La Cina e la globalizzazione, la leadership statunitense e l’Europa vassalla

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l’EDITORIALE DEL LUNEDI (articolo pubblicato anche su www.2dipicche.news www.info.hispania.it e www.vocesdelperiodista.it (in Spagna e America Latina)

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/07/31/la-cina-e-la-globalizzazione-la-leadership-statunitense-e-leuropa-vassalla/

QUALCHE RIFLESSIONE SULLA VIA DELLA SETA

Uno degli argomenti principali più attuali del momento, è il dibattito sulla cosiddetta Via della Seta. Come sostiene il Prof. Fabio Massimo Parenti (docente all’Istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze) sulla rivista Eurasia (3/2023), essa è, “in estrema sintesi, una proposta cinese di cooperazione internazionale, incentrata sull’aumento della della connettività terrestre, marittima ed aerea a livello intercontinentale”.

E’ più che legittimo interpretare questo enorme piano di investimenti come una nuova opportunità per affrontare i problemi globali, potenziando il multilateralismo e migliorando la cooperazione mondiale sul piano della governance, delle modalità per affrontare la povertà, lo sviluppo ineguale, le guerre, il degrado ambientale.

Il progetto cinese parla di trilioni di dollari ed è aperto a tutti i paesi del mondo. Continua il Prof. Parenti: “[…] Così come definito nel XIX Congresso nazionale del 2017, il Partito Comunista Cinese si è posto due macro-obiettivi: primo, costruire nuove forme di relazioni internazionali, incentrate sulla cooperazione vantaggiosa per tutti ed il rispetto reciproco, e, secondo, creare una comunità dal futuro condiviso per tutta l’umanità”.

Questo modello andrebbe, a tutti gli effetti, a sostituire la globalizzazione con leadership statunitense ed Europa vassalla. Per questo, negli ultimi anni, l’Occidente ha demonizzato il progetto cinese, accusandolo di tutto e di più, soprattutto delle nefandezze predatorie compiute nei confronti del “Sud del mondo”, che, in realtà, sono state perpetuate per gli interessi degli USA e dei suoi alleati. In particolare, la Cina viene accusata di voler intrappolare i paesi in via di sviluppo in una rete di debiti, che costoro hanno contratto, però, nel predominio finanziario del blocco occidentale, tanto che “secondo Zhao Lijan, portavoce del Ministero degli Affari Esteri, sarebbe un ennesimo esempio “della diplomazia delle menzogne in stile americano” “.

Nel recentissimo viaggio a Washington, il premier italiano Giorgia Meloni ha incontrato il Presidente Joe Biden e parlato anche della Via della Seta. Già in Senato Meloni ha detto che “la questione va maneggiata con delicatezza, cura e rispetto, coinvolgendo anche il Parlamento”. Nonostante i mugugni di Pechino che hanno preceduto la visita negli States del Presidente del Consiglio italiano, in ballo c’è stata la discussione con gli USA sul rinnovo del memorandum d’intesa sulla Via della Seta, che Roma aveva siglato con la Cina nel 2019, durante il governo gialloverde. Seppur non ufficialmente, il governo Meloni pare aver preso la decisione fortemente voluta da Biden, ovvero non rinnovare l’accordo. Ma Meloni ha annunciato anche un prossimo viaggio a Pechino per incontrare Xi Jinping, e, probabilmente comunicargli la decisione, pur mantenendo un ottimo rapporto commerciale, sulla scia di Germania, Francia e Regno Unito, che hanno rapporti economici ingenti con Pechino, senza rientrare nel memorandum della Via della Seta.

Il Presidente dell’Aspen Institute Italia Prof. Giulio Tremonti, di cui è socia anche Giorgia Meloni, scrive, nel suo libro “Globalizzazione, le piaghe e la cura possibile” (Ed. Solferino, 2022): “appena trent’anni fa gli “illuminati” ci hanno graziosamente comunicato il passaggio dalla vecchia triade Liberté, Egalité, Fraternité, alla loro nuova triade: Globalité, Marché, Monnaie (Globalità, Mercato, Moneta). Saremmo entrati nell’ “età dell’oro” attraverso l’utopia della globalizzazione. E, guarda caso, utopia vuol dire assenza di luogo – ou-topos, in greco “non luogo” – e dunque è proprio questa l’essenza della globalizzazione!” Sempre Tremonti dedica un capitolo molto interessante alla Cina (pp. 82-89) ricordando che “la “modernizzazione” della Cina è iniziata solo negli anni Ottanta del secolo scorso, ma si è in effetti concretizzata con la globalizzazione, prima sfruttando di fatto le prime aperture del WTO (1994) e poi con il suo formale ingresso nell’organizzazione (2001).Quando esplode la grande crisi del 2008 la Cina è già una grande potenza, ma solo a livello mercantile e perciò con una politica ancora totalmente allineata al comune sentire dell’Occidente”. Poi, tutto è cambiato. Le vie della Seta sono state introdotte nello Statuto del Partito e nella Costituzione a indicare una proiezione geopolitica diretta a dimensioni globali, verso Occidente e verso l’Artico.

