“Famiglia e bullismo”

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Cinzia Notaro intervista Gianfranco Amato

“Famiglia e Bullismo”. Un incontro tenutosi di recente presso l’Abbazia di Santa Scolastica in Bari. Emarginazione, umiliazione pubblica, violenze fisiche, psicologiche e verbali, bullismo, cyberbullismo.

Ne sono succubi  secondo gli ultimi dati resi noti da “Terre des Hommes” soprattutto i giovani in età adolescenziale, che finiscono col soffrire nella maggior parte dei casi di ansia sociale, attacchi di panico, disturbi alimentari, depressione, autolesionismo.

Utero in affitto, identità di genere gli altri temi affrontati nel corso del dibattito.

Sono intervenuti: Enzo Fortunato Presidente Europa Benedettina , Manuela Antonacci di ProVita e FamigliaPaolo Scagliarini direttore de “La Fiaccola”, Samuele Lella di Gioventù Nazionale Bari, Michele Picaro Consigliere regionale di Fratelli d’Italia e l’avv. Gianfranco Amato che abbiamo avuto l’onore d’intervistare, Presidente dell’Associazione Giuristi per la Vita,  nominato il 26 giungo 2023 Direttore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio permanente sulle Famiglie della Regione Siciliana, con decreto assessoriale 103 del 27 giugno 2023: “Ho  ricevuto questa nomina conferitami con decreto dell’assessore regionale alla famiglia, alle politiche sociali e al lavoro – ha specificato – per un ruolo riservato ad “esperti” di comprovata esperienza, competenza e professionalità. Si tratta certamente di un gratificante riconoscimento del lavoro svolto in questi ultimi quindici anni, ma soprattutto di una grande responsabilità. Ho deciso di accettare questa sfida perché sono convinto che la Sicilia possa diventare un laboratorio di politiche volte a valorizzare la famiglia a livello non solo italiano ma anche europeo. L’idea è quella di partire da una legge approvata esattamente venti anni fa – mi riferisco alla legge regionale 10 del 31 luglio 2023 – che aveva proprio come oggetto quello della «valorizzazione e tutela della famiglia». Si tratta di una legge avveniristica per l’epoca in cui fu approvata, e dovuta sostanzialmente alla particolare sensibilità sul tema della famiglia dell’allora presidente della regione Totò Cuffaro. Il punto è che non fu mai pienamente attuata. Credo che oggi ci siano le condizioni politiche a livello regionale e nazionale, per dimostrare che la famiglia non deve essere considerata una sorta di “corpo moribondo” da sostenere con sussidi, sovvenzioni, bonus, ecc., ma una vera e propria risorsa economico-sociale. Bisogna passare dalla logica dell’accanimento terapeutico, che guarda alla famiglia come ad un “peso sociale” da sostenere finanziariamente, alla logica della valorizzazione, che considera la famiglia nella prospettiva indicata dall’art.1 della Legge regionale 10/2003, ovvero quella di un «soggetto sociale di primario riferimento» per le politiche regionali.  La Sicilia può diventare un interessante laboratorio per sperimentare politiche familiari innovative  – ha dichiarato –  e introdurre iniziative volte a tutelare e valorizzare la famiglia, grazie anche all’amplia autonomia legislativa regionale e alle possibilità concesse da una legge avveniristica (L.R. 10/2003) che, dopo vent’anni di congelamento, ora potrà finalmente vedere la sua integrale applicazione. Ci aspetta un grande lavoro”.

Venendo ai temi dell’incontro, l’utero in affitto, rappresenta  un vero e proprio sfruttamento della donna che diventa un mezzo per avere un figlio a tutti i costi ed è pagata per questo, come in qualunque altro rapporto commerciale. Il bambino le viene letteralmente strappato, come se lei fosse solo un contenitore servito alla realizzazione dell’opera. Il mondo delle tenebre non finisce mai di sorprenderci !

L’ho definita una “barbara pratica”. Da giurista, è inconcepibile il fatto che un essere umano possa essere considerato oggetto di un contratto commerciale. Per trovare un precedente simile nella Storia del Diritto occorre ricorrere all’istituto della schiavitù. Non mi sembra un gran precedente. E nemmeno un gran progresso. In realtà le donne sfruttate sono due. Da una si ottengono gli ovociti contenenti il prezioso DNA, mentre l’altra viene semplicemente utilizzata come un contenitore. Infatti, normalmente gli ovociti vengono scelti accuratamente: di solito si tratta di una giovane donna di razza caucasica, bionda, con occhi azzurri, quoziente intellettivo alto, ecc. Mentre il contenitore lo si fa fare ad una donna del terzo mondo. In India esiste un disgustoso traffico di donne che hanno disperatamente bisogno di soldi e si prestano a questa vergogna. I committenti maschi non utilizzano una sola donna – sarebbe più semplice ed economico – perché in questo caso la donna rischierebbe di sentire come proprio il figlio e potrebbe rifiutarsi di farselo strappare via. Così, è preferibile sfruttarne due di donne, senza che nessuna delle due si affezioni troppo all’oggetto del contratto. Alcune femministe balbettano qualche critica, ma quel mondo, soprattutto il mondo omosessualista, è fermamente a sostegno di questa barbara pratica.

Occorre far prevalere il concetto che avere un figlio non è un diritto. Non esiste un diritto al bambino, ma c’è il diritto alla vita riconosciuto dalla Corte Costituzionale, il diritto di conoscere le proprie origini. Seguono poi i diritti ad essere educato dai propri genitori, alle relazioni familiari, e alla sua famiglia. Si può affermare che con la pratica dell’utero in affitto il nascituro è privato dei suoi diritti fondamentali?

Ci sono  importanti documenti a livello internazionale che riconoscono il diritto di un bambino a crescere in un contesto che favorisca il suo sviluppo armonico attraverso l’educazione complementare di un individuo biologico di sesso maschile, il padre, e un individuo biologico di sesso femminile, la madre. Questo è un dato oggettivo derivato dalla natura. Privare un bimbo di una madre o di un padre, è  una forma crudele e spietata di egoismo da parte di due adulti. Nessun bambino vuole nascere orfano. Semmai dobbiamo chiederci che tipo di civiltà è quella che tra il diritto sacrosanto di un essere debole e indifeso, quale  è un bambino, e il desiderio o il capriccio di due adulti, opta per quest’ultimo. È una civiltà dove vige la legge della giungla, in cui prevale il più forte e il più ricco. Qualcosa di molto  diverso dal modello che  per secoli ha caratterizzato  la civiltà occidentale cristiana.

Tornando all’incontro a cui ha partecipato recentemente presso l’Abbazia di S. Scolastica a Bari, la famiglia odierna si prende cura dei propri componenti? Li accompagna a scoprire i propri talenti ? Li porta a riconoscere i veri valori della vita? I genitori danno buon esempio ai propri figli? Ci si rispetta a vicenda? O ci sono muri di silenzio, incomprensioni, mancanza di dialogo? La Tv e i social network  hanno preso il suo posto?

Oggi sembra essere smarrito, non solo nella famiglia ma anche nella scuola, il concetto stesso di educazione. Che cosa significa educare? Tre verbi latini mi pare rendano bene l’idea di questa delicatissima funzione: educĕre/tradĕre/introducĕre. Se, infatti, la stessa derivazione etimologica del termine offre l’idea di “tirar fuori” ed estrarre le potenzialità di un figlio o di uno studente (educĕre), questa idea non può prescindere da altri due aspetti fondamentali.

Il primo è legato alla tradizione (tradĕre), ovvero al compito di “consegnare”, “trasmettere” il patrimonio di sapienza e di fede ricevuto dagli avi. E’ proprio il legame con la tradizione a costituire uno dei fattori originali delle dinamiche dell’evento educativo. La tradizione rappresenta il cuore dell’identità di un individuo, al punto che il suo disconoscimento non solo lo priva di un’origine, ma, scollegandolo dalle generazioni che lo hanno preceduto, lo immerge in un micidiale cocktail fatto di individualismo relativista, di cinico scetticismo e di squallido edonismo. A volte teleguidato da Tv e social network. L’assurdo ripudio della tradizione – falsamente immaginato come emancipazione in funzione di progresso – ha fatto dilagare tale micidiale cocktail nell’attuale sistema educativo e persino nella famiglia, dove insegnanti e genitori, succubi del pensiero unico dominante, hanno timore e addirittura vergogna di tradĕre l’eredità culturale fatta di principi, valori e ideali ricevuti dalle generazioni precedenti. Solo il legame con la Tradizione  può consentire oggi ad un giovane di acquisire un giudizio critico capace di osservare la realtà senza il paraocchi del pregiudizio ideologico e di guardare al di là delle false apparenze. Solo così un giovane può essere veramente libero e far fallire i tentativi di manipolazione che il Potere ininterrottamente mette  in atto – anche attraverso la distruzione della famiglia – per arrivare ad avere davanti a sé un uomo isolato, un pezzo di materia, un cittadino anonimo e privo del senso del destino. Il secondo aspetto concerne la funzione ultima della stessa educazione, ossia quella di introdurre (introducĕre) alla realtà nella totalità dei suoi fattori, proprio perché è insita nel cuore dell’uomo la domanda di senso totale, che non potrà mai trovare risposta in una ragione dimostrativa o scientifica. Ma chi oggi educa più in famiglia al riconoscimento di queste domande fondamentali dell’uomo?

