IL VATICANO IN LINEA CON SOROS. Dimissioni di Ratzinger per intrighi di Palazzo

Condividi su:

di Silvano Danesi

Per rimanere nella tempistica utile non si poteva aspettare la morte di Benedetto XVI e così lo si è invitato, per usare un eufemismo, alle dimissioni. Si arriva, dunque, alla rinuncia del Papa teologo… (Stando così le cose, è evidente che le dimissioni di Ratzinger abbiano favorito la “mafia di San Gallo”. Il comportamento dell’ “emerito”, a seguito delle dimissioni è stato più che accondiscendente. Se, in realtà, egli fosse d’accordo, non lo sapremo mai. Sappiamo che ha assecondato la “mafia di San Gallo” e certamente non avrebbe dovuto. [N.d.R.] )

**************************************************************************************************************************************************************************************

Da tre giorni La Verità scrive dei rapporti tra la Cei, guidata dal cardinale Matteo Maria Zuppi e l’ex noglobal Luca Casarini. Rapporti che hanno dato luogo a finanziamenti alla ong che arma la Mare Jonio, un rimorchiatore che trasporta migranti e che ora è indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’inchiesta giornalistica rivela che anche la Open Arms è stata finanziata, ma direttamente dal Papa.

L’inchiesta è stata iniziata da Panorama e ieri il direttore de La Verità, Maurizio Belpietro, dopo che Luca Casarin è stato addirittura invitato al Sinodo, si chiede come sia stato possibile inquinare così i vertici cattolici.

Forse la domanda ha una risposta nei vertici cattolici stessi, ossia in Jorge Mario Bergoglio, nella sua elezione, nelle sue esternazioni, nei suoi rapporti internazionali e nella sua posizione su clima, green e migranti.

Nell’insieme il papato di Jorge Mario Bergoglio si pone in perfetta linea con la Open Society Foundations di George Soros e con la cupola finanziario- filantropica che dirige la musica sul clima, sulla nuova religione green e sui rapporti con la Cina in chiave di controllo sociale.

I vertici cattolici non sono inquinati da Casarin, che è solo una delle tante pedine di un disegno, ma dal vertice stesso, in quanto, come scrive Sir Henry Sire, docente universitario e storico, nonché cavaliere dell’Ordine di Malta (poi espulso per aver scritto di Bergoglio) con lo pseudonimo di Marcantonio Colonna (“Il Papa dittatore”), “Bergoglio è stato eletto dalla “mafia” liberale, un gruppo di vescovi e di cardinali progressisti che per anni ha agito per centrare proprio questo obbiettivo”.

Papa dittatoreMaschera di Bergoglio

Il termine “mafia” è stato introdotto per la prima volta in un’intervista televisiva nel settembre 2015 dal Cardinal Godfried Danneels, arcivescovo emerito, ma al tempo ancora molto influente, di Bruxelles-Mechelen a proposito del Gruppo di San Gallo.

“Danneels – scrive Colonna – ha affermato di aver fatto per anni parte di questo gruppo che si era opposto a papa Benedetto XVI durante tutto il suo pontificato. Il gruppo ha lavorato, egli ha detto, per favorire la formazione di una Chiesa Cattolica ‘molto più moderna’ e per far eleggere papa l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio”.

Il gruppo “si incontrava ogni anno dal 1996” a San Gallo, in Svizzera, originariamente su invito del vescovo della città, Ivo Fürer, e dell’arcivescovo di Milano, il cardinale gesuita Carlo Maria Martini.

“Danneels – scrive Colonna – aveva rilasciato l’intervista per promuovere la sua biografia autorizzata e ha aggiunto che il gruppo San Gallo vantava vescovi e cardinali, “troppi da elencare”. Ma tutti avevano lo stesso obiettivo comune: l’attuazione di un programma “liberale/progressista” in opposizione a Papa Benedetto e all’orientamento di un moderato conservatorismo dottrinale”.

Uno degli aspetti interessanti, che mettono subito in risalto la rete italiana che collega le posizioni del Vaticano di Bergoglio con la politica italiana è Villa Nazareth a Roma.

Colonna riferisce che nel 2015, Paul Badde, scrittore tedesco ed esperto delle questioni concernenti il Vaticano, ha sostenuto di aver ricevuto informazioni attendibili “che tre giorni dopo la sepoltura del papa Giovanni Paolo II, i cardinali Martini, Lehmann e Kasper dalla Germania, Bačkis dalla Lituania, van Luyn da Paesi Bassi, Danneels da Bruxelles e Murphy O’Connor da Londra «si sono incontrati nella cosiddetta Villa Nazareth a Roma, casa del cardinale Silvestrini, il quale ormai non era più eleggibile; hanno poi discusso in segreto una tattica per evitare l’elezione di Joseph Ratzinger»”.

Silvestrini, discepolo del cardinal Casaroli, era il potere della curia romana dietro ad Andreotti ed è stato, come riferisce Colonna, anche uno dei manovratori che ha fatto si che i Gesuiti arrivassero al potere con l’elezione di Bergoglio.

Nel Collegio di Villa Nazareth vengono fatti studiare dei ragazzi che faranno successivamente cureranno gli interessi del Vaticano in giro per il mondo.

Nel Collegio Nazareth di Roma, proprietà di una fondazione guidata dal cardinale Achille Silvestrini (ora defunto) ha studiato Giuseppe Conte e del Collegio era direttore monsignor Pietro Parolin, attuale segretario di Stato del Vaticano.

In una fase delicata della politica italiana, Giuseppe Conte è stato messo all’opera. Renzi, che faceva gli esercizi spirituali tutti gli anni dai Gesuiti, ha lanciato l’idea del Governo Conte bis, il cui operato è ben conosciuto da tutti noi, anche per quanto riguarda i rapporti con il Dragone.

In questo panorama si inserisce anche l’interessante esperimento italiano che ha dato vita al Movimento Cinque Stelle.

In un articolo di Giacomo Amadori e di Gianluca Ferraris (Panorama, 3 aprile 2013) l’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, fondatore della Gran loggia regolare d’Italia, restauratore in Italia degli Illuminati di Baviera e fondatore di Dignity, alla domanda dei giornalisti volta a chiedere se Gianroberto Casaleggio, autore di una profezia di “un futuro senza religioni in cui «l’uomo è Dio»” e che fa immaginare “un approccio umanistico”, sia stato un massone risponde: “Non mi risulta che Casaleggio sia massone, la sua ideologia è sicuramente più vicina a quella degli Illuminati di Baviera e all’accademia che io ho risvegliato in Italia nel 2002. Quale la differenza? I massoni vogliono migliorare il mondo così com’è, gli illuminati puntano a ripensarlo rispetto alle future condizioni; in più gli Illuminati considerano la democrazia una forma di degenerazione del potere che va superata come hanno già postulato Platone e Aristotele. Il credo contenuto nel video della Casaleggio e associati va proprio in questa direzione”. “La visione di Casaleggio in Gaia e la mia nel libro La conoscenza umana (Marsilio) – continua Di Bernardo – sono molto simili: entrambi riteniamo che nel futuro dell’umanità scompariranno le differenziazioni ideologiche, religiose e politiche. Per me a governare sarà una comunione di illuminati, presieduta dal «tiranno illuminato», per Casaleggio a condurre l’umanità sarà la rete, probabilmente controllata dal tiranno illuminato. Un concetto che, però, Casaleggio non ha ancora esplicitato”. Esplicitazione giunta di recente dal comico Giuseppe Grillo, con la sua teoria degli Elevati.

Panorama Burattinaio

Il 4 marzo 2013 Casaleggio mette in onda Gaia, un video dove si afferma che si arriverà, il 14 agosto 2054, ad un mondo governato dalla rete, con un governo mondiale chiamato Gaia eletto dai cittadini attraverso la rete. Nel 2054 non esisteranno più partiti politici, ideologie, religioni e i cittadini non avranno più carte d’identità o passaporti, ma esisteranno solo se saranno iscritti a Earthlink, un social network, mente una mega intelligenza artificiale collettiva, chiamata Braintrust, risolverà i problemi del mondo. Il primo esperimento è stato fatto sulla pelle degli Italiani e ne sopportiamo le conseguenze tragiche. Altro che intelligenza artificiale. Qui siamo in presenza di un tentativo di dittatura strisciante venduto per democrazia di massa ( https://www.youtube.com/watch?v=rx46BpHQ2mo ).

Le teorie di Gaia, frutto delle visionarietà di Gianroberto Casaleggio, esplicitate dal Comico Giuseppe Grillo, sono, secondo Giuliano Di Bernardo, molto vicine a quelle degli Illuminati di Baviera.

L’Ordine degli Illuminati fu organizzato, il primo maggio 1776 da Adamo Weishaupt sulla base di un modello gesuitico.

