Foibe: i titini hanno perso il pelo ma non il vizio

Condividi su:

Segnalazione del Centro Studi Federici

Foibe, l’odio rosso continua: minacciata troupe Rai in Slovenia
Grave atto intimidatorio nei confronti del giornalista Rai Andrea Romoli e della sua troupe, che si erano recati all’interno di una grotta per un servizio sulle foibe. “Il messaggio era chiaro: non vi vogliamo”
“In quella caverna abbiamo trovato resti umani e anche un rosario. Una cosa che ci ha commossi”. Andrea Romoli racconta con trasporto l’esperienza avuta durante la realizzazione di un servizio per il Tg2 sulle foibe terminato però con un’amara sorpresa. Nei pressi del villaggio di Podpec, a pochi chilometri dal confine italiano, l’inviato del notiziario Rai, si era calato all’interno della caverna dove nel 1945 le milizie comuniste di Tito hanno trucidato centinaia di persone. Poi riemerso in superficie assieme agli speleologi Franc Maleckar e Maurizio Tavagnutti, che lo avevano accompagnato, ecco l’inquietante dettaglio: le auto della troupe, parcheggiate a circa 150 metri di distanza, pesantemente danneggiate.
“Il messaggio era chiaro: levatevi al più presto, qua non vi vogliamo”, commenta Romoli a ilGiornale.it, aggiungendo dettagli su quell’intimidazione che affonda le proprie radici nei crimini della storia. Il parabrezza della vettura Rai di servizio – ha testimoniato il giornalista – era sfondato, la fiancata divelta. Gli specchietti delle auto dello stesso inviato Rai e degli speleologi erano altesì danneggiati. Diversamente, le macchine di targa slovena presenti sul posto non sono state sfiorate. Così, davanti agli occhi della troupe Rai, si sono palesati i segnali inequivocabili di un antico odio purtroppo mai sopito. Peraltro, Romoli ha raccontato anche un altro emblematico dettaglio emerso durante la sua spedizione nella grotta slovena.
“All’ingresso erano state poste due grandi croci di legno ma qualcuno le aveva sradicate e buttate giù: un atto pesante, che testimonia l’odio oltre la morte. Noi siamo riusciti a recuperarne una e l’abbiamo posizionata di nuovo”, ha ricostruito il cronista Rai. Quell’oltraggio – ha aggiunto – “mi ha colpito ancor di più delle auto danneggiate”. L’episodio intimidatorio è stato subito denunciato e stigmatizzato con forza da sindacato Unirai. “Dalle Foibe in Istria alle fosse comuni di Bucha è teso un unico filo rosso di sangue, che bisogna ricordare e denunciare perché quegli orrori non si ripetano. Farlo senza paure e reticenze è la maniera migliore per onorare lo straordinario lavoro di ricucitura delle ferite del passato realizzato dalle comunità italiana e slovena al di qua e al di là del confine, per costruire un comune futuro di pace e convivenza. Dalla storica stretta di mano tra il presidente Mattarella e il suo omologo sloveno Pahor davanti alla foiba di Basovizza non si torna indietro”, ha scritto il sindacato in una nota.
Quanto accaduto ha anche ottenuto una significativa riprovazione da parte di Livio Semolič, segretario regionale dell’Unione economico culturale slovena (Skgz). “Quello che è successo in Slovenia alla equipe dei giornalisti Rai è assolutamente vergognoso . È un atto di vandalismo inaccettabile da parte di estremisti, che a quanto pare sono ancora presenti ovunque. Allo stesso tempo rappresenta una palese dimostrazione di quanto sia necessario moltiplicare gli sforzi e lavorare per la convivenza e la collaborazione , al fine di superare tutte le nefaste conseguenze che le tragedie della prima metà del secolo scorso hanno lasciato soprattutto in questo territorio di confine e non solo”, ha espresso il rappresentante della comunità slovena, esprimendo solidarietà al giornalista e alla truope Rai. (…)

Al via la commissione bicamerale Antimafia

Condividi su:

La sinistra si spacca sul numero dei componenti. Fi: “Ora veloci fino all’approdo in aula”

Scadeva ieri pomeriggio il termine per presentare emendamenti al testo base per l’istituzione della commissione bicamerale Antimafia. E Forza Italia ha presentato in commissione Affari Costituzionali la sua proposta di legge istitutiva. «Con la proposta – hanno dichiarato in una nota i componenti di Forza Italia in Commissione Affari Costituzionali della Camera – Forza Italia intende dare un contributo fondamentale all’avvio dei lavori, sbloccando un empasse causato dal mancato accordo delle opposizioni, cui spetta il compito di fare la proposta». «Il nostro auspicio – hanno aggiunto – è che si trovi l’accordo sul testo condiviso dall’opposizione e che si proceda spediti fino all’approdo in Aula, il prossimo 27 gennaio. «Il contrasto a tutte le tipologie di criminalità organizzata nazionale e transnazionale, lo sradicamento di eventuali ramificazioni e la messa in atto di strategie di prevenzione dell’illegalità, che continua a riflettersi in maniera pesante sulla tenuta sociale ed economica del nostro Paese, sono priorità assolute per Forza Italia e per il Paese, come dimostrano i risultati raggiunti nella lotta alla criminalità organizzata dai governi di centrodestra guidati da Silvio Berlusconi. La politica – hanno concluso – può e deve fare la sua parte avvalendosi di tutti gli strumenti di cui dispone, ci auguriamo allora che sappia mettere da parte le proprie divergenze procedendo in maniera unitaria e senza intoppi».