L’istituzione della famiglia e del matrimonio sono stati istituiti prima del cristianesimo, vero?

La prima immagine che noi abbiamo di una famiglia, senza aggettivi (naturale, tradizionale, ecc.), è quella di una semplice famiglia fatta di madre, padre, figli, punto, risalente al periodo preistorico. Nel 2005 ad Eulau, in Germania, gli archeologi hanno scoperto alcune tombe del periodo  neolitico superiore. In una di esse hanno trovato i resti di quattro esseri umani: un uomo, una donna, e due bambini. Attraverso l’esame del DNA è stato dimostrato che si trattava di una famiglia: padre, madre e figli. Li avevano sepolti abbracciati tra di loro, e ciò fa intendere che sarebbero morti nello stesso momento. Gli scienziati hanno ricostruito attraverso un disegno i membri di quella famiglia, un’immagine molto commovente, ma che ci dice qualcosa di molto importante: in quell’epoca non esisteva nessuno Stato, nessun Parlamento, nessuna legge, nessuna Chiesa. Esisteva la famiglia, elemento naturale che precede tutte queste istituzioni. Per questo si dice che la famiglia è un elemento pre-politico e pre-giuridico. Nessuna istituzione umana e nessuna religione ha dato origine alla famiglia.

E che la famiglia fosse ritenuta una cellula della società risale alle più antiche civiltà, così come ha ripetuto più volte durante il suo intervento.

Uno dei primi a teorizzare in maniera “scientifica” questo concetto fu Aristotele nella sua opera Politica. Ci furono, poi, anche altri grandi pensatori del passato, come per esempio Cicerone che nel De Officiis spiega, appunto, che «prima societas ipso coniugio est», la famiglia è la cellula della società. Sempre in quell’opera, Cicerone riteneva la stessa famiglia come «principium urbis», fondamento della società e «seminarium rei publicae» un vivaio dello stato. Il concetto è poi passato nei grandi pensatori della Tradizione cristiana. Pensiamo, per esempio, a Sant’Agostino che ha espressamente definito la famiglia «particula civitatis», ovvero «la cellula della società e il suo principio» (De Civitate Dei, XIX 16). E così tutti gli altri grandi filosofi e teologi del cristianesimo. Sempre Sant’Agostino insegnava che «il primo naturale legame della società è quello tra uomo e donna (De bono coniugali, I, 1), e che «il matrimonio si chiamò così dalla radice etimologica mater» (Contra Faustum manichaeum, XIX 26). Per questo le  unioni contro natura tra persone dello stesso sesso non possono essere qualificate come matrimonio e quindi dare vita ad una famiglia. Del resto lo dice anche la nostra Costituzione all’art. 29, il quale recita che «La Repubblica riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». È interessante anche il verbo utilizzato in quell’articolo : «riconosce». Riconosce significa semplicemente prende atto di una realtà naturale che preesiste allo Stato. Non si dice la Repubblica istituisce la famiglia e ne disciplina le modalità di costituzione ed estinzione. La famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, ripeto, non è una creazione dello Stato e, quindi, non può essere modificata dallo stesso. Ancora più assurda ritengo la pretesa avanzata da alcuni movimenti omosessualisti di celebrare “nozze” tra persone dello stesso sesso nelle chiese. La libertà religiosa – che ricordiamo è un diritto fondamentale dell’uomo – non può essere conculcato in nome di un desiderio, o meglio di un capriccio di due persone che hanno un particolare orientamento sessuale.

Si può dire che c’è un piano infernale contro la famiglia, contro la fede, contro l’Europa cristiana?

Io ho avuto la grazia e il privilegio di conoscere personalmente, e frequentarlo negli ultimi anni della sua vita, il compianto cardinal Carlo Caffarra. Lui era stato incaricato nel 1981 dall’allora Pontefice di fondare l’Istituto per gli studi sul matrimonio e la famiglia. Caffarra ricordava spesso dalle mani di Suor Lucia di Fatima, una lettera in cui la veggente profetizzava che lo scontro finale tra Satana e il Regno di Cristo sarebbe avvenuto proprio sulla famiglia. Il Nemico dell’uomo non potendo attaccare direttamente il Creatore avrebbe attaccato la creatura, colpendo innanzitutto il luogo in cui essa nasce, cresce, si educa e si sviluppa. Chi ha fede crede a questa chiave di lettura. Non v’è dubbio, poi, che vi sia in atto una vera e propria guerra ideologica e cultura contro le radici cristiane dell’Europa. Basti pensare che lo stesso riferimento a tali radici è stato tolto dal preambolo della bozza della Costituzione europea.

Il fine di questa cultura della morte è annientare l’unica forma di difesa dell’uomo, la famiglia, e  spingerlo all’individualismo per farne un essere debole e fragile, facilmente plagiabile?

La famiglia è l’ultimo, piccolo, angusto spazio di libertà tra la persona e il Potere. Per questo il Potere vuole eliminarlo. Il Potere vuole un uomo solo, isolato, senza un luogo d’appartenenza, senza radici, fragile, indifeso. Un individuo perfettamente manipolabile. Come diceva il grande scritto inglese Chesterton la famiglia è un «test of freedom», un test di libertà, perché «è l’unica cosa che un uomo libero fa da sé e per sé».  Mons. Luigi Giussani, che è stato il mio Maestro, già trent’anni fa insegnava che l’interesse del potere a distruggere la famiglia è duplice: 1) distruggendo questa primordiale unità-compagnia dell’uomo, il potere riesce ad avere davanti a sé un uomo isolato che senza forza, resta un pezzo di materia, un cittadino anonimo, privo del senso del destino, privo del senso della sua ultima responsabilità e che si piega facilmente al dettato delle convenienze. La famiglia è attaccata per far sì che l’uomo sia più solo, privo di tradizioni che gli consentano di veicolare responsabilmente qualcosa che possa esser scomodo per il potere o che non nasca dal potere; 2) distruggendo la famiglia si demolisce  l’ultimo e più forte baluardo che resiste naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce, dando spazio ad una realtà in cui il bene sia l’istinto o il piacere, o meglio ancora il calcolo.

A proposito  dell’identità di genere, il relativismo morale impera: un uomo vuole diventare donna, e viceversa. E quello che è più triste è che sono arrivati a provocare disagio anche nei bambini facendogli sorgere dubbi sulla propria identità sessuale. Vogliono distruggere la purezza dei piccoli. Il gender propagato nelle scuole… i piccoli vengono corrotti  ancor prima che prendano consapevolezza della gravità di certi insegnamenti! Non pensa che sarebbe bene far frequentare ai propri figli per difenderli dal male scuole parentali cristiane?

È un tema molto complesso che non può essere liquidato con una risposta da intervista. Quello che posso dire è che la cosiddetta ideologia gender più che una forma di relativismo morale integra un vero e proprio relativismo materiale. Si nega la realtà. È una sorta di delirio collettivo che rischia di distruggere la società, e certamente svuota la base antropologica della famiglia. La cosa più grave è che spesso si assiste ad un indottrinamento ideologico nelle scuole, partendo proprio dai più piccoli, i soggetti più facilmente plasmabili. Del resto ogni regime totalitario utilizza l’indottrinamento scolastico, e l’attuale dittatura del pensiero unico in cui stiamo vivendo non fa eccezione. Ritengo che l’opzione delle scuole parentali sia da prendere in seria considerazione. Continuo a conoscere esperienze disseminate in tutta Italia, davvero edificanti e che aprono una luce di speranza. Avessi dei figli in età scolare, opterei senza dubbio per questa soluzione rispetto all’alternativa di un campo di rieducazione dove giovani sono costretti all’indottrinamento dell’ideologia woke, del politicamente corretto, della cancel culture, della prospettiva omosessualista.

L’era sessantottina ha portato al caos. Da qui la mancanza di rispetto dei figli nei riguardi dei genitori, degli alunni riguardo gli insegnanti, della moglie rispetto al marito. Questa rivoluzione è stata graduale e lentamente ha provocato un vero disastro, quello che vediamo adesso? Com’era la famiglia  decenni fa e com’è oggi? La donna che responsabilità ha nel degrado morale e spirituale attuale? Il suo lavoro fuori casa le impedisce di avere cura del focolare domestico e di svolgere il ruolo fondamentale che Dio le ha affidato nel far crescere in età e grazia i propri figli e di essere accanto al proprio marito per aiutarlo e sostenerlo: Il Signore disse: «Non è bene che l’uomo sia solo, facciamogli un aiuto simile a lui», Gen 2,18.

