L’assimilazione degli immigrati non è né buona né cattiva: è impossibile

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di Alain de Benoist

Fonte: Barbadillo

Boulevard Voltaire: Il dibattito sull ‘”integrazione” degli immigrati è impantanato da decenni, se non altro perché non viene mai specificato cosa significhi integrare: a una nazione, a una storia, a un’azienda, a un mercato? È in questo contesto che alcuni preferiscono invocare l’”assimilazione”. Due mesi fa, la rivista Causeur ha dedicato a questo concetto un intero dossier, con il titolo in prima pagina: “Assimilati! Cosa le fa pensare?Alain de Benoist: “Negli ambienti più preoccupati per i flussi migratori, si sente spesso dire che l’assimilazione sarebbe la soluzione miracolosa: gli immigrati diventerebbero “francesi come tutti gli altri” e il problema sarebbe risolto. Questa è la posizione difesa con talento da Causeur, ma anche da autori come Vincent Coussedière, che pubblicherà A Praise of Assimilation, o Raphaël Doan (The Dream of Assimilation, from Ancient Greece to the Present Day). Altri obiettano che “gli immigrati sono inassimilabili”. Altri ancora rifiutano l’assimilazione perché implica necessariamente l’incrocio. Queste tre posizioni sono molto diverse, e anche contraddittorie, ma hanno tutte in comune il fatto che ritengono che l’assimilazione sia possibile, almeno in teoria, anche se alcuni non lo vogliono o ritengono che gli immigrati non giochino.

L’assimilazione è un concetto di natura universalista, ereditato dalla filosofia dell’Illuminismo (la parola si trova già in Diderot). Presuppone che le persone siano fondamentalmente tutte uguali. Per far sparire le comunità, dobbiamo quindi convincere gli individui che le compongono a staccarsi da esse. In un certo senso, questo è un patto che ci proponiamo di fare con gli immigrati: diventate individui, comportatevi come noi e sarete pienamente riconosciuti come uguali, poiché ai nostri occhi l’uguaglianza implica l’uguaglianza.

Ricordi l’apostrofo di Stanislas de Clermont-Tonnerre nel dicembre 1789: “Dobbiamo concedere tutto agli ebrei come individui, dobbiamo rifiutare tutto agli ebrei come nazione!” (Gli ebrei non hanno ceduto a questo ricatto, altrimenti avrebbero dovuto rinunciare all’endogamia e oggi non ci sarebbe più comunità ebraica.) Emmanuel Macron non dice altro quando afferma che la cittadinanza francese riconosce “l’individuo razionale libero come stato prima di tutto “. Raphaël Doan è molto chiaro su questo punto: “L’assimilazione è la pratica di richiedere allo straniero di diventare un compagno […]”. Per assimilarsi, bisogna praticare l’astrazione dalle proprie origini. In altre parole, che cessa di essere un Altro e diventa lo Stesso. Per fare questo, deve dimenticare le sue origini e convertirsi. “Emigrare significa cambiare la tua genealogia”, dice Malika Sorel. È più facile a dirsi che a farsi. Perché assimilare “i valori della Repubblica” non significa niente. Assimilare significa adottare una cultura e una storia, una socievolezza, un modello di relazioni tra i sessi, codici di abbigliamento e culinari, modi di vita e di pensiero specifici. Tuttavia, oggi, la maggioranza degli immigrati è portatrice di valori che giustamente contraddicono quelli delle popolazioni ospitanti. Quando offriamo loro di negoziare la loro integrazione, dimentichiamo semplicemente che i valori non sono negoziabili (cosa che una società dominata dalla logica dell’interesse personale ha le maggiori difficoltà a comprendere)”.

E lei pensa che l’assimilazione sia buona o cattiva?

