Perché solo la vera Destra ha la verità?

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EDITORIALE

di Matteo Castagna
Adriano Romualdi (1940-1973), che andrebbe studiato e rivalutato, ha fornito delle interessanti riflessioni in merito “ad una cultura per l’Europa”, titolo di uno dei suoi libri, edito da <<Settimo Sigillo>> (Roma, 2012). L’omologazione su alcuni principi fondamentali di certa “destra” con certa sinistra, in particolar modo sull’ egualitarismo, sullla verità oggettiva, sui temi etici, derivanti da una lunghissima tradizione di precetti religiosi cattolici, annulla il weltanshauung (visione del mondo) dell’uomo di destra, che diventa un’ibrida brutta copia dell’ideale, sottomessa all’avversario democratico, sovvertitore dell’ordine, del diritto naturale, dell’identità e della normalità, intesa come adeguamento alla consuetudine storica e morale della Nazione.
Julius Evola (1898-1974) stimava molto il giovane Romualdi, che lo andava a trovare a casa e si confrontava sulle idee. Entrambi avevano lo stesso approccio nel rispondere alla domanda: che cosa dignifica “essere di destra”?
Romualdi risponde in modo molto simile ad Evola: “…in primo luogo significa riconoscere il carattere sovvertitore dei movimenti scaturiti dalla rivoluzione francese, siano essi il liberalismo, o la democrazia (degenerata nella negazione della verità oggettiva, n.d.r.) o il socialismo”. E poi continua: “essere di destra significa, in secondo luogo, vedere la natura decadente dei miti razionalistici, progressistici, materialistici, che preparano l’avvento della civiltà plebea, il regno della quantità, la tirannia delle masse anonime e mostruose”.
“Esser di destra significa in terzo luogo concepire lo Stato come una totalità organica, dove i valori politici predominano sulle strutture economiche e dove il “detto” a ciascuno il “suo” non significa uguaglianza, ma equa disuguaglianza qualitativa”. “Infine, esser di destra significa accettare come propria quella spiritualità aristocratica, religiosa e guerriera che ha improntato di sé la civiltà europea, e – in nome di questa spiritualità e dei suoi valori – accettare la lotta contro la decadenza dell’Europa”.
Julius Evola amplia l’analisi nel testo: “Gli uomini e le rovine” (Ed. Mediterranee, Roma, 1967-2001, pag. 61-69) ove tratta di Rivoluzione, Controrivoluzione e Tradizione. Il male assoluto è radicato nella sovversione, determinata in Europa dalle rivoluzioni dell ’89 e del ’48. “Il male va riconosciuto in tutte le forme e i gradi (…) per cui il problema fondamentale è di stabilire se esistono ancora uomini capaci di respingere tutte le ideologie, tutte le formazioni politiche e partitiche che comunque, direttamente o indirettamente, derivano da quelle idee.Il che vale a dire tutto il mondo che va dal liberalismo al democraticismo, fino al marxismo e al comunismo. (…) Di rigore, la parola d’ordine potrebbe essere dunque “controrivoluzione” “. Ma la sovversione si è stabilita da molto tempo nella gran parte delle Istituzioni vigenti e, quindi, l’uomo di “destra” deve rappresentare la “reazione, che da tempo, gli ambienti di sinistra hanno fatto sinonimo di ogni nequizia e di ogni infamia ed essi non perdono nessuna occasione per stigmatizzare con questo termine tutti coloro che non si prestano al loro gioco, che non seguono la corrente, ciò che per loro sarebbe il “senso della storia””.
Evola prosegue l’analisi affermando che “se questo da parte loro è naturale, non lo è affatto il complesso di angoscia che spesso la parola (reazione, n.d.r.) suscita, a causa di una mancanza di coraggio politico, intellettuale e potremmo dire anche fisico, perfino negli esponenti di una presunta Destra o di una “opposizione nazionale”, i quali non appena si sentono tacciare di “reazionari” protestano, si scagionano, si mettono a dimostrare che le cose stanno altrimenti.
Perciò, secondo Evola, doveva “nascere un nuovo “schieramento radicale”, con frontiere rigorose fra l’amico e il nemico”. E, a questo punto, il ragionamento si fa, addirittura profetico: “Se la partita non è ancora chiusa, l’avvenire non sarà di chi indulge alle idee ibride e sfaldate oggi predominanti, negli stessi ambienti che non si dicono certo di sinistra, bensì di chi avrà, appunto, il coraggio del radicalismo – quello delle “negazioni assolute” o delle “affermazioni sovrane”, per usare le parole di Juan Donoso Cortès.
 (…) Joseph “De Maistre” rilevò che ciò di cui si tratta, più che “controrivoluzione” in senso stretto e polemico, è “il contrario di una rivoluzione”, ossia un’azione positiva, che si rifà sempre alle origini”. Evola si riferisce alle tradizioni, per cui l’uomo che “riconosce l’esistenza di principi immutabili per ogni ordine vero, e fermo in essi, non si lascia trasportare dagli eventi, non crede alla “storia” e al “progresso” quali misteriose sovraordinate entità, s’intende a dominare le forze dell’ambiente e a ricondurle a forme superiori e stabili. Aderire alla realtà, per il tradizionalista significa questo”.
Poiché la realtà è verità, possiamo concludere con San Tommaso d’Aquino, il quale, ne “Le Quaestiones disputatae de veritate”  sostiene che la  verità è connessa all’essere, anzi coincide con l’essere stesso: l’ens e il verum sono reciprocamente convertibili; dalle questioni, condotte secondo il metodo dialettico del sic et non, emerge, quindi, la dottrina classica della verità come adeguazione della mente umana alla cosa conosciuta in quanto realmente esistente. 
 
A sinistra, il pensiero è totalmente contrario, e “intrinsecamente perverso”, come ebbe a rilevare Papa Leone XIII. E’ l’uomo che crea la realtà e ciascuno è totalmente libero di credere a presunte verità soggettive, tanto quanto chiamare diritti i desideri e confondere il male col bene, negando il principio di non contraddizione e identità. In questa fluidità, tutto può essere e non essere, in stile distopico, senza bisogno, ogni volta, di realtà tangibili, che ciascuno può inventare come gli pare e piace, nella pseudo-felicità umanitarista, egualitarista, mondialista, globalista, materialista, tecnicista, violenta, intollerante, zeppa d’odio verso i “reazionari” e sessuomane, appiattita sugli interessi del grande Capitale, che, per i liberal di oggi non è più così brutto e cattivo, come insegnava Karl Marx…
 

Studi antimassonici: rigore e verità!

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Ripubblichiamo un articolo della rivista francese “Héritage”, tradotto e pubblicato dalla rivista “Sodalitium” (nn.70-71, settembre 2020), sullo spinoso problema della credibilità di certa documentazione utilizzata da alcuni studi anti-massonici.
PROBLEMI DI DOCUMENTAZIONE IN ALCUNI LIBRI ANTI-MASSONICI.
I casi di Pio XII e di Albert Pike. A proposito di una citazione di Pio XII

Abbiamo bisogno di verità

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di Marcello Veneziani

Cosa ti manca di più in questi mesi da cittadino, da giornalista e da “pensatore”? La verità. Sì, la verità, questa importuna signorina che sembra troppo antica, troppo perentoria, troppo assoluta per sposarsi e adattarsi al microclima dei nostri giorni, anzi al clima micragnoso e velenoso del presente. La vedo fuggire indignata e ferita dal circo mediatico-politico, rattrappirsi nelle bocche dei politicanti di Palazzo, spegnersi nelle menti degli intellettuali e pervertirsi sulle colonne infami dei giornali. Lo dico per esperienza quotidiana ripensando a troppi fatti recenti, tra pandemia, guerra e crisi economica, energetica e ambientale e che ritrovo esattamente rovesciati nella rappresentazione che ne hanno dato testimoni, attori e narratori. La realtà è una cosa, la rappresentazione dei media è un’altra. La storia è una cosa, la ricostruzione è un’altra. A nulla vale tentare di restituire la verità delle cose, resta solo quel che è sostenuto con mezzi più forti. L’ideologia vince sulla realtà, la ragion politica sulla verità. L’organizzazione sistematica della non-verità, fino al capovolgimento dei fatti e delle responsabilità vince sulla verità: la fiction si insinua anche nella vita e nella comunicazione e risponde a scopi propagandistici, manipolazioni dei fatti. Il falso vale più del vero, anche perché è più duttile e dunque si adatta a chi lo indossa. Chi detiene l’egemonia ideologica dell’informazione ti può far passare per vittima o per censore, per eroe o asservito, indipendentemente dalla verità dei fatti. Se la verità non coincide con i loro interessi ideologici o materiali, tanto peggio per la verità.