Su che cosa abbia significato l’esperienza storica che va sotto il nome di “Sessantotto” e su quali siano stati gli effetti esiziali che ancora oggi perdurano, rinvio all’interessante saggio di un mio carissimo e fraterno amico: Giovanni Formicola. Credo che il suo libro intitolato “Sessantotto Macerie e Speranza” sia uno dei testi più illuminanti ed utili per comprendere in profondità quel fenomeno. Senza dubbio una vera rivoluzione che ha preso di mira anche l’istituto della famiglia quale cellula della società, in un’ottica ideologicamente distruttiva.

Assistiamo anche ad una certa manipolazione linguistica: la contraccezione viene descritta come “controllo del proprio corpo”; l’aborto (uccisione del nascituro) come “interruzione volontaria della gravidanza”; gli assassini degli innocenti sono chiamati “pro-scelta” e gli omosessuali “gay”, ovvero gaudenti. Ne consegue che l’arte, la musica sono state stravolte da cambiamenti culturali, che si allontanano da qualsiasi cosa che assomigli alla moralità cristiana.

Anche il regime totalitario in cui viviamo, come tutti i regimi totalitari che si rispettino, utilizza la manipolazione linguistica. Basta ricordare la celebre “neolingua” ipotizzata dallo scrittore George Orwell nel suo romanzo di fantascienza distopica 1984. Agli esempi che ha fatto Lei potremmo aggiungere anche “maternità di sostegno” per indicare la barbara pratica dell’utero in affitto, o la “procreazione medicalmente assistita” per indicare la procreazione artificiale. Cercano sempre di dare una valenza positiva a cose che, in realtà, sono sempre contro natura e contro l’uomo. Vittime dell’imperante totalitarismo ideologico e culturale in atto certamente anche la Storia, l’Arte, la Musica, basti pensare all’inquietante fenomeno noto come “cancel culture”.

Da cosa nasce la disgregazione familiare a livello giuridico, e la Chiesa cattolica è ancora davvero convinta dell’indissolubilità del matrimonio?

È stato il divorzio a rendere le relazioni umane e la società molto più liquide, e la solubilità del matrimonio ha incrinato la stessa stabilità della convivenza civile. Questo lo si deve onestamente ammettere, prescindendo da qualunque valutazione di carattere religioso, sacramentale, teologico. È possibile, infatti, parlare di matrimonio indissolubile anche da un punto di vista squisitamente laico. Se la famiglia è la cellula della società, uno Stato ha interesse a che la cellula sia solida. Una cellula liquida, infatti, rende liquida tutta la società. Non serve la fede, del resto, per comprendere anche la necessità del matrimonio indissolubile per il destino dei figli, il loro sostentamento e la loro educazione. Come ricordava il grande filosofo francese Gustave Thibon, se prima di sposarsi un individuo è consapevole dell’irrevocabilità del matrimonio, è anche indotto a non avventurarsi alla leggera in quel vicolo cieco che ha il muro di chiusura alle spalle; come il conquistatore che brucia i suoi vascelli per togliersi prima della battaglia ogni possibilità di ritirata, i fidanzati che acconsentono a legarsi l’uno all’altro fino alla morte, si procurano da questa “idea-forza” una garanzia preliminare contro tutti gli eventi del destino che minacceranno il loro amore. Al contrario, la sola idea del divorzio possibile prende dimora tacitamente nel profondo dell’anima, come un verme deposto da una mosca in un frutto in formazione e che ne divorerà un giorno la sostanza. L’esperienza ha più volte dimostrato, infatti, che in alcune circostanze, specie quando si tratta di grandi prove, è sufficiente considerare una cosa come possibile perché essa divenga necessaria. Si tratta di un dato psicologico elementare che da solo basta a sfatare, tra l’altro, il mito del cosiddetto “matrimonio di prova”.

Per questo resto basito quando mi riferiscono che ad alcuni “corsi prematrimoniali” è lo stesso parroco a spiegare ai nubendi, che, in fondo in fondo, se poi le cose vanno male, resta sempre aperta l’opzione del divorzio. Non mi addentro in tutte le polemiche sull’interpretazione dell’enciclica “Amoris Laetitia”, e neppure nella triste vicenda dei legittimi “dubia” sollevati da quattro cardinali della Chiesa cattolica (rimasti peraltro senza risposta), ma credo che l’orientamento attuale della Sacra Rota sia sempre più, diciamo, permissivo. È lo spirito del mondo che aleggia dentro la Chiesa.

Fonte: https://www.lafiaccola.it/wp/famiglia-e-bullismo/

Il diritto (dimenticato dalla combriccola Lgbt) ad avere una mamma e un papà

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Tradotto in spagnolo e pubblicato si Info.Hispania. Ripreso anche da www.2dipicche.news

L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/07/10/il-diritto-dimenticato-dalla-combriccola-lgbt-ad-avere-una-mamma-e-un-papa/

ANCHE VERONA HA VISTO SFILARE IL GAY PRIDE, SINDACO “CATTOLICO” IN TESTA

Anche Verona ha visto sfilare il Gay pride, sindaco “cattolico” in testa. Pochi giorni prima, il primo cittadino aveva ricevuto una delegazione di “famiglie arcobaleno” rassicurandole sul fatto che trascriverà all’anagrafe i loro eventuali figli, frutto di maternità surrogata. Le scene che i media ci hanno fatto vedere fanno chiedere a chiunque se personaggi con parrucche, tacchi a spillo e abiti sadomaso possano essere adeguati a crescere dei bambini…

Per capire se sia giusto o meno dare figli a coppie dello stesso sesso, bisognerebbe mettersi dalla prospettiva del bimbo, titolare di diritti che potrà esercitare anni dopo la sua nascita. La letteratura scientifica, la psicologia e l’antropologia, nonché la pedagogia sono concordi nell’affermare che un bambino ha bisogno di crescere con il sostegno di due figure che siano di sesso diverso e che siano specificatamente mamma e papà.

Da quando esiste l’uomo, è sempre stato così. La natura e la biologia sono evidenti nel merito e, certamente, non si può chiedere a un bimbo di far da cavia per esperimenti differenti. La responsabilità di risultati fallimentari sarebbe enorme perché si rischierebbe di rovinare la vita ad una persona. E’ a partire dalla propria origine che si pongono le basi per costruire bene la propria identità e, per conseguenza impostare un progetto che vada in direzione di una meta ben precisa. Se non si trova risposta alla prima domanda esistenziale “Da dove vengo?” non si potrà dare senso pieno alla propria esistenza.

Il problema delle proprie origini colpisce i bambini adottati e, ancor di più i figli in provetta, come possiamo pensare che i figli di “genitori” dello stesso sesso non l’abbiano e addirittura amplificato?

La costruzione dell’identità, lo sviluppo dell’autostima, la formazione di una personalità equilibrata, la capacità di relazionarci con gli altri sono strettamente collegati alla nostra origine, al nostro essere figli di uno e un solo padre e di una e una sola madre. Per questo la famiglia e l’educazione dei figli non possono nascere solo dall’affetto o essere determinate da un contratto o atto amministrativo…

La nostra identità sessuale si sviluppa sempre a partire da una differenza, attraverso un rapporto con le figure genitoriali. La relazione quasi simbiotica del bambino con la madre che l’ha tenuto in grembo e allattato al seno viene interrotta dalla figura del padre che consente, in questo modo, al figlio di poter auto-costruire la propria soggettività, distinta da quella della madre. Mamma e papà sono quindi figure fondamentali e complementari per lo sviluppo armonico del bambino.

Per la tutela dei minori, c’è da augurarsi che l’utero in affitto diventi presto reato universale.

Il nascituro reificato e la sovversione dell’ordine naturale

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di Matteo Castagna

 

