LA SINERGIA TRA LE FORZE DEL MULTIPOLARISMO

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Discorso alla 1° Conferenza europea sul multipolarismo del 4 settembre 2023

La transizione dall’amministrazione di Donald Trump a quella guidata da Joe Biden ha portato a un significativo cambiamento della politica estera statunitense.

Il miliardario newyorkese è stato formalmente issato alla Casa Bianca per soddisfare le richieste della classe media americana impoverita e delusa dall’eccessiva esposizione militare degli Stati Uniti nel mondo, sfruttando un sentimento di frustrazione che, non a caso, era già stato evidenziato da uno dei massimi analisti dei circoli di potere a stelle e strisce, Samuel Huntington.

In realtà, si è trattato dell’ennesimo “bait and switch” della geopolitica statunitense; Trump – il candidato ideale per raccogliere le proteste di questa componente risentita della società americana – è stato utilizzato per cercare di bloccare l’ascesa pacifica della Repubblica Popolare Cinese e soprattutto il suo progetto di Nuova Via della Seta terrestre e marittima che stava trasformando il processo di globalizzazione da unipolare a multipolare (facendo perdere agli Stati Uniti il loro dominio universale). Da qui la retorica della Casa Bianca sull’America First, sul protezionismo e sulle tariffe commerciali, metodi che si sono però rivelati inefficaci vista la stretta interconnessione tra le prime due economie del mondo.

Al protagonismo di Pechino, basato sui principi BRICS di non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani, di rispetto delle differenze culturali-religiose dei singoli Paesi (anche per quanto riguarda il modello di sviluppo) e di sostegno all’economia reale ma non speculativa, si è ovviamente unita anche Mosca, soprattutto dopo le sanzioni euro-atlantiche del 2014 per la questione della Crimea; il Cremlino ha reagito ad esse con un più intenso riavvicinamento economico alla Cina e con un intervento militare in Siria che ha sconvolto i piani statunitensi per il “Grande Medio Oriente”, secondo una logica che si potrebbe definire di “divisione internazionale del lavoro eurasiatico”. (La Russia usa lo strumento militare, la Cina quello economico). Fallito il tentativo trumpiano di staccare la Russia dalla Cina, con il pretesto della pandemia si è via via riproposto il vecchio schema della “guerra fredda”, della divisione del mondo in blocchi, dello scontro anche ideologico tra “autocrazie” e “democrazie”. A quel punto, il candidato naturale per l’establishment statunitense è diventato Joe Biden, il presidente che più probabilmente recupererà l’Europa all’interno del blocco guidato da Washington attraverso la NATO dopo le tribolazioni dell’era Trump.

Prima di insediare la Cina – considerata dagli Stati Uniti il vero rivale strategico per la governance mondiale – Washington cerca di sbarazzarsi del principale alleato di Xi Jinping, ovvero Vladimir Putin, per sostituirlo con un “fantoccio” disposto ad accettare il ruolo marginale di Mosca all’interno dell’ordine unipolare statunitense e la frammentazione della Federazione Russa.

A questo punto è necessario un ulteriore chiarimento. Molti parlano già di multipolarismo come di un processo pienamente avviato, in realtà siamo ancora in una fase di transizione che la diplomatica russa Marija Chodynskaja Goleniščeva ha brillantemente definito qualche anno fa come “dualismo policentrico”: “L’unipolarismo e l’unipolarismo pluralista (quello che gli americani chiamano multilateralismo), modelli tipici degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, cominciano a cedere il passo all’ordine mondiale policentrico. Questo processo, difficile e irregolare, incontra la resistenza di Stati abituati a dominare la scena mondiale e che hanno perso la capacità di negoziare per raggiungere compromessi che tengano conto degli interessi delle altre parti e presuppongano la disponibilità a fare concessioni. D’altra parte, la crescita del peso politico specifico degli “attori non convenzionali” (in primo luogo dei Paesi della regione) sulla scena internazionale, il loro desiderio di partecipare più attivamente al processo decisionale su questioni mondiali fondamentali porta a un profondo coinvolgimento di questi Stati nei conflitti che riguardano i loro interessi nazionali. Tutto ciò rende la situazione imprevedibile, porta alla “frammentazione” dei conflitti in aree di intersezione degli interessi degli attori politici globali e regionali e rende la risoluzione delle crisi mutevole in assenza di una metodologia adeguata alla realtà odierna.

Il filosofo geopolitico eurasiatico Aleksandr Dugin ha giustamente separato e distinto il concetto di multilateralismo – una comoda situazione di facciata che serve solo a distinguere la disuguaglianza tra l’egemone (gli USA) e i suoi vassalli (le nazioni dell’Alleanza Atlantica) – da quello di multipolarità, concetto caro a chi non accetta l’egemonia unipolare statunitense sul pianeta. Non ci possono essere compromessi tra i sostenitori dei due campi, tanto più che l’enunciazione di principi guida da parte di Putin e la sistematizzazione di strumenti militari ed economici alternativi (CSTO, Banca dei BRICS, OCS…) ha ulteriormente ampliato il divario tra le rispettive parti. Tornando a Dugin, egli sostiene che “un mondo multipolare non è un mondo bipolare perché nel mondo di oggi non c’è nessuna potenza che possa resistere con le proprie forze al potere strategico degli Stati Uniti e dei Paesi della NATO, e inoltre non c’è nessuna ideologia generale e coerente in grado di unire gran parte dell’umanità in chiara opposizione ideologica all’ideologia della democrazia liberale, del capitalismo e dei diritti umani, su cui gli Stati Uniti fondano ora una nuova, unica ideologia. Né la Russia moderna, la Cina, l’India o qualsiasi altro Stato possono pretendere di essere un secondo polo in queste condizioni. Il ripristino del bipolarismo è impossibile per ragioni ideologiche e tecnico-militari…”. In realtà, proprio il rispetto da parte dei BRICS e dei loro alleati dei principi condivisi di non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani, unito all’affermazione delle specificità culturali, dei modelli economici specifici (produttivi contro finanziari) e delle diverse visioni del mondo (basti pensare al concetto di “famiglia”), ha già diviso lo scacchiere geopolitico tra due poli in costante competizione tra loro in tutte le aree del pianeta. L’accelerazione della competizione tra i due campi negli ultimi anni ha infatti costretto in un modo o nell’altro tutti gli Stati nazionali a schierarsi da una parte o dall’altra. In conclusione, se è vero che attualmente non viviamo ancora in un sistema geopolitico multipolare, è altrettanto vero che la conditio sine qua non del suo completamento è il passaggio a una nuova fase bipolare che, pur non basandosi più sulla storica contrapposizione ideologica tra capitalismo e marxismo, conserva comunque differenze epocali di visione del mondo. Non si tratta quindi solo di proporre una riorganizzazione delle relazioni internazionali o di interpretare l’attuale fase storica come il passaggio dalla competizione geopolitica a quella geoeconomica, ma di approfondire ulteriormente la sinergia già esistente tra le forze che tendono a favorire il multipolarismo per far capire che l’attuale precario equilibrio bipolare può essere rotto solo con il ridimensionamento strategico degli Stati Uniti d’America. Solo quando Washington accetterà o sarà costretta a rinunciare al suo tentativo di egemonia mondiale, di fronte all’evidenza della sua incapacità di guidare il pianeta, si realizzerà l’agognato sistema multipolare; nel frattempo, la fase intermedia non potrà che essere sempre più bipolare, come gli ultimi avvenimenti stanno evidenziando: il trinceramento del mondo atlantico, Europa compresa, a difesa della supremazia del dollaro statunitense.

Allo stesso tempo, la fine dell’eurocentrismo richiede una nuova idea-forza da parte dei sostenitori del mondo multipolare che imponga la fine dell’assunto di occidentalizzazione-modernizzazione-liberismo-democrazia-diritti umani/individuali come unico progresso possibile dell’umanità. Un processo di cambiamento culturale che dovrebbe essere coordinato con i Paesi BRICS, ai quali potrebbero presto aggiungersi almeno altre 20 nazioni di varie parti del globo.

Dovrebbero poi riconoscere il ruolo della Russia come Piemonte d’Europa e cercare di coagulare tutte quelle forze genuinamente antiamericane presenti all’interno del Vecchio Continente (tenendo presente la subordinazione e la complicità dell’Unione Europea con l’imperialismo statunitense).

Una transizione pacifica dall’unipolarismo al multipolarismo potrebbe essere più conveniente per tutti. Il mondo sarebbe diviso in zone d’influenza in cui le potenze regionali e vicine si attivano per risolvere eventualmente le varie questioni in modo pacifico: è il modello che ho definito globalizzazione multipolare, perché si basa su diversi attori-civiltà e sulla composizione possibilmente win-win degli interessi. Ma la vittoria militare russa in Ucraina e il completamento del processo di dedollarizzazione già in atto costituiscono le premesse indispensabili.

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/la-sinergia-tra-le-forze-del-multipolarismo

I PASSI NECESSARI PER UN MONDO MULTIPOLARE

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Discorso alla 1° Conferenza globale sul multipolarismo del 29 aprile 2023

1. Affrontare e riorientare le dinamiche globali della geopolitica e della geoeconomia.

Lo sviluppo di Cina, India, Russia e altre regioni viene affrontato come una minaccia all’egemonia statunitense e al dominio occidentale.

I programmi di sviluppo globale come la BRI vengono trattati come minacce geoeconomiche per l’Occidente.

Lo slancio verso un mondo multipolare contro le lotte egemoniche e di dominio genera azioni di sanzioni, contenimento e guerre per procura, rendendo la comunità internazionale minacciata e instabile.

Come si può uscire da queste azioni e come le nazioni possono avere il diritto di svilupparsi in modo inoffensivo e protetto dalle minacce multidimensionali delle ambizioni egemoniche e di dominio sono stati i seri interrogativi del giorno.

2. Configurazione del mondo multipolare.

Come possiamo uscire dall’attuale scenario unipolare del mondo?

Multipolarità dei sistemi finanziari e monetari globali.

La de-dollarizzazione strategica è essenziale per un sistema monetario globale multipolare.

L’indipendenza dall’economia del dollaro è un’esigenza più ampia per l’indipendenza della valuta del dollaro e la resilienza alle crisi economiche create.

Per accelerare il processo, è necessario creare strutture collettive e strategiche per la de-dollarizzazione. Il sistema finanziario globale deve essere allontanato dalle istituzioni che controllano unilateralmente il FMI e la Banca Mondiale.

È necessario stabilire la multipolarità delle regioni economiche, garantendo catene di approvvigionamento globali e catene del valore senza soluzione di continuità.

L’equilibrio strategico multipolare della sicurezza deve essere garantito senza minacce e la libera navigazione e l’aviazione devono essere garantite, soprattutto nei punti di strozzatura strategici.

Il multipolarismo delle civiltà deve essere preservato e promosso.

Il rispetto reciproco e l’ammirazione di culture e valori diversi devono essere al centro delle relazioni internazionali.

La strategia di espansione dei BRICS e della SCO deve far fronte al futuro assetto multipolare del mondo. Tutte le aree di equilibrio strategico, come quella monetaria, militare, mediatica e tecnologica, devono essere sviluppate in modo uniforme tra i poli strategici per avere stabilità.

3. Riscrivere l’ordine globale

Riscrivere le regole internazionali e riformare le istituzioni in una visione e in una dimensione multipolare, comprese le Nazioni Unite e altre importanti istituzioni internazionali.

La promozione di connettività linguistiche, culturali e sociali sono aree chiave del Nuovo Multilateralismo.

La decolonizzazione, la lotta alla creazione di Stati, la lotta alle guerre per procura e la lotta all’occidentalizzazione sono le misure da adottare collettivamente nel processo di transizione verso un ordine internazionale multipolare.

La libertà dell’ordine unilaterale potrebbe non essere libera.

La resilienza collettiva contro le minacce multidimensionali delle soppressioni alleate, come il contenimento, le sanzioni e i blocchi, è sempre necessaria finché l’alleanza intende distruggere le nazioni bersaglio.

Nuovo ordine internazionale in tutte le aree globali comuni: Mare, Spazio aereo, Spazio cibernetico, che garantisca la libertà dalle minacce di Choke Point e dal controllo unilaterale di qualsiasi dominio.

Le regole dovrebbero essere stabilite multilateralmente con una partecipazione paritaria.

Grazie a tutti.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/i-passi-necessari-un-mondo-multipolare

VITTORIA E GIUSTIZIA: I PRINCIPI

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di Alexandr Dugin

Nella nostra società sono urgenti cambiamenti assolutamente necessari. Solo questi possono portarci alla Vittoria, e senza la Vittoria non ci sarà la Russia. Oggi tutti lo capiscono. Per salvare il popolo e lo Stato, dobbiamo cambiare e farlo in modo radicale e urgente.

La nostra società manca fatalmente di giustizia. Diamo una risposta chiara: cos’è la giustizia e come raggiungerla.

Idea russa

Abbiamo bisogno di un’ideologia patriottica chiara e accessibile a tutti. L’intera società deve capire chiaramente chi siamo come popolo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Smettere di avere paura del russo. Dobbiamo essere orgogliosi di essere russi. L’amore per la Madrepatria non deve farci vergognare. Occorre innalzare l’Idea Russa sul piedistallo e metterla al centro della politica, della cultura, dell’industria – al centro dell’esistenza sociale.