È il numero dei membri della futura Bicamerale ad aver contrapposto Pd e Terzo Polo e e M5s dall’altra, tanto da bloccare parzialmente i lavori della Commissione Affari costituzionali. I 5 Stelle proponevano che i componenti restassero i 50 della scorsa legislatura, mentre il Pd voleva proponevamo che i componenti fossero 16 senatori e 16. E su un numero ridotto puntava anche il Terzo Polo, la cui proposta (a prima firma di Matteo Richetti) introduceva il numero di 30 commissari in tutto.

Dopo una prolungata sospensione della Commissione, in cui le opposizioni hanno proposto alla leghista Bordonali di farsi carico lei della presentazione di un testo unificato, alla fine il Pd ha ceduto, e il testo unificato presentato prevede che nella Bicamerale vadano 25 senatori e 25 deputati.

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/politica/commissione-bicamerale-antimafia-2107505.html

Riti magici, streghe e sortilegi: spunta pure una guerra “esoterica” tra Russia e Ucraina

Condividi su:

IN UCRAINA E IN RUSSIA

Accanto allo scontro armato, tra Russia e Ucraina si combatte una guerra occulta fatta di riti e invocazioni per sostenere gli eserciti in campo. A Mosca il raduno delle streghe pro-Putin

di Marco Leardi

Riti propiziatori, formule magiche, incantesimi e sortilegi. Inni intonati all’unisono per invocare la vittoria. Talismani e amuleti agitati contro il nemico. Tra Russia e Ucraina si sta combattendo una guerra occulta, parallela a quella sostenuta con le armi e le operazioni militari. Un conflitto esoterico nel quale alle forze dispiegate sul campo si aggiungo quelle immateriali e misteriose evocate dall’aldilà. E non si tratta di dicerie o pittoresche leggende: nelle ultime settimane, a Mosca e Kiev, alcune streghe “accreditate” avrebbero iniziato a praticare rituali con il solo obiettivo di sostenere gli eserciti dei rispettivi paesi, nonché l’azione dei loro leader. Lo documentano, con tanto di immagini, alcuni media stranieri.

Così, dalla capitale della Russia arrivano notizie di raduni esoterici per supportare Vladimir Putin. Come riportato da Asianews, decine di donne vestite con un saio nero si sono radunate a Mosca per espimere solidarietà allo Zar e invocare per lui l’ausilio delle forze occulte. A guidare il rito popiziatorio Aljona Polin, considerata la principale fattucchiera russa, nonché fondatrice dell’associazione delle “Grandi streghe di Russia”. Già lo scorso 12 marzo, come testimoniato da alcuni video, la donna aveva convocato un consiglio generale delle streghe a sostegno di Putin. In quell’occasione erano stati pronunciati inni e formule magiche in favore del presidente, la cui immagine era stata posta al centro di un “cerchio del potere” formato dalle partecipanti al rituale.

Che si manifesti la grande forza della Russia!“, aveva ripetuto la chiromante, chiedendo agli spiriti di “dare forza e potere alla Russia e guidare correttamente il percorso del presidente Putin“. Durante il rito venivano anche intonate maledizioni contro i nemici dello Zar. Chi pretende di passare in mezzo a noi, chi ha deciso di andarsene da noi, chi mente in ogni cosa che dice, per i secoli dei secoli questi nemici saranno maledetti!“.

Intanto, anche sul fronte ucraino si praticano analoghi rituali con l’opposto scopo di fermare l’avanzata russa. Secondo quanto riferito dall’agenzia Unian, infatti, le streghe di Kiev starebbero mettendo a punto un “rituale” in tre fasi per estromettere Putin dal teatro di guerra. Il cerimoniale esoterico – a quanto si apprende – si dovrebbe svolgere in quello che è considerato un “luogo del potere” ammantato di mistero, ovvero il Monte Calvo, vicino alla capitale dell’Ucraina. Di questi rituali si dice al corrente anche padre Taras Zephlinsky, attivista della chiesa greco-ortodossa di Kiev, il quale all’AdnKronos non ha nascosto la propria preoccupazione per chi vuole “giocare con il maligno”.

Tra riti magici e spiriti invocati, la drammatica attualità si fonde a superstizioni e ancestrali credenze. Le dottrine esoteriche affiancano i piani di guerra.