ARIANNA EDITRICE – 26/03/2023

Il nascituro reificato e la sovversione dell’ordine naturale

Fonte: Matteo Castagna

L’utero in affitto deve diventare un reato universale. In Italia è un crimine dal 2004. Pene previste sono la reclusione da 3 mesi a 2 anni, e una multa pesantissima da seicentomila a un milione di euro.
Non esiste il reato di istigazione, che eventualmente potrebbe rientrare nel generico “istigazione a delinquere”, ma nessuno finora l’ha mai applicato ai sinistri individui che lo propugnano pubblicamente, forse per evitare la gogna mediatica “arcobalenga”.
“Il ricorso all’utero in affitto offende contemporaneamente la natura, il buon senso, la saggezza e il diritto” – scrive il noto psichiatra Alessandro Meluzzi nel libro “Attacco alla Famiglia” (Ed. Altaforte, 2020). L’ideologia fuorviante dell’affettività produce una abominevole confusione tra diritto e desiderio. La natura ha stabilito che la famiglia sia formata da un uomo e una donna perché solo la loro unione può determinare la nascita di un figlio. Senza l’ausilio di tecniche mediche, non è possibile concepire per una coppia omosessuale. Questa affermazione non ha alcun intento discriminatorio ma è un dato di fatto, meramente biologico.
La volontà, il capriccio o il desiderio di due uomini o di due donne di comprare un figlio sono ferocemente egoistici e non tengono conto dei diritti del bambino. Se esistesse un po’ di buon senso offenderebbe anche chi lo pratica. Il ricorso alla maternità surrogata può essere pericoloso per la mamma affittata e, ancor di più, per il piccolo innocente. Meluzzi, con saggezza, si chiede quale sarà lo sviluppo psico-affettivo di questi nuovi nati? Se, da un lato è realistico pensare a stigmatizzazione sociale, emarginazione, discriminazione, dall’altro, forse ancora più importante, prevede che “ci sia sicuramente una tendenza all’emulazione dei genitori, perciò la scelta omosessuale sarà quasi obbligata” (Abbie E. Goldberg, assistente universitaria presso il Dipartimento di Psicologia della Clark University di Worcester, nel Massachusetts, Omogenitorialità, Erickson, Trento, 2015). La mercificazione del corpo offende la dignità della donna, nonostante vi siano femministe incallite che lo ritengano addirittura un diritto. E se lo scopo, come suggerisce sempre il Prof. Alessandro Meluzzi, fosse “portare via i figli alle famiglie povere e darli a comunità, case famiglia dove poi vengono erogati fino a 400 euro al giorno per ogni minore, oppure a coppie benestanti, se possibile omogenitoriali”? Questi eventi sono mostruosi e diabolici. Assistiamo ad un cortocircuito letale. La crisi della famiglia genera quella dell’uomo e la crisi delle prospettive dell’umano nei suoi orizzonti genera la crisi della famiglia, con un’identità debole, che tende all’instabilità, alla paura, all’alienazione, alla fluidità.
La Sovversione dell’ordine naturale è sempre graduale nel tempo. Il suo tratto demoniaco, che mira alla disintegrazione dei legami, ci svela come, al contrario, il diritto naturale sia armonioso, stabile, forte, sicuro, realistico, granitico, tradizionale. La teologia Morale ci insegna che per giudicare dell’imputabilità di un dato atto passionale occorre vedere se il suo insorgere sia antecedente o conseguente all’atto di volontà. La patologia derivante da gravi problematiche dovute ad una affettività disordinata va considerata sotto due aspetti differenti: a) la morbosa variazione del tono affettivo; b) l’azione morbosa esercitata dalle emozioni sull’organismo. Il politicamente corretto, che spinge all’edonismo ed alle passioni più sregolate, anche quando si nasconde sotto forma di buonismo, chiama Amore ciò che non può essere altro che attrazione, sentimentalismo, piacere momentaneo e fugace. Amare è volere il bene dell’altro. Come si può amare inducendo l’altro al peccato mortale, quindi all’inimicizia con Dio e le Sue leggi eterne? Oppure provocando possibili ripercussioni gravissime a dei minori?
La scrittrice Susanna Tamaro, nonostante si dicesse favorevole alle adozioni per coppie omosessuali (cfr.Greta Privitera, in Vanity Fair, 17 settembre 2016)  si è così espressa: “L’utero in affitto è forse la più sofisticata e atroce forma di schiavismo inventata dalla modernità, uno schiavismo in cui il volto della iena è nascosto dietro il sorriso del benefattore, uno schiavismo che furbescamente si ammanta dell‘amore’. Un amore che non si riferisce in alcun modo al bene di chi nasce ma soltanto ai desideri dei singoli individui”.
Agghiacciante la testimonianza di Sheela Saravanan dall’India: “Le nostre madri surrogate sono stressate a livello fisico e psichico anche se ricevono soldi; alla base ci sono povertà, analfabetismo, sottomissione. Vivono in stanzoni durante la gestazione e vengono nutrite molto per far crescere il bambino”. Il prezzo del neonato infatti sale con il peso. Il cesareo è obbligatorio. E i disabili, sono un “prodotto difettato”, perciò abortiti o abbandonati in strada. Paradossale l’ipocrisia in Germania: “La Gpa è vietata dentro il Paese ma se vanno a farla all’estero va bene”.

Per approfondire: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-nascituro-reificato-e-la-sovversione-dell-ordine-naturale

Utero in affitto: diritto e amore o crimine e capriccio?

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di Matteo Castagna

 

Buongiorno,

sperando di far cosa gradita, questa settimana inoltro una riflessione ricca di particolari, sulla questione dell’utero in affitto.

Buona lettura.

MC

 

L’EDITORIALE DEL LUNEDÌ

di Matteo Castagna per InFormazione Cattolica:

L’UTERO IN AFFITTO DEVE DIVENTARE UN REATO UNIVERSALE

L’utero in affitto deve diventare un reato universale. In Italia è un crimine dal 2004. Pene previste sono la reclusione da 3 mesi a 2 anni, e una multa pesantissima da seicentomila a un milione di euro.

Non esiste il reato di istigazione, che eventualmente potrebbe rientrare nel generico “istigazione a delinquere”, ma nessuno finora l’ha mai applicato ai sinistri individui che lo propugnano pubblicamente, forse per evitare la gogna mediatica “arcobalenga”.

“Il ricorso all’utero in affitto offende contemporaneamente la natura, il buon senso, la saggezza e il diritto” – scrive il noto psichiatra Alessandro Meluzzi nel libro “Attacco alla Famiglia” (Ed. Altaforte, 2020). L’ideologia fuorviante dell’affettività produce una abominevole confusione tra diritto e desiderio. La natura ha stabilito che la famiglia sia formata da un uomo e una donna perché solo la loro unione può determinare la nascita di un figlio. Senza l’ausilio di tecniche mediche, non è possibile concepire per una coppia omosessuale. Questa affermazione non ha alcun intento discriminatorio ma è un dato di fatto, meramente biologico.

La volontà, il capriccio o il desiderio di due uomini o di due donne di comprare un figlio sono ferocemente egoistici e non tengono conto dei diritti del bambino. Se esistesse un po’ di buon senso offenderebbe anche chi lo pratica. Il ricorso alla maternità surrogata può essere pericoloso per la mamma affittata e, ancor di più, per il piccolo innocente. Meluzzi, con saggezza, si chiede quale sarà lo sviluppo psico-affettivo di questi nuovi nati? Se, da un lato è realistico pensare a stigmatizzazione sociale, emarginazione, discriminazione, dall’altro, forse ancora più importante, prevede che “ci sia sicuramente una tendenza all’emulazione dei genitori, perciò la scelta omosessuale sarà quasi obbligata” (Abbie E. Goldberg, assistente universitaria presso il Dipartimento di Psicologia della Clark University di Worcester, nel Massachusetts, Omogenitorialità, Erickson, Trento, 2015).

La mercificazione del corpo offende la dignità della donna, nonostante vi siano femministe incallite che lo ritengano addirittura un diritto. E se lo scopo, come suggerisce sempre il Prof. Alessandro Meluzzi, fosse “portare via i figli alle famiglie povere e darli a comunità, case famiglia dove poi vengono erogati fino a 400 euro al giorno per ogni minore, oppure a coppie benestanti, se possibile omogenitoriali”?

Questi eventi sono mostruosi e diabolici. Assistiamo ad un cortocircuito letale. La crisi della famiglia genera quella dell’uomo e la crisi delle prospettive dell’umano nei suoi orizzonti genera la crisi della famiglia, con un’identità debole, che tende all’instabilità, alla paura, all’alienazione, alla fluidità.

La Sovversione dell’ordine naturale è sempre graduale nel tempo. Il suo tratto demoniaco, che mira alla disintegrazione dei legami, ci svela come, al contrario, il diritto naturale sia armonioso, stabile, forte, sicuro, realistico, granitico, tradizionale.

La teologia Morale ci insegna che per giudicare dell’imputabilità di un dato atto passionale occorre vedere se il suo insorgere sia antecedente o conseguente all’atto di volontà. La patologia derivante da gravi problematiche dovute ad una affettività disordinata va considerata sotto due aspetti differenti: a) la morbosa variazione del tono affettivo; b) l’azione morbosa esercitata dalle emozioni sull’organismo. Il politicamente corretto, che spinge all’edonismo ed alle passioni più sregolate, anche quando si nasconde sotto forma di buonismo, chiama Amore ciò che non può essere altro che attrazione, sentimentalismo, piacere momentaneo e fugace. Amare è volere il bene dell’altro. Come si può amare inducendo l’altro al peccato mortale, quindi all’inimicizia con Dio e le Sue leggi eterne? Oppure provocando possibili ripercussioni gravissime a dei minori?

La scrittrice Susanna Tamaro, nonostante si dicesse favorevole alle adozioni per coppie omosessuali (cfr.Greta Privitera, in Vanity Fair, 17 settembre 2016)  si è così espressa: “L’utero in affitto è forse la più sofisticata e atroce forma di schiavismo inventata dalla modernità, uno schiavismo in cui il volto della iena è nascosto dietro il sorriso del benefattore, uno schiavismo che furbescamente si ammanta dell‘amore’. Un amore che non si riferisce in alcun modo al bene di chi nasce ma soltanto ai desideri dei singoli individui”.