Troppo spesso allontanata dai Palazzi, compresi quelli di giustizia, la verità non viene risarcita nelle piazze, nelle case e nei luoghi pubblici e privati della vita odierna; ma anche qui svanisce perché prevale nella quotidianità corrente la simulazione e la dissimulazione, l’apparenza e il travestimento, l’ipocrisia e lo sdoppiamento. Anche il senso comune alla lunga cede alle convenienze. Anzi non c’è un mondo comune, ognuno vede le cose dal suo punto di vista e di utilità. Soggettivismo puro e relativismo. Chi pensa che la fine della verità oggettiva e comune sia l’inizio della libertà e la garanzia della democrazia, rovescia la realtà: senza una verità condivisa e fondata sulla realtà, vince la verità del più forte, fino a che è più forte. Altro che libertà e diritti umani.
E’ il problema più urgente dei nostri anni: la perdita della verità. E la sua subordinazione ad altro: alla volontà di dominio, alla necessità del Fatturato, al primato del Piacere o, più modestamente, della Comodità, alla vittoria del Partito, dell’Apparato o dell’Azienda, comunque del Potere. Non riusciremo più a dialogare se continueremo a disattendere la verità; smetteremo di vivere con gli altri, di condividere sorte e lavoro, vita, amore e morte, se continueremo questa demolizione della verità a scopo d’utile individuale o di parte. E’ stata costruita negli anni la giustificazione scientifica per la perdita della verità: da tempo ormai ci insegnano sin dalle scuole che la verità non esiste; esiste l’interpretazione, l’opinione, il punto di vista. Non c’è una verità che valga per tutti e per sempre, la mia verità diverge dalla tua e muta col mutare del tempo; così relativizzata, la verità viene ridotta ad uso singolo e temporaneo, e quindi sottomessa prima allo sguardo e poi alla volontà del soggetto. Sembra ormai una verità acquisita e indiscutibile che non ci sia una verità oggettiva; ma non è così, credetemi.

C’è una sfera di cose incerte e opinabili ma c’è anche una sfera di cose chiare ed evidenti, senza le quali non riusciremmo a vivere e a comunicare; e nel mezzo c’è una processione infinita di realtà che si avvicinano alla verità, che si incamminano verso di lei. Per vivere, per dialogare, per avere un rapporto con gli altri e per stare al mondo, non possiamo partire che dalle cose certe e vere: la certezza di essere uomini e mortali, in primo luogo, e poi la certezza della nostra identità come ce la disdegna il corpo, l’origine, la provenienza, il luogo in cui siamo nati, le persone da cui proveniamo, il mondo. La certezza dell’esperienza passata, la certezza di aver pronunciato certe parole, di aver assunto certi impegni, di aver compiuto certe scelte: il nostro passato presenterà pure zone d’incertezza dovute alla labilità della memoria, agli inganni delle apparenze e alla opinabilità di alcune cose, ma è anche un luogo di verità e di realtà realmente accadute che non possiamo revocare o relativizzare. Certo è il richiamo della natura, la comune certezza di vedere le cose che vediamo, di sentire le cose che sentiamo. Certo è il presente. I sensi, gli affetti, i bisogni mostrano esperienze reali. Anche quando ci neghiamo alle verità della vita, ne siamo dentro, fino in fondo. Nascere, invecchiare, morire, creare, distruggere non sono illusioni o punti di vista.

Prima della libertà e della giustizia, prima del pluralismo e dei diritti, c’è il riconoscimento della verità. Non è vero che la verità uccida la libertà. I dispotismi del passato non nascevano nel nome della verità ma dall’arroganza soggettiva di chi pretendeva di identificarsi nella verità e decidere in suo nome sugli altri: nessuno incarna la verità, tutti siamo in varia misura dentro la verità, ma nessun essere umano è la verità. I dispotismi e i terrorismi non nascono nemmeno dalla pretesa di rappresentare la verità, ma al contrario dalla distorsione della verità e dalla sua sottomissione ad un Assoluto: il Partito, il Potere, l’Assoluto, la Classe, la Razza, il Paradiso in terra. In nome di una supremazia, la verità viene modificata e cancellata.
La verità attiene alla conoscenza e non alla potenza, è una ricerca e non un monopolio, è un fine e non è un mezzo, e dunque non può essere usata per colpire, ma per sapere. Oggi, dicevamo, viviamo tra pensiero debole e poteri forti: la verità è il suo contrario, un pensiero forte in un corpo fragile.

Bambini trans? È diabolico!

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Segnalazione di Pro Vita & Famiglia

di Jacopo Coghe

il fenomeno della “carriera alias” sta letteralmente esplodendo in Italia, nell’indifferenza generale.

È chiaro che la missione di risvegliare le coscienze su questo abuso giuridico e ideologico spetta a noi.

Le associazioni LGBTQIA* stanno convincendo sempre più scuole ad approvare la “carriera alias” per trattare alunni e studenti non come maschi o femmine ma in base a come loro dicono di “percepirsi”.

Di conseguenza, vengono inaugurati appositi “bagni neutri” dove non conta il sesso degli alunni. Anche l’accesso agli spogliatoi diventa “libero”, a prescindere dal sesso.

È di pochi giorni fa la sconvolgente notizia della prima scuola ELEMENTARE ad aver introdotto la carriera alias (a Manfredonia, in Puglia).

Circolo Cattolico, stiamo parlando di bambini tra 6 e 12 anni spinti verso la transessualità. È diabolico, non so come altro definirlo.

Per denunciare questa deriva abbiamo organizzato manifestazioni e flash-mob, conferenze stampa, commissionato sondaggi, riempito città di manifesti e camion-vela, scritto articoli e fatto interviste, invaso i social network con video e immagini virali, protestato con istituzioni e autorità, diramato comunicati stampa e costretto i media a parlare di noi e della carriera alias…

Abbiamo fatto talmente tanto che ne ha parlato persino il Tg3 nazionale (foto), raggiungendo milioni di italiani.

Abbiamo fatto tanto, è vero. Ma non basta, dobbiamo assolutamente aumentare il numero e la potenza mediatica delle nostre iniziative.

Dobbiamo farlo proprio ora che il Governo e il Ministro dell’Istruzione sono più orientati ad ascoltarci.

L’arrivo della carriera alias in una scuola elementare esige da noi un aumento immediato del numero e della potenza delle nostre iniziative.

Puoi aiutarmi ad aumentare le azioni di denuncia, protesta e informazione con una donazione di 10 euro o 5 euro, o di quanto puoi oggi? Dobbiamo insistere ORA per bloccare la diffusione della CARRIERA ALIAS nelle scuole!