L’Ordine ebbe uno scopo più politico che religioso e la corrente illuministica interna alla Stretta Osservanza, alla ricerca di un progetto massonico da opporre ai Martinisti, guardò agli Illuminati con la mediazione di Knigge, che aveva come modello il Paraguay gesuitico e pensava a stati modello nelle Indie Occidentali (America).

Alain Wodroow, uno dei massimi esperti dei Gesuiti, a proposito dell’esperimento del Paraguay, afferma: “Questa esperienza di comunismo paternalista è singolare e fu esempio per gli utopisti del XX secolo. L’ammirava persino Voltaire, che fu allievo dei Gesuiti, ma li detestava”[1]

L’intreccio si fa ancor più interessante quando guardiamo alla politica estera del Vaticano di Bergoglio, con la sua deriva filo cinese e anti occidentale.

In un’intervista del giornalista americano Glenn Beck a Whitney Webb, autrice di “A Nation Under Blackmail”, una nazione sotto ricatto (disponibile grazie a Roberto Mazzoni – https://mazzoninews.com/2023/11/26/deep-state-finanzieri-spie-mafiosi-editori-e-pedofili-parte-4-mn-236-ritorno-alla-poverta/), l’intervistatore afferma: “Ho amici industriali che 30 anni fa mi dicevano: “La Cina è il nuovo modello”. E ho pensato, questo è un cattivo modello. Noi non lo vogliamo. Si limitavano a dire con leggerezza che la Cina era il nuovo modello. Ci sono voluti 10 anni, prima che iniziassi a rendermi conto che ne erano sinceramente convinti, e che avremmo portato in America l’approccio cinese”.

Whitney Webb risponde: “Certo. Questo è stato il piano per molto tempo. Abbiamo parlato prima del CinaGate. Al suo interno troviamo le origini della Silicon Valley. E molte delle persone più potenti del nostro complesso industriale militare, tra cui Lockheed Martin, vi erano coinvolte e volevano che quella tecnologia segreta andasse in Cina e minasse la nostra sicurezza nazionale. Notiamo che c’era qualcosa che stava succedendo allora e penso che lo stiamo vedendo succedere sempre di più anche adesso.

Nel 2020 ho scritto un articolo sulla National Security Commission on Artificial Intelligence, la Commissione per la sicurezza nazionale sull’intelligenza artificiale. Fondamentalmente dice che, per essere competitivi nell’intelligenza artificiale e garantire l’egemonia economica e militare per gli Stati Uniti, dobbiamo andare oltre la Cina in termini di implementazione della tecnologia di sorveglianza, e dell’uso dell’intelligenza artificiale, dobbiamo abbandonare la proprietà privata delle automobili, a cui si riferiscono come sistema tradizionale. E bisogna abbandonare le visite mediche di persona, passando all’alternativa basata sull’intelligenza artificiale. Questo accadeva nel 2019, prima del Covid”.

Glenn Beck: “Due anni prima di questo, ho parlato con il presidente del consiglio di amministrazione di General Motors e mi ha detto che entro il 2030 non produrremo più auto di proprietà singola, ma flotte di veicoli di uso comune”.

Whitney Webb: “Uber offrirà noleggi solo all’interno delle città intelligenti e il passeggero non potrà controllare la destinazione. Non si potrà più viaggiare da una città all’altra. Niente più scampagnate. Non potrai più decidere dove andare, magari guidare per tre ore per vedere la tua famiglia o chiunque altro, magari i tuoi amici. È finita se queste persone vincono. E la Commissione per la sicurezza nazionale sull’intelligenza artificiale era gestita da Eric Schmidt, ex capo di Google. Uno dei co-presidenti era un uomo di alto livello che lavora a stretto contatto con Schmidt e che era al Dipartimento della Difesa. E le persone che sempre più decideranno cosa potete fare appartengono alla comunità dell’intelligence, alle forze armate e alla Silicon Valley. E ritengono che falliremo se non andremo oltre il sistema di sorveglianza cinese, le sue megalopoli e il suo modello di città intelligente”.

In buona sostanza, per combattere la Cina dobbiamo essere più cinesi dei cinesi, ossia per combattere una dittatura dobbiamo essere una dittatura ancor più dittatura. Non male come prospettiva. E come la mettiamo con la deriva filo cinese del Vaticano?

Torniamo a Bergoglio e alla “mafia di San Gallo”.

Danneels era uscito di scena, ma il conclave del 2013 – scrive Colonna – “lo ha riportato al centro della politica della Chiesa, con il nuovo papa che lo ha invitato a unirsi a lui nella Loggia di San Pietro per la sua prima apparizione alla folla. Ha avuto il privilegio di intonare le preghiere della Messa inaugurale di Francesco. Più tardi il cardinale, che molti avevano considerato “in disgrazia”, è stato invitato da papa Francesco, godendo così di uno speciale favore papale, a partecipare ad entrambi i Sinodi sulla Famiglia dove ha assunto una ruolo importante. Danneels stesso ha descritto il suo ultimo conclave come “un’esperienza di risurrezione personale”.

La “squadra Bergoglio” ha dunque completato l’opera di San Gallo.

“Nonostante regole della più rigorosa segretezza – scrive sempre Colonna – , dopo il conclave del 2005 si è venuto a sapere che lo sconosciuto gesuita di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, era arrivato secondo nelle votazioni. Il gruppo di San Gallo era presente quasi al completo e aveva lavorato sodo per il suo candidato. E il suo sostegno aveva avuto il suo peso”.

L’esergo del testo “Il Papa dittatore, di Marcantonio Colonna” è una citazione di Abramo Lincoln: “Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre”.

Ai tempi di Peron, Bergoglio era uno dei suoi seguaci, ma il suo legame era con l’ala destra del Peronismo. “Nel 1971 – scrive Colonna – è stato nominato Maestro dei Novizi della provincia argentina e ha saputo coniugare questo incarico al sostegno della Guardia de Hierro (Guardia di Ferro), che a quel tempo era impegnata per il ritorno di Perón dall’esilio. Austen Ivereigh descrive questo coinvolgimento eufemisticamente come “sostegno spirituale” al movimento; esso era in realtà molto di più ed è rivelante degli interessi politici che dovevano distinguere Bergoglio per tutta la sua vita. Per tutte le norme, era un modo insolito per un maestro dei novizi di un ordine religioso di trascorrere il suo tempo libero”.

Resta il fatto che la Guardia de Hierro argentina si ispira all’omonimo gruppo rumeno. La Guardia di Ferro (in romeno Garda de Fier) è infatti la denominazione data da Corneliu Zelea Codreanu alla branca armata del movimento da lui fondato negli anni Trenta del XX secolo.

Dal 1965 ql 1981 il Generale dei Gesuiti è stato lo spagnolo Pedro Arrupe, il quale ha impresso alla Compagnia una svolta a sinistra, verso la teologia della liberazione.

Svolta che ha coinvolto la Università del Salvador e che ha visto contrario il peronista Bergoglio, il quale, ci dice Colonna, l’ha consegnata ad alcuni suoi compagni della Guardia di Ferro peronista.

Diventa, pertanto difficile capire come Bergoglio si sia poi orientato a sinistra, se non entrando nella logica argentina del peronismo.

Scrive in proposito Sir Henry Sire, alias Marcantonio Colonna: “Si narra la storia che Perón, nei suoi giorni di gloria, un giorno abbia proposto a un nipote di iniziarlo ai misteri della politica. Dapprima ha portato con sé il giovane quando ha ricevuto una delegazione di comunisti; dopo aver ascoltato le loro idee, ha detto loro: “Avete ragione”. Il giorno dopo ha ricevuto una delegazione di fascisti e ha risposto di nuovo alle loro argomentazioni: “Avete ragione”.

Poi ha chiesto a suo nipote cosa pensasse e il giovane ha detto: “Hai parlato con due gruppi con opinioni diametralmente opposte e hai detto ad entrambi che sei d’accordo con loro. Questo è completamente inaccettabile”. Perón ha risposto: “anche tu hai ragione”. Tale aneddoto è la spiegazione del motivo per cui nessuno può sperare di capire Papa Francesco se non comprende la tradizione della politica argentina, un fenomeno al di fuori dell’esperienza del resto del mondo; la Chiesa è stata colta di sorpresa da Francesco perché non possedeva la chiave per comprenderlo: egli è la trasposizione ecclesiastica di Juan Perón. Coloro che cercano di interpretarlo in altro modo non dispongono dell’unico criterio valido”.

Va anche considerato il rapporto di Bergoglio con il fevrerismo, al quale fu introdotto da Esther Ballestrino.