Agghiacciante la testimonianza di Sheela Saravanan dall’India: “Le nostre madri surrogate sono stressate a livello fisico e psichico anche se ricevono soldi; alla base ci sono povertà, analfabetismo, sottomissione. Vivono in stanzoni durante la gestazione e vengono nutrite molto per far crescere il bambino”. Il prezzo del neonato infatti sale con il peso. Il cesareo è obbligatorio. E i disabili, sono un “prodotto difettato”, perciò abortiti o abbandonati in strada. Paradossale l’ipocrisia in Germania: “La Gpa è vietata dentro il Paese ma se vanno a farla all’estero va bene”.

 

Per approfondire: https://www.informazionecattolica.it/2023/03/27/utero-in-affitto-diritto-e-amore-o-crimine-e-capriccio/

Dopo il Cremona Pride, il Bergamo Pride. La kermesse arcobaleno continua

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Dopo la pioggia di critiche ricevute al Cremona Pride per l’immagine blasfema e la parzialissima retromarcia, cui di conseguenza sono state costrette le istituzioni locali, a Bergamo, dove sabato scorso è stato rimesso in scena un analogo corteo variopinto, ci sono andati più cauti, limitandosi ad un opinabilissimo Francesco versione Lgbt in vena di selfie, ad un angelo caduto con alucce arcobaleno e ad uno stuolo di bambini “arruolati” per la circostanza. Il che non ha reso l’evento meno critico per i cattolici, restando intrinsecamente inaccettabile a norma del Catechismo, numero 2357. Il che andrebbe ricordato a quei vescovi, a quei sindaci (specie se cattolici…) ed a quelle amministrazioni provinciali, che sostengono implicitamente tali manifestazioni, limitandosi a biasimarne gli eccessi.

Né tutto questo ha reso meno problematico l’evento, sia pure per altri motivi. L’11 giugno era giorno di silenzio pre-elettorale tanto a Bergamo quanto a Roma ed a Genova, dove contemporaneamente si sono svolti cortei-arcobaleno analoghi. Questo non ha impedito tuttavia ad esponenti politici con i loro simboli e le loro bandiere di tener pubblici comizi, col pretesto del Gay Pride locale, peraltro promosso ufficialmente, con tanto di patrocinio di Comune e Provincia, da partiti e sigle come Rifondazione Comunista, Giovani Comunisti Bergamo, Giovani Democratici Bergamo, Partito Socialista Italiano, Patto per Bergamo, Sinistra Classe Rivoluzione Bergamo, Sinistra Italiana Bergamo e Cgil. Una violazione delle regole (valide per tutti, evidentemente, meno che per gli Lgbtqia+,…), giudicata «inaccettabile» dal consigliere comunale Filippo Bianchi di Fratelli d’Italia, che ha biasimato come «inopportuna, scorretta e censurabile» la partecipazione alla pubblica manifestazione di un assessore comunale, Marzia Marchesi, e di un consigliere provinciale, Romina Russo, entrambe del Pd, «addirittura tenendo comizi pubblici», come evidenziato in un’interpellanza a risposta scritta, inviata da Bianchi al presidente del consiglio comunale di Bergamo in data 10 giugno, alla vigilia della singolare kermesse arcobaleno, dove è stata notata dai media anche la presenza dell’on. Elena Carnevali, sempre del Pd, del segretario provinciale del Pd, Davide Casati, e del consigliere regionale dei Cinquestelle, Dario Violi.

Alla fine, la kermesse arcobaleno si è rivelata un mega-spot per le Sinistre proprio nel giorno di silenzio pre-elettorale: all’indomani 832 mila bergamaschi avrebbero votato in 17 Comuni. Possibile che nessuno abbia avuto, né abbia tardivamente niente da dire? Possibile che i “soliti noti” possano serenamente infischiarsene del rispetto delle leggi, così rigidamente applicate al popolo? Davvero in Italia la legge per taluni è più uguale che per altri? Non solo. Questa edizione del Bergamo Pride sin dal titolo, «Mille e una lotta», si è rivelata più militante di altre. A beneficio di quanti non se ne fossero avveduti, va specificato come non si sia trattato del solito corteo contro le discriminazioni; il significato dell’iniziativa, visceralmente politico, è andato ben oltre, non solo dando voce al Black Lives Matter di Bergamo. Ha invocato anche la «carriera alias» per gli studenti trans richiedenti, affinché a scuola vengano “riconosciuti” in un genere diverso da quello biologico; ha invocato l’equiparazione delle “nozze”-gay al matrimonio vero e proprio con tutto quanto ne consegue; soprattutto ha invocato l’antispecismo, per il quale tutte le specie viventi avrebbero il medesimo valore e lo stesso status morale, per cui si giungerebbe facilmente all’assurdo, che attribuisce ad una rana più diritti che ad un embrione umano, cui sempre le Sinistre vorrebbero viceversa togliere qualsiasi valore, qualsiasi status, qualsiasi tutela, per giustificare l’aborto, anche in fase avanzata di gestazione. Si noti, per inciso, come da una costola dell’antispecismo si sia generato anche l’altro mostro contemporaneo ovvero il transumanesimo. Sotto la bandiera arcobaleno, insomma, zitti zitti quatti quatti gli organizzatori hanno mosso pretese molto al di là della semplice lotta alle discriminazioni di qualunque tipo, pretese molto più spinte in senso politico e molto meno accettate, meno condivise, meno popolari forse anche tra i loro amici Lgbtqia+. Ma quanti se ne sono accorti? Quanti ne sono stati davvero coscienti tra coloro che hanno sfilato in corteo?

Cercasi disperatamente uteri in affitto (sic!)

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

di Raffaella Frullone
Il New York Times piagnucola il calo di donne americane disposte a vendere il proprio corpo a causa del vaccino anti Covid… e non si può più ricorrere nemmeno all’Ucraina

Cercasi disperatamente surrogate. Il titolo campeggiava qualche giorno fa nientepopodimeno che sulla home page del New York Times. Il lungo articolo parte raccontando la storia di Charlie «e suo marito» che stanno aspettando da 15 mesi la loro “surrogata” quando l’agenzia con cui hanno siglato il contratto aveva parlato di «una attesa di sei mesi al massimo». Un disservizio non da poco… I due uomini hanno già effettuato l’inseminazione artificiale attraverso gli ovuli di una donna cosiddetta donatrice (in realtà pagata per questo “servizio”) ed erano alla ricerca di una donna che si fosse resa disponibile per la gestazione, una surrogata appunto. E siccome non la trovano, scrive il New York Times, sono disposti ad alzare la posta in gioco, 50mila dollari al posto di 35mila, più extra per i vestiti, gli spostamenti e altre amenità. Chi offre di più?
Secondo il quotidiano americano nella stessa “situazione” ci sarebbero «migliaia di aspiranti genitori» negli ultimi anni a causa della pandemia, si è registrata una diminuzione di circa il 60% delle potenziali “madri surrogate”, i tempi di attesa sono raddoppiati e i costi sono aumentati sensibilmente. Ogni tanto una bella notizia, verrebbe da dire.
Tra le motivazioni di questo calo, rileva il Nyt c’è il vaccino anti Covid. Nel contratto che le parti in causa firmano – i committenti che richiedono il bambino e la mamma gestante che porta avanti la gravidanza – ci sono sempre state molte limitazioni della libertà della donna stessa, che per contratto è tenuta ad osservare una determinata dieta, stile di vita ecc. Ora però il contratto prevede la vaccinazione anti Covid che molte potenziali surrogate non sono disposte a fare. Non solo. Nei contratti viene ora richiesto di non viaggiare oppure di partecipare, per tutta la durata della gravidanza, a grandi eventi o raduni pubblici, scenario che, dopo due anni di lockdown, ha evidentemente scoraggiato anche chi ha molto bisogno di soldi. Inoltre pare che il periodo della pandemia abbia portato molte donne a ridefinire le priorità e molte scelgono di non mettersi più a disposizione per questa pratica.
Il Nyt riporta con rammarico che le coppie di “aspiranti genitori” sono così sfortunate da non poter contare su quella che è sempre stata la più economica opzione B, ovvero l’Ucraina, a causa del conflitto in corso. Un bel problema, le americane non sembrano più così disposte a farsi schiavizzare e nemmeno in Ucraina si può più rimediare. E dunque le agenzie corrono ai ripari, spingendo più sul marketing, aumentando compensi, offrendo premi extra a chi si vaccina, insomma ricchi premi e cotillons.
Sempre utile poi è raccontare le storie “positive”. Come quella di Amir «e suo marito», che sono al terzo bambino commissionato ottenuto tramite utero in affitto.
Scrive sempre il Nyt: «Hanno pagato circa $ 200.000 in totale per la loro prima maternità surrogata nel 2017: $ 35.000 per le spese di screening delle donatori di ovociti, una donazione di ovociti, l’assicurazione per la donazione di ovociti, la quota dell’agenzia di donazione, le spese di viaggio e le spese legali; $ 35.000 per la fecondazione in vitro, che includeva il recupero degli ovuli, la creazione degli embrioni e il trasferimento dell’embrione; e più di $ 120.000 per il processo di maternità surrogata, che includeva un compenso di $ 35.000 per la surrogata, più le spese di agenzia surrogata, l’assicurazione per la surrogata, le spese legali, lo screening, le spese di viaggio e altre varie. La seconda volta, a settembre 2020, hanno pagato $ 150.000, utilizzando un’agenzia diversa».
Nessuno pensa minimamente ai bambini, o anche “solo” alle donne utilizzate come forni. L’importante è risolvere il problema della carenza di prodotto sul mercato. È l’Occidente, bellezza.