Se preferisci, puoi donare con bollettino postale o bonifico bancario usando i dati che trovi alla fine di questa mail

Con la tua donazione mi aiuterai a realizzare i prossimi passi di questa campagna fondamentale, come:

> Preparare con un team di giuristi e psicologi un documento specifico sulla carriera alias da inviare a tutti i parlamentari, perché sappiano cosa sta accadendo
> Produrre un breve e chiarissimo video da diffondere via WhatsApp e altri social network per avvisare più genitori possibili su questo fenomeno
> Organizzare convegni e webinar per formare i genitori e aiutarli a capire come comportarsi se succede nelle scuole dei loro figli
> Preparare un dossier specifico per il nuovo Ministro dell’Istruzione, da incontrare in un appuntamento urgente che sto già chiedendo di poter avere
> Inviare diffide e denunce alle scuole che introducono la carriera alias violando la legge
> Continuare a denunciare il fenomeno sui media con articoli, interviste e comunicati stampa
> Organizzare banchetti e volantinaggi nelle piazze e per le strade
> Ristampare il vademecum per genitori protagonisti nelle scuole, andato esaurito in poche ore
> … e molto altro!

Ho l’obbligo di essere sincero: Pro Vita & Famiglia non dispone delle risorse per realizzare tutto ciò.

Le numerose iniziative messe in campo in tutta Italia nelle scorse settimane hanno ottenuto risultati enormi informando cittadini e genitori, ma inevitabilmente hanno prosciugato i fondi.

La nostra unica speranza sono le donazioni che riceviamo da chi, come te, condivide la nostra missione…

Ti posso chiedere di aiutarmi ad aumentare le iniziative contro questa deriva diabolica con una donazione di 10 euro, 5 euro o qualsiasi altra cifra tu ritenga opportuna per questa emergenza nazionale?

Se preferisci, puoi donare con bollettino postale o bonifico bancario usando i dati che trovi alla fine di questa mail

Tutto quello che abbiamo fatto finora contro la carriera alias e i progetti gender nelle scuole ci ha attirato l’odio viscerale delle associazioni LGBTQI* e dei comuni amministrati dalla sinistra.

Le nostre affissioni sono state vandalizzate e censurate, mentre sui nostri profili social siamo ricoperti di insulti, offese, bestemmie e minacce.

Battersi per la verità e per il bene dei nostri figli e nipoti esige un prezzo, e io accetto di pagarlo.

Tutto quello che spero è di avere accanto a me, accanto a Pro Vita & Famiglia, sempre più cittadini che condividono le nostre battaglie.

Perché questa sfida epocale potremo vincerla solo con perseveranza, determinazione e, soprattutto, unità.

Per questo mi permetto di chiederti di unirti a me con una donazione di 10 euro, 5 euro o qualsiasi altra cifra che mi aiuti a portare avanti questa campagna.

Se preferisci, puoi donare con bollettino postale o bonifico bancario usando i dati che trovi alla fine di questa mail

Coraggio Circolo Cattolico, sono convinto che ci stiamo avvicinando alla vittoria di questa battaglia.

Ed è proprio ora che occorre unire ancor più le forze. Grazie mille del tuo coinvolgimento!

In alto i cuori,

Jacopo Coghe
Portavoce Pro Vita & Famiglia
P.S. Se preferisci donare con bollettino postale o bonifico bancario ecco i dati che ti servono:

– Bonifico bancario
Intestato a: Pro Vita e Famiglia Onlus
Banca: Intesa SanPaolo
Causale: Donazione novembre
IBAN:IT65 H030 6905 2451 0000 0000 348

– Bollettino postale
Intestato a: Pro Vita e Famiglia Onlus
Conto corrente:1 0 1 8 4 0 9 4 6 4

– Se vuoi donare immediatamente con Carta o PayPal ti basta solocliccare subito qui

Siamo costretti a scrivere quel che nessuno vuol dire

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di Gianfranco la Grassa 

Fonte: Gianfranco la Grassa

Siamo costretti a scrivere quel che nessuno vuol dire. Ci esimeremmo volentieri dal compito se nell’Informazione ci fosse almeno qualcuno capace di staccarsi dal coro per esprimere idee degne di merito. I media, chi più chi meno, sono  concordi nell’affermare che la guerra in corso ha un aggredito e un aggressore. Pure chi ha capito che così non si può andare avanti, che per Kiev è meglio trattare, che l’Occidente non può inviare armi sine die perché non conviene all’Europa, non lesina giudizi sprezzanti sul tiranno di Mosca e sulla sua invasione. Ma trattasi di menzogna bella e buona. Per otto anni gli ucraini hanno bombardato e discriminato le popolazioni russofone delle loro province orientali. Hanno colpito per primi e ora stanno subendo la reazione che deve essere sproporzionata per non prolungare le sofferenze di tutti e ben al di là di quel contesto ristretto. I mezzi d’informazione allora non c’erano, preferivano voltarsi dall’altra parte ma questo non significa che quegli avvenimenti non stessero accadendo. I giornalisti sono troppo abituati a fabbricare i fatti tanto da giungere a credere che se non sono loro a produrli questi non esistano. Dunque, da un lato abbiamo i filo americani che tifano per la guerra perché devono obbedire al padrone il quale garantisce la loro condizione e dall’altro i filo moralisti che s’illudono di trasformare la pace in un’arma.
Ma la pace non è nulla, non esiste se non come descrizione di illusi o retorici. Ciò che viene dopo qualsiasi conflitto acuto si chiama ordine. Questo può essere stabile o più labile, in ogni caso è sempre precario, non dura per sempre perché il conflitto è ineliminabile dalle nostre società e agisce come un flusso continuo anche e soprattutto sotto traccia. La pace perpetua è quello a cui gli uomini anelano perché sono posti di fronte al conflitto costante. Quest’ultimo è la realtà mentre la prima fa parte di un mondo immaginario ma agli esseri umani piace credere che il concreto sia solo una proiezione delle loro astrazioni.
L’inseguimento di questa pace universale può diventare un problema quando alimenta sentimenti di ignavia e di vagheggiamenti che rimbambiscono i popoli. Chi si serve di queste chimere generalmente strumentalizza la credulità altrui per bassi fini di consenso elettorale. I guerrafondai a rimorchio degli stranieri sono sicuramente una razza peggiore ma non sottovaluterei gli ipocriti dell’irenismo la cui volontà di obnubilare le menti non è da meno.
Pertanto è meglio essere chiari e precisi sul senso degli accadimenti. “Perché la guerra non è lo scatenamento di sentimenti disumani, un orrore ingiustificabile per esseri razionali come gli uomini. E’ invece il mezzo che alla fine diventa necessario per mettere di nuovo ordine (mai completo, ma accettabile) nell’organizzazione della formazione generale (mondiale). Quindi la guerra è una delle modalità della Politica.
Quando la guerra ha deciso il nuovo ordine mondiale, ha semplicemente definito la nuova gerarchia di potere tra i vari paesi, gerarchia che assicuri un periodo di “pace”, che non è altro che lo scatenamento di conflitti meno acuti e non condotti con mezzi di distruzione e di uccisione di molti esseri umani. Ma anche il conflitto detto “guerra” dovrà sempre esistere finché c’è vita. Una vera pace universale c’è solo con la morte generale di tutto ciò che esiste. Non c’è un solo organismo al mondo, fosse pure la piccola molecola, in cui non c’è conflitto finché c’è vita. Vogliamo infine capirlo? Questo non significa amare la guerra, che conduce certo a drammi e dolori di immane portata. Significa solo prendere atto e capire che il dramma e il dolore sono parte essenziale della vita in “questo mondo”. Chi crede nell’“altro”, rinvii a quello ogni speranza di pace e amore; e si rassegni a quanto avviene in questo mondo e vi prenda parte.

