Laboratorio Italia. Lo dice il Washington Post

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IL PUNTO

di Gianfranco Amato

I giornalisti del “Washington Post” hanno notato come l’Italia si sia «spinta in territorio inedito per le democrazie occidentali». Una vera e propria sperimentazione da laboratorio.

Strano Paese l’Italia. Da più di due anni si trova sotto la grigia cappa di uno stato d’eccezione a tempo indeterminato, in cui sono sospese o limitate alcune fondamentali garanzie costituzionali e diversi diritti fondamentali dell’uomo, tra cui quello di circolare, di riunirsi, di lavorare, di celebrare il culto. Gli italiani sono riusciti persino a familiarizzare con termini come lockdown, coprifuoco, green pass, sanificazione.

La cosa buffa è che tutti coloro i quali hanno osato sollevare dubbi sulla legittimità di tale situazione e hanno denunciato il fatto che l’Italia sia diventata un laboratorio in cui sperimentare gli effetti della contrazione dei diritti, sono stati prima derisi e poi brutalmente additati al pubblico ludibrio. Secondo i pretoriani del Potere, sarebbe semplicemente assurdo parlare di “dittatura”, di “deriva totalitaria”, di “sperimentazione dispotica”, di “rischi di tirannia”.

Persino quando a denunciare tali rischi sono state due delle poche teste pensanti ancora in circolazione, Giorgio Agamben e Massimo Cacciari, si è alzata una invereconda canea contro costoro ed è partito un vero e proprio linciaggio mediatico.

Peccato che quello che i trinariciuti italiani non riescono a scorgere, è invece ben visibile a 7.000 chilometri di distanza, dall’altra parte dell’Oceano. Lo hanno capito, infatti, i giornalisti del “Washington Post” che, per chi non lo sapesse, è il più antico e diffuso quotidiano della capitale statunitense, di area liberal-democratica, e non certo su posizioni no-vax o negazioniste. Proprio quel quotidiano fondato da Stilson Hutchins nel 1877 ha recentemente pubblicato un articolo dal titolo L’Italia inizia a far rispettare uno degli obblighi vaccinali per i lavoratori più severi al mondo, rischiando un contraccolpo.

I giornalisti del “Washington Post”, infatti, hanno notato come l’Italia si sia «spinta in territorio inedito per le democrazie occidentali». Una vera e propria sperimentazione da laboratorio, dovuta al fatto che sia stato imposto «uno degli obblighi vaccinali nei confronti dei lavoratori più severo al mondo». Che si tratti di una sperimentazione non limitata all’Italia, lo evidenziano gli stessi giornalisti quando scrivono: «Il premier Mario Draghi ha persino suggerito la possibilità di essere il primo Paese al mondo a introdurre l’obbligo universale del vaccino, una mossa che andrebbe oltre le misure adottate sino ad ora».

Del resto, scrive sempre il “Washington Post”, «l’Italia è stata la prima democrazia occidentale ad imporre il lockdown duro, l’obbligo di vaccinazione per i lavoratori della sanità e ora l’obbligo di green pass per tutta la popolazione sul luogo di lavoro». E il fatto è che – sempre secondo i giornalisti statunitensi – «nell’ultimo anno e mezzo, l’Italia ha regolarmente messo in atto misure che inizialmente sembravano azzardate, ma poi hanno attirato imitatori». Nel “Laboratorio Italia” si prova quello che poi si «imita» negli altri Paesi.

Ora saremmo nella fase in cui si sperimenta la prova di resistenza del livello democratico. Scrivono, infatti, i giornalisti del “Washington Post”: «L’Italia si trova in una nuova fase, quella di provare a capire che cosa significhi vivere con il virus, e quale sia il livello di controllo che la società è disposta ad accettare». Il test viene applicato creando diversi livelli di libertà.

Si legge, infatti, nell’articolo: «Mentre il governo italiano ha elaborato le nuove misure in nome della sicurezza, gli obblighi imposti stanno anche iniziando a separare la società in diversi livelli di libertà, in un modo che poteva sembrare inverosimile un anno fa». «La nuova società», prosegue il “Washington Post”, «è quella in cui i vaccinati riprendono le loro vite, e i non vaccinati affrontano una scelta: o vengono vaccinati, o rischiano di perdere il loro stipendio, oltre ad essere privati della possibilità di cenare al ristorante in un locale chiuso, di partecipare a un concerto, di vedere un film o di salire a bordo di un treno ad alta velocità».

Una vera e propria forma di discriminazione. Curioso che questo passi come la cosa più normale del mondo secondo molti esponenti politici, rappresentanti di organizzazioni sindacali, intellettuali, militanti per i diritti civili, giornalisti, conduttori di talk show, artisti, cantanti, youtuber, e influencer, i quali proprio in Italia si stiano stracciando le vesti per la mancata approvazione del DDL Zan contro le discriminazioni in materia di orientamento sessuale e cosiddetta identità di genere. Nessuno di costoro ha la minima percezione che la più grande discriminazione dal 1938 ad oggi nel nostro Paese stia in realtà avvenendo proprio nell’ambito del lavoro.

Eppure continuano a rivendicare, in difesa dei diritti degli omosessuali/transessuali/transgender, quella Costituzione che loro definiscono «la più bella del mondo». Evidentemente, però, come non hanno letto il testo del disegno di legge Zan, così non hanno letto la Carta fondamentale. Dovrebbero farlo, cominciando proprio dall’art.1, primo comma, il quale recita: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».