Le motivazioni che spingono il Vaticano di Francesco a cercare un rapporto con la Cina sono chiaramente non dovute alla difesa dei cristiani cinesi, ma agli interessi in altre aree del mondo: l’Africa, l’America Latina e la stessa Europa. Vi sono, inoltre, motivazioni ideologiche che coinvolgono i singoli protagonisti in campo. Bergoglio, fevrerista, peronista, propugnatore della Patria Latina, ha un rapporto difficile con gli USA e di collaborazione intensa con i regimi latino americani non collaborativi con gli States. La Curia vaticana è stata riempita di prelati latino americani in posizione di potere. Potere che condividono con il vero dominus della politica, il tedesco cardinale Reinhard Marx, sostenitore della politica filo cinese della Germania, dovuta agli interessi economici di Berlino nelle terre del Dragone.

Il grande enigma della conversione di Bergoglio alla sinistra e alla parte liberale della Chiesa, e in particolare il gruppo di San Gallo, che l’ha trasformato nel suo uomo guida, trova la giustificazione nella logica peronista. Perón, come Presidente, non ha avuto alcuna esitazione a spostarsi dalla destra all’estrema sinistra, fa notare Sir Henry Sire “se la sua smania di potere lo richiedeva”.

“Nel 2005 – scrive Sir Henry Sire -, i piani del gruppo di San Gallo sembravano infranti dall’elezione di Benedetto XVI. Si pensava che Benedetto avrebbe regnato per un periodo di dieci o addirittura quindici anni, e sarebbe stato un periodo troppo lungo per le persone interessate per poterne beneficiare. L’abdicazione del febbraio 2013 è arrivata appena in tempo per rilanciare il programma del gruppo di San Gallo. Il Cardinale Martini era morto l’anno precedente, ma Danneels e Kasper erano ancora abbastanza giovani per poter evitare l’esclusione dai conclavi papali che per i cardinali arriva all’età di ottanta anni, un limite che entrambi avrebbero raggiunto più tardi nel corso dell’anno. Specialmente Bergoglio, all’età di 76 anni, rimaneva papabile; il prolungamento del suo mandato da parte di Papa Benedetto significava che egli era ancora in carica come arcivescovo di Buenos Aires e quindi era un capo della gerarchia latino-americana”.

E qui facciamo i conti con i tempi e con la necessità di tenere un conclave in tempo utile per far votare i cardinali di San Gallo.

Per rimanere nella tempistica utile non si poteva aspettare la morte di Benedetto XVI e così lo si è invitato, per usare un eufemismo, alle dimissioni.

Si arriva, dunque, alla rinuncia del Papa teologo, inviso alla “mafia” di San Gallo.

Sir Henry Sire cita le pressanti “circostanze che l’avevano causata: la piaga continua delle finanze vaticane, che per anni aveva resistito ad ogni sforzo di essere sanata; lo scandalo “Vatileaks” del 2012, quando il maggiordomo del Papa aveva rivelato documenti segreti proprio per mostrare quanto Benedetto XVI fosse impotente nel controllare il caos intorno a lui; e infine il rapporto privato che è circolato nel dicembre 2012, il quale rivelava una tale corruzione morale nella Curia che si pensava fosse la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso nel persuadere Benedetto di non essere più in grado a far fronte a una tale situazione”.

Ora i nodi vengono al pettine e come diceva Abramo Lincoln: “Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre”.

Le linee seguite dal Vaticano sono sempre più leggibili e sono sempre più evidenti i legami tra la linea di Bergoglio e quella del centro finanziario e dei sedicenti filantropi (Soros in primis, in quanto finanziatore di ong che si occupano di migranti).

La vicenda Casarin inoltre disastra la politica estera vaticana, ultimamente molto delegata al cardinal Zuppi, il quale è in rapporto stretto con la Comunità di Sant’Egidio (filocinese) e colpisce nell’intimo il Pd, perché il cardinal Zuppi è in stretti rapporti con Romano Prodi e con l’ala cattolica del Partito democratico, la cui politica sui migranti è chiaramente ispirata da quella vaticana.

E così, alla domanda di Maurizio Belpietro riguardante come sia stato possibile che si siano inquinati a tal punto i vertici vaticani la risposta la troviamo nella “mafia di San Gallo e in tutto quello che è avvenuto in questi anni.

Chiaramente la Chiesa sta passando un gran brutto momento, basti pensare ai recenti siluramenti di prelati Usa invisi a Bergoglio.

L’emergenza climatica pare stazionare sulla cupola di San Pietro.

 

[1] Alan Woodrow, Una storia di potere, Newton Compton

 

Fonte: https://www.nuovogiornalenazionale.com/index.php/italia/politica/15026-il-vaticano-in-linea-con-soros.html?fbclid=IwAR2IPXRvN4_O6tGm9EBtrI7ylpOcWs6vnjZ6ROHkWfacHRkOjV9sCLZSnkE

Dio li fa, Licio li accoppia

Condividi su:

QUINTA COLONNA

di Matteo Castagna

Paolo Ojetti su “L’Europeo” del 7/01/1977 scrisse che “Il potere temporale della Chiesa si appoggia e si ramifica grazie alle solite complicità: chi porta alle casse della Santa Sede i mezzi per rinsaldare il potere finanziario sono sempre le banche le grandi società immobiliari, le società assicuratrici, il capitale tradizionalmente vicino agli ambienti della Curia […]. E poi chiosò con una stilettata: “tra l’investimento misericordioso e quello redditizio, la Chiesa sceglie tuttora il secondo”.

Agostino Giovagnoli nella prefazione al testo “IOR” di Francesco Anfossi (Edizioni Ares, 2023) dimostra che non è sempre stato così. Fondato da Papa Pio XII nel 1942, lo IOR raccolse un’ eredità di fine Ottocento per garantire il mantenimento dei flussi finanziari alle opere di religione di tutto il mondo, mantenendosi, per volontà dello stesso Santo Padre papa Pacelli un investimento misericordioso di sostentamento del clero e delle sue buone opere di carità. Fu certamente un’intuizione meravigliosa di Papa Pacelli, utilizzata allo scopo di utilizzare il denaro per i nobili scopi dell’evangelizzazione dei popoli, del soccorso alla povertà, del mantenimento dei beni della Chiesa e del clero. In parte, dopo la morte di Pio XII (1958) i fini di questa istituzione non furono all’altezza del compito assegnato.

Nell’ottobre del 1959 il cardinale Domenico Tardini, Segretario di Stato di Giovanni XXIII, convocò per la prima volta una conferenza stampa a Villa Nazareth per illustrare il bilancio della Santa Sede. si trattava di bilanci assai modesti. Anfossi scrive che “si basava molto sui servizi bancari del Banco di Roma, del Santo Spirito e della Cariplo fungendo da cassa del Vaticano”. 

Il “cambiamento climatico” rispetto al periodo di Pio XII, iniziò con la Presidenza dello Ior di Mons. Paul Marcinkus. La strada dello Ior si intrecciò, anzitutto con quella di Michele Sindona ma soprattutto col Banco ambrosiano di Roberto Calvi, di cui Francesco Anfossi parla con particolari inediti conservati nelle carte del cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato di Karol Wojtyla. Già dagli anni ’70 Licio Gelli, fondatore e Gran Maestro della Loggia massonica P2 continuava a tessere la sua tela massonica internazionale. Iscritti troviamo, dunque, Michele Sindona (tessera n. 1612), Roberto Calvi (tessera n. 1624) e il finanziere Umberto Qrtolani (tessera n. 1622).

Quest’ultimo si inserisce molto bene nella Democrazia Cristiana, intrattenendo rapporti soprattutto con Amintore Fanfani e Giulio Andreotti. Ortolani fonda l’Agenzia di stampa Italia (poi venduta all’ENI) e riesce a farsi eleggere presidente dell’Associazione stampa italiana all’estero. Attraverso le sue conoscenze politiche, lo si vede spesso all’interno delle mura leonine perché fa parte della ristretta cerchia del cardinale Giacomo Lercaro, noto per le sue posizioni ultra-progressiste durante il Concilio Vaticano II, tra i primi religiosi a instaurare il dialogo coi comunisti. le prebende di Lercaro e le frequentazioni politiche di alto livello gli varranno l’insegna del Cavalierato dell’Ordine di Malta e, più tardi, il ruolo di Gentiluomo di Paolo VI, nonché di suo consulente finanziario.

Mentre negli Stati Uniti il duo Gelli-Ortolani rimane piuttosto defilato, ad agire è un terzetto composto da tre finanzieri: il responsabile dello Ior Paul Casimir Marcinkus, Michele Sindona e Roberto Calvi, presidente di un istituto di credito di primaria importanza all’epoca, ossia il Banco Ambrosiano. I tre sono accomunati da caratteristiche molto simili: l’alta frequentazione di ambienti religiosi, la passione per gli affari (non importa di quale tipo)  e da una smisurata ambizione.