Russia e Occidente al bivio, tra virtù e decadenza

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QUINTA COLONNA

L’EDITORIALE

di Matteo Castagna per Informazione Cattolica del 3/10/2022

RUSSIA E OCCIDENTE: SI STANNO SCONTRANDO SUL PIANO NATURALE E SOPRANNATURALE DUE MONDI E CONCEZIONI DELLA VITA E DELLA CIVILTÀ PROFONDAMENTE DIVERSI. ENTRAMBE HANNO PERÒ IN COMUNE IL DESIDERIO SMODATO DI POTERE E DI DENARO…

Non vediamo al momento nessuna minaccia imminente sull’uso di armi nucleari da parte di Mosca ma continuiamo a monitorare la situazione in modo molto serio“. Sono le parole di Jake Sullivan, Consigliere per la sicurezza nazionale americana, nel corso di una conferenza stampa tenutasi il 30 settembre alla Casa Bianca. Intanto, Mosca ha posto il veto alla risoluzione “ostile” al consiglio di sicurezza dell’ONU.

La Cina, il Gabon, il Brasile e l’India si sono astenuti nella votazione per il riconoscimento di Donetsk, Luhansk, Kerson, Zaporizhzhia che, tramite referendum popolare, hanno deciso di tornare Russia ed abbandonare l’Ucraina. Dieci i voti a favore del rifiuto. Allo stesso tempo, USA e NATO frenano sull’ingresso immediato di Kiev nell’Alleanza atlantica, proseguendo con una politica cerchiobottista. Medvedev: “Zelensky vuole entrare rapidamente a far parte della Nato”.

Grande idea. Sta solo chiedendo all’Alleanza di accelerare l’inizio di una terza guerra mondiale”. Infine, il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin festeggia nella Piazza Rossa, assieme ai leader delle quattro regioni annesse, parlando di “giornata storica”. La risposta della Russia al tentativo USA di utilizzare l’Ucraina come base per laboratori biochimici e per piazzare lanciarazzi a 700 km dal Cremlino, avanzando verso est, è stata scongiurata da Mosca, che si riprende i territori, storicamente suoi.

Al di là delle parole di circostanza e degli allarmismi della propaganda, Putin pare aver già vinto la prima battaglia, respingendo il nemico e annettendo i territori occupati dall’Ucraina. Ora, la posta in gioco è tutta economica ed energetica. Laddove non arriverà la politica, arriverà la guerra. Sul piano naturale e soprannaturale si stanno scontrando due mondi, due concezioni della vita e della civiltà profondamente diversi, che hanno, però, in comune il desiderio di potere e di denaro. Se l’Occidente liberale, decadente e secolarizzato, ha ucciso Dio per abbracciare il materialismo più abietto, la Russia autarchica, sacrale e identitaria, ha mantenuto vivi i principi tradizionali dell’Oriente ortodosso, che, sul piano morale, erano identici a quelli della Civitas Christiana europea, erede della grande civiltà greco-romana. L’impressione, però, che la venialità riferita alla ricchezza ed al primato economico aleggi abbastanza concretamente anche nella steppa ex sovietica, si osserva nell’atteggiamento verso le risorse di cui, forse, la Federazione Russa vorrebbe ottenere, in qualunque modo, il monopolio.

Ma una società non sarà mai multipolare se qualcuno pretende esclusive sul mondo. Vale per gli americani, ma anche per Putin. La prudenza del colosso cinese e dei Paesi emergenti (BRICS) può essere letta anche in quest’ottica, perché essi hanno ingenti affari sia con l’Occidente liberale che con l’Eurasia, e probabilmente, intendono avere garanzie chiare e nette nel mantenimento dell’indipendenza economica concorrenziale.

In realtà, l’aderenza intima, libera e affettiva, di tutta una vita alle norme tradizionali, faceva sì che essa acquistasse un significato superiore: attraverso l’obbedienza e la fedeltà, attraverso l’azione conforme ai principi e ai suoi limiti, una forza invisibile le dava forma e la disponeva sulla stessa direzione di quell’asse soprannaturale, che negli altri – nei pochi al vertice – viveva allo stato di verità, di realizzazione, di luce.

Così si formava un organismo stabile ed animato, costantemente orientato verso il sopramondo, santificato in potenza e in atto secondo i suoi gradi gerarchici, in tutti i domini del pensare, del sentire, dell’agire, del lottare. In tale clima viveva il mondo della Tradizione, prima di essere travolta dalla Sovversione liberale e comunista. “Questi popoli [europei] pensavano santamente, agivano santamente, amavano santamente, odiavano santamente, si uccidevano santamente – essi avevano scolpito un tempio unico in una foresta di templi, attraverso cui il torrente delle acque scrosciava, e questo tempio era il letto del fiume, la verità tradizionale, la sillaba nel cuore del mondo“. Così si esprimeva sulla nostra civiltà classico-cristiana Guido De Giorgio (1890-1957) nel saggio Ritorno allo spirito tradizionale, pubblicato sulla rivista La Torre (n. 2/1930).

Il filosofo Julius Evola (1898-1974), a tal proposito, scrisse citando il conte Arthur De Gobineau (1816-1882) che l’Europa feudale mostrava l’assenza di una organizzazione unica, un deciso pluralismo, nessuna economia o legislazione unitaria, condizioni di sempre risorgenti antagonismi – eppure una unità spirituale, la vita di un’unica tradizione costituivano la causa prima della sua longevità. Evola, nel suo Rivolta contro il mondo moderno scriveva, già nel 1934: “specie la tradizione estremo-orientale ha messo ben in rilievo l’idea che la morale e la legge in genere sorgono là dove la “virtù” e la “Via” non sono più conosciute: perduta la Via, resta la virtù; perduta la virtù resta l’etica; perduta l’etica resta il diritto; perduto il diritto resta il costume. Il costume è solo l’esteriorità dell’etica e segna il principio della decadenza“.

Continua, quasi profeticamente, Evola: “sopravviene l’individualismo, il caos, l’anarchia, l’hybris umanistica, la degenerazione, in tutti i domini. La diga è infranta. Resti pur l’apparenza di una grandezza antica – basta un minimo urto per far crollare uno Stato o un Impero. Ciò che può prenderne il posto avrà la sua inversione… il Leviathan onnipotente, un sistema collettivo meccanizzato e totalitario“.

Probabilmente è per questo che l’Unione europea al soldo di Soros e degli Stati Uniti di Biden e delle sue lobby di potere volte al transumanesimo hanno già perso. I popoli liberi possono ancora svegliarsi dal torpore provocato dal benessere, dai tecnocrati e dal pensiero unico, ripartendo dallo Spirito, recuperando la sana dottrina cattolica cattolica di sempre, vivendo con virtù e seguendo l’esempio di quel Cristo che è la Via, ma anche la Verità e la Vita.

 

Le “virostar” nelle liste Pd, conferma dell’uso politico della pandemia

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L’arruolamento dei virologi sembra un collegio di difesa nel caso in cui il centrodestra al governo volesse far luce sulle ombre nella gestione della pandemia

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Molto spesso il sedicente complottista è semplicemente uno che ci ha visto giusto ma con eccessivo anticipo rispetto al senso comune e alla accettabilità sociale di una data idea.

E così, nel corso della pandemia, man mano che particolari sempre meno commendevoli e sempre più altamente discutibili venivano disvelati, unitamente ad una robusta dose di critiche alla gestione dell’emergenza, iniziava ad apparire chiaro come gran parte della vulgata prima rubricata con una certa fretta quale ‘complottistica’ iniziasse ad assumere la coloritura della verità. O almeno, della altissima plausibilità.

La politicizzazione della pandemia

Una delle lezioni più dolorose impartite dalla pandemia è infatti quella della e sulla sua intrinseca politicizzazione e sulla sua capacità di incidere in maniera talmente organica, pervasiva, capillare, sulla società da poterla radicalmente modificare in maniera permanente.