È sulla base dell’Idea russa che vanno costruite le politiche educative, sociali, culturali, l’educazione, il codice di comportamento di tutti gli strati della società, a partire dai vertici del Paese.

Non c’è valore più alto che dare la vita in nome della Patria. Non c’è peccato più terribile e crimine più efferato del tradimento della Madrepatria, la Russia.

L’Idea Russa deve sostituire completamente quella importata dall’Occidente egoista, il liberalismo, idea che è di fatto russofoba e sovversiva del nostro sistema di valori; deve essere eliminata una volta per tutte, porta automaticamente all’atomizzazione, all’alienazione e alla distruzione dell’unità nazionale; inoltre, sotto lo slogan della libertà, i liberali generano nuovi modelli di schiavitù e controllo universale. Questa è la cultura dell’annullamento.

O noi, dai funzionari ai cittadini comuni, giuriamo immediatamente all’Idea russa, o ci aspetta una catastrofe ancora più terribile di quella che abbiamo affrontato di recente.

Ortodossia

Dopo essersi allontanata da Dio, l’umanità ha rifiutato se stessa. L’Occidente moderno lo dimostra con tutto il suo candore. La fede è sconfitta, non ci sono più santuari, ma è con questa che siamo in conflitto mortale. La civiltà atea e materialista combatte contro di noi, ben sapendo che la Russia, anche nella sua forma attuale indebolita e ridotta, rimane l’ultima isola della società tradizionale, una roccaforte dei valori spirituali e, in fondo, della Fede, che le varie ideologie politiche – dal comunismo al liberalismo – non sono riuscite a sradicare dal nostro popolo nel corso dell’ultimo secolo. L’uomo russo rimane un uomo di fede, anche se non se ne rende ancora pienamente conto.

Dio non è, però, nella gerarchia ecclesiastica, non è in un’istituzione. È nella fede, nella tradizione, nei sacramenti della Chiesa, e la Chiesa non è un’istituzione, è il nostro cuore, donato nel rito del Santo Battesimo alla Divinità luminosa e buona, che a sua volta ha dato la vita per la nostra salvezza. La religione è un dono per il Dono e se c’è un Dono, c’è anche Colui che dona.

Dio è il fondamento di tutto, l’inizio e la fine. Egli crea il mondo e lo giudicherà alla fine. Se l’uomo si allontana da Dio, anche Dio può allontanarsi da lui e allora niente potrà salvarci e noi siamo sull’orlo dell’abisso. Non a caso si sentono sempre più spesso le parole minacciose “Apocalisse”, “Armageddon”, ecc.

Basta con le mezze misure. I russi devono tornare al loro Padre celeste. Dopo tutto, stiamo combattendo la Sua guerra, nel Suo nome e per la Sua gloria.

O torniamo immediatamente alla nostra Madre Chiesa, o ci aspetta una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente. [il punto è che la Russia dovrebbe tornare alla Santa Madre Chiesa di Roma, sciogliendo le riserve sul “Filioque” e riconoscendo il Primato di Pietro nella città eterna. Oggi non lo può fare realmente perché la Sede è occupata dai modernisti, ma lo può fare almeno idealmente, n.d.r.]

Impero

Il tipo di governo politico più giusto e armonioso è l’Impero. Una parte significativa della nostra storia l’abbiamo vissuta nell’Impero, e fu agli zar russi che passò la corona imperiale di Bisanzio. L’Impero è più di un semplice Stato, è una grande potenza dotata di una missione sacra, un impero non si limita a governare su vasti territori e numerosi popoli; l’impero conduce l’umanità alla meta più alta, alla salvezza e all’unità.

La Russia come impero comprende diversi popoli, culture e confessioni, mentre i russi, gli ortodossi, erano e restano il suo nucleo centrale. Ciò non significa che gli altri popoli siano subordinati. L’Impero apre la strada al governo a tutti coloro che hanno dimostrato con atti, imprese, capacità e lealtà di essere suoi degni figli.

La democrazia liberale, impostaci dall’Occidente, è disastrosa per il Paese, in quanto atomizza la società, lo atomizza, mina la solidarietà e l’unità.

Abbiamo bisogno di un Impero che garantisca la giustizia sociale. Un impero del popolo, libero dall’onnipotenza di oligarchi e rampanti che traggono profitto dalla miseria della gente. Forse non ci sono mai stati imperi ideali nella storia… allora costruiamone uno! L’impero non riguarda il passato, ma il futuro.

Solo un aperto appello all’Impero e alla sua eredità ci darà il diritto ultimo di combattere e vincere la guerra che stiamo combattendo. Nessun piccolo nazionalismo aggressivo può reggere il confronto con la potenza imperiale; di più, per coloro che in Ucraina non hanno ancora perso completamente la testa, un posto nell’Impero e la fedeltà all’Impero possono essere un motivo serio per passare dalla nostra parte.

Altrimenti, potrebbe sembrare che due Stati liberal-democratici siano in guerra tra loro. Entrambi si considerano parte del mondo occidentale e cercano di integrarsi al più presto, scegliendo percorsi e mappe stradali diverse e questo svaluta le gesta eroiche dei nostri eroi e priva la guerra della sua dimensione sacra. In guerra, non vince solo il più forte in termini di tecnologia e forza materiale, ma quello il cui ideale è più grande, più alto. Dopo tutto, le idee sono potere. E non c’è idea più potente di quella dell’Impero.

O iniziamo subito a costruire l’Impero, o andremo incontro a una catastrofe ancora più terribile di quella che abbiamo affrontato di recente.

Fermare l’estinzione del popolo russo

Ci stiamo estinguendo, ogni anno ci sono sempre meno russi, se non invertiamo immediatamente questa tendenza catastrofica, il nostro popolo scomparirà dalla faccia della terra nel corso di questo secolo o si trasformerà in una minuscola minoranza. Come salvare la nazione?

Riportare anzitutto immediatamente i valori tradizionali: spirito, moralità, famiglia forte – come indispensabili. Solo le società tradizionali possono vantare una crescita demografica. Più la modernizzazione e il liberalismo sono estesi, meno persone ci sono. Pertanto, tutte le tendenze che vanno contro la Tradizione, la cultura religiosa spirituale russa, dovrebbero essere legalmente proibite.

La pratica di sostituire i russi che stanno scomparendo con immigrati importati – con un’identità aliena e in nessun modo intenzionati a diventare parte del nostro popolo – è criminale e deve essere fermata immediatamente.

Il fatto sociologico e statistico inconfutabile è che nelle condizioni delle città moderne, sempre e in tutti i Paesi e le civiltà, c’è un declino e una degenerazione demografica. Le grandi città sono assassine di famiglie forti con molti figli, fonte di impurità morale, dissolutezza e perversione. È urgente avviare la disaggregazione delle megalopoli, fornire a tutti i russi la terra e la possibilità di viverci, di prendersi cura dei parenti e di possedere un’eredità inalienabile – un nido familiare.

È necessario dare finalmente al popolo russo la terra. In diverse fasi della nostra storia, l’una o l’altra forza ha proposto questo giusto slogan, ma ogni volta i russi sono stati nuovamente ingannati, sia dai proprietari terrieri, sia dai bolscevichi, sia dai liberali degli anni Novanta. Solo la terra che fa nascere il pane, il capofamiglia, è in grado di dare un impulso all’aumento del tasso di natalità.

O invertiamo immediatamente la situazione demografica, o andremo incontro a una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente.

Vietare l’usura

Gli alti tassi di interesse e la completa dipendenza dell’economia russa dall’inserimento nel sistema del capitalismo finanziario globale portano all’eccessiva ricchezza dell’élite finanziaria e all’impossibilità per la maggioranza della popolazione di sfuggire alla povertà. L’oligarchia finanziaria, che ha schiavizzato quasi tutta la società russa con i prestiti, trae profitto dall’applicazione di alti tassi di interesse bancari e dai mutui.

Questo sistema deve essere radicalmente ristrutturato. Invece del credito commerciale, è necessario passare al credito sociale – con tassi di interesse pari a zero o addirittura negativi, che aumenterà drasticamente la ricchezza totale del popolo, espressa in case costruite, beni creati, produzione consolidata, e non in astratti indicatori macroeconomici.

Lo Stato dovrebbe distribuire equamente le opportunità finanziarie tra tutta la popolazione, ponendo fine all’onnipotenza dell’oligarchia e dell’ufficialità corrotta.

Questo modello economico, di fatto coloniale, si è formato in Russia negli anni ’90 del secolo scorso e oggi impedisce lo sviluppo armonioso e progressivo del potenziale creativo del Paese ed è enorme e solo artificialmente frenato dalla politica monetarista delle autorità.

O cambiamo immediatamente il vettore economico da liberale-oligarchico e monetarista a uno socialmente orientato, o andremo incontro a una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente.

Vincere la guerra con l’Occidente

In Ucraina siamo impegnati in una guerra feroce non tanto con il regime neonazista e russofobo di Kiev, quanto con l’Occidente collettivo. Non si tratta solo di un conflitto regionale o della risoluzione di questioni controverse di geopolitica, economia e strategia militare. Si tratta di una guerra di civiltà. L’Occidente moderno ha gettato le sue maschere e si presenta apertamente nella sua vera forma: da tempo ha dichiarato guerra a Dio, alla Chiesa e alle basi politiche e culturali della società tradizionale, e oggi sfida direttamente l’uomo stesso. La civiltà occidentale moderna sta distruggendo le famiglie, legalizzando e persino imponendo in modo aggressivo la perversione, la riassegnazione del sesso, la chirurgia transgender, e persino i bambini ne diventano vittime.

Gli estremisti ambientalisti chiedono di salvare il pianeta dall’uomo. I pionieri dell’ingegneria genetica stanno già conducendo esperimenti sull’incrocio di persone con macchine, con altre specie animali, sperimentando sul genoma, promettendo di dare agli organismi umani l’eternità o una sua parvenza (sotto forma di memoria e sentimenti immagazzinati su server). L’intrusione nel mistero del portare in grembo un feto minaccia una nuova segregazione, perché è già stato lanciato un progetto per allevare una razza superiore, il cui genotipo sarà corretto artificialmente e migliorato al massimo.

La guerra con l’Occidente in Ucraina è una battaglia della civiltà dei popoli, che è rappresentata dalla Russia, che oggi guida il confronto della maggioranza mondiale contro l’egemonia dell’Occidente, con la civiltà che è sulla via della distruzione o della mutazione irreversibile dell’uomo. Tale civiltà è satanica.

Per vincere questa guerra di civiltà, è necessario risvegliare tutta la nostra società, far conoscere a ciascuno dei suoi membri – fino ai bambini – il significato, gli obiettivi e le finalità di questa grande e sacra guerra di popolo. Non è solo la difesa della Madrepatria, è una guerra per la giustizia, che stiamo combattendo non per la vita, ma per la morte. E poiché siamo dalla parte della Luce, la società deve essere purificata, nobilitata ed elevata. La vittoria in una battaglia così decisiva per tutta la storia dell’umanità è un pegno di conservazione dell’uomo come specie. Ancora una volta i russi si sono assunti la missione di salvare il mondo. E oggi tutto dipende da noi.

In questa situazione siamo obbligati a trasmettere a tutti la struggente verità sul significato di questa guerra.

È stato criminale lasciare immutata la cultura dell’intrattenimento che si è sviluppata negli ultimi 30 anni, basata sulla volgarità, sul cinismo, sul ridicolo di tutto ciò che è alto e puro, sull’imitazione di tutti i lati più ripugnanti dell’Occidente. Inoltre, molti personaggi della cultura hanno mostrato il loro coraggio di traditori nelle condizioni della SWO, disertando direttamente dalla parte dei nemici della Russia. Le grida di buffoni, blasfemi e pervertiti posseduti dal demonio minano la fiducia nella nostra vittoria e provocano l’indignazione degli eroi in prima linea e di coloro che hanno già capito quanto sia alta la posta in gioco nel conflitto di civiltà.

Abbiamo bisogno di una cultura completamente diversa che sia all’altezza delle sfide della guerra. La cultura esistente non è affatto una cultura. Non solo non dobbiamo far rientrare i traditori che si sono ravveduti, ma dobbiamo anche allontanare coloro che sono rimasti, conservando il loro stile, il loro snobismo, il loro disprezzo quasi invisibile per il popolo russo e i suoi ideali, le sue linee guida, la sua natura morale.

O ricostruiamo immediatamente la nostra intera società su base militare, o ci aspetta una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

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Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/vittoria-e-giustizia-i-principi

LA SFIDA DELLA “DECOLONIZZAZIONE” E LA NECESSITÀ DI UNA RIDEFINIZIONE GLOBALE DEL NEOCOLONIALISMO [2]

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“Colonialismo”: un tentativo di chiarimento

Nel 1960, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la “Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai Paesi e ai popoli coloniali” su impulso dell’Unione Sovietica, era chiaro a tutti i partecipanti ai processi internazionali quali fossero i territori in questione, ovvero le terre dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina e delle isole del Pacifico, sottomesse e sfruttate da europei e americani. Si trattava di territori d’oltremare, di norma stranieri ed etnicamente estranei alla metropoli, che venivano sfruttati come mercati o fonti di materie prime necessarie alla metropoli.