“L’ 11 marzo 2021 la Cina ha aperto all’ipotesi di sviluppo, a fianco del mercato esterno, del suo mercato interno. Ed è così che si è formato il progetto della cosiddetta “doppia circolazione”, inserita nel XV Piano quinquennale (2021-2025). Il problema più grande della Cina è dovuto alla mancanza di risorse naturali, quindi diviene esistenziale il bisogno di nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale, con la quale può acquisire i dati degli altri. All’orizzonte, molti osservatori ed esperti vedono, dunque, la possibilità di una guerra tra l’Occidente e la Cina. Si chiede il Prof. Tremonti: “chi vince?” […]”la forza di attrazione e non tanto e non solo la forza militare. La Cina fa paura all’Occidente, è considerata lontana e pericolosa, dagli usi e costumi troppo diversi perché come nel secolo americano tutti avrebbero voluto essere americani per mille motivi, soprattutto la ricchezza ed il potere, nessuno oggi desidererebbe essere cinese.
E’ vero che la Cina dispone della bomba atomica dal 1964, il suo primo satellite lanciato nello spazio è stato nel 1970 e il primo astronauta in orbita nel 2003, ma non è certo priva di problemi: dalla questione Taiwan alla moneta alternativa che sta preparando con la Russia e che sconvolgerebbe certamente l’asse mondiale dei commerci e dei mercati. Inoltre vanno contate le sue fragilità interne dovute alle rivolte popolari, alla scarsità sanitaria e alle crisi finanziarie, come ad esempio il fallimento del colosso immobiliare Evergrande.

Lo stallo e la transizione con incertezze enormi sui cambiamenti globali regnano in questo momento storico nella decadenza di ogni cosa, dall’arte alla morale, dalle idee alla comune mentalità. Nella multipolarità economica e geopolitica vi potrebbe essere uno spiraglio di luce, che crei un minimo di entusiasmo in questa società sciatta, grigia e nichilista. Il prezzo da pagare per un cambiamento sistemico globale di simile portata sarà altissimo, nonostante il popolo anestetizzato pensi solo ai social network, attendendo con ansia la prossima edizione del Grande Fratello.

L’alba di un nuovo Medio Oriente

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Segnalazione di Redazione Il Faro sul Mondo

di Salvo Ardizzone

Il radicale ribaltamento della situazione in Medio Oriente, già in corso da tempo e reso più celere dall’accordo sul nucleare iraniano, ha subito una nuova brusca accelerazione con la scesa in campo della Russia. Per comprendere la portata di eventi destinati a ridisegnare tutta l’area, ed avere ripercussioni globali, occorre fare un passo indietro alle radici degli equilibri di forza che hanno cristallizzato per un tempo lunghissimo quel quadrante a beneficio, più che di Stati, di centri di potere che ne hanno tratto utili immensi.

Il legame stretto che ha unito le enormi riserve energetiche del Golfo alle Major Usa del petrolio, ha determinato un interesse primario delle Amministrazioni che si sono succedute a Washington a tutelare quei petrostati, e più d’ogni altro l’Arabia Saudita. Un legame antico, reso “speciale” dai colossali interessi che ha coinvolto, creatosi oltre sessant’anni fa.

Allora, dopo aver espulso la tradizionale influenza inglese, tutta l’area era sotto il controllo Usa, che con un colpo di Stato, nel ’53, si erano liberati dallo scomodo primo ministro iraniano Mossadeq, reinsediando Reza Pahalavi e facendone il proprio gendarme nel Golfo.

Sembrava una situazione destinata a durare in eterno, ma la Rivoluzione Islamica del ’79 segnò la rottura di quegli equilibri consolidati, segnando la nascita di un forte polo di resistenza all’imperialismo Usa e di contrapposizione alla corrotta dinastia saudita.

Aggressioni in Medio Oriente

Gli eventi che nei decenni successivi si sono succeduti (l’aggressione dell’Iraq all’Iran, la prima e la seconda guerra del Golfo solo per rimanere ai più eclatanti), sono tutti figli del tentativo di mantenere l’assoggettamento dell’area da parte di Washington e Riyadh, eliminando l’unico vero ostacolo, appunto la Rivoluzione Islamica. E quando tutti sono falliti, si è pensato di colpirla con le sanzioni, per indebolirla e isolarla.

