice della Cgil (il 3 novembre 2010) si è arrampicata 67 volte su palchi di ogni ordine e grado per invocare trasparenza. La leader del più grande sindacato italiano se ne è poi però puntualmente dimenticata man mano si avvicinava la fine dell’anno e il momento per la Cgil di fare due conti sui contributi degli iscritti rastrellati nei dodici mesi.

Sì, perché il sindacato di corso d’Italia, che non è tenuto a farlo per legge, si guarda bene dal pubblicare un bilancio consolidato: come del resto i cugini di Cisl e Uil, si limita a mettere insieme in poche paginette i numeri che riguardano la sola attività del quartier generale romano. Spiccioli, rispetto al vero giro di soldi delle confederazioni, che negli anni si sono trasformate in apparati capaci di lucrare pure su cassintegrati e lavoratori socialmente utili (nell’ultimo anno l’Inps ha versato a Cgil, Cisl e Uil 59,4 milioni di trattenute su ammortizzatori sociali)

«I sindacati hanno un sacco di soldi», si è lamentato nei giorni scorsi il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che non li ama davvero. Diversi recenti episodi di cronaca confermano che di denari nei corridoi delle sedi sindacali ne girano parecchi. E che il loro uso è molto spesso un po’ troppo disinvolto.

Ai primi di novembre 2014 ha mollato di colpo il suo incarico il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni: nel palazzo circolava un dossier dove si documentava l’impennata del suo stipendio dai 79 mila euro precedenti la nomina ai 336 mila del 2011. E quest’estate una mail di un dirigente della Cisl ha alzato il velo sulla retribuzione d’oro di alcuni suoi colleghi capaci di mettere il cappello su più incarichi: il presidente del patronato Inas-Cisl, Antonino Sorgi, per esempio, nel 2014 ha portato a casa 77.969 euro di pensione, più 100.123 per l’Inas e altri 77.957 per l’Inas immobiliare.

I soldi dunque li hanno. Ma sapere quanti è quasi impossibile. I veri bilanci dei sindacati sono uno dei segreti meglio custoditi del Paese. Loro si rifiutano di fornire dati esaustivi. E chi conosce le cifre preferisce non esporsi. Così, almeno su alcuni capitoli, bisogna andare per approssimazione. Vediamo.

IL TESORETTO DEI TESSERATI
Lo zoccolo duro delle finanze sindacali è la tessera, che ogni iscritto paga con una piccola quota dello stipendio di base (o della pensione). Nei bilanci delle tre confederazioni sono indicati complessivamente 68 milioni 622 mila 445 euro e 89 centesimi. Ma è una presa in giro bella e buona. Si tratta infatti solo delle quote trattenute dalle holding. Per avvicinarsi alla cifra vera bisogna seguire un altro percorso. Cgil, Cisl e Uil dichiarano di rappresentare tutte insieme 11 milioni 784 mila e 662 teste (che scendono in picchiata quando è il momento di versare i contributi alla Confédération Européenne des Syndicats, dove si paga un tanto per iscritto). I sindacati chiedono per l’iscrizione lo 0,80 per cento della retribuzione annua ai lavoratori attivi e la metà ai pensionati.

Conoscendo la ripartizione degli iscritti tra le due categorie, gli stipendi medi dei dipendenti italiani (25.858 euro lordi, secondo l’Istat) e le pensioni medie (16.314 euro lordi, per l’Istat), è dunque possibile fare il conto. La Cgil dovrebbe incassare 741 milioni di euro e rotti (loro ammettono poco più della metà: 425 milioni). Alla Cisl si arriverebbe a 608 milioni (in via Po parlano di 80 milioni circa). E la Uil intascherebbe 315 milioni (in via Lucullo ridimensionano a un centinaio di milioni).

Solo le tessere garantirebbero dunque quasi 1,7 miliardi. Ora: è possibile che i calcoli de “l’Espresso” siano approssimati per eccesso, se si considerano il mix degli iscritti (full-time, part-time, stagionali); la durata del versamento, non sempre ininterrotto; l’incidenza di eventuali periodi di cassa integrazione. Ma una cosa è certa: il tesoretto delle tessere non vale solo i circa 600 milioni e spicci che dicono Cgil, Cisl e Uil. Secondo quanto “l’Espresso” è in grado di rivelare, infatti, nell’ultimo anno solo l’Inps ha trattenuto dalle pensioni erogate, e girato a Cgil, Cisl e Uil, 260 milioni per il pagamento della tessera sindacale. Una cifra alla quale va sommata la quota-parte di competenza delle confederazioni sui 266 milioni che l’Inps incassa da artigiani e commercianti e poi trasferisce alle organizzazioni dei lavoratori per la tassa di iscrizione. Già con queste voci si arriva vicino alla somma totale ammessa da Cgil, Cisl e Uil. I conti dunque non tornano.

SOLO DALL’INPS 423 MILIONI
Poi ci sono i patronati, che forniscono gratuitamente servizi di assistenza a lavoratori e pensionati per prestazioni di sicurezza sociale e vengono poi rimborsati dagli istituti di previdenza. Secondo la “Nota sul finanziamento diretto e indiretto del sindacato”, messa a punto da Giuliano Amato su incarico dell’allora premier Mario Monti, solo nel 2012 l’Inps ha versato loro 423,2 milioni di euro (quattrini esentasse, per giunta, in base a una logica imperscrutabile).

Secondo quanto risulta a “l’Espresso”, a fare la parte del leone sono stati Inca-Cgil (85,3 milioni di euro), Inas-Cisl (65,5 milioni) e Ital-Uil (31,2 milioni). «Sembra evidente che il funzionamento dei patronati non comporti un finanziamento pubblico, sia pur indiretto, delle associazioni o organizzazioni promotrici (i sindacati, ndr)», ha scritto Amato nella sua relazione. Poi però lo stesso Dottor Sottile si è sentito in dovere di aggiungere una postilla: «C’è per la verità un’unica disposizione (non legislativa, ma statutaria) che può essere letta in questa chiave e cioè quella secondo cui, nel caso di scioglimento dell’ente (il patronato, ndr), è prevista la devoluzione dell’intero patrimonio di quest’ultimo in favore dell’organizzazione promotrice. Al di la di ciò…». Ma come sarebbe a dire “al di la di ciò”?

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