Oggi, su impulso degli studiosi occidentali, anche nell’ambito del discorso postcoloniale, la comprensione del colonialismo viene ingiustificatamente ampliata. Se il colonialismo è definito come “la conquista delle terre e delle ricchezze di altri popoli” (Loomba, 1998, p. 3), è logico concludere che il “colonialismo” è stato un qualsiasi episodio della storia umana in cui sono state create entità statali estese. “Quando la nozione si estende a tutto il mondo, perde il suo significato”, osserva il russofilo americano contemporaneo John LeDonne (LeDonne, 2002, p. 765).

In questo caso, o si dovrebbe interrompere qualsiasi discussione accademica sul colonialismo (cosa impossibile, e il termine stesso non scomparirà dalla sfera politica e pubblica), oppure si dovrebbe restringere il più possibile la nozione di colonialismo, cercando di renderla più precisa. Ovviamente, il discorso postcoloniale, così come è emerso, va esattamente nella direzione opposta.

Per rendere più significativa la comprensione del “colonialismo”, è necessario, innanzitutto, partire dalla realtà storica concreta di cosa sia stato esattamente il “colonialismo”. In secondo luogo, chiarire quali sono i processi storici di cui il “colonialismo” ha fatto parte, perché è avvenuto, quali sono stati i suoi presupposti economici, politici, giuridici e filosofici (visione del mondo) e quali sono i processi attuali dovuti agli stessi fattori, cioè qual è la continuazione del “colonialismo”. In terzo luogo, capire qual è il posto del “secondo mondo”, della “semiperiferia” e dei grandi Stati storicamente imperiali della periferia nel “colonialismo”: sono colonialisti o vittime del colonialismo?

Il colonialismo, nel senso della “Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai Paesi e ai popoli coloniali”, è un fenomeno New Age. È dubbio che possa essere applicato al Medioevo o all’Antichità, o ai sistemi statali che si sono sviluppati al di fuori dello Jus Publicum Europaeum. Questo aspetto è descritto in dettaglio da C. Schmitt in The Nomos of the Land (Schmitt, 2008, p. 616). Ciò che si associa al colonialismo: il razzismo, le idee di superiorità, il considerare il territorio di culture straniere come un libero campo di espansione delle potenze europee, è inestricabilmente legato alla specificità della concezione europea dello spazio in epoca moderna, a partire dall’epoca delle Grandi Scoperte Geografiche.

Il diritto internazionale westfaliano e la sovranità si applicavano solo agli europei (Schmitt, 2008, pp. 150, 236-264). Le colonie non erano soggette all’ordine che definiva la vita nelle metropoli. Inoltre, l’esistenza stessa delle colonie forniva questo ordine normativo europeo – le regole di guerra da osservare in Europa non si applicavano alle colonie. Un certo equilibrio in Europa fu mantenuto spostando le lotte delle potenze europee per le terre libere in territori disponibili per l’espansione coloniale (Schmitt, 2008, p. 199).

Una concezione simile del “colonialismo”, ma nel contesto dello spostamento delle contraddizioni del capitalismo dal centro alla periferia, è stata proposta alla fine degli anni Cinquanta dal filosofo francese di origine russa Alexander Kozhev. Egli definì il “colonialismo” come una forma moderna del “capitalismo” di Marx del XIX secolo – un sistema in cui “il plusvalore, come nel capitalismo, è investito dai privati piuttosto che dallo Stato, ma viene ritirato non all’interno dello stesso Paese, ma al di fuori di esso” (Kozhev, 2006, p. 394). Un’idea simile, ma in una direzione diversa, è stata sviluppata in precedenza da alcuni autori marxisti, che hanno interpretato il capitalismo come un sistema estensionale basato sullo sfruttamento delle colonie (Luxemburg, 1934, pp. 177-181). Questo approccio ha influenzato le teorie dell’analisi del sistema mondiale e dello sviluppo dipendente.

Storicamente, quindi, il fenomeno che viene chiamato “colonialismo” è l’espansione del sistema-mondo occidentale, sotto forma di economia mondiale basata sullo sfruttamento ineguale, su scala globale nell’epoca successiva alle Grandi Scoperte Geografiche. Si è passati da una moltitudine di economie e imperi mondiali a un’unica economia mondiale globale attraverso l’espansione economica, civile e culturale dell’Occidente. Il colonialismo è una forma di conquista di altre culture da parte dell’Occidente e la loro integrazione (“incorporazione”) nel suo sistema mondiale. I. Wallerstein ha giustamente osservato: “L’incorporazione nell’economia mondiale capitalista non è mai stata un’iniziativa di coloro che vi sono stati inclusi. Piuttosto, il processo è scaturito dalla necessità dell’economia mondiale di espandere le proprie frontiere – una necessità che a sua volta era il risultato di influenze interne all’economia mondiale” (Wallerstein, 2016, p. 159).

È interessante notare che il subcontinente indiano, l’Impero ottomano, l’Impero russo e l’Africa occidentale erano ugualmente candidati all’”incorporazione” all’inizio del “lungo XVI secolo” (Wallerstein, 2016, p. 159). Ciascuna di queste regioni ha affrontato la stessa minaccia da parte dell’”economia mondiale”, i cui egemoni hanno cercato di porre queste regioni in una posizione di dipendenza. Tuttavia, le reazioni a questa minaccia sono state diverse in ogni caso.

Alcuni Paesi non occidentali sono diventati colonie sotto pressione. Un’altra parte ha dovuto adattarsi, in parte occidentalizzarsi, per sopravvivere e contrastare l’Occidente stesso. Si tratta di Russia, Impero Ottomano, Persia, Giappone, Abissinia in Africa e in parte Cina. Di norma, questi Paesi sono stati in grado, nel migliore dei casi, di mantenere un punto d’appoggio nella semiperiferia del sistema mondiale occidentale, senza essere integrati nel nucleo centrale. L’eccezione è il Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma il prezzo era la rinuncia alla sovranità. Secondo J. Wallerstein (Wallerstein, 2016, p. 231), nel XVIII secolo la Russia, dopo essere entrata a far parte del sistema mondiale, andò in una direzione diversa – sacrificò la possibilità di una più stretta integrazione economica nel suo nucleo per il bene del potere imperiale, facendo la scelta della semi-periferia: o il potere e la sovranità, o un (possibile) posto più alto nel sistema economico al costo della de-sovranità.

Non ha senso usare il termine “colonialismo” in relazione ai Paesi imperiali semiperiferici e periferici di cui fa parte il “secondo mondo” (Russia, spazio post-sovietico e Cina), se intendiamo il colonialismo come una politica volta a incorporare i Paesi non occidentali nel sistema mondiale dell’Occidente in ruoli subordinati.  Il sistema chiamato “impero subalterno” (Morozov, 2015), che si suppone sia oggetto di colonialismo per l’Europa e soggetto di colonialismo per i suoi sudditi, può anche essere descritto nei termini del rappresentante della teoria russa dei sistemi mondiali A.I. Fursov (Fursov, 1996) attraverso la contraddizione tra la componente funzionale (Stato di tipo moderno, burocrazia, sistema finanziario) del capitalismo, costretta ad essere assimilata dal potere della semiperiferia per preservare la propria indipendenza, e la sua componente sostanziale (società civile borghese capitalista). Qualsiasi potenza semiperiferica, se vuole mantenere la propria indipendenza politica, è destinata a essere un “impero subalterno”, adattando alle proprie esigenze la componente funzionale del capitalismo e le istituzioni dello Stato moderno, e ora adattandosi alle specificità del Postmoderno.

Tuttavia, una tale forma di fuga dalla diretta sottomissione coloniale dovrebbe essere chiamata “colonialismo” o si dovrebbe sostenere che un tale “impero peripatetico” è solo uno “Stato coloniale” (Kagarlitsky, 2009, p. 247), in cui le classi superiori europeizzate sfruttano le classi inferiori? Oppure, come scrive il pubblicista russo E.S. Kholmogorov, ha senso considerare questa esperienza di semiperiferia come “l’ingresso nell’economia mondiale capitalista, ma non come una periferia che cambia a piacimento la sua divisione del lavoro, la sua struttura economica, ecc. ma come un beneficiario consolidato, abbastanza resistente (soprattutto militarmente e politicamente) all’espansione europea”.16 16 Tale resistenza non sarebbe un esempio non di colonialismo, ma di qualcosa di completamente opposto?

Il colonialismo è il globalismo occidentale, europeo e americano nella sua fase iniziale, finché il sistema globale moderno è ancora il sistema mondiale europeo della modernità e non un altro. È difficile non essere d’accordo con l’affermazione che “la colonizzazione è stata il modo principale per rifare il nuovo mondo secondo le linee europee” (Lieven, 2007, p. 500). Da questo punto di vista, gli sviluppi dell’approccio postcoloniale e i concetti di “colonialismo interno” sono adeguati, ma solo quando si cerca di criticare i meccanismi di occidentalizzazione e modernizzazione, che sono stati accompagnati dalla distruzione di sistemi alternativi di coordinate e modi di essere “non occidentali” (Fituni, Abramova, 2020, p. 32).

Da un punto di vista culturale, il colonialismo può essere inteso come un sottoprodotto della civiltà occidentale moderna che, come nota lo storico italiano contemporaneo Franco Cardini, è consumata da idee di costante trasgressione, di abolizione di tutti i confini, di costante espansione, che si concretizza sia nell’idea di storia come progresso infinito, sia nell’espansione territoriale, economica e culturale.17

Il colonialismo è la Modernità, il sistema socio-culturale della Nuova Era, o meglio, una delle forme di imposizione della Modernità occidentale al resto di noi come un destino inevitabile. Il colonialismo è inconcepibile senza lo “spirito faustiano” occidentale, l’”uomo predatore” di Spengler, la sua superiorità tecnica18.

Il colonialismo è anche inseparabile dal concetto di missione civilizzatrice. Una delle caratteristiche più importanti dello Jus Publicum Europaeum era l’idea che un popolo “incivile” non potesse diventare membro di questa comunità giuridica internazionale (Schmitt, 2008, p. 616). La percezione europea e americana della politica mondiale durante il periodo coloniale si basava sulla gerarchizzazione dei popoli e delle regioni del mondo (Hobson, 2012, pp. 8-9), la cui espressione formale era la tricotomia dell’americano Lewis Morgan (“barbarie – barbarie – civiltà”). Al livello più alto c’erano le nazioni europee “bianche” “civilizzate”, al di sotto – i “dispotismi” asiatici “barbari”, ancora al di sotto – i “neri” “selvaggi”. La Russia, anche se considerata un Paese civile “bianco”, era comunque più in basso nella gerarchia rispetto, ad esempio, alla Gran Bretagna, la Turchia era più in basso della Russia, ecc. Non è difficile notare la coincidenza dei “barbari” con quella che in futuro diventerà la “periferia” della teoria del sistema-mondo, in parte il “secondo mondo”.

Dal punto di vista dei colonialisti occidentali, gli illuminati e i civilizzati avevano il diritto di interferire negli affari dei “selvaggi” e dei “barbari”. Non è la stessa cosa che stiamo facendo ora? La “civiltà” ora si chiama “democrazia”. L’”ingerenza” negli affari delle “democrazie” è imperdonabile, mentre gli stessi Paesi occidentali hanno il diritto di intervenire a livello umanitario o di imporre sanzioni in nome della democrazia e di un “ordine mondiale basato sulle regole” accettato da una ristretta cerchia di “Paesi civilizzati” e “democratici”. Inoltre, il concetto stesso di “intervento umanitario” si è storicamente evoluto in Europa e negli Stati Uniti da idee razziste e colonialiste sulla giustificazione dell’interferenza negli affari dei Paesi “incivili” (Heraclides & Dialla, 2015, pp. 33-56).

Infine, è sorprendentemente scarsa l’attenzione dedicata all’aspetto geopolitico più evidente del colonialismo. Le colonie sono sempre possedimenti d’oltremare. Negli studi postcoloniali questo punto viene relegato in secondo piano, fino a descrivere le province degli imperi terrestri (o parti di metropoli) come colonie. In Edward Said, tuttavia, si può trovare l’intuizione che “l’idea di dominio d’oltremare, il salto oltre i territori vicini” è specifica delle culture di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Questo li distingue dagli imperi russo e ottomano (Said, 2012, p. 27, 52). Per Dominique Lieven, la principale differenza tra la Russia e gli imperi coloniali marittimi è la “continentalità”. Continentalità significa lo sviluppo all’interno di un “sistema ecologico” di spazi simili, non paragonabile alla scoperta di veri e propri nuovi mondi d’oltremare. Si tratta di un’espansione in un “mondo che non era veramente nuovo”, e quindi le differenze che separavano gli abitanti delle colonie d’oltremare dalla metropoli non esistevano o erano meno pronunciate nell’impero continentale (Lieven, 2007, p. 365).