La vicenda del Banco Ambrosiano si concluse col suicidio della segretaria di Calvi e la morte a Londra del banchiere, che fu trovato impiccato a un’impalcatura sotto il Blackfriars Bridge. Si trattò di una vicenda oscura, in cui entrarono Licio Gelli e la P2, Umberto Ortolani, Francesco Pazienza e Flavio Carboni. Il Ministro del Tesoro dell’epoca, Beniamino Andreatta disse che “si trattò della più grave deviazione di un’importante istituzione bancaria rispetto alle regole della professione verificatasi in un grande Paese industriale in questi ultimi quarant’anni”. Il democristiano Andreatta afermò che vi era una corresponsabilità dello Ior nella mala gestio della più importante banca privata italiana, chiedendo al Vaticano di pagare 1.159 milioni di dollari. Marcinkus respinse le accuse, dicendo che lo Ior avrebbe concesso solo delle “lettere di patrocinio” a Calvi per frenare ulteriori debiti e finanziamenti alle società. Il riciclaggio era, inoltre, il reato compiuto in gran segretezza per conto di persone molto poco raccomandabili, di tutto il mondo. In particolare, la Commissione d’inchiesta accertò che i soldi sporchi della Banda della Magliana venivano ripuliti in questo sistema finanziario.

M.A. Calabrò, in “Le mani della mafia”, Ed. Associate, Roma 1991, scrive che il quadro del Banco Ambrosiano era disastroso. Calvi, insomma, nei primi anni (1971-1977) passati al vertice dell’Ambrosiano aveva “svaligiato” la banca, e ciò era avvenuto grazie alla filiale di Nassau.

Il “pozzo” senza fondo di miliardi di lire svaniti nel nulla e di acquisizioni societarie incrociate, comprende anche una serie di società scoperte anni dopo la loro costituzione. Risulteranno essere ben 24, tutte cariche di debiti e dislocate tra Panama e l’Europa, poste sotto l’ombrello della capogruppo-schermo, la manic Holding Sa. Attraverso questo fondo, la Loggia P2 controllava segretamente l’Ambrosiano: ciò costituisce uno dei punti fondamentali all’origine del crac della “Banca dei preti”.

Su La Stampa del 6/4/1975, parlando in terza persona, Sindona disse: “[Andreotti] disse che per tre volte aveva chiamato Sindona al capezzale della lira. Mi regalò pure una fontana di Trevi rifatta in argento da una scultrice amica sua”. All’American Club di Roma il banchiere siciliano viene proclamato “uomo dell’Anno 1973”. Ad assegnare il premio al massone piduista, nonché riciclatore di denaro sporo, il suo vecchio amico John Volpe, ambasciatore degli Stati Uniti in Italia. Questo riconoscimento venne inte4rpretato come un doveroso omaggio a un banchiere che, due anni prima, sostenne la rielezione di Richard Nixon alla presidenza USA, devolvendo – stando a varie fonti – un milione di dollari. Una fortuita coincidenza volle l’8 Agosto 1974, Nixon debba dimettersi da presidente in seguito al clamoroso “scandalo Watergate”.

L’edificio del Watergate era stato costruito dalla Genale Immobiliare (ex proprietà del Vaticano), ovvero la stessa degli affari tra Sindona, Marcinkus e l’americano Bludhorn. 

Anche Gelli era ben introdotto negli ambienti politici americani, tanto che fu presente alle cerimonie di insediamento alla Casa Bianca del democratico Jimmy Carter e del repubblicano Ronald Reagan.

E’ grazie a questa complicità ad alto livello che a Sindona arrivano forti sostegni finanziari. Ad accorrere in suo soccorso è il Banco di Roma, istituto a capitale pubblico. Per una finanziaria sindoniana, la Moneyrex, il Banco conduce operazioni r servizi finanziari che avrebbe potuto benissimo realizzare da sola. Nel luglio e nel dicembre del 1974, la filiale di Nissau del Banco di Roma effettuò un prestito a Sindona di 130 milioni di dollari. E il 20 giugno successivo, perché il banchiere possa tamponare le falle della sua disastrosa attività, sempre il Banco di Roma – presieduto da un vertice di nomina andreottiana – gli accordò altri 100 milioni di dollari. Feudo politico della destra DC, la banca romana cercò poi di correre ai ripari: a luglio, i dirigenti distaccarono ben 40 funzionari negli istituti di credito del banchiere siciliano (Banca Unione, Banca Privata Finanziaria e anche Edilcentro-Sgi) per capire che cosa si nascondesse nell’ormai dissestato dissestato universo finanziario sindoniano.

Già da qualche tempo la Magistratura aveva messo sotto controllo le operazioni. Emergerà che Sindona, oltre a sovvenzioni mensili di qualche decina di milioni (dei primi anni ’70) alla DC ha versato un contributo di ben 2 miliardi dell’epoca. Ed emerse pure che il primo “protettore” politico del mafioso bancarottiere era Giulio Andreotti. Per mesi Sindona si dibatte per uscire dalla palude, manda segnali, soprattutto ai politici ed ai massoni amici, tenta ricatti, inscena un finto rapimento coinvolgendo i suoi compari della mafia. Ordinò l’assassinio dell’avv. Giorgio Ambrosoli, che era il suo curatore fallimentare, ma uomo integerrimo nell’onestà.

E Gelli? Come accertò la Commissione d’inchiesta parlamentare sulla Loggia P2, il Maestro venerabile operò a lungo nei traffici sindoniani. Nella relazione di minoranza, il missino Giorgio Pisanò rivolse un’aspra critica ai colleghi di maggioranza della Commissione, che non avrebbero indagato a fondo su certi legami tra i personaggi coinvolti nell'”affaire Sindona”. Finché gli affari del banchiere (affiliato alla massoneria nel maggio-giugno 1974) filavano lisci, il materassaio di Pistoia proseguiva nella sua tessitura massonica a Roma, espandendo i suoi rapporti in Sud America con personaggi di primissimo piano, soprattutto in Argentina.

L’ironia: “soldi santi e affari diabolici”  è più che azzeccata in questo imbarazzante spaccato di storia italo-vaticana. L’intreccio tra una finanza piena di ombre a una gestione da parte di uomini consacrati a Dio grida scandalo agli occhi del mondo, induce a perdere la Fede, nella rabbia che sovviene di fronte al famoso “pecunia non olet”. San Tommaso d’Aquino ha scritto che “l’avidità è un peccato contro Dio, proprio come tutti i peccati mortali, in quanto l’uomo condanna le cose eterne per il bene delle cose temporali”.

Considerate questo avvertimento di San Giovanni Maria Vianney, Patrono dei parroci:

L’avarizia è un amore disordinato dei beni di questo mondo. Sì, figli miei, è un amore regolato in modo malato, un amore fatale, che ci fa dimenticare il buon Dio, la preghiera, i sacramenti, per amare i beni di questo mondo – oro, argento e terre. L’uomo avido è come un maiale, che cerca il cibo nel fango senza curarsi della sua provenienza. Chinandosi al suolo, non pensa ad altro che alla terra; non guarda più il Cielo, la sua felicità non è più lì. L’uomo avaro non fa del bene fino alla morte. Guardate con che avidità raduna ricchezze, con quanta ansia le mantiene, quanto è afflitto se le perde… In mezzo alle ricchezze, non ne gode; è come se fosse immerso in un fiume e tuttavia morisse di sete; sdraiato su un letto di grano, muore di fame; ha tutto, figli miei, e non osa toccare nulla; il suo oro è per lui sacro, lo rende la sua divinità, lo adora…”

Anche la Scrittura è piena di avvertimenti. Dall’Antico Testamento:

“L’occhio dell’avaro non si accontenta di una parte, l’insana cupidigia inaridisce l’anima sua” (Siracide 14, 9).

Allo stesso modo, il Nuovo Testamento avverte:

“E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni»” (Luca 12, 15).

Infine, è sempre bene ricordare ai buonisti di oggi che Gesù cacciò i mercanti dal tempio con la verga contro un sistema economico, politico e religioso economicista, che non può piacere a Dio. Così, profondamente adirato il Signore gridò: «La Scrittura dice: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne fate una spelonca di ladri». Ebbene, noi dovremmo tremare, di fronte a tanta giusta severità. Eppure Mammona o il Vitello d’Oro, nella nostra società sembrano divenuti i fini di molti, certamente di cinici speculatori, come Soros, i Rothscild, Bill Gates. Invidiare la loro ricchezza è il primo passo verso l’abisso.

Lasceranno, comunque, tutto in questo mondo e dovranno rispondere nell’Altro se: “ Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” ( 2 Timoteo, 4:7)  

________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Cfr: Licio Gelli, Vita, Misteri, scandali del capo della Loggia P2. di Mario Guarino e Fedora Raugei – prefazione di Paolo Bolognesi (Ed. Dedalo, 2016, eu. 21,00)

Cfr.: IOR, Luci e ombre della Banca Vaticana dagli inizi a Marcinkus di Francesco Anfossi (Ed. Ares, 2023, eu. 16,80)

 

La Chiesa tedesca sfida il Vaticano, è ufficiale: “Benedire le coppie gay”

Condividi su:
BARUFFE NELLA “CONTRO-CHIESA” CONCILIARE? (N.D.R.)
Terremoto nella Chiesa: il sinodo tedesco approva il documento per la benedizione delle coppie omosessuali. Il Papa contrario

La rivoluzione è servita, o giù di lì. La Chiesa Cattolica tedesca ha aperto alla celebrazione di cerimonie per benedire le coppie di stesso sesso. Lo ha deciso l’Assemblea sinodale con 176 voti a favore, 14 contrari e 12 astensioni. Si inizia dal marzo del 2026.