Nota di BastaBugie:
 l’autrice del precedente articolo, Raffaella Frullone, nell’articolo seguente dal titolo “8 marzo per le donne ucraine, ma non si parla di utero in affitto” parla della situazione delle donne in ucraina e dei loro bambini.
Ecco l’articolo completo pubblicato sul Sito del Timone il 9 marzo 2022:

E così anche questo 8 marzo è passato, con il suo carico di retorica, finte rivendicazioni, strumentalizzazioni e pseudo battaglie fuori tempo massimo. Il tutto condito da mazzi di mimose ovunque. […] La variante sul tema, quest’anno, ça va sans dire, era l’Ucraina, e dunque già il giorno precedente il Ministro per le Pari opportunità Elena Bonetti ci aveva tenuto a specificare che questo 8 marzo sarebbe stato per loro, «per le donne ucraine».
E infatti ieri nel suo discorso al Quirinale ha affermato: «L’8 marzo nasce come universo di storie e lo è anche oggi: un popolo di volti e di nomi. […] Oggi, quelli delle nostre sorelle ucraine, così coraggiose, cui voglio dire: noi siamo con voi, al fianco della vostra storia e delle vostre storie. Sono le nostre storie che ci fanno rinascere quando siamo laceri, feriti, persino distrutti. Storie che, ogni giorno a rischio della propria vita, le donne raccontano da giornaliste o soccorrono da volontarie o proteggono al servizio dello Stato. Tutti questi volti, li portiamo nel cuore».
Chissà se tra le donne ucraine a cui il ministro pensa in questo 8 marzo ci sono anche le cosiddette madri surrogate, ovvero quelle migliaia di donne ucraine che ogni anno vengono sfruttate per portare avanti su commissione gravidanze per cittadini stranieri, prevalentemente occidentali, ma non solo, a cui cedono il bambino dietro compenso di denaro.
Sì perché l’Ucraina – in pochi lo stanno ricordando in questi giorni – è un hub internazionale dell’utero in affitto, uno dei pochi Paesi al mondo che consente agli stranieri di stipulare veri e propri contratti per “ottenere” un figlio da una gestante. Ciò significa che persone provenienti da Stati Uniti, Germania o Australia, ma anche dall’Italia, possono semplicemente andare e acquistare un bambino. E se i termini vi sembrano eccessivi beh, basta andare a vedere direttamente come vengono presentati questi “servizi” dalle agenzie per la cosiddetta surrogacy che si trovano prevalentemente a Kiev, la più nota delle quali è la Biotex di cui abbiamo parlato diverse volte. In Ucraina i prezzi sono più convenienti della scintillante California, dove l’operazione “bambino in mano” può arrivare a costare oltre i centocinquantamila euro, le donne ucraine sono pagate molto meno dalle loro “colleghe” californiane e quindi il prezzo scende di molto. Ce la si può cavare con circa quarantamila euro, a seconda del “pacchetto” scelto.
Eccolo un simbolo dell’occidentalizzazione ucraina, piccolo ma significativo. La reificazione dei bambini che diventano merce e lo sfruttamento delle donne ridotte ad apparati riproduttivi per altri. Il tutto per guadagnare qualche migliaia di euro insieme all’illusione – che poi verrà tradita – di una vita migliore. Che ne è di loro in queste ore? Che ne è del “corpo è mio è lo gestisco io” quando tu, il corpo, la donna, vorresti fuggire da un Paese sotto attacco ma un contratto che hai firmato come “surrogata” ti vincola a un altro corpo, quello che porti in grembo, e a restare in un determinato posto? E quando questo posto magari è un bunker anti missile nel quale sei costretta a rifugiarti e quindi ad allontanarti dalla tua famiglia che non si sa quando e se rivedrai. Che ne è di queste donne? E degli embrioni occidentali congelati in attesa di impianto, piccole vite dimenticate, che ne sarà? Nessuno se lo chiede, nemmeno quell’Occidente che pure a parole dice di aver a cuore le donne ucraine.
Anche la Russia, oggi vista come contraltare all’Ucraina, non è stata risparmiata dalla penetrazione di questo business disumano. Anche lì l’utero in affitto è stato legalizzato, per giunta da tempo, nel 1993, con Eltsin, ai tempi del far west delle liberalizzazioni. Businnes is businnes. E oggi a Mosca ci sono agenzie che realizzano la maternità surrogata – seppur con limitazioni – da oltre vent’anni. Perché il mondo non è diviso in blocchi monolitici, il male è trasversale, la realtà è molto più complessa di come ce la presentano. E non esiste l’Impero del bene, non su questa terra, si intende.

Titolo originale: L’America piagnucola: Cercasi disperatamente surrogate
Fonte: Sito del Timone, 6 aprile 2022

A Torino nasce la scuola di drag queen per bambini

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

E intanto Tiziano Ferro annuncia trionfale insieme al compagno di aver avuto un bambino con l’utero in affitto e paradossalmente chiede il rispetto della loro privacy pur avendola infranta lui per primo
di Luca Marcolivio

Con la complicità dei media patinati e non, da La Stampa a Repubblica, fino a Elle, le “scuole” per drag queen sono una realtà che definire assurda e choccante è forse poco.
«L’idea è nata per gioco (gioco??? ndr), soprattutto su richiesta di alcune donne che volevano migliorare il proprio portamento e imparare a camminare con i tacchi», spiega a Repubblica Dario Bellotti, in arte Barbie Bubu, attore e trasformista, che si esibisce come drag queen da 21 anni, fondatore dell’Art Studio Drag Queen. Al “corso”, infatti, partecipano sia uomini che donne.
Tanto per cambiare l’impostazione dell’iniziativa è all’insegna del gender fluid più spinto. Sembra quasi che più le idee sono confuse, meglio è: «La drag queen non è per forza omosessuale può essere anche una donna, si chiama bio queen», spiega ancora Bellotti, in un video postato sulla pagina Facebook de La Stampa. Non può mancare il riferimento alle lotte per i «diritti omosessuali» che le drag queen incarnano. «In vent’anni è cambiato tutto», aggiunge l’artista, «abbiamo tolto parecchi blocchi, ci sono meno pregiudizi. Le persone hanno capito che essere drag queen non significa essere volgari o vendere sesso, ma semplicemente divertirsi».
Intanto Bellotti gongola per l'”evoluzione” che questi personaggi hanno conosciuto negli ultimi anni: se prima erano quelle che portavano «folclore» alle manifestazioni, oggi «le abbiamo portate nei teatri».
Giancarlo, un allievo (peraltro non giovanissimo) della scuola per drag queen non riesce a contenere tutto il suo entusiasmo: «Cosa mi affascina? Il fatto di essere qualcosa che nella vita forse non potrò mai essere. La drag queen invece è proprio diva per definizione». La scuola per drag queen, a suo dire, aiuterebbe a «superare i limiti che uno ha» e a vincere i «tanti pregiudizi» e «preconcetti che uno ha in testa».
Sul fenomeno, già di suo, ci sarebbe molto da discutere anche se coinvolgesse soltanto adulti. Invece, dai servizi che stanno girando in queste settimane, emerge che a frequentare i corsi per drag queen a Torino sono anche tanti minori. Non solo adolescenti, anche bambini. Alessandro (nome di fantasia, mentre sui social viene usato il suo nome vero ma noi preferiamo evitare) ad esempio, ha intorno ai 9-10 anni e il suo sogno è «essere Elektra Bionic perché innanzitutto è bellissima». La mamma è totalmente dalla sua parte, al punto che, afferma, «per me vederlo felice è la cosa che mi riempie». Tutti i «sacrifici» che una madre può fare per il figlio «svaniscono perché so che lui è contento, è felice e va bene così».
Il giornalista non manca poi di fare la domanda capziosa: «C’è molta discriminazione su queste tematiche… avete per caso subito qualche attacco?». La mamma di Alessandro risponde affermativamente: «Purtroppo sì, la discriminazione c’è, quello che mi fa più male è che parta dalle famiglie… una persona adulta che lo insegna a un bambino». Al figlio dice sempre di «non attaccare» ma di «difendersi».
L’interrogativo più importante, tuttavia, è: che bene può fare (noi crediamo l’esatto opposto) alla crescita di un bambino essere portato ad una scuola di drag queen? È la domanda che anche noi di Pro Vita & Famiglia, con rispetto, rivolgiamo al signor Bellotti, alla mamma di Alessio e al giornalista che l’ha intervistata.

Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell’articolo seguente dal titolo “Tiziano Ferro, quante stecche oltre lo zucchero filato” parla dell’annuncio della “paternità” del cantante che non rivela come ha avuto i due bambini per non creare polemiche sul tema utero in affitto e chiede il rispetto della loro privacy infrangendolo lui per primo.
Ecco l’articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 2 marzo 2022:

Post su Instagram di Tiziano Ferro: “Sono diventato papà, e voglio presentarvi queste due meraviglie di 9 e 4 mesi. Margherita e Andres”. A corredo del post una foto in cui il cantante abbraccia i due bambini e dietro lui Victor Allen, l’uomo che Ferro ha “sposato” negli Usa.
Il post, dopo qualche pensierino sulla paternità al sapore di zucchero filato, così continua: “Comprendiamo e accettiamo la curiosità che regna intorno a noi, ma vi chiediamo di rispettare la riservatezza di Margherita e di Andres. Ci prenderemo cura dei nostri figli proteggendoli e custodendone l’intimità meglio che potremo. Saranno solo e soltanto loro a decidere ‘quando’ – e soprattutto ‘se’ – condividere il racconto della loro vita, è giusto che lo conoscano prima del resto del mondo. E’ un diritto insindacabile”.
Qualche pensierino nostro, però, purtroppo, non al gusto di zucchero filato. Ferro non rivela come ha avuto questi due bambini. Due sono le ipotesi, escludendo un incontro amoroso del nostro con una donna: l’adozione e la pratica dell’utero in affitto. La maggior parte dei media parla di adozione, ma non ne abbiamo le prove. Come ha fatto notare acutamente la giornalista di Repubblica Elena Stancanelli, se Ferro avesse adottato i due pargoli lo avrebbe detto. Infatti il cantante da anni adotta cani e non ne ha mai fatto mistero, anzi. Il fatto che invece sia omertoso sul come i due bebè siano entrati in casa Ferro puzza di bruciato. Si potrebbe quindi ipotizzare che il cantante abbia preferito non rivelare che i due bambini provengono dall’utero affittato di una donna dato che la pratica qui da noi è vietata (ma se la pratichi all’estero nulla quaestio). Insomma un silenzio voluto per non creare polemiche e per non incrinare l’immagine patinata in bianco e nero di lui che stringe a sé i due marmocchi.
Seconda riflessione che già alcuni tabloid hanno fatto. Il post su Instagram di Ferro è un vero e proprio ossimoro, una contraddizione in termini: mostra i due bambini sui social e nello stesso tempo chiede di rispettarne la privacy, già violata con questo primo scatto. E’ come appiccare un incendio in un bosco e sperare che non divampi. E’ come dare un sorso d’acqua all’assetato ed esigere da lui che non chieda altra acqua. Se si voleva davvero proteggere la vita privata dei due bambini, non sarebbe stato più semplice, sin dall’inizio, non dire nulla su di loro, non postare nemmeno una foto? Se si afferma che saranno loro a decidere se divulgare i fatti della loro vita privata perché allora non si è rispettato questo principio sin da subito?
Ma – e qui sta il punto fondamentale di tutta questa vicenda – se davvero si avesse avuto a cuore il bene di questi bambini in primis non si doveva chiamarli ad esistenza tramite fecondazione artificiale eterologa e poi tramite utero in affitto (se realmente si è fatto ricorso a queste pratiche) e in secondo luogo, sia nel caso fossero nati in modo naturale sia nel caso opposto, i due bambini, a proposito di diritti insindacabili come dice Ferro, hanno il diritto nativo di essere educati dai propri genitori o, se questi fossero ritenuti non idonei alla loro educazione, hanno il diritto di essere cresciuti da un uomo e da una donna (in merito ai danni sui minori provocati da un’educazione priva della figura materna o paterna ci permettiamo di rimandare ad un lungo elenco di studi scientifici contenuti in T. Scandroglio, Dizionario elementare dei luoghi comuni – voce Figli di coppie gay? L’importante è l’amore, IdA, Milano).
Quante stecche per un cantante.

Titolo originale: Torino choc. Scuola drag queen per bambini
Fonte: Provita & Famiglia, 14 marzo 2022

La guerra e gli uteri in affitto in Ucraina

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

Un mercato senza legge, madri invisibili usa e getta, coppie benestanti accecate dal proprio interesse (leggi la clamorosa storia di una coppia americana che prende la bambina che aveva ordinato e scappa dalla guerra)
di Caterina Giojelli

«Oh mio Dio, ce l’abbiamo fatta». Emozionati, Jacob e Jessie Boeckmann sorridono a telecamere e obiettivi, tutti, dalla Cnn al Los Angeles Times, vogliono intervistarli con il loro prezioso fagotto in braccio: Vivian, venuta alla luce quattro giorni prima che cadessero le bombe su Kiev.
La coppia americana racconta di non aver perso un secondo: svegliati dalle esplosioni, sfidando l’ospedale che non voleva firmare loro le dimissioni della piccola che aveva avuto qualche problema a prendere il latte, hanno caricato la bambina in macchina, viaggiato per 27 ore fino al confine con la Polonia, percorso le ultime otto miglia a piedi sotto la neve tra le auto bloccate in coda. Fino alla frontiera, dove grazie all’intervento telefonico dell’ambasciata americana i due si sono lasciati alle spalle migliaia di donne e bambini premuti sui cancelli chiusi.
I due ricordano quella marcia terribile, la morsa del gelo, il terrore che Vivian morisse, le suppliche alle guardie perché Jacob che era stato trattenuto (nessun uomo tra i 18 e i 60 può lasciare il paese) potesse allungare la borsa dei biberon a Jessie, già sul suolo polacco, gli sguardi di “disapprovazione” delle profughe anziane e l’arrivo alla stazione, «è stato uno spettacolo molto triste vedere così tante donne e bambini separate dai loro padri, dai loro mariti e dai loro fratelli».

MIGLIAIA DI MADRI INVISIBILI
Già, il dramma della separazione. A questo proposito qualche giornalista a fine servizio chiede molto discretamente come sta la madre della bambina. Che domanda impertinente da rivolgere a due che hanno rischiato la vita per prelevare la seconda figlia commissionata, come la prima, a una surrogata ucraina, una donna che non aveva consegnato la figlia alla presunta data del parto, quella del giorno di San Valentino. I medici avevano spiegato ai genitori intenzionali che la bambina aveva bisogno di “più tempo” in pancia, e si erano assolutamente rifiutati di indurre il parto come supplicato da Jacob e Jessie affinché la bambina nascesse il prima possibile e i tre potessero lasciare quel posto in cui la guerra era imminente.
Finalmente Lilya, la loro surrogata, aveva “consegnato” Vivian: non c’era il foglio di dimissioni ma il certificato di nascita sì, tanto era bastato per permettere alla coppia di lasciare immediatamente l’Ucraina. Quanto a Lilya, «è al sicuro, a casa, con i suoi due figli e il marito che però vuole andare a combattere contro i russi», tagliano corto gli americani. Il suo ultimo messaggio risale a lunedì, «ci hanno sparato addosso violentemente. Abbiamo costantemente paura», si legge nel testo, «Abbiamo paura di quello che accadrà dopo».
Lilya è una madre invisibile. Peggio, una donna a cui non è riconosciuto nemmeno lo status di mamma o la tristezza di una separazione. Vista da Jacob e Jessie non sarà mai come quelle madri strappate ai loro mariti, o padri strappati ai loro figli dalla guerra alla frontiera. Perché Lilya è stata pagata, il suo utero è stato affittato. A dirla tutta, nella storia di Jacob e Jessie, Lilya non è che una intrusa. Come lo sono le centinaia di surrogate di cui diamo per scontata l’esistenza e di cui non vogliamo sapere nulla, perché guasterebbero la crosta del sentimento con il quale, dal Regno Unito alla Francia, dall’Irlanda agli Stati Uniti, cercano di venderci i racconti di chi «ce l’ha fatta», «siamo tornati con nostra figlia».
La quantità di genitori intenzionali in fuga dall’Ucraina con i neonati acquistati, pronti a raccontare alla stampa e alla tv il loro avventuroso viaggio per mettersi in salvo dalla guerra, deve tuttavia avere costretto i giornali a riflettere sulla portata del business alimentato da oltre 33 cliniche private e 5 cliniche statali. «Non si sa quanti bambini nascano in Ucraina attraverso la maternità surrogata, forse 2.500 all’anno – scrive l’Atlantic -. BioTexCom, una grande clinica per la fertilità con sede a Kiev, mi ha confermato che nei prossimi tre mesi nasceranno circa 200 bambini surrogati».