Il fondatore della geopolitica britannica, Halford John Mackinder, nella sua opera “Democratic Ideals and Reality” ha introdotto due concetti: “seaman’s point of view” e “landman’s point of view” (Mackinder, 1996, p. 38). “L’uomo del mare vede la terraferma come una catena di coste che cerca di sviluppare e controllare dall’esterno. È così che è avvenuta la colonizzazione europea di altri continenti. L’”uomo della terra” vede il continente dall’interno come una vasta massa continentale a cui egli stesso appartiene. In termini geopolitici, il colonialismo può essere inteso come parte della politica delle potenze marittime per il controllo delle terre emerse, compreso il controllo e l’opposizione agli imperi continentali. “La visione marittima, esterna alla terraferma, vede i territori costieri come potenziali colonie, come strisce di terra che possono essere strappate al resto della massa continentale e trasformate in una base, uno spazio strategico”, osserva il geopolitico russo Alexander Dugin (Dugin, 2000, p. 15).

In questo contesto, la decolonizzazione può essere vista come un rafforzamento delle formazioni continentali, un’integrazione a livello continentale che permette di superare la pressione politica, economica e militare delle potenze marittime. Può anche spiegare l’interesse per l’integrazione continentale tra i sostenitori dei movimenti anticoloniali e avvicinare le loro idee ai progetti di integrazione del “secondo mondo” (“One Belt, One Road”, Unione economica eurasiatica (UEE), progetti panafricani).

Conclusione

Gli studi postcoloniali offrono spunti di riflessione rivelando i meccanismi epistemologici del colonialismo, dell’egemonia e della dominazione occidentale dopo la dichiarazione formale di indipendenza delle ex colonie. Non si può fare a meno di riconoscere che essi sollevano domande acute sulla combinazione di modernizzazione e colonialismo, sulla modernizzazione come forma di colonizzazione, sul “lato sbagliato della modernità” (Vasiliev, Degterev & Shaw, 2021, p.11). La sfida più dolorosa è rappresentata dai tentativi di interpretare come “coloniali” le politiche dei Paesi semiperiferici nei confronti delle proprie periferie. La risposta a questa sfida dovrebbe essere un esame più approfondito del colonialismo e del neocolonialismo dalla prospettiva dell’economia politica (teoria dei sistemi mondiali), della filosofia, della geopolitica, degli studi di diritto internazionale, della storia e degli studi culturali. I Paesi del “secondo mondo” condizionato devono costruire una propria teoria postcoloniale contro-egemonica. La domanda a cui rispondere è fino a che punto l’esperienza del “secondo mondo” sia unica e legata a fattori geopolitici e storici, alla continentalità di Russia e Cina (Fursov, 2001) e alla specificità dei sistemi di potere in entrambi i Paesi, e fino a che punto sia universale come risposta alla pressione coloniale occidentale e, quindi, di interesse per il “terzo mondo”.

Il discorso anticoloniale può essere pienamente scientifico se si libera dalla malattia della sinistra – la percezione postcoloniale di ogni sistema solidale complesso come repressivo, di ogni espansione e violenza (inevitabile nel corso della storia) come “colonialismo”. Il colonialismo ha una genealogia distinta e aspetti di formazione e trasformazione nell’ordine internazionale moderno, il cui potenziale di studio non è esaurito.

1 См.: To Receive a Briefing on Decolonising Russia // Congress.gov. June 23, 2022. URL: https://www.congress.gov/event/117th-congress/joint-event/332780?s=1&r=11 (accessed: 14.10.2022); Decolonizing Russia: A Moral and Strategic Imperative // YouTube. June 23, 2022.  URL: https://www.youtube.com/watch?v=-iGtFXs9gvo (accessed: 14.10.2022).

2 Bosnic D. US Government Openly Advocates Destroying Russia // BRICS Information Portal. June 27, 2022. URL: https://infobrics.org/post/36034/ (accessed: 14.10.2022).

3 Decolonisation of Russia To Be Discussed at Upcoming Helsinki Commission Briefing // Justice for North Caucasus. June 22, 2022. URL: https://justicefornorthcaucasus.info/?p=1251683963 (accessed: 14.10.2022).

4 Ashby H., Sany J. On Ukraine, Africa Needs a Clearer U.S. Message // United States Institute of Peace. May 17, 2022. URL: https://www.usip.org/publications/2022/05/ukraine-africa-needs-clearer-us-message (accessed: 15.10.2022).

5 Eisenhower D. Proclamation 3303 — Captive Nations Week // UC Santa Barbara. The American Presidency Project. Documents. July 17, 1959. URL: https://www.presidency.ucsb.edu/documents/proclamation-3303-captive-nations-week-1959 (accessed: 15.10.2022).

6 Sinness M. Empire of the Steppe: Russia’s Colonial Experience on the Eurasian Frontier // UCLA International Institute. May 5, 2014. URL: https://www.international.ucla.edu/apc/centralasia/article/139315 (accessed: 15.10.2022).

7 Ключевский В. О. Курс русской истории. Лекция II // Федеральное государственное бюджетное учреждение науки Государственная публичная научно-техническая библиотека Сибирского отделения Российской  академии наук. URL: http://www.spsl.nsc.ru/history/ kluch/kluch02.htm (дата обращения: 15.10.2022).

8 Webster R. Western Colonialism // Britannica. URL: https://www.britannica.com/topic/Western-colonialism (accessed: 15.10.2022).

9 Inozemtsev V. Russia, the Last Colonial Empire // The American Interest. June 29, 2017. URL: https://www.the-american-interest.com/2017/06/29/russia-last-colonial-empire/ (accessed: 15.10.2022).

10 Caschetta A. J. Why Are Academics Ignoring Iran’s Colonialism? // National Review. December 27, 2019. URL: https://www.nationalreview.com/2019/12/academics-ignore-iranian-colonialism/ (accessed: 15.05.2022).

11 Mergo T. Ethiopia’s Problems Stem From Internal Colonialism // Foreign Policy. July 22, 2021. URL: https://foreignpolicy.com/2021/07/22/ethiopias-problems-stem-from-internal-colonialism/ (accessed: 15.05.2022).

12 Macron Calls Russia ‘One of the Last Imperial Colonial Powers’ on Africa Visit // France24. July 28, 2022. URL: https://www.france24.com/en/africa/ 20220728-marcon-calls-russia-one-of-last-imperial-colonial-powers-in-benin-visit (accessed: 15.10.2022).

13 Turkey Slams Macron for Describing Ottoman Rule in Algeria as Colonialism // Duvar.English. October 08, 2021. URL: https://www.duvarenglish.com/turkey-slams-macron-for-describing-ottoman-rule-in-algeria-as-colonialism-news-59123 (accessed: 15.10.2022).

14 San Juan Jr. The Limits of Postcolonial Criticism: The Discourse of Edward Said // Marxist Internet Archive. November-December, 1998. URL: https://www.marxists.org/ history/etol/newspape/atc/1781.html (accessed: 15.10.2022).

15 Gottfried P. Critical Race Theory Is Worse Than Marxism // The Chronicles. May 26, 2021. URL: https://chroniclesmagazine.org/web/critical-race-theory-is-worse-than-marxism/ (accessed: 15.10.2022).

16 Холмогоров Е. С. Очерки Смутного Времени. Очерк второй. Два мира — две системы // Русская народная линия. 18.10.2007. URL: https://rusk.ru/st.php? idar=24000 (дата обращения: 15.10.2022).

17 Nieri D. Le esercitazioni NATO nel Baltico sono una minaccia per la Russia. Intervista di Umberto De Giovannangeli // Il blog di Franco Cardini. June 12, 2022. URL: https://www.francocardini.it/minima-cardiniana-382-2/ (accessed: 15.10.2022).

18 Шпенглер О. Человек и техника // Гуманитарный портал. URL: https://gtmarket.ru/library/articles/3131  (дата обращения: 15.10.2022).

Оригинал публикации: Бовдунов А.Л. Вызов «деколонизации» и необходимость комплексного переопределения неоколониализма // Вестник Российского университета дружбы народов. Серия: Международные отношения. – 2022. – Т. 22. – №4. – C. 645-658. doi: 10.22363/2313-0660-2022-22-4-645-658

Pubblicato sulla rivista scientifica Vestnik Rudn – International Relations

Bovdunov A.L. Challenge of “Decolonisation” and Need for a Comprehensive Redefinition of Neocolonialism // Vestnik RUDN. International Relations. – 2022. – Vol. 22. – N. 4. – P. 645-658. doi: 10.22363/2313-0660-2022-22-4-645-658

 

LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO:

07.02.2023
Le domande sulla necessità di una “decolonizzazione” del “secondo mondo” e dei Paesi della semiperiferia (secondo la terminologia dell’analisi dei…

QUESTA GUERRA DELL’OCCIDENTE ALLA RUSSIA È SEMPLICEMENTE STUPIDITÀ?

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Non solo non esiste una minaccia dalla Russia che sia indipendente dalla politica americana, ma è anche l’espansione della NATO per “rispondere alla minaccia della Russia” a creare la stessa minaccia che l’espansione avrebbe dovuto affrontare.

Non solo non esiste una minaccia dalla Russia che sia indipendente dalla politica americana, ma è anche l’espansione della NATO per “rispondere alla minaccia della Russia” a creare la stessa minaccia che l’espansione avrebbe dovuto affrontare.

La guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia è stupida. Peter Ramsay, professore di diritto alla LSE, in una recensione del libro di Benjamin Abelow, How the West Brought War to Ukraine, sottolinea come quest’ultimo rifugga dalla semplicistica narrazione “Putin ha invaso l’Ucraina”, attribuendo la responsabilità primaria della guerra a cause meno prossime: “la stupidità e la cecità del governo americano” e “la deferenza e la codardia” dei leader europei nei confronti di questa “stupidità” governativa americana.

“Sebbene Abelow descriva molto chiaramente l’arroganza e l’ipocrisia autolesionista della politica occidentale, non tenta di spiegare come o perché la politica statunitense sia diventata così stupida o i leader europei così vigliacchi. Appare stupefatto, descrivendo il livello di irrazionalità coinvolto come quasi inconcepibile.”

Tuttavia, dobbiamo concepirlo, perché è accaduto e sta portando un cambiamento rivoluzionario in un Medio Oriente che si sta riconfigurando come parte integrante del blocco BRICS+; una transizione che, di per sé, implica un enorme cambiamento nel quadro della geoeconomia.

In fondo, la “monumentale stupidità” – per la quale Abelow cita l’accademico britannico Richard Sakwa – non è qualcosa di nascosto, ma è piuttosto una di quelle “verità” che sono “là fuori: nascoste in piena luce”. È che l’esistenza della NATO deriva la sua convalida dalla gestione di “minacce” percepite che, in un processo circolare di pensiero, sono state provocate proprio dall’allargamento della NATO, un allargamento fatto apparentemente per gestire tali “minacce”.

In breve, si tratta di un’argomentazione circolare a ciclo chiuso. Non solo non esiste una minaccia dalla Russia che sia indipendente dalla politica americana, ma è anche l’espansione della NATO per “far fronte alla minaccia della Russia” a creare la stessa minaccia che l’espansione avrebbe dovuto affrontare.

Allo stesso modo, è questo tipo di ragionamento circolare che fa di “Putin un Hitler”, un epiteto che si autoavvera perché l’espansione della NATO è innanzitutto “ragionevole” (un “valore” e un diritto nazionale) e quindi chiunque la contesti deve essere “fascista”.

Abelow si chiede semplicemente: “Quale persona sana di mente potrebbe credere che mettere un arsenale occidentale al confine con la Russia non produrrebbe una risposta potente?”.

Alla radice, Abelow lamenta che la follia che lo infastidisce intensamente è che i politici statunitensi riconoscono la circolarità della loro argomentazione (ne fornisce alcuni esempi), eppure non ammettono nemmeno per un attimo un’argomentazione contraria.  Sanno “una cosa”, ma ne dicono “un’altra”, dice.

Ma l’accusa di pazzia, sostiene Ramsay, “pur essendo retoricamente attraente, tende a oscurare un aspetto vitale del narcisismo che guida la politica occidentale: l’aspetto in cui il senso di autoregolamentazione della virtù è informato dalla mentalità dominante del nostro tempo – idee che influenzano non solo gli ‘esperti’ – ma i leader politici e intere popolazioni”.

Il narcisismo e l’autocompiacimento sono effettivamente un fattore chiave, ma per comprendere appieno il loro ruolo dobbiamo rivolgerci a Leo Strauss, il cui pensiero ha così plasmato una generazione di conservatori americani (gli straussiani).

Strauss teneva corsi all’Università di Chicago a due livelli distinti: In uno di essi, egli impartiva il suo insegnamento apertamente a tutti gli studenti; ma per pochi eletti, tenuti in quarantena dagli altri, egli insegnava un diverso “insegnamento interno” (ad esempio, sulla Repubblica di Platone). Un gruppo di studenti riceveva il “concerto” standard sulla Repubblica come mito occidentale fondamentale. A pochi eletti (molti dei quali sarebbero diventati importanti neoconservatori), invece, veniva insegnato il punto di vista di Strauss sul significato interno della Repubblica come manipolazione machiavellica e patologica.