Ma la Storia non rimane ferma e le situazioni maturano: l’Amministrazione Obama, portatrice di interessi diversi da quelli dei centri di potere che sostenevano le precedenti, s’è mostrata assai meno incline ad assecondare Riyadh e le lobby ad essa legate. Per il Presidente americano il Medio Oriente era un pantano da cui gli Usa avevano ben poco da guadagnare e già nella campagna elettorale del 2007 si era dato l’obiettivo di districarsi da Iraq e Afghanistan.

Era ed è più che mai convinto che le sorti di potenza globale per gli Usa si decidano nel Pacifico, nella contrapposizione con la Cina. Praticamente una bestemmia per Riyadh, che ha visto nel progressivo allontanamento di Washington e nell’attenuarsi del suo ombrello protettivo un pericolo mortale, in questo pienamente accomunata da Tel Aviv.

Di qui le contromisure: scalzare Governi scomodi o comunque non allineati sostituendoli con altri manovrabili e spezzare quell’area di naturale collaborazione che si stava consolidando dall’Iran al Libano, attraverso Iraq e Siria. Ecco nascere il fenomeno delle “Primavere”, subito cavalcate e indirizzate; di qui il fiorire di conflitti per procura in quelle aree, sia per destabilizzare Stati considerati ostili o comunque non “amici”, che per suscitare zone di crisi in cui invischiare gli Usa impedendone il disimpegno.

Avvento delle Primavere

Ma le cose non sono andate così; dopo anni durissimi (ormai sta scorrendo il quinto), malgrado tutti gli sforzi per sviarla, la Storia ha continuato la sua strada. A parte il destino delle “Primavere”, che meritano un discorso tutto a parte, gli Stati sotto attacco non sono affatto caduti. Inoltre, presa in un pantano irrisolvibile e con in testa altre priorità, l’Amministrazione di Washington s’è mostrata sempre più svogliata nel sostenere il gioco via via più pesante dei suoi storici “alleati” locali: Arabia Saudita, appunto, ma anche Israele.

Quest’ultimo, con cieca arroganza e totale ottusità politica, non ha mancato occasione per scontrarsi con Obama (che, gli piacesse o no, era alla guida del suo tradizionale protettore d’oltre Atlantico) e compattare i suoi nemici, moltiplicando le provocazioni, le aggressioni, i crimini. Un insperato e stupefacente capolavoro politico per i suoi avversari.

È in questo clima che è maturato e ha preso il via l’accordo sul nucleare iraniano, evento di rilevanza storica perché infrange il muro dietro cui si voleva isolare Teheran, e per questo fino all’ultimo avversato invano da sauditi e israeliani.

L’accordo fortemente voluto da Washington non deve stupire. In esso non c’è nessuna resipiscenza per 40 anni di aggressioni ed ingiustizie, quanto il calcolo che l’Iran è indispensabile per la stabilizzazione del Medio Oriente, evitando il completo ed irreversibile collasso delle aree di crisi, come auspicato dagli “alleati” (Turchia, Arabia Saudita ed Israele), che le hanno create per spartirsene le spoglie. Nell’ottica dell’Amministrazione Obama, rinunciato ad un’egemonia Usa sulla regione (ormai impossibile), voleva però impedire che un’unica altra potenza la controlli.

Il disegno Usa in Medio Oriente

Da questo disegno discende tutta l’ambiguità e la contraddizione dell’operato Usa, soprattutto nei confronti dell’Isis, creato a tavolino per destabilizzare l’area e poi ingigantitosi e sfuggito al controllo. Washington sa bene che, spazzato via quel “nemico” tutt’altro che irresistibile (malgrado l’immagine che continuano a darne i media), si otterrebbe la stabilizzazione dell’Iraq ed a seguire della Siria; ma in questo modo si favorirebbe l’unità di un’area di collaborazione da Iran a Libano cementata ora da anni di lotte comuni; proprio quella che, quand’era ancora in embrione, è stata il bersaglio della destabilizzazione del Golfo.

Ed ecco la ridicola attività simbolica della coalizione internazionale a guida Usa che dovrebbe combatterlo, una forza che a volerlo avrebbe potuto incenerirlo in poche settimane, e che da più d’un anno fa poco o nulla. Di qui le resistenze a fornire ciò che serve all’Iraq per difendersi e il malumore nel constatare che quello Stato, un tempo un semplice vassallo, comincia a far da sé con gli aiuti (veri) di Teheran e di Mosca.