Si tratta di una notizia importante, che farà sicuramente discutere, come già successo negli anni scorsi con scontri neppure troppo velati tra tradizionalisti e progressisti le cui tensioni sono riemerse in tutta la loro forza in occasione della morte di Benedetto XVI. Il sinodo tedesco ha superato la maggioranza dei due terzi dei vescovi che era necessaria per approvare il provvedimento (38 a favore, 9 contrari, 11 astenuti). I tre anni che dividono la decisione dalla sua applicazione saranno dedicati a definire il formato liturgico di questo tipo di cerimonia. La benedizione dell’unione riguarda sia le coppie gay chi si è risposato dopo un divorzio. Come si legge nel documento, rifiutare la benedizione di due persone “che vogliono vivere il loro amore nell’impegno e nella responsabilità reciproca verso Dio” sarebbe una sorta di discriminazione che “non può essere giustificata in modo convincente in termine di teologia della grazia”. E questo nonostante una nota esplicativa della Congregazione della dottrina della fede avesse nel 2021 precisato che la benedizione per le coppie omosessuali non fosse possibile. 

La discussione sinodale era iniziata nel 2019. La preoccupazione del Vaticano per il percorso intrapreso dalla Chiesa tedesca non è certo un mistero. Il segretario di Stato Parolin, nel 2022 durante un incontro con Georg Bätzing, vescovo di Limburg e presidente della Conferenza Episcopale di Germania, aveva sottolineato il rischio di “riforme della Chiesa e non nella Chiesa”. Pochi giorni fa, anche Papa Francesco aveva lanciato il suo allarme: “Il pericolo è che trapeli qualcosa di molto, molto ideologico. E quando l’ideologia viene coinvolta nei processi ecclesiali, lo Spirito Santo torna a casa perché l’ideologia supera lo Spirito Santo”, aveva detto all’Associated Press. “L’esperienza tedesca non aiuta, perché non è un Sinodo, un cammino sinodale serio, è un cosiddetto cammino sinodale, ma non della totalità del popolo di Dio, ma fatto di élite”.

Sempre nell’incontro del novembre del 2022, il presidente dei vescovi tedeschi aveva già fatto capire che la chiesa di Germania non avrebbe tolto la possibilità di benedire le coppie omosessuali. “Noi siamo cattolici e lo restiamo cattolici – disse – ma vogliamo essere cattolici in modo diverso e sentiamo questa responsabilità”. Per il sinodo tedesco “non si può andare avanti come prima, si tratta di trasmettere il messaggio del Vangelo qui e ora, e non guardare sempre al passato, anche correndo il rischio di una Chiesa ammaccata”. Da più parti però si avanza l’ipotesi di un vero e proprio scisma. Nel luglio del 2022 la Santa Sede arrivò a pubblicare una nota ufficiale in cui “per tutelare la libertà del popolo di Dio” chiariva che “il cammino sinodale in Germania non ha la facoltà di obbligare i vescovi e i fedeli ad assumere nuovi modi di governo e nuove impostazioni di dottrina e di morale“.

Le novità intanto non finiscono qui. I vescovi hanno infatti approvato un testo che chiede a Bergoglio di “riesaminare il legame tra la concessione delle ordinazioni e l’impegno al celibato”. In sostanza, la possibilità per i preti di sposarsi. Quasi il 95% dei membri dell’Assemblea ha votato a favore del testo, come riporta infocattolica. Dei 60 vescovi presenti all’assemblea sinodale, 44 hanno votato a favore, 5 contrari e 11 si sono astenuti.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/la-chiesa-tedesca-sfida-il-vaticano-e-ufficiale-benedire-le-coppie-gay/

Il “Grande Timoniere” bombarda Hong Kong e anche il Vaticano è sotto tiro

Condividi su:

QUINTA COLONNA

di Redazione

Questo articolo è particolarmente interessante perché rivela retroscena molto interessanti. Il lettore tenga presente, comunque, che almeno dalla morte di Pio XII (1958) il Vaticano è occupato dalla Contro-Chiesa modernista che è stata legittimata dal Conciliabolo Vaticano II. La Chiesa Cattolica sta, invece, ovunque chierici e laici rimangano fedeli a quanto sempre insegnato e da tutti creduto, ovunque e sempre, per parafrasare S. Vincenzo di Lerins. Il piccolo gregge rimasto fedele non alberga in Vaticano, ma è disperso nel mondo. L’articolo qui sotto risente di questa premessa essenziale, di cui, però, il lettore deve tener conto:

Fonte: L’Espresso del 2/02/2022

di Sandro Magister

In ottobre scadrà l’accordo provvisorio e segreto tra la Santa Sede e la Cina sulle nomine dei vescovi, stipulato il 22 settembre 2018 e rinnovato per altri due anni nel 2020. È presto per dire se sarà riconfermato in forma più stabile. Di certo, ciò che non è provvisorio è lo strapotere di Xi Jinping, che da dicembre è stato anche insignito del titolo altamente simbolico di “Grande Timoniere”, come soltanto Mao Zedong prima di lui.

Questo comporta che la linea politica dettata da Xi è incondizionata e a lungo termine, con strettissimi se non inesistenti margini di negoziazione per una controparte già di per sé debole come il Vaticano. Di fatto, nella scelta dei nuovi vescovi, il predominio della Cina è schiacciante e l’eccezione rappresentata dalla diocesi di Hong Kong, che è esente dall’accordo del 2018, è anch’essa in serio pericolo. Lo scorso anno il suo attuale vescovo è stato nominato senza che, nella sua scelta, Roma dovesse sottostare alle autorità cinesi. Ma un mese prima che il nuovo vescovo fosse consacrato, Pechino ha compiuto un passo che ha fatto presagire un vicino pieno dominio della Cina non solo sulla metropoli di Hong Kong, come già avviene, ma anche sulla vivace Chiesa cattolica presente nell’ex colonia britannica.

Il nuovo vescovo di Hong Kong, Stephen Chow Sau-yan, 62 anni, gesuita, è stato consacrato lo scorso 4 dicembre. Ebbene, il 31 ottobre ha avuto luogo nella città un incontro senza precedenti, inizialmente rimasto segreto ma poi reso noto dall’agenzia Reuters in una corrispondenza del 30 dicembre.

L’incontro era promosso dall’Ufficio che rappresenta a Hong Kong il governo centrale di Pechino, con la supervisione, dal continente, dell’Amministrazione statale degli affari religiosi.

Vi hanno preso parte per la Cina tre vescovi e 15 religiosi della Chiesa ufficiale riconosciuta dal governo di Pechino, e per Hong Kong due vescovi e 13 religiosi.

A guidare la delegazione di Hong Kong era Peter Choy Wai-man, il docile prelato che le autorità cinesi avrebbero visto volentieri alla testa della diocesi. Chow, il nuovo vescovo designato, ha preso parte all’incontro solo per poco, all’inizio, mentre ad aprire e a chiudere l’evento è stato il cardinale John Tong Hon, vescovo emerito e amministratore temporaneo della diocesi. Scontata l’assenza del novantenne cardinale Joseph Zen Ze-kiun, emblema dell’opposizione al governo cinese e critico severo dell’accordo tra il Vaticano e Pechino.

I delegati provenienti dal continente hanno insistito perché venisse applicata pienamente anche a Hong Kong la cosiddetta politica di “sinicizzazione” delle religioni, con una subordinazione più marcata della Chiesa cattolica ai caratteri propri della Cina, quelli dettati dal Partito comunista e dallo Stato.

La “sinicizzazione” delle religioni è un caposaldo della politica di Xi, la cui agenda applicativa era ben nota ai partecipanti all’incontro. Nell’arco dell’intera giornata nessuno ha fatto il nome del presidente della Cina, ma “Xi era l’elefante nella stanza”, ha detto alla Reuters un membro della delegazione di Hong Kong. “Per qualcuno di noi la ‘sinicizzazione’ è sinonimo di ‘Xinicizzazione’”.

L’incontro di Hong Kong non è stato affatto un’iniziativa isolata. Ai primi di dicembre Xi ha tenuto un discorso a Pechino nell’ambito di una “Conferenza nazionale sul lavoro riguardante gli affari religiosi”, in cui ha ribadito che tutte le religioni in Cina devono sottostare al Partito comunista, al quale spetta “la direzione essenziale dell’attività religiosa”, ai fini di una piena “sinicizzazione”.