Strauss insegnava che la “verità” di Platone doveva essere scavata da una classe eletta che possedeva una certa “natura” e doni che mancavano alla maggior parte degli uomini: la capacità di cogliere il significato occulto delle parole letterali. Questi uomini, scriveva Platone, sarebbero costituiti dalla classe dei guerrieri, di rango e onore superiore alla classe dei produttori e degli scambiatori. Strauss ha scritto in modo simile che anche l’insegnamento di Machiavelli aveva un carattere “duplice”.

Ma l’intuizione fondamentale per gli eletti era semplice: il potere è qualcosa che si usa o si perde.

In questo contesto, il “problema” dei neocon è semplicemente che il significato interiore si è perso nel frastuono del discorso liberale.

Il principale pensatore neocon, Robert Kagan, ad esempio, ha fatto eco al discorso sul malessere di Jimmy Carter del 1979, vedendo il liberalismo autoreferenziale dell’America come una preclusione alla capacità degli americani di interrogarsi sulle radici del proprio malessere. Carter l’aveva identificata “come una crisi che colpisce il cuore, l’anima e lo spirito della nostra volontà nazionale. Possiamo vedere questa crisi nel crescente dubbio sul significato delle nostre vite e nella perdita di un’unità di intenti per la nostra nazione”.

L’argomentazione neocon a favore della guerra con la Russia, quindi, nei suoi termini, può essere stupida, ma non è necessariamente irrazionale come comunemente si crede. Come ha sottolineato Kagan, il movimento in avanti è la linfa vitale della politica americana. Senza di esso, lo scopo dei legami civici di unità viene inevitabilmente messo in discussione. Un’America che non sia un glorioso impero repubblicano in movimento non è America, “punto e basta”.

Questa comprensione interiore del “malessere” americano, tuttavia, non può essere espressa pubblicamente contro una monopolizzazione liberale soffocante del discorso pubblico.

Pat Buchanan (commentatore politico di spicco e tre volte candidato alla presidenza) ha fatto lo stesso ragionamento: “Quanto tempo ci vorrà prima che il popolo americano… inizi a perdere fiducia nel sistema democratico stesso? Chiaramente, tra le ragioni della nostra attuale divisione e del malessere nazionale c’è il fatto che abbiamo perso la grande causa che animava le generazioni precedenti: la guerra fredda”.

Il “Nuovo Ordine Mondiale” di George H.W. Bush entusiasmava solo le élite. La crociata per la democrazia di George W. Bush non è sopravvissuta alle guerre per sempre in Afghanistan e in Iraq che ha lanciato in suo nome”. L’ordine basato sulle regole del Segretario di Stato Antony Blinken subirà lo stesso destino”.

Quindi, in parole povere, l’apparente “stupidità” insita nella narrazione della NATO può essere intesa come la tensione tra i neoconservatori che hanno la loro lettura interna della politica, ma che sono disposti ad armare l’argomento NATO per distruggere la Russia.

Questo assurdo ragionamento circolare dei neocon e della NATO per la guerra con la Russia, ovviamente, serve a mobilitare le circoscrizioni “liberali” americane e della UE, dove la pigrizia narcisistica distruttiva e la mancanza di volontà di praticare l’autocoscienza stanno cancellando il pensiero critico, secondo la visione straussiana (cioè bloccando la loro comprensione del potere-imperativo di Putin che viene visto fallire).

Ma gli straussiani – con la loro lettura interiore della politica – percepiscono che l’America non può sopravvivere né a una vittoria russa né a un’ascesa tecnica ed economica cinese verso la preminenza, perché se gli Stati Uniti non “usando (il loro potere), perderanno (il loro primato globale)”.

Washington ha chiaramente commesso un errore forse esistenziale nel pensare che le sanzioni che porteranno a un collasso finanziario in Russia saranno un successo “a colpo sicuro”. Il team Biden si è quindi messo in un “angolo” in Ucraina e non merita alcuna simpatia. Ma a questo punto – realisticamente – che scelta ha la Casa Bianca? I neoconservatori sosterranno che indietreggiare diventa un rischio esistenziale per gli Stati Uniti. Eppure, potrebbe essere un rischio che alla fine si rivelerà inevitabile.

Ancora una volta, e per essere chiari, non si tratta tanto di mantenere l’egemonia militare degli Stati Uniti, quanto di mantenere l’egemonia finanziaria dell’America, da cui dipende tutto il resto, compresa la capacità di finanziare i bilanci della difesa da 850 miliardi di dollari.

E “qui arriviamo al vero collante dell’America”. Darel Paul, professore di scienze politiche al Williams College, scrive: “Dalla fondazione del Paese nel fuoco della guerra, gli Stati Uniti sono stati un impero repubblicano in espansione che ha sempre incorporato nuove terre, nuovi popoli, nuovi beni, nuove risorse, nuove idee… La continua espansione militare, commerciale e culturale da Jamestown e Plymouth ha coltivato l’irrequietezza, il vigore, l’ottimismo, la fiducia in sé stessi e l’amore per la gloria per cui gli americani sono noti da tempo”.  Questo “collante” diventa quindi esistenziale in senso non militare.

Ah… ma l’élite ha anche costruito il sistema finanziario americano sullo stesso principio del movimento in avanti – non solo delle forze militari, ma anche della “linfa vitale” del dollaro (“incorporare sempre nuove terre, nuovi popoli, nuovi beni, nuove risorse”…, ecc.).  Se, tuttavia, l’espansione finanziaria dell’America (e i suoi 30 trilioni di dollari detenuti all’estero) dovesse diventare periferica rispetto alle necessità commerciali, potremmo assistere alla rottura delle catene che legano una piramide rovesciata di debito finanziarizzato a un piccolo perno di garanzie reali… e la piramide crollerebbe.

Traduzione in italiano per Geopolítika.ru da: Is this Western war on Russia simply stupidity? | Al Mayadeen English

UNO STATO SOVRANO CREA MONETA. DIVERSAMENTE, È UNA COLONIA

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28.12.2022

È necessario uscire dal sistema unipolare e, soprattutto, dai suoi costrutti per entrare in un nuovo ordine multipolare, affinché ogni Stato possa riappropriarsi della propria sovranità e avere un proprio peso nel quadro geopolitico contemporaneo

Uno dei modelli economici che ha influenzato notevolmente il pensiero i molti economisti è il modello IS-LM, formulato da Sir John Richard Hicks per sintetizzare l’economia keynesiana e riassorbirla nell’alveo neoclassico, etichettandola come un mero caso particolare. Senza addentrarsi troppo nei tecnicismi, è bene tener presente che il modello IS-LM è costituito da due funzioni: la IS, l’insieme dei punti di equilibrio del mercato dei beni e servizi, caratterizzato dall’eguaglianza tra investimenti (I) e risparmi (S); e la LM, che rappresenta il mercato della moneta. Nel primo caso, abbiamo grandezze flusso, nel secondo stock. E già questo dovrebbe far sorgere qualche interrogativo, ma l’elefante nella stanza è un altro.

Il signor Hicks, da buon neoclassico (liberista), presupponeva che un aumento della spesa pubblica non facesse altro che dirottare i fondi dal settore privato alle casse del Tesoro, deprimendo gli investimenti. Dato il rapporto inverso tra investimenti e tasso di interesse, la curva IS presenta un andamento negativo. Se aumenta il tasso di interesse, diminuiscono gli investimenti. E questo è vero. Ma gli investimenti sono influenzati anche dalla crescita del reddito (teoria dell’acceleratore). Nessuno farebbe investimenti (cioè, aumenterebbe la propria capacità produttiva) se non ci fosse domanda, anche se i tassi di interesse fossero bassi. Questo vuol dire che il modello non tiene in debito conto la propensione marginale all’investimento rispetto al reddito disponibile. Diversamente, se tenesse in giusta considerazione questa propensione, la pendenza della curva IS, anziché essere negativa, potrebbe essere positiva, con importanti conseguenze sulla politica economica. La propensione marginale all’investimento rispetto al reddito disponibile può essere, infatti, superiore alla sensibilità dell’investimento rispetto al tasso di interesse.

Quello che viene spesso rimproverato ai sostenitori delle politiche keynesiane è l’effetto di spiazzamento (crowding out), per cui aumentando la spesa pubblica si ridurrebbe l’ammontare degli investimenti, i quali verrebbero scoraggiati dall’innalzamento dei tassi di interessi causato dalla spesa del Governo. In sintesi: la spesa pubblica aumenta la domanda di moneta da parte del Governo, facendo innalzare i tassi e questi deprimerebbero gli investimenti. Ciò vuol dire che, data la moneta disponibile nel sistema, il Governo al pari di famiglie e imprese, sarebbe un ulteriore fruitore di moneta – e quindi un concorrente – anziché un creatore di moneta.

Per i liberisti, l’offerta di moneta è esogena, cioè, è un vincolo cui deve sottostare anche il Governo. Quindi, prima di spendere il Governo deve rastrellare moneta attraverso le imposte, impoverendo famiglie e imprese. Queste dinamiche, però, riguardano solo uno Stato depotenziato, cioè, uno Stato colonia o uno Stato membro dell’UE. Uno Stato sovrano, invece, è un creatore di moneta in vista del pieno impiego, non un fruitore di moneta. Alla luce di ciò, se esaminiamo i flussi finanziari, capiremo come un aumento della spesa pubblica non riduca gli investimenti privati ma li faccia crescere. Quando uno Stato sovrano domanda beni e servizi al settore non governativo (famiglie e imprese) cede in contropartita moneta (creata ad hoc), che è passività di Stato. Ciò significa che il Governo trasferisce fondi sui conti correnti di famiglie e imprese, iniettando moneta nel sistema bancario. Un incremento dell’offerta di moneta nel sistema non può far altro che ridurre i tassi di interesse, oltre che spingere verso l’alto i consumi, riducendo il rischio di invenduto per le imprese e, quindi, aumentando la loro propensione marginale all’investimento rispetto al reddito. Il problema, dunque, non è l’innalzamento dei tassi ma una loro caduta, che può essere scongiurata dall’emissione di titoli del debito pubblico. Emettendo titoli, il Governo trasforma parte della moneta “liquida” in moneta che paga un interesse (titoli di Stato), sostenendo i tassi interbancari. In questo modo può continuare a spendere in vista del pieno impiego, controllando l’inflazione.

Qualche decennio dopo la pubblicazione dell’articolo “Mr. Keynes and the Classics” (1937), Sir John Richard Hicks prese le distanze dal suo modello, firmandosi da allora J. Hicks e non più J.R. Hicks. Scrisse:

«È chiaro che devo cambiare nome. Sia ben chiaro che Valore e Capitale (1939) è opera di J. R. Hicks, un economista “neoclassico” ora deceduto; mentre Capitale e Tempo (1973) – e Una Teoria della Storia Economica (1969) – sono opera di John Hicks, un non neoclassico piuttosto irrispettoso nei confronti dello “zio”. Queste ultime opere devono essere lette indipendentemente e non interpretate, come fa Harcourt, alla luce del loro predecessore» [John Hicks (1975) Revival of Political Economy: The Old and the New, Economic Record, 51 (135), 365-367].

«Il diagramma IS-LM, che è ampiamente, ma non universalmente, accettato come una comoda sinossi della teoria keynesiana, è un elemento di cui non posso negare di essere in parte responsabile. Il diagramma ha visto la luce per la prima volta in un mio articolo, “Mr. Keynes and the Classics” (1937), ma in realtà è stato scritto per una riunione della Econometric Society a Oxford nel settembre del 1936, appena otto mesi dopo la pubblicazione di The General Theory (Keynes, 1936). Tuttavia, non ho nascosto che, con il passare del tempo, io stesso ne sono rimasto insoddisfatto. Nel mio contributo al Festschrift per Georgescu-Roegen, ho detto che “quel diagramma è ora molto meno popolare per me di quanto credo lo sia ancora per molte altre persone”». [John Hicks (1980) IS-LM: An Explanation, Journal of Post Keynesian Economics, 3:2, 139-154]

Nonostante Hicks abbia umilmente preso le distanze dalla sua sintesi, questa resta ancora un modello di riferimento in moltissime università, generando l’illusione che l’intervento pubblico nell’economia spiazzi gli investimenti e, dunque, sia da evitare come la peste.

L’altro elefante nella stanza è la concezione secondo cui la quantità moneta sia definita esogenamente, mentre in realtà essa viene creata endogenamente dal sistema bancario. Nel 2014, la Banca d’Inghilterra pubblicò nel suo Quarterly Bulletin un articolo molto interessante dal titolo: Money creation in the modern economy. In tale occasione, il Bank’s Monetary Analysis Directorate diradava inequivocabilmente ogni perplessità circa la creatio ex nihilo della moneta, minimizzando la favola del moltiplicatore della moneta.