Anche sostenere che le misure di contrasto alla circolazione del virus rispondessero ad una agenda politica e ad una visione del mondo che trascendeva il confine limitato della sfera sanitaria era in genere ritenuta considerazione deplorevole e insensata, appannaggio di picchiatelli assortiti.

E dire che persino quando vennero alla luce le limpide asserzioni di Roberto Speranza, messe nero su bianco nel suo libro, si cercarono giustificazioni di ogni tipologia.

Non bisognava essere troppo cinici o dietrologici, si disse, e in fondo pure se il ministro aveva vaticinato con piglio oracolare che la pandemia avrebbe rappresentato occasione per un cambio di marcia e per un ritorno sulla scena della sinistra politica, c’era da capirlo, aveva affrontato a mani nude un virus fino ad allora sconosciuto.

Fortunatamente, o sfortunatamente perché dipende sempre dai punti di vista, il tempo è galantuomo e rende giustizia.

Le virostar candidate nelle liste Pd

Ed ecco così che nella fatidica, e difficoltosa, compilazione delle liste elettorali in vista della tornata del 25 settembre, la componente virologica, sanitaria e anti-pandemica in quota Pd avanza come un rullo compressore.

Proprio Speranza è divenuto in pochissimo tempo autentica cause célèbre: nonostante appartenga ad un altro partito, è stato letteralmente cooptato dal Pd, che punta forte su di lui e gli ha garantito un posto da capolista al proporzionale in Toscana.

Nonostante i posti disponibili si siano drasticamente ridotti, causa taglio del numero complessivo dei parlamentari e i circoli territoriali storcano comprensibilmente la bocca nel trovarsi paracadutati esponenti di altri partiti, il Pd ha dimostrato di voler fare di Roberto Speranza una sua bandiera.

Caso isolato? Ma nemmeno per sogno! In Puglia, troviamo il virologo Pierluigi Lopalco, ex assessore alla sanità della Giunta Emiliano, mentre è notizia di queste ore la freschissima candidatura nella circoscrizione Estero, in Europa, di Andrea Crisanti.

Gli aspiranti candidati

E a confermare, a contrario, la intrinseca politicità di certe scelte, non dettate dalla presunta fama o attrattività né dalla competenza dei soggetti in questione ma da altre motivazioni su cui ci intratterremo in seguito, ci sono le candidature inizialmente ventilate e poi cassate, su altri fronti partitici.

Ecco così Matteo Bassetti promuovere sul versante centrodestra la sua autocandidatura a ministro, senza nemmeno passare per le urne, e venir respinto ad ora con perdite, mentre sul fronte della calendiana Azione sembra aver perso smalto la sia pur inizialmente ventilata candidatura di Walter Ricciardi: una ipotesi smentita da Calenda, che, come usa dirsi, è uomo di mondo e ha fiutato l’aria.

Per carità, i virologi sono cittadini come tutti e i partiti possono candidarne quanti preferiscono: è però certamente curioso dover rilevare come dopo due anni di profluvio comunicativo, di occupazione manu militari dei palinsesti televisivi e delle pagine dei giornali, di consulenze, di dichiarazioni più o meno in libertà rilasciate nel nome, apparentemente neutro e asettico, della scienza, a capitalizzare tutta questa esposizione arrivi il ‘premio’ della candidatura e la definitiva certificazione di una intrinseca politicizzazione di quanto sul fronte pandemico è stato fatto, detto e proposto.

Significativo in fondo, e palese conferma della politicizzazione di cui si discorre, che ad essere candidati non siano stati virologi in quanto tali, ma virologi assurti a qualche celebrità mediatica. Le virostar.

Ammainata la bandiera draghiana

A meno che non si pensi che l’expertise tecnica di questi virologi possa esser utile a una politica destinata a confrontarsi in eterno con le pandemie, la risultante finale di queste candidature sembra essere la legittimazione piena di limitazioni alla libertà, attenzione ossessiva per il controllo di qualunque comportamento, medicalizzazione e sanitarizzazione del vivere civile, elevazione del principio di precauzione a principio cardine dell’ordinamento.

D’altronde, Speranza non è un medico e la sua presenza al Ministero della salute, nonostante l’entusiastico peana della sinistra che ne ha voluto fare una sorta di eroe civile, ha lasciato dietro di sé una evidentissima scia di polemiche, dubbi, storture che andranno chiariti e accertati.

Il Pd punta fortissimo su di lui, punta cioè elettoralmente fortissimo sull’esponente di un altro partito e per farlo passa sopra le proteste delle sezioni territoriali, espunge ben più meritevoli candidati e cementa una alleanza che rimonta agli anni più cupi della pandemia.

Per fare posto alla legione virologica si fa strame degli esponenti più legati all’agenda Draghi, come ad esempio Enzo Amendola. Eppure, è stato proprio il Pd, orfano di Mario Draghi, a volerne rivendicare strumentalmente l’eredità politica, con tanto di manifesto di dubbio gusto, salvo poi ammainare la bandiera draghiana e far salire sul carro estrema sinistra, verdi, ex 5 stelle e ora i virologi.

Far luce sulle molte ombre

Perché? Una spiegazione potrebbe essere che Speranza e pattuglione di virologi debbano costituire una sorta di comitato politico per rinfocolare certe posizioni liberticide, e, cosa più importante, costituire una sorta di task force per controbattere e resistere alla ipotesi che il centrodestra al potere voglia, auspicabilmente, iniziare a veder chiaro su come la pandemia è stata gestita.

D’altronde di interrogativi ce ne sono tantissimi e andrebbe fatta luce, serenamente ma al tempo stesso inevitabilmente, su ciascuno di essi: dai protocolli di cura, o meglio di mera osservazione del decorso della malattia, alla effettiva indispensabilità di un Green Pass trasformato in strumento tiranno capace di egemonizzare ogni singolo aspetto dell’esistenza, dai parchi giochi per bambini nastrati all’utilizzo ormai grottesco della mascherina, in apparenza indispensabile in alcuni casi e inutile in altri, senza che un chiaro e vero criterio scientifico possa soccorrere.

Più che una pattuglia di parlamentari, questi virologi frettolosamente arruolati sembrano un collegio di difesa per cercare di mettere delle toppe a una gestione che in piana evidenza e al netto della propaganda politica di convenienza è stata tutto fuorché perfetta.

Ciò, appare evidente, è anche un invito al centrodestra nel caso dovesse andare al governo: è tempo di accertare le responsabilità politiche, penali, contabili, amministrative, derivanti dai decisioni e scelte che hanno cambiato, probabilmente per sempre, il modo di stare al mondo di moltissime persone.

Si pensi allo sviluppo psicologico dei più piccoli, cresciuti per due anni tra mascherine e comandi imperativi e divieti molto spesso insensati, o le persone che hanno visto i loro diritti spesso limitati o calpestati.

Perché il Politicamente Corretto è un “peccato mortale”

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/05/23/perche-il-politicamente-corretto-e-un-peccato-mortale/

IL “PENSIERO” DEVE ESSERE UNICO (IL LORO) FINO ALL’ASSURDO, OVVERO FINO AL PUNTO CHE DIRE LA VERITÀ È DIVENTATO UN ATTO RIVOLUZIONARIO, COME SOSTENERE CHE LE FOGLIE SONO VERDI D’ESTATE

Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica (II-II, qq. 72-75) tratta delle ingiustizie che si compiono con le parole. Troppo spesso si tratta di peccati mortali che, a torto, non vengono presi particolarmente sul serio, ma possono rivelarsi molto gravi. “Ne uccide più la lingua che la spada” – afferma il detto popolare. E, si sa: vox populi, vox Dei. L’ingiuria verbale lede l’onore, la diffamazione o detrazione lede la buona fama, la mormorazione distrugge l’amicizia, e la derisione toglie il rispetto.