“Né buono né cattivo. Tendo a pensare che sia impossibile. Il motivo principale è che possiamo assimilare gli individui ma non possiamo assimilare le comunità, specialmente quando queste rappresentano dal 20 al 25% della popolazione e queste sono concentrate – “non perché siano messi nei ghetti, ma perché gli esseri umani coltivano naturalmente il vicinato di quelli che vivono come loro ”(Élisabeth Lévy) – in territori che favoriscono l’emergere di contro-società basate esclusivamente sull’identità. Ciò è particolarmente vero in un paese come la Francia, segnato dal giacobinismo, che non ha mai smesso di lottare contro gli organismi intermedi per riportare la vita politica e sociale a un faccia a faccia tra individuo e Stato. Colbert aveva già compiuto grandi sforzi per “francesizzare” gli indiani d’America. È stato ovviamente un fallimento.

In Francia, l’assimilazione raggiunse il suo apice sotto la Terza Repubblica, in un momento in cui la colonizzazione era in pieno svolgimento per iniziativa dei repubblicani di sinistra desiderosi di far conoscere ai “selvaggi” i benefici del “progresso”. Ma la Terza Repubblica è stata anche una grande educatrice: nelle scuole, gli “ussari neri” si sono impegnati a insegnare la gloriosa storia del romanzo nazionale. Non ci siamo più. Sono in crisi tutte le istituzioni (chiese, esercito, partiti e sindacati) che in passato hanno facilitato l’integrazione e l’assimilazione. La Chiesa, le famiglie, le istituzioni non trasmettono più nulla. La scuola stessa, dove il curriculum è dominato dal pentimento, non ha altro da impartire se non la vergogna dei crimini del passato.

L’assimilazione implica la volontà di assimilarsi dalla parte del potere in carica e il desiderio di essere assimilati dalla parte dei nuovi arrivati. Tuttavia, non c’è né l’uno né l’altro. Lo scorso dicembre, Emmanuel Macron ha detto esplicitamente a L’Express: “La nozione di assimilazione non corrisponde più a ciò che vogliamo fare”. È difficile vedere, d’altra parte, quale attrattiva possa ancora esercitare il modello culturale francese sui nuovi arrivati ​​che scoprono che i nativi, che spesso disprezzano, quando non li odiano, sono i primi a non voler sapere nulla della loro storia e battersi il petto per essere perdonati di esistere. Cos’è che vedono che li attrae? Cosa li può apassionare? Spingerli a voler partecipare alla storia del nostro Paese?”

Ultima nota: nel modello assimilazionista, l’assimilazione dovrebbe progredire di generazione in generazione, il che può sembrare logico. Tuttavia, vediamo che in Francia è esattamente l’opposto. Tutti i sondaggi lo dimostrano: sono gli immigrati delle ultime generazioni, quelli che sono nati francesi e hanno la nazionalità francese, che si sentono i più estranei alla Francia, che pensano sempre più che la Sharia abbia la precedenza sul diritto civile e trovano tanti elementi inaccettabili, come un “oltraggio” alla loro religione. Lo scorso agosto, alla domanda sulla proposizione “L’Islam è incompatibile con i valori della società francese”, il 29% dei musulmani ha risposto affermativamente, mentre tra gli under 25 la percentuale era del 45%”.

Un dibattito del genere è solo francese? Nei paesi occidentali? O la questione dell’integrazione attraverso l’assimilazione si trova ovunque?

“I paesi anglosassoni, non essendo stati segnati dal giacobinismo, sono più ospitali nei confronti delle comunità. Negli Stati Uniti, d’altra parte, gli immigrati generalmente non hanno animosità verso il paese in cui cercano di entrare. La stragrande maggioranza di loro, che è stata instillata con il rispetto dei padri fondatori, vuole essere americana. Il “patriottismo costituzionale” fa il resto. In Asia è ancora diverso. La nozione di assimilazione è qui sconosciuta, per il semplice motivo che la cittadinanza è confusa con l’etnia. Per i due miliardi di persone che vivono nel nord e nel nordest asiatico, soprattutto nella zona di influenza confuciana, uno nasce cittadino, non lo diventa. Questo è il motivo per cui Cina e Giappone si rifiutano di fare appello all’immigrazione e naturalizzano solo in piccole quantità (i pochissimi europei che hanno ottenuto la nazionalità giapponese o cinese non verranno comunque mai considerati giapponesi o cinesi)”.

(Intervista condotta da Nicolas Gauthier per Boulevard Voltaire)

 

 

La gente che piace non piace più. Il primo governo che attacca un potere vero.