«Nell’economia moderna, la maggior parte della moneta prende la forma di depositi bancari, ma come questi depositi vengano creati è spesso frainteso: la via principale è mediante le banche commerciali che fanno prestiti. Ogni volta che una banca concede un prestito, simultaneamente crea un deposito corrispondente al conto bancario di chi prende il prestito, in modo da creare nuova moneta. La realtà di come sia creata la moneta oggi differisce da quanto è riportato in alcuni testi di economia. Più che essere le banche a ricevere i depositi – quando le famiglie risparmiano – e, poi, prestarli, è il prestito bancario a creare depositi. In tempi normali, la banca centrale non determina l’ammontare di moneta in circolazione né la moneta della banca centrale è moltiplicata in maggiori prestiti e depositi». (McLeay, M., Radia, A., Thomas R., Money creation in the modern economy, in Bank of England Quarterly Bulletin, 2014 Q1, Volume 54 No. 1, p. 14)

Rimuovere i due elefanti dalla stanza è condizione necessaria ma non sufficiente. Bisogna, infatti, non solo prendere coscienza delle cose ma, anche, riprendersi la libertà di poter decidere del proprio destino, una volta saputo cosa fare. Ciò è possibile solo uscendo dal sistema unipolare e, soprattutto, dai suoi costrutti per entrare in un nuovo ordine multipolare, affinché ogni Stato possa riappropriarsi della propria sovranità e avere un proprio peso nel quadro geopolitico contemporaneo.

Armando Savini è un economista, saggista, cultore di esegesi biblica e mistica ebraica. Dopo la laurea in Scienze Politiche e un master in HR Management, si è occupato di scienza della complessità e delle sue applicazioni all’economia. Già cultore della materia in Politica economica presso la cattedra del Prof. Giovanni Somogyi alla Facoltà di Scienze Politiche de La Sapienza, è stato docente a contratto di storia economica, economia, HR management e metodi di ricerca per il business. Ha curato l’edizione di Heartland, il Cuore pulsante dell’Eurasia (2022), con la traduzione di alcuni articoli di H. J. Mackinder. Tra le sue ultime pubblicazioni: Sovranità, debito e moneta. Dal quantum Financial System al Nuoro Ordine Multipolare (2022, 3ª ed.); Miti, storie e leggende. I misteri della Genesi dal caos a Babele (Diarkos 2020); Le due sindoni (Chirico, 2019); Il Messia nascosto. Profezie bibliche alla luce della tradizione ebraica e cristiana (Cantagalli-Chirico, 2019); Maria di Nazaret dalla Genesi a Fatima (Fontana di Siloe, 2017); Risurrezione. Un viaggio tra fede e scienza (Paoline, 2016); Dall’impresa-macchina all’impresa-persona. Ripensare l’azienda nell’era della complessità (Mondadori, 2009).

HEARTLAND. IL CUORE PULSANTE DELL’EURASIA

“Heartland è la più grande fortezza naturale della Terra”, scriveva H. J. Mackinder. La sua opera assume un’importanza fondamentale per capire lo scenario geopolitico mondiale attuale, caratterizzato dallo scontro tra il Nuovo Ordine Mondiale – unipolare e iperliberista, imposto dalla potenza americana – e il Nuovo Ordine Multipolare guidato da Russia e Cina, uno scontro che si sta consumando al margine della Russia, in Ucraina. Nella visione geopolitica di Mackinder, l’Ucraina ha sempre svolto un ruolo strategico fin dai primi anni del Novecento: impedire qualsiasi contatto economico e politico tra la Russia e la Germania, cercando di isolare il “perno geografico della storia”. È in tale contesto che vanno lette oggi le sanzioni antirusse e la crisi del gas che attanaglia l’Europa.

«Il libro di Mackinder ci porta a comprendere uno dei concetti chiave, quello di Heartland, il cuore della terra, primo punto per entrare nell’ottica della multipolarità che si sta oggettivamente imponendo come struttura geopolitica maggioritaria. Riguardo al concetto di Heartland, tutte le scuole classiche di geopolitica riconoscono un profondo dualismo tra l’Heartland – il Continente, la Civiltà della Terra – e la Civiltà del Mare, incarnata oggi dal mondo anglosassone, in primo luogo dagli Stati Uniti e dalla loro politica marittima. La Civiltà del Mare, o Sea Power, cerca di circondare l’Heartland – il Continente, l’Eurasia – dal mare e di controllare i suoi territori costieri. Il Sea Power cerca di scoraggiare lo sviluppo dell’Heartland, realizzando così il suo dominio su scala globale. Come disse Mackinder, “chi controlla l’Europa orientale, controlla l’Heartland, e chi controlla l’Heartland, controlla il mondo”. La lotta per governare l’Heartland, con il Sea Power dall’esterno o con l’Heartland stesso dall’interno, è la formula principale della storia geopolitica, l’essenza stessa della geopolitica. La geopolitica, potremmo dire, è la battaglia per l’Heartland. Tutte le scuole di geopolitica si fondano e procedono da questo modello» (Dalla Prefazione di Lorenzo Maria Pacini).

“È simbolico che il fondatore della geopolitica, Halford Mackinder, sia stato Alto Commissario dell’Intesa per l’Ucraina durante la guerra civile russa. L’Ucraina ha svolto un ruolo importante nel quadro geopolitico di Mackinder. Questo territorio, insieme alla Polonia e ai Paesi dell’Europa orientale, faceva parte del “cordon sanitaire”, una zona strategica che doveva essere sotto il diretto controllo di Inghilterra e Francia (allora alleati dell’Intesa) e impedire il riavvicinamento tra la Russia e Germania. Trattenuta da un “cordone sanitario”, la Russia-Eurasia non potrà diventare un vero e proprio impero. Senza l’Ucraina, la Russia non è un impero.” (A. G. Dugin)

https://www.youcanprint.it/heartland-il-cuore-pulsante-delleurasia/b/8876103b-adf1-56bb-99e6-11dad6543529

SOVRANITÀ DEBITO E MONETA. Dal Quantum Financial System al Nuovo Ordine Multipolare

Henry Ford diceva che se il popolo comprendesse il funzionamento del sistema bancario e monetario, scoppierebbe una rivoluzione entro il mattino successivo. Capire cosa sia la moneta è fondamentale per ritrovare la strada della libertà e della democrazia. L’obiettivo principale di questo libro è quello di aiutare il lettore a capire come le élite finanziarie governano il mondo, influenzando le scelte di politica economica, ma anche di esporre in modo chiaro ed esaustivo tutti quei cambiamenti che si stanno verificando in questi ultimi tempi. Comprendere oggi la vera natura della moneta, il corretto funzionamento dell’economia, della politica monetaria e fiscale è più che mai fondamentale per decifrare gli eventi economico-finanziari che condizionano la nostra vita e il nostro futuro. Questa terza edizione contiene quattro nuovi capitoli su: Great Reset, supremazia quantistica e criptovalute, Quantum Financial System e Nuovo Ordine Multipolare, l’emergenza dei BRICS come sistema alternativo al globalismo liberista. È stato, inoltre, aggiornato e ampliato il capitolo sul Global Currency Reset alla luce dei nuovi avvenimenti e delle dichiarazioni dei leader internazionali. Che cosa succederà con l’implementazione del nuovo sistema finanziario? Chi emetterà moneta e come cambierà l’economia? Gli Stati europei si riapproprieranno della loro sovranità monetaria? Usciremo dalla più grande e lunga crisi economica degli ultimi cento anni?  Quali ragioni economiche e politiche muovono il Great Reset? Il capitalismo globalista è forse giunto al collasso? Che importanza rivestono oggi i computer quantistici per l’economia e la finanza? Cosa sono il Global Currency Reset e il Quantum Financial System? Che ne sarà del predominio delle banche centrali? Che cosa è la supremazia quantistica? Ci sarà continuità o rottura con gli strumenti del vecchio sistema monetario? La piena occupazione sarà di nuovo possibile? Quali nuovi assetti geopolitici attendono l’umanità al crepuscolo dell’unipolarismo liberal-globalista? Che cosa è il Nuovo Ordine Multipolare e come cambierà la nostra vita? https://www.youcanprint.it/sovranita-debito-e-moneta/b/5fce4a04-262c-59a1-bfb6-5313289468a3

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L’anti-utopia di Klaus Schwab

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Le idee proposte dal presidente del World Economic Forum, Klaus Schwab, nel suo libro “La quarta rivoluzione industriale” (4IR) sono già state molto criticate per diversi motivi. Eppure, per alcune persone che non si identificano come sostenitori della globalizzazione, sembrano piuttosto attraenti. Dopo tutto, Schwab sostiene che l’innovazione digitale cambierà in meglio la vita, il lavoro e il tempo libero delle persone. Tecnologie come l’intelligenza artificiale e la robotica, il cloud computing quantistico e la blockchain fanno già parte della vita quotidiana. Utilizziamo telefoni cellulari e app, tecnologie intelligenti e l’Internet degli oggetti. Rispetto alle precedenti rivoluzioni industriali, sostiene Klaus, la 4IR si sta evolvendo a un ritmo esponenziale, riorganizzando i sistemi di produzione, gestione e governance in modi senza precedenti.

Tuttavia, un’analisi obiettiva delle ragioni di Klaus Schwab mostra che egli è in parte in errore e che la sua posizione è generalmente guidata dall’interesse di esercitare il controllo sulla società e di gestire il capitale che sta acquisendo nuove proprietà.

Tra i critici del concetto di 4IR c’è Nanjala Nyabola, che nel suo libro Digital Democracy, Analogue Politics analizza la narrazione con cui Schwab ha dato forma alla sua ideologia.

L’autrice sostiene che il concetto di 4IR viene utilizzato dalle élite globali per distogliere l’attenzione dalle cause della disuguaglianza e per facilitare i processi in corso di espropriazione, sfruttamento ed esclusione. Nyabola osserva astutamente che “il vero fascino di questa idea è che è apolitica. Possiamo parlare di sviluppo e progresso senza ricorrere a lotte di potere”.

La controreplica dell’Africa, dove Nyabola vive, non è casuale, dal momento che questa regione, insieme all’Asia e all’America Latina, è vista dai globalisti come favorevole a nuovi interventi sotto le vesti di assistenza tecnologica e 4IR. Dopotutto, l’evidenza suggerisce che la diffusione della tecnologia digitale è stata altamente disomogenea, guidata da innovazioni tecnologiche più antiche e utilizzata per riprodurre piuttosto che trasformare le disuguaglianze sociali.

Lo storico Ian Moll va oltre e si chiede se l’attuale innovazione tecnologica digitale rappresenti la 4IR in quanto tale.

Egli osserva che esiste un’interpretazione egemonica della 4IR che dipinge il rapido sviluppo tecnologico come una nuova e audace rivoluzione industriale. Tuttavia, non c’è alcuna prova di una simile rivoluzione nella totalità delle istituzioni sociali, politiche, culturali ed economiche, sia a livello locale che globale; di conseguenza, occorre prestare attenzione a come questa struttura ideologica funzioni per promuovere gli interessi delle élite sociali ed economiche di tutto il mondo.

Jan Moll sostiene che la cornice della “quarta rivoluzione industriale” rafforza il neoliberismo contingente del periodo successivo al consenso di Washington e serve quindi a nascondere il continuo declino dell’ordine mondiale globalizzato con una narrazione del “nuovo mondo coraggioso”. Schwab ha semplicemente compiuto una sorta di colpo di Stato ideologico con un insieme di metafore che narrano una rivoluzione immaginaria.

Allison Gillwald lo definisce “uno degli strumenti di lobbying e di influenza politica di maggior successo del nostro tempo… Mobilitandosi intorno all’incontro annuale d’élite di Davos, i progetti politici del WEF sulla 4IR colmano un vuoto per molti Paesi che non hanno investito pubblicamente in ciò che desiderano per il proprio futuro… Con visioni di prosperità globale, confezionate con convinzione futurista e previsioni economiche fantastiche di crescita esponenziale e creazione di posti di lavoro, sembrano fornire una tabella di marcia pronta in un futuro incerto. Ma la cautela è d’obbligo. Anche uno sguardo superficiale alle precedenti rivoluzioni industriali mostrerà che non sono state associate agli interessi delle classi lavoratrici o subalterne. Questo nonostante i benefici più ampi che la società ha tratto dall’introduzione del vapore, dell’elettricità e della digitalizzazione. Piuttosto, sono associate al progresso del capitalismo, attraverso la ‘grande’ tecnologia del momento”.

Anche in questo caso le nuove tecnologie lavoreranno per gli interessi dei capitalisti smanettoni, non per le società.

Moll scrive che il concetto di 4IR sembra convincente perché agisce come una sorta di formula:

  1. Elencare da 7 a 15 tecnologie, per lo più digitali, che sembrano intelligenti, ci fanno sentire obsoleti e ci ispirano soggezione per il futuro. Anche se non sono innovazioni del XXI secolo, dichiaratele come tali.
  2. Dichiarate che c’è un’incredibile convergenza senza precedenti tra queste tecnologie.
  3. Assumete che porteranno a cambiamenti che sconvolgeranno e trasformeranno ogni parte della nostra vita.
  4. Fare appello a ciascuna delle precedenti rivoluzioni industriali come modello per quella attuale.
  5. Indicate una o due delle principali tecnologie o fonti di energia delle precedenti rivoluzioni industriali. I suggerimenti provati sono il motore a vapore per la 1IR; il motore a combustione interna e/o l’elettricità per la 2IR; i computer e/o l’energia nucleare per la 3IR (avrete citato Internet al punto I, quindi evitatelo qui).