San Tommaso spiega che nei peccati di parola bisogna considerare soprattutto con quali disposizioni d’animo ci si esprime, ossia il fine della contumelia, che è disonorare il prossimo nella sua moralità. Se non vi è l’intenzione di disonorare la persona insultata, perché i fatti si danno per veri ed acclarati, rimane peccato l’insulto, ma non vi è contumelia.

La detrazione (q. 73, a. 1) è una maldicenza o denigrazione della fama altrui, fatta di nascosto. Essa consiste nel «mordere di nascosto la fama (ossia la “stima pubblica o notorietà”, N. Zingarelli) di una persona” come si legge nell’Ecclesiaste (X, 11): “Se il serpente morde in silenzio, non è da meno di esso chi sparla in segreto». Poi l’Angelico spiega che come ci sono due modi di danneggiare il prossimo in azioni: apertamente (p. es. la rapina o le percosse in faccia) o di nascosto (p. es. il furto o una percossa “a tradimento” ossia alle spalle); così vi sono due modi di nuocere con le parole: apertamente (la contumelia in faccia, q. 72) o di nascosto (la maldicenza o detrazione, q. 73). San Paolo: “è degno di morte [spirituale o dell’anima] non solo chi commette il peccato di [detrazione], ma anche chi approva coloro che lo commettono” (Rom., I, 32).

Dall’insegnamento di S. Tommaso si evince: 1) il dovere morale di non insultare, denigrare, calunniare o mormorare e deridere il prossimo, soprattutto se costituito in autorità. 2) di riparare il torto fatto alla sua reputazione 3) di difendere chi è denigrato, senza far finta di non vedere. Certamente davanti agli uomini è più comodo “far finta che va tuto ben”, ma davanti a Dio non ci si trova in regola, anzi si sta in peccato grave, quod est incohatio damnationis.

E’, pertanto, nostro dovere denunciare pubblicamente il politicamente corretto, innanzitutto come difesa della nostra dignità e intelligenza dalla sua volontà dolosa di costringerci ad accettare l’errore, fingendo che sia un bene comune. Scrive Mario Giordano nel suo ultimo libro, appena uscito, dal significativo titolo Tromboni (Edizioni Rizzoli): “Bisogna stare attenti alla lingua” al pari di quelli che predicano contro l’odio e insegnano a odiare. L’ipocrisia di costoro, che si annoverano in larga parte nella categoria dei cosiddetti intellettuali o giornalisti, in ultima analisi coloro che si occupano della diffusione dei messaggi su larga scala, aggrava il peccato di lingua della detrazione di coloro che la pensano diversamente, col falso doloso consapevole e remunerato. L’effetto che molti credano alle loro dicerie è conseguenza ancor peggiore, che ci fa trovare nella situazione di crisi morale, ideale, sociale in cui ci troviamo, andando sempre peggio.

“Tromboni” ricorda come odiano quelli della Commissione anti-odio, creata per fermare l’”intolleranza”, “contrastare il razzismo” e “combattere l’istigazione all’odio”. L’idea è stata partorita dal Ministro dell’Istruzione del “governo dei migliori” Patrizio Bianchi, scopiazzando dal suo illustre predecessor* [metto l’asterisco perché secondo la scrittrice Michela Murgia (da L’Espresso del giugno 2021) potrebbe essere offensivo usare la vocale maschile o femminile per indicare il titolo di una persona, che forse potrebbe non sapere se è uomo o donna] Lucia Azzolina. Nella commissione speciale entra il professore associato all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Simon Levis Sullam che, fresco di nomina, aveva diffuso sui social una foto a testa in giù dell’ultimo libro di Giorgia Meloni. Chiaro riferimento alla macelleria di Piazzale Loreto. «Quasi un invito a impiccare il testo, se non proprio l’autrice, al palo più alto dell’antifascismo militante». Ma, domanda Giordano: «si può combattere l’istigazione all’odio inneggiando a piazzale Loreto? E alludendo all’impiccagione più o meno simbolica, ma sempre a testa in giù, di un leader politico?».

L’ex Presidente della Camera Laura Boldrini, campionessa di buonismo e inginocchiatoi a senso unico, paladina di tolleranza e rispetto, ultras femminista ad oltranza, genderista e vestale di tutti i presunti diritti richiesti dai desideri di chiunque, «è finita sotto inchiesta perché avrebbe licenziato la sua colf, dopo otto anni di fedele servizio, tirando in lungo per non darle la liquidazione (3.000 euro)». Altro maestro di propaganda tollerante è Roberto Saviano, «che in diretta tv ha sentenziato candidamente: “Sì, la mia contro la Meloni è una campagna d’odio“» (M. Giordano, “Tromboni”, 2022).

Potremmo continuare all’infinito perché esempi simili ne esistono quotidianamente. Ultimi, in ordine cronologico sono coloro che hanno imbrattato le mura di un istituto tecnico di Milano con la scritta: «Tutti i fasci come Ramelli, con una chiave inglese fra i capelli». Nessun solone (o trombone) del politicamente corretto ha detto una parola. Muto Paolo Berizzi, il “Simon Wiesenthal” de La Repubblica, per la quale scrive una rubrica contro Verona e i fantasmi di un fascismo che non esiste. Muto Vauro. Muto Travaglio. Muti tutti. Perché il “pensiero” deve essere unico (il loro) fino all’assurdo, ovvero fino al punto che dire la verità è diventato un atto rivoluzionario, come sostenere che le foglie sono verdi d’estate. Noi continueremo in questa “rivoluzione Green” dell’ovvietà e dell’ordine naturale perché non vogliamo peccare di lingua contro il bene comune.

Vademecum: la disinformazione, che cos’è e come funziona

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di Roberto Buffagni

Fonte: Italia e il mondo

Premessa generale: il linguaggio umano si differenzia da tutti gli altri perché è capace di mentire.

In questo vademecum che mi accingo a scrivere, esporrò brevemente le caratteristiche principali della disinformazione. Il tema è vastissimo, io non sono uno specialista e questo non sarà un trattato: sarà un agile e breve manualetto, appunto un vademecum, che si propone il modesto scopo di aiutare il lettore a riconoscere la disinformazione e a evitarla, insomma a non abboccare. Saranno benvenuti critiche, obiezioni, aggiunte e suggerimenti dei lettori.

Cominciamo dal principio, con una classificazione elementare dei tipi di disinformazione.

I tipi fondamentali di disinformazione sono: lo stratagemma, l’intossicazione, la propaganda bianca, la propaganda nera, l’influenza.