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REX

di Pietrangelo Buttafuoco

La gente che piace non piace più. Il primo governo che attacca un potere vero.

Fonte: Pietrangelo Buttafuoco

Il primo governo che attacca un potere vero. 
Dopo la tragedia di Genova l’Italia reale guarda da sotto i ponti, si accorge dei piloni marci e per la prima volta nella storia repubblicana l’esecutivo a palazzo Chigi parla agli italiani con la lingua del pane al pane.
Magari i ministri sbagliano nella grammatica delle procedure – le concessioni, i tempi della giustizia, vincoli Ue – ma nella percezione dell’opinione pubblica resta un messaggio, e cioè che l’opposizione sta con la società Autostrade mentre il governo è in lotta. 
Giornali, establishment e i pezzi da novanta del pensiero fanno tutti i distinguo a margine della tragedia in obbedienza al culto del libero mercato.
Non c’è cipiglio liberale che non indichi, dietro la lavagna, il posto per chiunque faccia un ragionamento di sana rabbia, tipo: avete le concessioni, manco mettete degli omini ai caselli – piuttosto le macchinette – appaltate in monopolio carburanti e panini Camogli, il servizio di sorveglianza ve lo fa la Polstrada, ci fate percorrere giunti appoggiati su pilastri di cemento vecchio e non possiamo neppure complimentarci con i ministri quando reclamano il primato della politica su voi e su tutti gli elitari quattrinari multiculturalisti? 
Una prima volta così necessita di consapevolezza. E di un ulteriore passo avanti.
Quell’United Colours, come totem, frana col pilone, arretra anche nel riflesso condizionato di chi piace alla gente che piace.
La gente che piace non piace più.
La diffidenza verso i poteri dilaga, ed è un bel problema, a buttarla in politica, per Silvio Berlusconi fresco di ritrovato benestare presso i salotti buoni.
Bravo come pochi nell’intercettare il sentimento della gente, il Cavaliere non potrà che tornare alla sua gente e smetterla con il Pd, con la tentazione del Patto del Nazareno insufflata dai Dudù della sua stretta cerchia e dire sì – giusto un esempio – a Marcello Foa, il presidente che i poteri forti non vogliono in viale Mazzini.
Proprio per poi sentire – giusto in Rai, dove prevale la narrazione imposta dai poteri – la lingua del pane. E dare così pane al pane.
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L’ira del web contro Benetton e Toscani: “Metterete una maglietta rossa per le vittime di Genova?”

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Segnalazione di G.B.

La famiglia Benetton, che attraverso Atlantia controlla Autostrade per l’Italia, nel mirino dei social. Sotto attacco anche la campagne buoniste di Toscani

di Sergio Rame

Dal dolore alla rabbia. Il passaggio è immediato. Sui social network, e in particolar modo su Twitter, si sta sfogando in queste ore l’ira contro la famiglia Benetton.

Il linciaggio mediatico è, infatti, iniziato subito dopo le prime dichiarazioni dei ministri Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Danilo Toninelli contro la società Autostrade per l’Italia che, attraverso Atlantia, è appunto controllata dai Benetton“Adesso ti metterai una maglietta rossa per le vittime di Genova?”, scrive un utente sfidando Oliviero Toscani che lo scorso 7 luglio aveva manifestato contro le politiche del governo di chiusura dei porti ai barconi carichi di immigrati clandestini.

Svariate centinaia di tweet. Uno via l’altro. Tutti spuntati poche ore dopo il drammatico crollo del ponte Morandi sull’autostrada A10. I social network si stanno scatenando contro i Benetton postando, proprio mentre il computo delle vittime aumenta di ora in ora, diversi scatti che ritraggono una il gruppo familiare sorridente e al completo. In altri post è stato pubblicato un fotomontaggio in cui si vede Toscani che stringe nella sua mano una fotografia del ponte crollato. “Adesso ti metterai una maglietta rossa per le vittime di Genova?”, gli scrive un utente facendo riferimento alla manifestazione del 7 luglio scorso a sostegno degli immigrati clandestini che sbarcono sulle coste italiane. Continua a leggere