Ed ecco tutte le contraddittorie ambiguità sulla Siria, che è e resta il nodo dei problemi in Medio Oriente. In quel pantano sanguinoso, nella distorta logica avvalorata dai media, s’è giunti al paradosso di voler distinguere fra i tagliagole dell’Isis, cattivi perché sfuggiti al controllo di chi li manovrava, e quelli di Al-Nusra, ufficialmente affiliati ad Al-Qaeda ma “buoni” perché controllati da Riyadh. Secondo questa logica distorta, che Arabia Saudita, Turchia e Qatar, col pieno avallo e appoggio degli Usa, armino, finanzino ed aiutino in ogni modo bande di assassini ufficialmente prezzolati, perché destabilizzino uno Stato sovrano per poi spartirlo, sarebbe lecito quanto giusto.

Inserimento della Russia

Il fatto è che la posizione ambigua tenuta da Washington ha generato un colossale vuoto di potere, ed in quel vuoto s’è inserita la Russia, che è una storica alleata della Siria e di interessi in Medio Oriente ne ha eccome. La base navale di Tartus, i nuovi legami con l’Iran, il ruolo nella ricostruzione dell’area che diverrà il terminale della Via della Seta cinese, sono solo alcuni. Poi la possibilità di avere carte in mano da scambiare con Washington nell’altra area di crisi che a Mosca sta a cuore: l’Ucraina. Un intervento che ha sparigliato le carte, suscitando le inviperire reazioni di chi ha visto il proprio gioco irrimediabilmente compromesso, perché, in nome di un ulteriore paradosso sostenuto da tanti osservatori interessati, il fatto che un Governo legittimo sotto attacco chieda sostegno ad un alleato farebbe scandalo, quello che non c’è ad armare i terroristi che lo attaccano.

Sia come sia Putin ha rotto gli indugi e sta dando l’assistenza chiesta da Damasco. In buona sostanza sta fornendo cospicui aiuti militari e con l’aviazione sta colpendo le bande di assassini senza fare quelle distinzioni comprensibili solo alla luce degli interessi di chi la Siria voleva distruggerla per poi spartirsela.

L’intervento ha dato una fortissima accelerazione alla risoluzione delle crisi (peraltro già avviata); malgrado le strenue proteste dei sauditi e degli Stati nel loro libro paga (Francia in testa), non passerà molto che le famigerate bande del “califfo” verranno distrutte e con loro gli altri tagliagole che infestano Siria ed Iraq.

La completa sconfitta Usa

Anche Washington ha protestato con forza, ma nella realtà l’intervento di Putin ali Usa sta bene. Il Medio Oriente era già perduto per gli Usa e neanche considerato più prioritario; così i tempi sono stati solo accelerati. E piuttosto che esserne completamente esclusa, a Washington fa comodo che al centro ci sia la Russia, con cui ha molto da scambiare per la soluzione del problema ucraino e per le sanzioni inferte per la Crimea.

Per Riyadh è il crollo totale del disegno di mantenere potere e privilegi come sempre, in cui tanto aveva investito. È l’ennesimo fallimento che s’aggiunge a una pericolosa crisi finanziaria ed alla sciagurata aggressione allo Yemen, che si sta trasformando in un disastro; insieme potrebbero minare le stesse fondamenta del Regno.

La Turchia, frustrata nei sogni megalomani di Erdogan e con una guerra civile ritrovata con il Pkk che rischia di internazionalizzarsi, coinvolgendo le altre formazioni curde.

Israele è completamente solo, attorniato da nemici che lui stesso ha compattato; adesso può attendere solamente che la soluzione delle crisi che ha contribuito largamente ad attizzare indirizzi su di lui tutte le forze della Resistenza.

È un Medio Oriente allargato assai diverso che sta emergendo rapidamente. Un’area finalmente liberata da antichi imperialismi oppressivi: quello Usa, quello sionista e quello del Golfo. Un’area che dopo anni e anni di lotte sta conquistando il suo autonomo cammino di sviluppo.

In tutto questo spicca la totale assenza dell’Europa, che pure tanti interessi avrebbe ad essere presente, anche solo politicamente. L’ennesima dimostrazione d’inconsistenza, di pochezza e d’inutilità, di Istituzioni tali solo sulla carta. È l’ennesima manifestazione di totale sudditanza di Stati privi di sovranità o, più semplicemente, di una politica che non sia miope egoismo o totale asservimento.

Fonte: https://ilfarosulmondo.it/lalba-di-un-nuovo-medio-oriente/