Ma soprattutto va tenuto conto del fondamentale documento approvato l’11 novembre dal Comitato centrale del Partito comunista cinese, col titolo di “Risoluzione sui grandi compimenti e sulla storica esperienza del partito nel secolo trascorso”.

Una risoluzione di questo tipo è la terza in tutta la storia della Cina comunista. La prima fu con Mao Zedong nel 1945, la seconda con Deng Xiaoping nel 1981 e questa terza, ad opera di Xi Jinping, si rapporta alle altre come una sorta di sintesi hegeliana, con l’ambizione di incorporare il meglio di quanto fatto da Mao, la tesi, e corretto da Deng, l’antitesi.

Nella sua quinta sezione, la risoluzione rifiuta il sistema democratico occidentale, fatto di costituzionalismo, di alternanza al governo e di separazioni tra i poteri, un sistema che se adottato “porterebbe la Cina alla rovina”.

Ma in particolare respinge “la libertà religiosa di modello occidentale”. In Cina “le religioni devono essere cinesi nell’orientamento” e costantemente sottomesse alla “guida del Partito comunista perché si adattino alla società socialista”.

In Vaticano ben conoscono questa politica e tentano di addomesticarla come “complementare” alla visione cattolica della “inculturazione”. Nel maggio del 2019, in un’intervista al quotidiano “Global Times”, espressione in lingua inglese del Partito comunista cinese, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha detto che “inculturazione” e “sinicizzazione” insieme “possono aprire cammini di dialogo”, tenendo presente “la reiterata volontà” delle autorità cinesi “di non minare la natura e la dottrina di ciascuna religione”.

Ma la più argomentata apologia della “sinicizzazione”, da parte Vaticana, resta tuttora l’articolo pubblicato nel marzo del 2020 sulla rivista “La Civiltà Cattolica” – come sempre con l’approvazione previa della segreteria di Stato e di papa Francesco – dal sinologo gesuita Benoit Vermander.

L’autore paragona coloro che oggi criticano la “sinicizzazione” – e fa i nomi del cardinale Zen e dell’allora direttore di “Asia News” Bernardo Cervellera – agli eretici montanisti e donatisti dei primi secoli, intransigenti nel condannare i cristiani che si erano piegati alle imposizioni dell’impero romano.

Vermander difende in pieno sia l’accordo tra la Santa Sede e la Cina del settembre 2018, sia il concomitante messaggio di papa Francesco ai cattolici cinesi e la successiva istruzione vaticana su come registrarsi nella Chiesa ufficiale.

Ma soprattutto mette in evidenza quella che ritiene la faccia buona della “sinicizzazione”: il fatto che “l’articolo 36 della Costituzione cinese continua a garantire formalmente la libertà religiosa”; il trattamento più benevolo adottato dalla autorità cinesi con i cattolici rispetto ai seguaci di altre religioni; la capacità di adattamento delle generazioni più giovani; la pazienza indotta nei cattolici cinesi dall’amore per il loro paese, “senza cercare il martirio a ogni costo”.

A testimonianza di ciò, Vermander esalta la vitalità di una parrocchia di Shanghai di sua conoscenza, in cui tutto sembra andare per il meglio, nonostante “i sacerdoti debbano partecipare regolarmente a ‘corsi di formazione’ organizzati dall’Ufficio per gli affari religiosi”.

Curiosamente, però, il gesuita non fa parola del fatto che il vescovo di Shanghai, Thaddeus Ma Daqin, è agli arresti domiciliari dal giorno della sua ordinazione nel 2012, semplicemente per essersi dissociato dall’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, il principale strumento con cui il regime controlla la Chiesa. Non gli è valso a ottenere clemenza nemmeno l’atto di pubblica sottomissione a cui si è piegato nel 2015, tra gli applausi – anch’essi inutili – de “La Civiltà Cattolica”, che definì quel suo gesto un modello esemplare di “riconciliazione tra la Chiesa in Cina e il governo cinese”.

Per non dire del totale, prolungato silenzio di papa Francesco su questa e sulle tante altre ferite inferte dal regime di Xi ai cattolici della Cina e di Hong Kong, questi ultimi già pesantemente perseguitati e ormai vicinissimi a finire anch’essi del tutto sotto il dominio del nuovo “Grande Timoniere”.

Usa: sdoganato l’aborto, “salta” l’obiezione di coscienza

Condividi su:

Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

Quanto accaduto a fine ottobre in Vaticano ha lasciato il segno. E non poteva essere altrimenti. Il fatto che, dopo l’incontro avuto, papa Francesco si sia detto felice che il presidente americano Biden «sia un buon cattolico» ed abbia dichiarato ch’egli debba «continuare a ricevere la Comunione», secondo quanto dichiarato dall’interessato, pur in assenza di conferme dirette da parte del Vaticano, non può passare sotto silenzio. Il fatto che, come riferito dall’agenzia Associated Press, l’attuale inquilino della Casa Bianca con le sue idee filoabortiste abbia ricevuto nonostante tutto, come tutti gli altri fedeli, la Santa Comunione nel corso di una Messa, celebrata presso la chiesa di St. Patrick, a Roma, vuole essere – ed è! – un segno molto chiaro. Il cui primo, triste frutto è stato l’atteso testo generale sul Mistero dell’Eucaristia nella vita della Chiesa, approvato dai Vescovi statunitensi al termine della loro assemblea autunnale, svoltasi dal 15 al 18 novembre scorsi a Baltimora, con ben 222 voti favorevoli, solo 8 contrari e 3 astensioni. Nel documento, proposto un anno fa per ribadire quel che la Dottrina cattolica dice a chi, anche se presidente, pur dichiarandosi cattolico, si opponga agli insegnamenti della Chiesa promuovendo aborto e gender, è improvvisamente sparito qualsiasi riferimento al fatto di negare a lui o a chiunque altro la Santa Comunione, ricordando soltanto ai fedeli, che rivestano cariche pubbliche e che occupino posizioni d’autorità, come essi abbiano «una speciale responsabilità» nel dover rispettare la legge della Chiesa. Tutto qui. Nessuna condanna, nessun provvedimento, nessuna restrizione.

Del resto, era già tutto contenuto nella lettera inviata nel maggio scorso dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Louis Ladaria, al presidente della Conferenza episcopale americana, l’arcivescovo di Los Angeles José Gomez. In essa si invitava espressamente al dialogo, raccomandando di evitare che «la formulazione di una politica nazionale» su di una questione «potenzialmente controversa» (sic!)possa diventare «fonte di discordia piuttosto che di unità all’interno dell’episcopato e della più grande Chiesa negli Stati Uniti». Per poi concludere, specificando come ogni discussione in merito debba «essere contestualizzata nella più ampia cornice della dignità di ricevere la Comunione da parte di tutti i fedeli, anziché da parte di una sola categoria di cattolici», ritenendo il documento dei Vescovi Usa, allora in fase ancora embrionale, «fuorviante se desse l’impressione che l’aborto e l’eutanasia costituissero da soli le uniche questioni gravi dell’insegnamento morale e sociale cattolico, che richiedono l’intervento della Chiesa».

Dunque, «Roma locuta, causa soluta»? No, certo! Biden e le lobby abortiste, che lo hanno sostenuto durante la campagna elettorale, non considerano questo un punto di arrivo, bensì solo un punto di partenza. Intendono anzi “capitalizzare” il via libera vaticano, per rilanciare. Ed ecco l’Ufficio per i Diritti Civili ed il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani lanciati in una nuova sfida: cancellare i provvedimenti dell’amministrazione Trump, in particolare l’Rfra-Religious Freedom Restoration Act, e costringere così i medici e le cliniche cattolici a praticare aborti ed interventi di transizione di genere. Grazie ai documenti giudiziari ottenuti, la Catholic Benefits Association ha dimostrato una stretta relazione sussistente tra il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani americano e numerose organizzazioni attiviste di Sinistra, come la Leadership Conference on Civil and Human Rights.

L’eventuale prevalere della linea Biden ammazzerebbe il diritto a qualsiasi obiezione di coscienza, nonché l’autonomia della Sanità cattolica (e non solo). Se ad un posto in una clinica cattolica ambisse un medico abortista, questi dovrebbe essere comunque assunto, benché in chiaro contrasto coi principi etici della struttura.

Non solo. L’amministrazione Biden starebbe introducendo anche il “diritto” dei single socialmente infertili e delle coppie Lgbt a ricevere trattamenti di fertilità, per poter comunque “avere figli”. Una novità subito ben accolta dall’industria sanitaria, che vede in ciò l’occasione per nuovi, insperati business, per quanto disumani. La strategia è quella di giungervi grazie alle sentenze dei tribunali, bypassando così anche gli eventuali ostacoli resi possibili da un dibattito in sede di Congresso. È, questa, la democrazia “fai-da-te”, che si costruisce e si smonta a piacimento, a seconda di dove portino gli interessi di bottega e di lobby. Non va dimenticato come della squadra di Biden facciano parte anche numerose altre sigle di Sinistra quali l’Aclu, gli Atei americani, l’Anti-Defamation League, la Human Right Campaign, il Southern Poverty Law CenterPlanned Parenthood ed il Center for American Progress, da sempre ontologicamente ostili alla presenza cattolica.