IL CIECO EGOISMO DEGLI AFFITTAUTERI
Già, la BioTexCom, quella del “Make Babies, not War” di cui Tempi ha già scritto, che orgogliosa girava filmati per i suoi clienti dal bunker antiatomico costruito vicino alla clinica dove «i vostri neonati saranno al sicuro». Nei giorni scorsi sui social del colosso della surrogata si leggevano messaggi perentori ai genitori intenzionali tedeschi in procinto di raggiungere l’Ucraina per mettere in salvo i loro preziosi embrioni e i feti che crescevano nelle pance delle donne contrattualizzate: «Molti genitori stanno esprimendo il desiderio di portare urgentemente le loro madri surrogate al confine e fare partorire il loro bambino all’estero. Ma vi avvisiamo! Dare alla luce il bambino al di fuori dell’Ucraina non è legale e avrà conseguenze legali: la surrogata sarà considerata sua madre e il tentativo di far nascere il bambino sarà considerato traffico di minori, non sarete mai i genitori del vostro bambino», scrive il personale della clinica. I procacciatori di uteri schiaffeggiati dalla guerra schiaffeggiano i clienti: sotto il cotone idrofilo usato per ammantare l’operazione, la madre di un figlio comprato resta colei che l’ha partorito.
Quanto alle surrogate, prima che le cose precipitassero la Delivering Dreams aveva deciso di trasferirle a Leopoli, e loro avevano obbedito, «ci mancano i nostri bambini, spero che torneremo a Kiev il prima possibile», messaggiavano alla giornalista dell’Atlantic. Sappiamo tutti cosa è successo dopo a Kiev.
È successo anche che una guerra mostruosa abbia sventrato la crosta di una industria avida di denaro e alimentata dall’avidità di occidentali che non sanno vedere al di là del proprio desiderio personale, «non una parola, non una sentenza per queste “madri surrogate” la cui temporanea sopravvivenza è solo sperata perché consegnino la merce ordinata, e che possano poi tornare al loro destino, ancora più tragico di quello dell’indigenza finanziaria che le ha spinte a portare un figlio per altri al fine di nutrire il proprio». Lo ha scritto magnificamente Céline Revel-Dumas sul Figaro.
Per l’autrice di Gpa. Le Grand Bluff è una indecenza che mentre arrivano le immagini feroci di morte e terrore dall’Ucraina, le committenti francesi lancino appelli in tv perché il governo si dia una mossa a rimpatriarle quanto prima con «il loro bambino» rivolgendo un pensiero ai genitori meno fortunati che non potranno «recuperarlo» in questi giorni. «La copertura mediatica delle coppie che ricorrono alla maternità surrogata in Ucraina mentre la guerra scoppia con una violenza senza precedenti è rivelatrice. La meccanica di fondo della maternità surrogata, di un cinismo implacabile, appare ora in piena luce: rivela un mercato senza fede né legge, donne ridotte in schiavitù e poi gettate via, coppie benestanti ossessionate dai propri interessi e media che riescono, nella tragica attualità, a vendere un programma politico, rinunciando a ogni etica. Tale è la morale della guerra: distruggi l’illusione, rivela l’orrore, scegli una pace razionale. C’è anche altro da sperare, una pace del ventre».

Nota di BastaBugie: dall’indipendenza dall’Unione Sovietica ad oggi in Ucraina sono stati uccisi 55 milioni di bambini con l’aborto. Ma di questo nessuno parla e a nessuno interessa in Occidente.
Inoltre l’Ucraina è leader della pratica dell’utero in affitto: clicca sul link per leggere i seguenti articoli.

IL TERRIFICANTE VIDEO DEI BIMBI NATI DA UTERO IN AFFITTO BLOCCATI IN UCRAINA DAL CORONAVIRUS
La straziante storia dei 46 neonati piangenti che attendono di essere ritirati da chi li ha ordinati e pagati in internet
di Costanza Miriano
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6125

LA SQUALLIDA CERIMONIA DELLA CONSEGNA DEI BIMBI NATI DA UTERO IN AFFITTO BLOCCATI IN UCRAINA DAL CORONAVIRUS
Lo straziante epilogo della storia dei neonati che a causa del lockdown attendevano di essere ritirati da chi li aveva ordinati e pagati in internet (VIDEO: i bambini prodotti in Ucraina)
di Caterina Giojelli
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DOSSIER “GUERRA RUSSIA-UCRAINA”
L’offensiva di Putin nel 2022

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Titolo originale: La surrogata è al sicuro. L’implacabile cinismo degli affittauteri in Ucraina
Fonte: Tempi, 7 marzo 2022

Il Vaccino al Virus contemporaneo

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di Matteo Castagna (pubblicato su “Il Corriere delle Regioni” del 26/02/2021)

Ci sono profonde ragioni di carattere razionale, logico, giuridico, medico, filosofico, culturale, etico, sociale per combattere l’aborto e la perniciosa semplificazione ideologica che lo difende. Unendo le forze nella buona battaglia è possibile far vincere la verità.

Il Consiglio regionale lombardo ha bocciato la proposta di legge di iniziativa popolare n.76 denominata “Aborto al Sicuro” promossa da esponenti del Partito Democratico e del Movimento Cinque Stelle. Con il supporto dell’Avv. Gianfranco Amato e grazie alla determinazione del Presidente della III Commissione Sanità dott. Emanuele Monti, il Consiglio regionale ha rispedito al mittente la proposta che mirava, di fatto, ad attaccare il diritto dei medici di esercitare l’obiezione di coscienza e a diffondere i mezzi contraccettivi a tappeto, anche mediante un impianto sottocutaneo (LARC) che potesse garantire la sterilizzazione.

Nel frattempo, il tribunale di S. Maria di Capua a Vetere ha stabilito che gli embrioni creati e crioconservati da una coppia, che nel frattempo si è separata potranno essere impiantati alla donna anche contro la volontà dell’ex partner. Si tratta del riconoscimento di un diritto assoluto della donna di utilizzare gli embrioni creati con il coniuge e poi surgelati. Peccato che, però, un bimbo non sia un “bastoncino findus” ma un essere umano, per quanto in crescita…e neppure una proprietà privata della donna, come vorrebbero vecchi slogan del femminismo militante. Sarà argomento che dovrà far discutere perché crea un precedente pericoloso evidente.

Ci si chiederà il motivo di tanto fermento bioetico, soprattutto nell’ultimo decennio. Possiamo dire che l’uomo contemporaneo soffre di alcuni mali che vengono chiamati beni dal mainstream dominante, a tutti i livelli e in tutti i consessi. Platone sosteneva che “estirpare solo gli effetti del male e non la causa è poca cosa”, soprattutto se il male è letale perché mette in discussione la sacralità e la dignità della Vita. Si dirà, giustamente, che il male è in stato così avanzato, che è come una metastasi diffusa in tutto il corpo sociale. Se “nihil difficile volenti”, allora dobbiamo lavorare, prima fornendo degli antidolorifici, per arrivare alla cura. Il nichilismo filosofico, che vuole distruggere la conoscenza razionale umana (nichilismo gnoseologico), la morale naturale e divina oggettiva (nichilismo etico) e l’essere per partecipazione in quanto rimanda a Quello per essenza (nichilismo metafisico), tende a trasformare l’uomo in una larva o in una “pecora matta” dantesca, che galleggia sul nulla per esserne ben presto ingoiato. L’oggi è caratterizzato da un grande vuoto di concetti, di principi, di valori, di ragionamenti e di retto discernimento, tanto che la Sovversione dell’ordine naturale, quindi divino, è il nuovo ordine mondiale. La cultura del nulla giunge a considerare la verità, il bene, il bello, l’identità, la tradizione, come mali o bugie da distruggere. La nostra società rigetta santità ed eroismo, onore e fortezza, giustizia e temperanza, educazione e primato dell’essere per il suo Vitello d’Oro fatto di edonismo e benessere materiale, narcisismo, egoismo e vacuità, sciocchezze e vanità. L’uomo odierno è molle, apatico, privo di certezze e rifiuta la verità perché la teme. Tutto va nelle opinioni, nel dialogo e ciascuno dice la sua, tutti sono “tuttologi” ma in realtà sono solo estensori del nulla, nella totale indifferenza religiosa.

Il nichilismo è il virus per il quale esiste un vaccino gratis e dalle dosi infinite che rimangono in freezer a grandi quantità. Esso viene sublimato da S. Tommaso d’Aquino nella metafisica dell’essere come atto ultimo di ogni sostanza, elevando e correggendo (ove necessario) il concetto di “partecipazione” di Platone e quello di “essenza” di Aristotele. Il vaccino della ragionevolezza dell’uomo, che è dotato di intelletto e volontà, porta a un Fine ultimo, il quale è il sommo Vero e Bene, da riscoprire, conoscere e, quindi amare. Pertanto, se l’uomo vuole stare bene nel corpo e nell’anima, deve curare entrambe e soprattutto l’anima, nelle sue facoltà nobili, che sono, appunto, l’intelletto e la volontà, come già insegnava mirabilmente il grande Seneca.

Fonte: https://www.corriereregioni.it/2021/02/25/il-vaccino-al-virus-contemporaneo-di-matteo-castagna/

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