Persino in America si sono accorti che questa repubblica democratica si sta spaccando, proprio sul lavoro, in «different tiers of freedom», diversi livelli di libertà, creando precedenti di discriminazione pericolosi per le democrazie occidentali. Qualcuno, anche a livello politico-istituzionale, oltre ai post di Fedez, dovrebbe leggere anche quello che scrive la stampa estera preoccupata per l’Italia.

Bannon vuole conquistare la Ue con The Movement

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Avviso ai naviganti. Bannon vuole conquistare la Ue con The Movement

di Francesco Bechis

L’ex capo stratega di Donald Trump confida a The Daily Beast i dettagli del nuovo partito populista europeo. Dentro Le Pen e Farage, ma un posto d’onore è riservato a Matteo Salvini

Un’armata populista in marcia verso Bruxelles per ottenere la maggioranza all’Europarlamento e sconfiggere una volta per tutte “il partito di Davos”. Una Fondazione per i populisti, che dia linfa alla campagna elettorale per le elezioni europee del 2019 e metta insieme la crème de la crème dell’antiestablishment italiano, austriaco, tedesco, francese, britannico. Un’organizzazione che sfidi a colpi di fioretto Open Society, la fondazione pro-migranti del miliardario George Soros, l’Idra a sei teste per gli amanti di congiure e complotti. Il sogno di Steve Bannon comincia a prendere forma. Dopo aver espugnato la Casa Bianca l’ex capo stratega di Trump, allontanato con disonore dal Tycoon, si è messo al lavoro 24H per ripetere l’esperimento in Europa. E se un diffuso clichè vuole che il sequel di un film difficilmente ottenga lo stesso successo dell’originale, la sfida europea di Sloppy Steve può essere l’eccezione che conferma la regola.

The Daily Beast, dopo aver sentito Bannon, ha rivelato i primi dettagli. Si chiamerà The Movement, sarà un partito di destra (ma non disprezzerà l’apporto di voci diverse, purché il nemico resti lo stesso: le èlites europee), avrà il suo quartier generale a Bruxelles e sta già cercando staff per dare il via alle danze. I soldi non saranno un problema. Bannon non se ne cura più di tanto, è ancora incredulo che la campagna del Leave per la Brexit abbia raggiunto l’obiettivo con un budget di 7 milioni di sterline: “Quando mi hanno detto che il tetto di spesa era di 7 milioni gli ho detto ma intendete 70 milioni?? Con 7 milioni non ci compri nulla. Non ci compri i dati Facebook, non ci compri la pubblicità, niente”.

A Londra, nel lussuoso hotel Mayfair, l’incontro che ha siglato l’inizio della nuova avventura politica. Assieme a Bannon e Raheem Kassam, ex capo staff di Nigel Farage e direttore di Breitbart, si è presentata una nutrita delegazione dei movimenti antiestablishment europei. C’era lo stesso Farage, Jerome Rivière del Rassemblement National (Ex Front National), Filip Dewinter del fiammingo Vlaams Belang, il congressman repubblicano Paul Gosar (inviato del potentissimo Freedom Caucus, gruppo di conservatori pro-Trump che Bannon vuole avere dalla sua).

E poi volti non proprio rassicuranti, esponenti di spicco di partiti di ultra destra come Sweden Democrats e True Finns che inizialmente dovevano restarne fuori ma in extremis Bannon ha fatto rientrare perché “perfetti per il ruolo”. Non ci sono notizie di un coinvolgimento della Lega nella riunione londinese. Ci sono poche chances però che lo stratega più odiato d’America non imbandisca la tavola con il piatto più prelibato, la Lega di Matteo Salvini che sta scalando i sondaggi e conquista ogni giorno i riflettori a suon di respingimenti in mare. Bannon nutre una vera ammirazione per il ministro dell’Interno italiano. E se un posto nella dirigenza del Movement per Le Pen e Farage è giá blindato, difficile che rimanga fuori il segretario leghista, che al momento ha un peso specifico ben diverso e un po’ conosce le dinamiche di Strasburgo. A dissipare i dubbi ci pensano le parole di Matteo Salvini in una recentissima intervista al Washington Post, cui ha detto di voler “mettere insieme un gruppo che ottenga la maggioranza al Parlamento Europeo”.

I tempi sono maturi già da un po’. La debacle del Front National, il movimento di ultra destra guidato da Marine Le Penin cui Bannon aveva riposto tante speranze, sembrava aver allontanato una volta per tutte il pericolo di un’internazionale populista pronta a espugnare Bruxelles. Ma in poco meno di un anno l’ascesa delle forze euroscettiche in Austria, Olanda e Germania e il clamoroso exploit di Lega e Cinque Stelle del 4 marzo hanno riaperto la partita. Nel frattempo Bannon ha perso due lavori (alla Casa Bianca e a Breitbart news, l’emittente all news cara al far -right che lui stesso ha fondato) e ne ha guadagnato uno nuovo, non meno redditizio: mettere tempo, denaro e expertise al servizio di un nuovo movimento populista europeo.

Ne avevamo avuto sentore due mesi fa, quando ha fatto tappa a Roma in un tour europeo degno di una rockstar, esplodendo in un entusiasmo irrefrenabile per l’imminente nascita di un governo gialloverde, coronamento di un sogno che Bannon avrebbe voluto realizzare oltreoceano, per sua stessa ammissione, unendo all’irruenza di Donald Trump il carisma di Bernie Sanders. Poco male, la vita gli ha offerto un’altra occasione, e anche questa volta il vento tira a suo favore. Tic-tac, le lancette corrono, le europee si avvicinano e gli euroscettici hanno un jolly dalla loro parte. Chi vuole un’Europa diversa, liberale, moderata è avvisato: per fermare il ciclone Bannon servirà qualcosa di più di qualche bandiera blustellata per le strade di Bruxelles.

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