Sarebbe buona cosa che chi ha posto le premesse della rivoluzione in atto riflettesse, almeno ora, sulle conseguenze…

Cina, arrestati ​​vescovo, sette sacerdoti e dieci seminaristi

Condividi su:

L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Leonardo Motta

In soli due giorni, quasi tutto il personale ecclesiastico della Prefettura apostolica di Xinxiang (che conta 100.000 fedeli.) è stato “eliminato” con un’operazione delle forze di polizia della provincia
di Hebei. Il 21 maggio il vescovo Zhang Weizhu è stato arrestato; il giorno prima erano stati arrestati sette sacerdoti e dieci seminaristi.
Il 20 maggio, nel primo pomeriggio, circa 100 poliziotti della provincia di Hebei – da Cangzhou, Hejian e Shaheqiao – hanno circondato l’edificio adibito a seminario diocesano a Shaheqiao, Hebei.
Xinxiang utilizzava come seminario una piccola fabbrica di proprietà di un cattolico dell’Hebei. La polizia è entrata nell’edificio e ha arrestato quattro sacerdoti, professori di seminario e altri tre sacerdoti che svolgono attività pastorale. Insieme a loro hanno arrestato 10 seminaristi che stavano frequentando le lezioni in fabbrica.

A seguito delle direttive del Nuovo Regolamento sulle attività religiose, la fabbrica è stata chiusa e il direttore dell’azienda è stato arrestato.
La Prefettura Apostolica di Xinxiang non è riconosciuta dal governo cinese. Per questo tutte le attività di sacerdoti, seminaristi e fedeli sono considerate “illegali” e “criminali”.
Dopo il raid, la polizia ha sequestrato tutti gli effetti personali di sacerdoti e seminaristi.
Dato l’enorme dispiegamento di forze di polizia, si ritiene che il raid fosse pianificato da molto tempo. Le autorità civili ritengono che ci siano alcuni seminaristi (che sono riusciti a scappare) “latitanti” e li stanno cercando nella zona (le forze di polizia vanno di casa in casa per trovarli).
L’arcivescovo Joseph Zhang Weizhu, 63 anni, è stato ordinato vescovo nel 1991 ed è stato incarcerato più volte.
Da quando è stato firmato l’accordo interinale tra Cina e Santa Sede, è aumentata la persecuzione contro i cattolici, soprattutto quelli non ufficiali. L’accordo si riferisce solo alla nomina di nuovi vescovi, ma la premessa era che il resto della situazione della Chiesa sarebbe rimasto in sospeso fino a quando i problemi non sarebbero stati affrontati attraverso il dialogo tra le due parti. Al contrario, le forze dell’ordine hanno posto agli arresti domiciliari vescovi, inflitto multe altissime ai fedeli, espulso parroci dalle chiese e arrestato sacerdoti e seminaristi. Molti fedeli ritengono che “l’accordo sia stato tradito”.
Basta essere scoperti con segni legati alla fede cattolica (croci, statue, immagini sacre, fotografie del Papa, ecc.), per essere rapiti, arrestati, ricevere la distruzione degli oggetti e delle multe salate.
Questo si chiama Comunismo! Ma qualcuno in Italia, vorrebbe andare a braccetto con il PCC!

Scontri in USA: avanza il “deep State”, ma chi lo combatte?

Condividi su:

L’EDITORIALE

di Matteo Castagna

Il 2021 si apre con il botto: stavolta non è il Covid a spadroneggiare ma la notizia, incontrovertibile, per cui il popolo americano si è, per la prima volta, reso conto di non essere nella democrazia perfetta in cui ha sempre creduto di vivere. Milioni di persone, nel giorno dell’Epifania, si sono riversate nelle strade di Washington, hanno sonoramente protestato contro quella che riconoscono come una palese violazione della loro libertà: la vittoria di un presidente con l’imbroglio.

Ebbene, anche negli USA, si può sedere alla Casa Bianca, grazie a dei brogli elettorali. E’ questo concetto che gli statunitensi hanno in testa e non riescono proprio a digerire. Trump è la vittima di un raggiro e di un’ingiustizia ordita e preordinata dal deep State, per farlo fuori. Quindi non è il fautore di un tentato golpe – come cialtronescamente hanno fatto intendere alcuni dei soliti allineati, leccaculo dei potenti di turno – ma colui che lo subisce. Intollerabile, inaccettabile, immorale per un repubblicano americano, innamorato della sua democrazia. Da ieri, non sarà più come prima, perché la vittoria con voto, considerato farlocco, non è minimamente nelle more della mentalità di almeno la metà degli americani. Ieri, il popolo USA ha sancito la morte del mainstream e gli ha dichiarato guerra. Quanto durerà non possiamo saperlo, ma sappiamo che la figura di Trump è uscita comunque vincitrice, perché ha dimostrato d’avere un seguito, che non ha precedenti e che i Dem non si aspettavano, fin dai tempi dei sondaggi. Cosa farà il miliardario tycon nelle prossime settimane non possiamo saperlo, ma possiamo immaginare che avrà tutto il tempo ed i mezzi per tirar fuori dal cilindro delle sorprese poco piacevoli per gli avversari. I quali non sono, però, né sprovveduti né privi di potere. 

In Italia, invece, ai brogli ed agli imbrogli siamo assuefatti da troppo tempo. I “plebisciti truffa” del periodo risorgimentale hanno annesso al Regno d’Italia Stati che volevano rimanere fedeli ai loro legittimi sovrani. Nel 1866 il Veneto è stato annesso con l’inganno. Ma anche il Regno delle due Sicilie e lo Stato Pontificio ebbero di che recriminare. Secondo buona parte della storiografia contemporanea anche il Re sarebbe stato deposto a seguito di un referendum taroccato. Il 2 giugno 1946 avrebbe vinto la monarchia di oltre due milioni di voti. Ma alcune manine avrebbero cambiato il risultato e, di conseguenza, la storia d’Italia. Ad ogni elezione si leggono cronache di scatoloni di schede elettorali trovate qua e là, di matite copiative che si cancellano, di schede bianche “che si possono colorare” – come direbbe Cetto Laqualunque. Sembra che per l’italiano medio non vi sia più nulla di cui scandalizzarsi e per cui protestare. Neanche se gli mettono le mani nel conto corrente, di notte, come fece nel 1992 l’esecutivo guidato dal socialista Giuliano Amato. In compenso sa ragliare bene sui social, nei bar (fino alle 18.00) e di nascosto da orecchie indiscrete. I governi, anche i peggiori, come quello attuale, possono dormire sonni tranquilli perché non ci sarà nessun impellicciato con elmo cornuto che gli guasterà la festa, né persone comuni che si riuniranno sotto il palazzo del potere a gridare “Libertà” issando la croce e pregando, a migliaia, il Padre nostro come avvenuto fuori dal Campidoglio di Washington.  Continua a leggere

La pratica omosessuale è sbarcata in Vaticano?

Condividi su:

 

L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Leonardo Motta

Poco più di un anno fa aveva fatto molto rumore – sulla stampa laicista mondiale e purtroppo anche su una parte di quella che si dichiara cattolica – il libro di Frédéric Martel dal titolo Sodoma:
Enquête au coeur du Vatican, testo tradotto in circa 20 lingue.
Il cinquantunenne storico e sociologo omosessuale francese nella sua discutibile opera, scritta in quattro anni con l’aiuto di decine assistenti, appoggiandosi sulle testimonianze di 41 cardinali (Martel ha ottenuto l'accesso ad alcuni di loro sotto false pretese, come hanno spiegato concordemente i cardinali Gerhard Müller e Walter Kasper, che certo non sono vicini dal punto di vista spirituale e teologico, www.lifesitenews.com/news/cardinals-from-left-and-right-homosexual-author-of-vatican-book-met-with-us-under-false-pretenses), 52 vescovi e monsignori, 45 Nunzi Apostolici e Ambasciatori stranieri, 11 guardie svizzere e oltre 200 tra sacerdoti e seminaristi (e,complessivamente, intervistando quasi 1.500 persone in Vaticano e in 30 Paesi diversi), ha sostenuto nelle 570 pagine del libro (supportato da quattrocento ore di registrazioni, ottanta quaderni di appunti di colloqui e diverse centinaia di foto e di selfie di cardinali) che una grande maggioranza dei sacerdoti e dei vescovi in Vaticano, compresi quelli che Martel accusa d’essere tradizionalisti (e che avrebbero espresso considerazioni pubbliche legate alla morale sessuale, a detta dell’autore), sarebbero omosessuali, praticanti o meno, e avrebbero instaurato convivenze con segretari, assistenti o inventati.