  1. Stratagemma. Esiste da sempre. Nel combattimento individuale è la finta: finti col sinistro, l’avversario si scopre per parare, colpisci col destro; nel combattimento tra formazioni è la diversione: attacchi con un reparto a est per attirare colà il nemico, colpisci con il grosso delle tue forze a ovest. I greci abbandonano l’assedio, si allontanano sulle navi (nascondendole dietro l’isolotto di Tenedo), lasciano sulla riva il cavallo di legno (farcito di armati), i troiani esultano, eccetera. Questo celebre stratagemma contiene anche un’intossicazione (v. 2) perché i greci fanno credere ai troiani che il cavallo sia un’offerta ad Atena, ciò che li persuade a trasportarlo in città.
  2. Intossicazione. Rifilare al nemico dei falsi segreti. Nella definizione lapidaria del colonnello André Brouillard (Pierre Nord, artista francese del controspionaggio) “consiste nel far credere all’avversario quel che dovrebbe credere per precipitare nella sconfitta, militare o politica”. Hitler fa credere a Stalin che nel corpo ufficiali sovietico si cospira con la Germania per rovesciare l’URSS: Stalin fa giustiziare metà del corpo ufficiali. Gli Alleati vogliono sbarcare in Sicilia, fanno trovare ai tedeschi, al largo delle coste spagnole, un cadavere di ufficiale inglese: nelle sue tasche, prove indiziarie di un prossimo sbarco in Grecia. Hitler sposta in Grecia una parte delle truppe e del naviglio stazionato in Sicilia. Il principio dell’intossicazione è: ingannare il nemico in merito alla fonte dell’informazione.
  3. Propaganda bianca. La propaganda bianca consiste nel ripetere, molte volte e con molte variazioni: “Noi siamo meglio di voi”[1]. Il limite intrinseco della propaganda bianca è che dichiara la sua fonte. Siccome il bersaglio della propaganda è il nemico o l’avversario politico, va dato per scontato che egli nutrirà un pregiudizio sfavorevole riguardo al suo contenuto, cioè che ne diffiderà. Il fatto che la propaganda bianca sia veritiera può essere utile, ma non sempre risolutivo (non scrivo “mai” perché il cinismo è pericoloso in questo campo, menoma l’immaginazione). Guerra fredda: la propaganda bianca del campo anticomunista dice che l’Occidente è più ricco e più libero del campo comunista povero e dispotico, la cosa è effettivamente vera ma non persuade i comunisti e i loro simpatizzanti del campo occidentale, compresi fior d’intellettuali che potrebbero sapere come stanno le cose, o addirittura concretamente lo sanno, ma riescono a convincersi che non stanno così. Ai cittadini sovietici la propaganda bianca non arriva, o arriva in dosaggi insufficienti. Sintesi: la forza di penetrazione psicologica della propaganda bianca è limitata; per essere efficace, la propaganda bianca deve affidarsi alla quantità e alla ripetizione incessante: in questo somiglia ai bombardamenti terroristici “a tappeto” impiegati dagli Alleati nella IIGM, non diretti a obiettivi militari ma a intere popolazioni civili. La propaganda bianca “a tappeto” ottiene risultati sia perché diventa impossibile sfuggirle, sia soprattutto perché produce effetti di siderazione nel bersaglio. “Siderazione” significa paralisi delle capacità volitive in seguito a choc; la siderazione induce spesso timore reverenziale di fronte alla potenza sovrumana che si dispiega e ci colpisce, come di fronte a un’epifania della divinità[2]. Esempio contemporaneo: l’effetto frastornante e suggestivo delle tempeste mediatiche che ci bersagliano quando l’emittente della propaganda bianca ha una posta rilevante in gioco. Esempio, una guerra da legittimare, una competizione elettorale importante di cui vuole teleguidare il risultato, etc.
  4. Propaganda nera. La propaganda nera si differenzia dalla propaganda bianca perché mente sulla sua origine. Non è identica all’intossicazione, perché mentre l’intossicazione mira a far credere all’avversario una singola informazione, la propaganda nera mira a diffondere sfiducia nel campo avversario, per abbatterne il morale. Esempio: l’inglese Sefton Delmer, nella IIGM, crea diverse stazioni radio che si presentano come radio tedesche, favorevoli al regime nazista. Quando la popolazione di Amburgo sfolla verso l’Est in seguito ai bombardamenti, una radio di Delmer trasmette questo comunicato: “Il dottor Conti, Ministro della Sanità del Reich, si congratula con gli ufficiali medici dei centri di raccolta per l’infanzia siti nel Gau Warteland [dove sfollano gli amburghesi] per la devozione esemplare con la quale curano l’epidemia di difterite che si è manifestata tra i bambini che hanno in cura. Esprime altresì l’auspicio di vederli trionfare sulla tragica penuria di medicinali, e di ridurre così il tasso di mortalità a una media di sessanta morti la settimana.” La propaganda nera ha una forza di penetrazione psicologica molto maggiore della propaganda bianca, appunto perché, mentendo sulla propria fonte, può contare (se eseguita a regola d’arte) sul pregiudizio favorevole del bersaglio, che si fida. A differenza della propaganda bianca, però, la propaganda nera non può e non deve essere diffusa in dosaggi massicci, “a tappeto”. Non punta sulla quantità e sulla siderazione della potenza, ma sulla qualità dell’inganno (adesione perfetta allo stile della falsa fonte e alla mentalità del bersaglio) e sulla diffusione lenta e capillare. La propaganda nera, insomma, ha bisogno di artisti dell’inganno e di tempo, tanto tempo, per produrre i suoi effetti. Un esempio contemporaneo di propaganda nera, iniziato nel corso della IIGM, è il diluvio di attributi disonoranti che i media rovesciano sul popolo italiano, al quale sono sistematicamente addebitati i difetti e le tare morali e civili più infamanti e ridicoli. Che gli italiani abbiano davvero tare e difetti è del tutto irrilevante, perché ne hanno tutti i popoli. La differenza è che agli altri popoli, tare e difetti non vengono sistematicamente addebitati, e l’effetto di comparazione è dunque profondamente debilitante e demoralizzante per il popolo italiano. Questo esempio riuscitissimo di propaganda nera sfuma nell’influenza (v. 5) perché è stato compiuto servendosi di agenti d’influenza e casse di risonanza (v. 5).
  5. Influenza. L’influenza ricorre, talvolta, alle tecniche dell’intossicazione e della propaganda nera, ma è infinitamente più raffinata. L’influenza non mira semplicemente a diffondere informazioni false o sfiducia, mira a destabilizzare l’intero campo avversario. Al campo che emette l’influenza non importa sapere se i primi effetti della sua azione andranno a suo proprio immediato vantaggio, a patto che gli effetti d’eco dell’azione d’influenza siano nocivi per il campo avverso. L’influenza è una tecnica raffinata, che non può fare ricorso agli strumenti grossolani della propaganda bianca: chiunque esprima aperta simpatia per il campo emittente l’influenza, diventa inservibile e va evitato con cura. L’influenza si opera per mezzo di agenti d’influenza e casse di risonanza. Gli agenti d’influenza sono persone interne al campo-bersaglio, situate in posizioni dirigenziali, soprattutto nei media, che operano consapevolmente a favore del campo emittente l’influenza: esempio, un direttore di giornale. Le casse di risonanza sono persone o gruppi di persone interne al campo-bersaglio, che per le più varie ragioni diffondono, inconsapevolmente, l’azione d’influenza: il giornalista che scrive quel che gli ordina il direttore-agente d’influenza, o il giornalista che condivide gli scopi apparenti dell’operazione d’influenza, per esempio la pace nel mondo o la sconfitta del fascismo; oppure, semplicemente il lettore di giornali, che ne diffonde le opinioni chiacchierando in casa, sul lavoro, al bar. Esempio storico: nel corso della guerra fredda, in Europa occidentale l’URSS appoggia a loro insaputa formazioni anticomuniste accesamente nazionaliste, perché sono anche antiamericane. Il partito degli emigrati russi Giovane Russia si dichiara monarchico e adotta uno stile parafascista, ma è infiltrato e manipolato dal KGB, che lo usa per far pensare che tutti gli oppositori dell’URSS siano così, reazionari, illusi, fascistoidi. Esempio contemporaneo: la diffamazione sistematica tuttora corrente del popolo italiano (v. 4, propaganda nera). Nel corso della guerra civile, e dopo la vittoria alleata nella IIGM, gli Alleati e in particolare i britannici insediano in Italia, in posti di responsabilità, diversi tecnici della guerra psicologica, tra i quali ad esempio Renato Mieli, primo direttore dell’ANSA e padre di Paolo Mieli[3]. I partiti italiani riuniti nel CLN hanno l’interesse immediato di addebitare tutta la colpa della guerra perduta al regime fascista, tutto il merito della vittoria alla Resistenza, cioè a se medesimi. I tecnici della guerra psicologica alleati appoggiano questa naturale inclinazione a dividere gli italiani in due categorie: i fascisti (cattivi, arretrati, reazionari, corrotti, pericolosi, perdenti) e gli antifascisti (buoni, moderni, onesti, pacifici, vittoriosi) e iniziano un’operazione di propaganda nera ai danni degli italiani fascisti, accentuandone tare e difetti: spesso reali, beninteso, basti ricordare l’8 settembre. Si tratta però di propaganda nera, che non dichiara la propria fonte (britannica, alleata) che si trasforma in influenza perché si serve di agenti d’influenza italiani (es., Renato Mieli) e di casse di risonanza (gli antifascisti). Gli agenti d’influenza impegnati in quest’ operazione scelgono, di preferenza, di posizionarsi tra i comunisti (come Renato Mieli che fu per nove anni direttore de “L’Unità”) e più tardi nella sinistra extraparlamentare, anche estremista. Comunisti e sinistra extraparlamentare sono fieramente, rumorosamente avversi al campo americano e britannico (perché anticomunista e capitalista) dunque la fonte ideale per un’operazione d’influenza, che non deve mai partire da chi esprima aperta simpatia per il campo emittente. L’operazione di propaganda nera si trasforma, nei decenni, in azione d’influenza coronata da larghissimo successo. Gli agenti d’influenza e le casse di risonanza tengono in vita l’antifascismo per decenni, anche dopo la totale sparizione del fascismo, e così possono affibbiare colpe e tare spregevoli ai loro avversari più scomodi, qualificati di “fascisti” in aeternum[4] Procede parallelamente, ormai sospinta dalla forza d’inerzia delle abitudini inveterate, la routinaria demoralizzazione sistematica degli italiani, che indebolisce e divide la nazione e lo Stato e concorre validamente a far raggiungere al campo emittente l’operazione d’influenza il suo obiettivo politico-militare principale: il controllo del Mediterraneo, difficile da ottenere se l’Italia è coesa nel perseguimento dello scopo geopolitico che le dettano posizione geografica e interesse nazionale.