In questo modo, Schwab inculca in modo discreto la correttezza del concetto generale. Così facendo, “Schwab sfrutta con successo la nostra razionalità tecnologica interna. Proclama la velocità, le dimensioni e la portata senza precedenti della 4IR. Il tasso di cambiamento, dice, è esponenziale piuttosto che lineare; l’integrazione di più tecnologie è più ampia e profonda che mai; e l’impatto sistemico è ora totale, comprendendo tutta la società e l’economia globale. Per questo sostiene che ‘interruzione e innovazione […] si stanno verificando più velocemente che mai’”.

Allo stesso tempo, Schwab rifiuta gran parte della nostra esperienza storica in materia. Scrive di essere “ben consapevole che alcuni studiosi e professionisti considerano gli eventi che sto esaminando semplicemente come parte della terza rivoluzione industriale”.

Ma Moll propone di esaminare alcune delle conoscenze degli esperti che egli ignora. Ecco due esempi. Si tratta dei contributi del sociologo spagnolo Manuel Castells, che ha sottolineato come il ruolo critico delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in rete sia “un’arma a doppio taglio”: alcuni Paesi stanno accelerando la crescita economica adottando sistemi economici digitali, ma quelli che falliscono stanno diventando sempre più marginali: “il loro ritardo sta diventando cumulativo”. Castells scrive ampiamente su quella che chiama “l’altra faccia dell’era dell’informazione: la disuguaglianza, la povertà, la miseria e l’esclusione sociale”, tutte eredità crescenti dell’economia dell’informazione globalizzata.

A differenza di Schwab, Castells non ha cercato di ideologizzare o politicizzare i dati sociologici. E la sua ricerca empirica non suggerisce una fondamentale trasformazione digitale della società nell’era moderna.

Un altro esperto che Schwab ignora è Jeremy Rifkin. Nel 2016, quando Schwab propose il suo concetto di 4IR, Rifkin stava già facendo ricerche sui luoghi di lavoro in cui la robotica aveva assunto ruoli strategici e manageriali nella produzione economica. C’è un notevole divario tra gli autori. Rifkin non crede che i cambiamenti drammatici associati alle tecnologie informatiche costituiscano una 4IR.

Nel 2016, Rifkin ha sostenuto che il WEF ha fatto “cilecca” con il suo intervento sotto l’apparenza di 4IR. Ha contestato l’affermazione di Schwab secondo cui la fusione di sistemi fisici, processi biologici e tecnologie digitali è un fenomeno qualitativamente nuovo:

La natura stessa della digitalizzazione […] sta nella sua capacità di ridurre le comunicazioni, i sistemi visivi, uditivi, fisici e biologici, a pura informazione, che può poi essere riorganizzata in vaste reti interattive che operano in molti modi come ecosistemi complessi. In altre parole, è la natura interconnessa delle tecnologie di digitalizzazione che ci permette di trascendere i confini e di “sfumare le linee tra i regni fisico, digitale e biologico”. Il principio operativo della digitalizzazione è “interconnessione e rete”. Questo è ciò che la digitalizzazione sta facendo con crescente sofisticazione da diversi decenni. È ciò che definisce l’architettura stessa della Terza rivoluzione industriale.

Uno studio delle “tecnologie” spesso annunciate come innovazioni convergenti chiave della 4IR – l’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico, la robotica e l’Internet degli oggetti – dimostra che non sono all’altezza della pretesa di una “rivoluzione” tecnologica moderna.

Moll conclude che la 4IR di Schwab non è altro che un mito. Il contesto sociale del mondo è ancora lo stesso della 3IR e si prevedono pochi cambiamenti. Non c’è nulla di simile a un’altra rivoluzione industriale dopo la terza. Il nuovo mondo di Schwab semplicemente non esiste.

Dopo tutto, le rivoluzioni non sono caratterizzate solo da cambiamenti tecnologici. Piuttosto, sono guidate da trasformazioni nel processo lavorativo, da cambiamenti fondamentali negli atteggiamenti sul posto di lavoro, da cambiamenti nelle relazioni sociali e da una ristrutturazione socioeconomica globale.

Naturalmente, le innovazioni tecnologiche possono essere positive per i lavoratori e per la società nel suo complesso. Possono ridurre la necessità di svolgere lavori pesanti, migliorare le condizioni e liberare più tempo per le persone che si dedicano ad altre attività significative.

Ma il problema è che i frutti dell’innovazione tecnologica sono monopolizzati da una classe capitalista globalizzata. Le stesse piattaforme di lavoro digitale sono finanziate per lo più da fondi di venture capital nel Nord globale, mentre le imprese vengono create nel Sud globale, senza che i fondi investano in attività, assumano dipendenti o paghino le tasse all’erario pubblico. Questo è solo un altro tentativo di catturare i mercati con una nuova tecnologia, approfittando della trasparenza delle frontiere, per fare profitto e non avere alcuna responsabilità.

Quindi la narrativa 4IR è più un’aspirazione che una realtà. Sono le aspirazioni di una classe ricca che anticipa la crisi del sistema economico occidentale e vuole trovare un porto sicuro in altre regioni. Ecco perché, data l’esperienza storica del capitalismo di tipo occidentale, il resto del mondo vede il 4IR come un’anti-utopia indesiderabile.

Fonte

Traduzione di Costantino Ceoldo

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/lanti-utopia-di-klaus-schwab

ISRAELE COMMETTEREBBE UN ERRORE GEOSTRATEGICO IRREVERSIBILE ARMANDO KIEV

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Oggi il Ministro israeliano alla Difesa Benny Gantz ha detto esplicitamente a Radio Kol Chai che il suo Paese non venderà armi all’Ucraina. Perché Israele può e l’Italia no? (n.d.r.)

L’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Dmitry Medvedev ha appena messo in guardia Israele dall’inviare armi a Kiev, dopo che il ministro degli Affari della Diaspora dello Stato ebraico, Nachman Shai, ha chiesto al suo Paese di attraversare finalmente il Rubicone in risposta alla notizia del Washington Post (WaPo) secondo cui l’Iran si starebbe preparando a fornire a Mosca missili balistici. Egli ha affermato che una tale mossa “distruggerebbe tutte le relazioni interstatali tra le nostre nazioni”, il che è certamente vero e sarebbe quindi un errore geostrategico irreversibile che Tel Aviv non può permettersi.

Solo alla fine del mese scorso Zelensky ha finto di scandalizzarsi per il rifiuto di Israele di inviare i suoi sistemi di difesa aerea, i cui calcoli ho spiegato a lungo qui. Quel pezzo cita anche alcuni miei precedenti lavori dell’inizio di quest’anno sugli intrecci delle relazioni russo-israeliane, che i lettori potrebbero apprezzare per una conoscenza di base fondamentale. In breve, Tel Aviv si è saggiamente resa conto che il superamento della linea rossa di Mosca nella guerra per procura della NATO guidata dagli Stati Uniti contro la potenza mondiale appena restaurata attraverso l’Ucraina potrebbe indurre il Cremlino a dare carta bianca all’Iran in Siria per attaccare Israele per procura.

Fino a questo momento, la Russia ha contenuto l’Iran con mezzi indiretti, influenzando il suo alleato siriano a scoraggiare tali attacchi e “facilitando passivamente” le centinaia di attacchi di Israele contro l’IRGC e Hezbollah ogni volta che questi hanno iniziato a immagazzinare armi nella Repubblica araba proprio per questo scenario (indipendentemente dal fatto che ciò fosse tacitamente approvato da Damasco). In precedenza, gli Stati Uniti hanno cercato di provocare una spaccatura russo-israeliana sulle attività controverse dell’Agenzia ebraica in quella Grande Potenza eurasiatica, le cui conseguenze ho spiegato qui nel caso in cui fossero riuscite.

Questa intuizione rimane rilevante alla luce delle ultime tensioni nelle loro relazioni, legate all’appello del ministro Shai al suo Paese di armare Kiev in risposta all’ultimo rapporto del WaPo. Il possibile invio di missili balistici iraniani nella zona di conflitto potrebbe in realtà essere solo un finto pretesto infowar per qualcosa che il governo di coalizione, sempre più impopolare, potrebbe aver pianificato di fare già da un po’ di tempo, in concomitanza con le tese elezioni legislative del 1° novembre, che potrebbero riportare Benjamin (“Bibi”) Netanyahu al potere in caso di sconfitta, come alcuni iniziano a prevedere.

Questo scenario di “sorpresa d’ottobre” potrebbe comportare un’escalation manipolata delle ostilità per procura israelo-iraniane in Siria, allo scopo di presentare i candidati in carica come “forti in materia di sicurezza nazionale”, la cui percezione, artificialmente costruita, avrebbe lo scopo di “allontanare” da Bibi una parte della sua base, al fine di garantire che la coalizione mantenga il potere. Questa sequenza di eventi potrebbe essere avviata dall’invio di armi a Kiev da parte di Israele, che potrebbe spingere la Russia a lasciare che l’Iran faccia quello che vuole contro Israele attraverso la Siria, creando così il pretesto per una grande campagna di bombardamenti israeliani in quel Paese.

Questo sarebbe estremamente pericoloso di per sé per la stabilità regionale, soprattutto perché l’Iran potrebbe prevedibilmente chiedere ai suoi alleati della Resistenza in Libano di unirsi direttamente alla mischia, portando così a un conflitto molto più ampio. La prerogativa di decidere se questo accadrà o meno è solo di Israele, che potrebbe aver calcolato erroneamente di poter contenere l’escalation che le autorità della sua coalizione potrebbero benissimo mettere in moto nel prossimo futuro per motivi di interesse politico interno a scapito degli interessi di sicurezza nazionale del Paese.

Per quanto riguarda questi ultimi, essi riguardano semplicemente il mantenimento della cosiddetta “pace fredda” tra Israele e l’Iran (compresi gli alleati della resistenza locale della Repubblica islamica come Hezbollah) il più a lungo possibile, fino a quando Tel Aviv non riuscirà a riconquistare il vantaggio militare sempre più perso nei confronti del suo rivale. Questa osservazione si basa sull’ultimo accordo appena concluso da Israele con il Libano sul territorio marittimo conteso, che testimonia il desiderio di Tel Aviv di preservare lo status quo, almeno per ora. Detto questo, è immaginabile che i cosiddetti “integralisti” possano avanzare le loro argomentazioni sul perché Israele dovrebbe “scuotere” la regione.

La rottura degli Stati Uniti con i leader sauditi ed emiratini del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) in merito agli ultimi tagli alla produzione dell’OPEC+, che hanno concordato di coordinare con la Russia, insieme ai sospetti sulle intenzioni strategico-militari a lungo termine dell’amministrazione Biden rispetto al suo continuo desiderio di negoziare un nuovo accordo nucleare con l’Iran, potrebbe creare la percezione convincente che la “finestra di opportunità” di Israele per riguadagnare il suo vantaggio sulla Repubblica Islamica si stia rapidamente esaurendo. Questa mentalità potrebbe portare alcuni dei suoi decisori a flirtare disperatamente con scenari molto pericolosi.

Obiettivamente, sarebbe un errore geostrategico irreversibile per Israele mettere in moto lo scenario analizzato in cui si creano le condizioni per creare il falso pretesto su cui giustificare un’escalation della sua guerra per procura con l’Iran in Siria. Non c’è alcuna garanzia che le dinamiche risultanti possano essere controllate, e la loro prevedibile spirale fuori controllo potrebbe persino portare gli Stati Uniti ad appendere Israele al chiodo a causa dei calcoli politici interni dei Democratici al governo in vista delle elezioni di metà novembre, temendo giustamente che un’altra guerra straniera possa mettere l’opinione pubblica ulteriormente contro di loro.

Per il momento, nonostante le immense pressioni occidentali e i pericolosi calcoli politici interni di alcuni membri della coalizione al governo, gli interessi di sicurezza nazionale di Israele sono indiscutibilmente meglio serviti dal mantenimento dello status quo strategico-militare regionale nei confronti dell’Iran per un futuro indefinito. Interrompere unilateralmente questo status a causa delle pressioni statunitensi e di considerazioni elettorali a breve termine sarebbe un errore geostrategico irreversibile che, nel peggiore dei casi, potrebbe persino mettere a repentaglio l’esistenza dello Stato ebraico, motivo per cui deve essere evitato ad ogni costo.

Pubblicato in partnership su One World

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/israele-commetterebbe-un-errore-geostrategico-irreversibile-armando-kiev

Cina: Xi si prepara al conto alla rovescia finale

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di Pepe Escobar

19.10.2022

Ciò che spinge la Cina e la Russia è che prima o poi saranno loro a governare l’Heartland.

Il discorso del Presidente Xi Jinping, durato 1h45min, all’apertura del 20° Congresso del Partito Comunista Cinese (CPC) presso la Grande Sala del Popolo di Pechino, è stato un coinvolgente esercizio di informazione del passato recente sul futuro prossimo. Tutta l’Asia e tutto il Sud globale dovrebbero esaminarlo attentamente.

La Sala Grande era sontuosamente addobbata con striscioni rosso vivo. Uno slogan gigante appeso in fondo alla sala recitava: “Lunga vita al nostro grande, glorioso e corretto partito”.