Scommettiamo che le voci sulla omosessualità dei cardinali non progressisti sono state diffuse dai loro oppositori, dai sostenitori della gnosi omosessualista nella Chiesa. Così, nell’elenco dei
cardinali, conservatori, e per questo monsignori omofobi, Frédéric Martel ha inserito i nomi di Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner, Gerhard Ludwig Müller, Walter Brandmüller, Mauro Piacenza, Velasio De Paolis, Tarcisio Bertone, George Pell, Angelo Bagnasco, Antonio Cañizares, Kurt Koch, Paul Josef Cordes, Willem Eijk, Joseph Levada, Marc Ouellet, Antonio Rouco Varela, Juan Luis Cipriani, Juan Sandoval Iñiguez, Norberto Rivera, Javier Errazuriz, Angelo Scola, Camillo Ruini, Robert Sarah e altri. Guarda caso si tratta di alti prelati che nel mondo cattolico sono considerati conservatori e non progressisti… La tecnica Lgbt è sempre la stessa: cercare di silenziare le voci di dissenso, in particolare le voci non progressiste. E come si fa questo? Con l’ intimidazione, o ridicolizzando, o tramite azioni legali, utilizzando tutti i metodi per evitare il vero dialogo. Coloro che si oppongono alla gnosi omosessualista devono essere demonizzati, stigmatizzati, emarginati e messi a tacere, anche attraverso l’utilizzo dei mass media, evitando per esempio che tali persone propongano sui media le loro idee basate sulla Bibbia o utilizzando i media per stravolgere la verità come è accaduto in Italia durante il XIII Congresso Mondiale delle Famiglie che si era tenuto nella città veneta di Verona. Solo le idee Lgbt sono degne di diffusione e i dissidenti devono essere bloccati in tutti i modi, a volte anche violenti. Quegli stessi concetti di “tolleranza”; “accettazione” e “diversità”, che sono diventati i termini chiave della propaganda Lgbt sono invece esclusi per coloro che non accettano l’agenda Lgbt. Ma i cristiani sanno che più saranno odiati e calunniati, più dovranno rispondere con amore e verità perché l’oscurità non riuscirà mai a spegnere la Luce.
Inoltre Martel ha scritto che nella Chiesa la lobby gay è così pervasiva che l’omosessualità è oramai tollerata, almeno finché non conduca alla pedofilia, cercando di non cadere nelle malattie veneree.
Martel, infatti, sostiene che la sieropositività e l’Aids avrebbero imperversato nella Santa Sede e nell’episcopato italiano negli anni Ottanta e Novanta e che molti tra sacerdoti, monsignori e
cardinali, ne sono morti. Secondo Martel alcuni sacerdoti avrebbero ricevuto la diagnosi durante l’annuale esame del sangue, obbligatorio per il personale del Vaticano. In realtà questo obbligo dell’esame annuale del sangue non si applica ai monsignori, ai nunzi, ai vescovi e ai cardinali. Inutile sottolineare che Martel ha trovato alcune porte aperte nei palazzi vaticani, tanto che lo stesso omosessuale francese non ha nascosto i suoi incontri ripetuti con padre Antonio Spadaro, direttore della rivista mondiale dei gesuiti “Civiltà Cattolica”, considerato una delle eminenze grigie dell’attuale pontificato, un siciliano che si mostra sui social abile comunicatore. Continua a leggere

Salvini faccia sintesi nel Sovranismo italiano!

Condividi su:

di Matteo Castagna (pubblicato su Informazione Cattolica di oggi)

I globalisti, ovvero le sinistre hanno brindato alla vittoria delle elezioni regionali. Eppure, se si vanno a vedere i numeri non sembrerebbe che per i partiti che si riconoscono nel “deep State” la situazione sia propriamente quella prospettata da Di Maio e Zingaretti. Il fronte sovranista, infatti, governa 14 Regioni su 20 e centinaia di comuni, confermandosi largamente maggioritario nel Paese.

Fa tenerezza vedere i grillini esaltarsi della vittoria del “sì” al referendum costituzionale quando il consenso è stato, per loro, impietoso, relegandoli ad avere, quasi sostanzialmente, una rappresentanza parlamentare che, però, risale alle elezioni del 2018.

Mario Mieli, sul Corriere della Sera, ha osservato che la destra in Italia è viva e vegeta nonché che dispone del partito di maggioranza relativa e di un leader che, piaccia o non piaccia, è l’artefice principale di questa fiducia da parte degli italiani. Non possiamo nascondere che vi siano dei problemi, che non vanno osservati ma affrontati. Un grande partito, con degli alleati, deve sapersi assumere l’onere e l’onore dell’esercizio del potere di decidere cosa va e cosa non va, nonché quali persone siano le migliori a dover interpretare il prossimo futuro, sapendo che si vince in squadra.

Un cambio di passo in senso pragmatico verso l’Europa è auspicabile, come auspicato da Giancarlo Giorgetti, laddove questo non significhi mandare a finire in quel che fu Fiuggi per Fini un sovranismo ancora in fase embrionale. Significa, semmai, due cose: andare a definire almeno nei suoi tratti fondamentali, questo benedetto sovranismo e renderlo credibile a governare il Paese, soprattutto attraverso una classe dirigente preparata, nel rispetto delle diverse anime e identità. A Salvini l’arduo compito di fare la sintesi, non certo di farsi da parte, come qualche sprovveduto o rosicone desidererebbe, facendo il gioco, più o meno consapevole, dei globalisti. Sarebbe auspicabile che si comprendesse che il fondamento su cui costruire trova solidità autentica e duratura solo attorno a principi fondamentali e addirittura, ancestrali, post-ideologici che in Occidente, ed in particolare in italia vedono nella cristianità la base di partenza. E’ proprio perché “non possiamo non dirci cristiani” che questa frase è stata fatta propria anche da autorevoli atei ed è la base da riconoscere anche e soprattutto da parte di chi non è cattolico, ma intellettualmente e culturalmente onesto. Le nostre radici classico-cristiane non sono contestabili. Basta guardarsi attorno per capire che sono, oggettivamente, la nostra primaria Identità. Partire da qui sarebbe importante per un processo fondativo da costruire tra uomini e donne che sono certamente peccatori, ma non per forza debbono essere impenitenti. Continua a leggere

Lo “Stato profondo” del Papa: ecco chi comanda in Vaticano

Condividi su:

Viganò ha parlato di Chiesa profonda. Un pezzo di Vaticano impegnato a disegnare il futuro e il trono di Pietro

di Francesco Boezi

Monsignor Carlo Maria Viganò, nella sua lettera a Donald Trump – quella che il presidente degli States ha rilanciato sui social – ha parlato di una “deep Church”, ossia di una “Chiesa profonda”. Un emisfero che potrebbe essere associato al Vaticano. Uno “Stato profondo” che si oppone, secondo l’analisi dell’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, anche alla riconferma del candidato repubblicano alla Casa Bianca. Uno strato che guida i processi che incidono sul globo, nonostante non si palesi di fronte a tutto.

Il “deep State”, nella narrativa sovranista, è composto dai potentati che non accettano che un anti-sistema come Trump possa governare la nazione più importante del mondo. Lo stesso discorso varrebbe per la Santa Sede. In questo secondo caso, però, per “Stato profondo” o “Chiesa profonda” bisognerebbe intendere anche gli autori di una spinta ideologico-culturale che punterebbe a destrutturare la Chiesa cattolica per come l’abbiamo conosciuta in nome del progressismo.

Esiste una cerchia più o meno ristretta che influisce sulle posizioni di Papa Francesco e sull’avvenire del cattolicesimo: questa è la convinzione del “fronte tradizionale”. Carlo Maria Viganò, nella sua missiva, ha scritto quanto segue: “E non stupisce che questi mercenari siano alleati dei figli delle tenebre e odino i figli della luce: come vi è un deep state, così vi è anche una deep Church che tradisce i propri doveri e rinnega i propri impegni dinanzi a Dio. Così, il nemico invisibile, che i buoni governanti combattono nella cosa pubblica, viene combattuto dai buoni pastori nell’ambito ecclesiastico”. La Chiesa cattolica americana appare divisa in vista delle elezioni presidenziali: i conservatori sostengono apertamente The Donald, mentre i progressisti ed i cattolici democratici propendono per Joe Biden. Si tratta di una storia antica, ma la spaccatura interna adesso è più visibile che mai. Jorge Mario Bergoglio insiste nel dire che dividere è opera del diavolo. Gli appelli degli ecclesiastici progressisti in favore del candidato dei Dem, tuttavia, non si contano più. Così come quelli dei pro life in favore di Trump. Chi è, dunque, che sta alimentando le divisioni nella Ecclesia? Il quesito è attuale. Continua a leggere

1 2 3 4