E’ appena il caso di aggiungere che le operazioni d’influenza, come questa anglosassone ai danni dell’Italia che ho appena sommariamente descritto, non creano dal nulla una mentalità o una cultura politica, ma fanno leva su opinioni e persuasioni già esistenti nel paese-bersaglio. I complotti, cioè i disegni segreti, esistono eccome, ma non creano la realtà: le danno una spintarella, a volte ininfluente, a volte decisiva.

Con questo importante caveat concludo il primo capitolo del vademecum. Nel secondo capitolo illustrerò la disinformazione nel senso esteso, o dezynformatsjia, come l’hanno creata nel 1959 i grandi artisti del Direttorato D del KGB, guidato dal Generale Agayantz (poi Direttorato A, capeggiato dal braccio destro di Agayantz, gen. Kondracev).

I servizi segreti sovietici, che si riallacciavano alla grande tradizione dell’Okhrana –  la polizia segreta zarista che cucinò e diffuse I protocolli dei Savi di Sion piratando il semisconosciuto libello satirico Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu – si avvalsero anche della prossimità geografica e culturale con l’Asia, in particolare studiando Sun Tzu, testo obbligatorio all’Accademia Frunze sin dagli anni Quaranta (oggi in tutte le accademie militari del mondo).

Come introduzione al prossimo capitolo del vademecum, ecco una serie di precetti tratti da L’arte della guerra di Sun Tzu.

  1. Screditate tutto ciò che è buono nel paese nemico
  2. Implicate i membri della classe dirigente del nemico in imprese criminali
  3. Distruggete la loro reputazione e al momento opportuno, consegnateli all’indignazione dei loro concittadini
  4. Servitevi della collaborazione degli esseri più vili e abominevoli
  5. Disorganizzate con ogni mezzo l’azione del loro governo
  6. Diffondete la discordia e le liti tra i loro cittadini
  7. Istigate i giovani contro i vecchi
  8. Ridicolizzate le tradizioni dei vostri nemici
  9. Intralciate con tutti i mezzi l’intendenza e i rifornimenti dell’esercito nemico [N.B.= danneggiate l’economia del nemico]
  10. Indebolite la volontà dei guerrieri nemici con musica e canzoni sensuali
  11. Inviategli delle prostitute per completare l’opera di distruzione
  12. Siate generosi nelle promesse e nei doni per procurarvi informazioni. Non lesinate, perché il denaro speso a questo fine vi frutterà un ricco interesse
  13. Infiltrate dappertutto le vostre spie

[1] O, a seconda dei casi e del contesto storico, “Non ci sono alternative a noi”.

[2] V. La dottrina militare USA proposta dai neoconservatori USA (e impiegata sul campo nell’operazione Desert Storm) intitolata “Shock and Awe”, “Siderazione e Timore Reverenziale”. https://it.wikipedia.org/wiki/Shock_and_awe

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Mieli

[4] Com’è come non è, spesso questi avversari politici “fascisti” manifestano, più o meno coraggiosamente, l’intenzione di difendere l’interesse nazionale italiano…

Parla il perito del tribunale nella Strage di Bologna Danilo Coppe: la verità deve ancora uscire

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di Umberto Baccolo

Fonte: Spraynews

Danilo Coppe, professore all’Università di Bologna, è il più importante esplosivista italiano, nel suo curriculum la demolizione del Ponte Morandi come tantissime perizie per i tribunali sui crimini legati agli esplosivi. In particolare, è stato chiamato dalla Corte di Assise di Bologna al processo di primo grado contro Gilberto Cavallini per complicità nella strage del 1980, finito con una condanna ed ora in fase di appello.

Le perizie di Coppe su Bologna sono state rivoluzionarie, cambiando completamente le carte in tavola e facendo scoprire pure che nella tomba di Maria Fresu c’erano i resti di una sconosciuta.

Coppe ha appena raccontato questa storia, e tante altre, nel suo libro Crimini esplosivi, edito da Mursia. Io, che da anni studio la strage di Bologna, lo ho intervistato per SprayNews sul tema in modo approfondito, a seguito di una presentazione del libro trasmessa su Radio Radicale.

Lei ha appena pubblicato il libro “Crimini Esplosivi”, nel quale raccontando della sua carriera di consulente delle procure per i processi che coinvolgevano materiali esplosivi, dedica molto spazio alla sua perizia sulla strage di Bologna. Cosa ci può raccontare in materia?

Io faccio l’esplosivista da una vita, ho iniziato nel 1983 già da diplomato mentre studiavo avevo già iniziato a lavorare, quindi diciamo che è un pezzo che sono dietro e faccio esplosivistica a 360 gradi nel senso che mi divido in tre: oggi un terzo di me usa gli esplosivi come ho fatto con il Ponte Morandi di Genova di cui ho gestito la demolizione, un terzo di me insegna e un terzo di me indaga, perché a metà degli anni ’90 mi è stato cominciato a chiedere da varie procure una collaborazione nell’indagare su episodi sia accidentali che criminali, cosa alla quale mi sono appassionato molto. Oggi appunto un terzo della mia attività è legata alle analisi forensi. Da quando ho iniziato credo di essere stato incaricato dai tribunali di più di 100 “perizie”. Una di queste, nel 2018, mi è stata commissionata dalla Corte d’Assise di Bologna che processava Gilberto Cavallini come possibile “complice” nell’esecuzione della famosa strage del 1980.

Nei processi dei decenni precedenti, i processi che avevano portato alle condanne di Mambro Fioravanti e Ciavardini, le perizie esplosivistiche erano state vaghe, e per certi versi anche contraddittorie, e il presidente della Corte d’Assise, con una scelta coraggiosa, decise di ripartire da zero, ed ha affidato a me e ad un bravo ufficiale del Ris dei Carabinieri, Adolfo Gregori, l’incarico di chiarire gli aspetti tecnici dell’esplosione, anche alla luce dei progressi che ha fatto la scienza negli ultimi 40 anni. Continua a leggere

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