Un altro, in basso, fungeva da riassunto dell’intera relazione:

“Tenere alta la grande bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi, attuare pienamente il Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era, portare avanti il grande spirito fondatore del partito, unirsi e lottare per costruire pienamente un Paese socialista moderno e promuovere pienamente il grande ringiovanimento della nazione cinese”.

Fedele alla tradizione, il rapporto ha delineato i risultati ottenuti dal PCC negli ultimi 5 anni e la strategia della Cina per i prossimi 5 – e oltre. Xi prevede “feroci tempeste” in arrivo, interne ed estere. Il rapporto è stato altrettanto significativo per ciò che non è stato detto o lasciato sottilmente intendere.

Tutti i membri del Comitato centrale del PCC erano già stati informati del rapporto – e lo avevano approvato. Trascorreranno questa settimana a Pechino per studiare i dettagli e sabato voteranno per l’adozione. A quel punto verrà annunciato un nuovo Comitato Centrale del PCC e verrà formalmente approvato un nuovo Comitato Permanente del Politburo, i sette che governano davvero.

Questo nuovo schieramento di leadership chiarirà i volti della nuova generazione che lavoreranno a stretto contatto con Xi, oltre a chi succederà a Li Keqiang come nuovo Primo Ministro: quest’ultimo ha terminato i suoi due mandati e, secondo la Costituzione, deve dimettersi.

Nella Sala Grande sono presenti anche 2.296 delegati che rappresentano gli oltre 96 milioni di membri del PCC. Non sono semplici spettatori: durante la sessione plenaria che si è conclusa la scorsa settimana, hanno analizzato in profondità ogni questione importante e si sono preparati per il Congresso nazionale. Votano le risoluzioni del partito, anche se queste vengono decise dai vertici del partito a porte chiuse.

I punti chiave

Xi sostiene che negli ultimi 5 anni il PCC ha fatto progredire strategicamente la Cina, rispondendo “correttamente” (terminologia del Partito) a tutte le sfide estere. In particolare, i risultati chiave includono la riduzione della povertà, la normalizzazione di Hong Kong e i progressi nella diplomazia e nella difesa nazionale.

È significativo che il ministro degli Esteri Wang Yi, seduto in seconda fila, dietro ai membri del Comitato permanente in carica, non abbia mai staccato gli occhi da Xi, mentre gli altri leggevano una copia del rapporto sulla loro scrivania.

Rispetto ai risultati ottenuti, il successo della politica “Zero-Covid” ordinata da Xi rimane molto discutibile. Xi ha sottolineato che ha protetto la vita delle persone. Ciò che non ha potuto dire è che la premessa della sua politica è trattare il Covid e le sue varianti come un’arma biologica statunitense diretta contro la Cina. Ovvero, una seria questione di sicurezza nazionale che ha la meglio su qualsiasi altra considerazione, persino sull’economia cinese.

Il Covid zero ha colpito duramente la produzione e il mercato del lavoro e ha praticamente isolato la Cina dal mondo esterno. Un esempio lampante: I governi distrettuali di Shanghai stanno ancora pianificando l’azzeramento del Covid in un arco di tempo di due anni. Lo zero-Covid non sparirà presto.

Una grave conseguenza è che l’economia cinese crescerà sicuramente quest’anno meno del 3% – ben al di sotto dell’obiettivo ufficiale di “circa il 5,5%”.

Vediamo ora alcuni dei punti salienti del rapporto Xi.

Taiwan: Pechino ha iniziato “una grande lotta contro il separatismo e le interferenze straniere” a Taiwan.

Hong Kong: è ora “amministrata da patrioti, che la rendono un posto migliore”. A Hong Kong c’è stata “una grande transizione dal caos all’ordine”. Corretto: la rivoluzione dei colori del 2019 ha quasi distrutto un importante centro commerciale/finanziario globale.

Riduzione della povertà: Xi l’ha salutata come uno dei tre “grandi eventi” dell’ultimo decennio insieme al centenario del PCC e al socialismo con caratteristiche cinesi che entra in una “nuova era”. La riduzione della povertà è al centro di uno dei “due obiettivi del centenario” del PCC.

Apertura: La Cina è diventata “un importante partner commerciale e una destinazione importante per gli investimenti stranieri”. Xi confuta l’idea che la Cina sia diventata più autarchica. La Cina non si impegnerà in alcun tipo di “espansionismo” durante l’apertura al mondo esterno. La politica statale di base rimane: la globalizzazione economica. Ma – non l’ha detto – “con caratteristiche cinesi”.

“Auto-rivoluzione”: Xi ha introdotto un nuovo concetto. L’”auto-rivoluzione” permetterà alla Cina di sfuggire a un ciclo storico che porta a una recessione. E “questo assicura che il partito non cambierà mai”. Quindi, o il PCC o il fallimento.

Il marxismo: rimane sicuramente uno dei principi guida fondamentali. Xi ha sottolineato: “Dobbiamo il successo del nostro partito e del socialismo con caratteristiche cinesi al marxismo e a come la Cina è riuscita ad adattarlo”.

Rischi: questo è stato il tema ricorrente del discorso. I rischi continueranno a interferire con i “due obiettivi centenari”. L’obiettivo numero uno è stato raggiunto l’anno scorso, in occasione del centenario del PCC, quando la Cina ha raggiunto lo status di “società moderatamente prospera” sotto tutti i punti di vista (xiaokang, in cinese). L’obiettivo numero due dovrebbe essere raggiunto al centenario della Repubblica Popolare Cinese, nel 2049: “costruire un Paese socialista moderno che sia prospero, forte, democratico, culturalmente avanzato e armonioso”.

Sviluppo: l’attenzione si concentrerà sullo “sviluppo di alta qualità”, compresa la resilienza delle catene di approvvigionamento e la strategia economica della “doppia circolazione”: l’espansione della domanda interna in parallelo agli investimenti esteri (per lo più incentrati sui progetti BRI). Questa sarà la priorità assoluta della Cina. Quindi, in teoria, qualsiasi riforma privilegerà una combinazione di “economia socialista di mercato” e apertura di alto livello, mescolando la creazione di una maggiore domanda interna con una riforma strutturale dal lato dell’offerta. Traduzione: “Doppia circolazione” con gli steroidi.

“Democrazia a processo completo”: è l’altro nuovo concetto introdotto da Xi. Si traduce come “democrazia che funziona”, come il ringiovanimento della nazione cinese sotto – che altro – la guida assoluta del PCC: “Dobbiamo garantire che il popolo possa esercitare i propri poteri attraverso il sistema del Congresso del popolo”.

Cultura socialista: Xi ha detto che è assolutamente necessario “influenzare i giovani”. Il PCC deve esercitare un controllo ideologico e assicurarsi che i media favoriscano una generazione di giovani “che siano influenzati dalla cultura tradizionale, dal patriottismo e dal socialismo”, a vantaggio della “stabilità sociale”. La “storia della Cina” deve arrivare ovunque, presentando una Cina “credibile e rispettabile”. Questo vale certamente per la diplomazia cinese, anche per i “Guerrieri del Lupo”.

“Sinicizzare la religione”: Pechino continuerà la sua azione di “sinicizzazione della religione”, ovvero di adattamento “proattivo” della “religione e della società socialista”. Questa campagna è stata introdotta nel 2015, e significa ad esempio che l’Islam e il Cristianesimo devono essere sotto il controllo del PCC e in linea con la cultura cinese.

La promessa di Taiwan

Arriviamo ora ai temi che ossessionano completamente l’egemone in declino: il legame tra gli interessi nazionali della Cina e il modo in cui questi influenzano il ruolo dello Stato-civiltà nelle relazioni internazionali.

Sicurezza nazionale: “La sicurezza nazionale è il fondamento del ringiovanimento nazionale e la stabilità sociale è un prerequisito della forza nazionale”.

Le forze armate: l’equipaggiamento, la tecnologia e la capacità strategica del PLA saranno rafforzati. Va da sé che ciò significa un controllo totale del PCC sulle forze armate.

“Un Paese, due sistemi”: Si è dimostrato “il miglior meccanismo istituzionale per Hong Kong e Macao e deve essere rispettato a lungo termine”. Entrambi “godono di un’elevata autonomia” e sono “amministrati da patrioti”. Xi ha promesso di integrare meglio entrambi nelle strategie nazionali.

Riunificazione di Taiwan: Xi si è impegnato a completare la riunificazione della Cina. Traduzione: restituire Taiwan alla madrepatria. Il discorso è stato accolto da un fiume di applausi, che hanno portato al messaggio chiave, rivolto contemporaneamente alla nazione cinese e alle forze di “interferenza straniera”: “Non rinunceremo all’uso della forza e prenderemo tutte le misure necessarie per fermare tutti i movimenti separatisti”. Il punto cruciale: “La risoluzione della questione di Taiwan è una questione che riguarda il popolo cinese stesso, che deve essere decisa dal popolo cinese”.

È anche significativo che Xi non abbia nemmeno menzionato lo Xinjiang per nome: solo implicitamente, quando ha sottolineato che la Cina deve rafforzare l’unità di tutti i gruppi etnici. Lo Xinjiang per Xi e la leadership significa industrializzazione dell’Estremo Occidente e nodo cruciale della BRI: non l’oggetto di una campagna di demonizzazione imperiale. Sanno che le tattiche di destabilizzazione della CIA utilizzate in Tibet per decenni non hanno funzionato nello Xinjiang.

Al riparo dalla tempesta

Vediamo ora di analizzare alcune variabili che incidono sugli anni molto difficili che attendono il PCC.

Quando Xi ha parlato di “tempeste feroci in arrivo”, è quello che pensa 24 ore su 24: Xi è convinto che l’URSS sia crollata perché l’egemone ha fatto di tutto per indebolirla. Non permetterà che un processo simile faccia deragliare la Cina.

A breve termine, la “tempesta” potrebbe riferirsi all’ultimo round della guerra americana senza esclusione di colpi alla tecnologia cinese – per non parlare del libero scambio: tagliare alla Cina l’acquisto o la produzione di chip e componenti per supercomputer.

È lecito pensare che Pechino mantenga l’attenzione a lungo termine, scommettendo sul fatto che la maggior parte del mondo, soprattutto il Sud globale, si allontanerà dalla catena di approvvigionamento high tech degli Stati Uniti e preferirà il mercato cinese. Man mano che i cinesi diventeranno sempre più autosufficienti, le aziende tecnologiche statunitensi finiranno per perdere mercati mondiali, economie di scala e competitività.

Xi non ha nemmeno menzionato gli Stati Uniti per nome. Tutti i membri della leadership – soprattutto il nuovo Politburo – sono consapevoli di come Washington voglia “sganciarsi” dalla Cina in tutti i modi possibili e continuerà a dispiegare provocatoriamente ogni possibile filone di guerra ibrida.

Xi non è entrato nei dettagli durante il suo discorso, ma è chiaro che la forza trainante in futuro sarà l’innovazione tecnologica legata a una visione globale. Ed è qui che entra in gioco la BRI, ancora una volta, come campo di applicazione privilegiato per queste scoperte tecnologiche.

Solo così possiamo capire come Zhu Guangyao, ex vice ministro delle Finanze, possa essere sicuro che il PIL pro capite in Cina nel 2035 sarebbe almeno raddoppiato rispetto a quello del 2019 e avrebbe raggiunto i 20.000 dollari.

La sfida per Xi e il nuovo Politburo è quella di risolvere subito lo squilibrio economico strutturale della Cina. E pompare di nuovo gli “investimenti” finanziati dal debito non funzionerà.

Si può quindi scommettere che il terzo mandato di Xi – che sarà confermato alla fine di questa settimana – dovrà concentrarsi su una pianificazione rigorosa e sul monitoraggio dell’attuazione, molto più di quanto non sia avvenuto durante i suoi precedenti anni audaci, ambiziosi, abrasivi ma talvolta scollegati. Il Politburo dovrà prestare molta più attenzione alle considerazioni tecniche. Xi dovrà delegare una maggiore autonomia politica a un gruppo di tecnocrati competenti.

Altrimenti, torneremo alla sorprendente osservazione dell’allora premier Wen Jiabao nel 2007: L’economia cinese è “instabile, squilibrata, scoordinata e in definitiva insostenibile”. Questo è esattamente il punto in cui l’egemone vuole che sia.

Allo stato attuale, la situazione è tutt’altro che cupa. La Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma afferma che, rispetto al resto del mondo, l’inflazione al consumo in Cina è solo “marginale”, il mercato del lavoro è stabile e i pagamenti internazionali sono stabili.BRI,

Il rapporto di lavoro e gli impegni di Xi possono anche essere visti come un capovolgimento dei soliti sospetti geopolitici anglo-americani – Mackinder, Mahan, Spykman, Brzezinski -.

Il partenariato strategico Cina-Russia non ha tempo da perdere con i giochi egemonici globali; ciò che li spinge è che prima o poi governeranno l’Heartland – l’isola del mondo – e oltre, con alleati dal Rimland, dall’Africa all’America Latina, tutti partecipanti a una nuova forma di globalizzazione. Certamente con caratteristiche cinesi, ma soprattutto con caratteristiche pan-eurasiatiche. Il conto alla rovescia finale è già iniziato.

Pubblicato su Strategic Culture

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/cina-xi-si-prepara-al-conto-alla-rovescia-finale