VIDEO NEL LINK SOTTOSTANTE:

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/riti-magici-streghe-e-sortilegi-guerra-esoterica-russia-e-2028544.html

Ora revochiamo l’onorificenza al macellaio Tito

Condividi su:

In un mondo in cui a sinistra si fa la classifica politica dei morti di serie A e morti di serie B, sarebbe ora di togliere onorificenze ai macellai (n.d.r.)

Il 10 febbraio ricordiamo la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo, ma non abbiamo mai cancellato la più alta onorificenza italiana concessa a Josip Broz Tito

di Fausto Biloslavo

Il 10 febbraio ricordiamo la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo, ma non abbiamo mai cancellato la più alta onorificenza italiana concessa a Josip Broz Tito, il capo degli aguzzini che massacrarono migliaia di connazionali costringendo alla fuga 350mila persone dall’Istria, Fiume e Dalmazia.

Il Giorno del Ricordo deve essere simbolo di pacificazione senza nascondere le colpe precedenti del regime fascista, ma è giunto il momento di cancellare la vergognosa medaglia. L’onorificenza campeggia sempre sul sito del Quirinale ricordando che il 2 ottobre 1969 il presidente jugoslavo, che aveva le mani sporche del sangue degli infoibati, veniva decorato come «Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana» con l’aggiunta del Gran Cordone, il più alto riconoscimento del nostro Paese. Il capo dello Stato di allora, Giuseppe Saragat, aveva consegnato a Belgrado, fra sorrisi, brindisi e abbracci, l’onorificenza in una custodia verde a un compiaciuto Tito. E mai nella prima visita in Jugoslavia dopo la guerra osò accennare anche lontanamente alle foibe e all’esodo preferendo alzare i calici «alle fortune dei popoli jugoslavi e all’amicizia fra i nostri Paesi». Tremenda realpolitik, ricambiata dalla visita di Tito a Roma un anno dopo, accolto come una star del socialismo reale distanziato da Mosca.

Dopo la storica immagine di Francesco Cossiga inginocchiato davanti alla foiba di Basovizza, gli omaggi dei capi di stato che sono seguiti al monumento nazionale sul Carso triestino e la mano nella mano di Sergio Mattarella con lo sloveno Borut Pahor dello scorso luglio è anacronistico, paradossale e oltraggioso non cancellare l’onorificenza a Tito. Ancor più a diciott’anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo con il voto quasi unanime del Parlamento. Un insulto alle vittime delle foibe e discendenti, che in molti casi non hanno neanche una tomba dove deporre un fiore e agli esuli e loro figli. Un obiettivo che, almeno in teoria, dovrebbe essere condiviso in maniera bipartisan dalla politica, ma che viene sempre rispedito al mittente grazie a un cavillo legislativo. Si può togliere un’onorificenza per «indegnità» solo se il personaggio insignito è ancora in vita. Nel 2012 l’Italia lo ha fatto, giusto o sbagliato che sia, con il presidente Bashar al Assad, accusato di massacrare il suo popolo nella guerra civile in Siria. Per Tito, che sarà pur stato un grande leader della Jugoslavia, ma ha lanciato la pulizia etnica e politica contro gli italiani e una parte del suo popolo «non è ipotizzabile alcun procedimento essendo il medesimo deceduto» scriveva nel 2013 il prefetto di Belluno, a nome del governo. In Parlamento langue da tempo una proposta di legge di un paio di righe per cambiare la (folle) norma, che esalta Tito.

Se vogliamo onorare veramente i martiri delle foibe girando una volta per tutte questa triste pagina volutamente strappata della storia e guardare avanti, senza strumentalizzazioni, togliamo la medaglia della vergogna al boia degli italiani.

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/politica/ora-revochiamo-lonorificenza-macellaio-tito-2009486.html

Cambiano le regole anti Covid: cosa succede nelle prossime settimane

Condividi su:

Da febbraio certificazione verde illimitata per chi ha ricevuto la terza dose o ha già avuto il Covid

di Edoardo Sirignano

Le vaccinazioni che continuano a salire, così come l’aggressività, sempre meno forte di Omicron, possono far cambiare nelle prossime settimane le regole anti-Covid. A ribadirlo è Pierpaolo Sileri, sottosegretario al ministero della Salute, intervenuto ai microfoni de “L’Italia s’è desta” su Radio Cusano Campus. “Siamo – dichiara l’esponente del governo – in una fase di transizione, ma a breve ci sarà un cambiamento radicale della nostra vita, un progressivo ritorno alla completa normalità”.

Le prime novità arriveranno per quanto riguarda il green pass. Da febbraio sarà valido per sei mesi dall’ultima somministrazione. Una notizia che soddisfa gli esperti, a partire da Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova: “E’ una prova di buon senso, soprattutto nel momento in cui non sappiamo se e come si farà la quarta iniezione”. Ema e Aifa, in tal senso, ancora non hanno dato il via libera all’ennesimo richiamo. L’attuale certificazione illimitata, quindi, resterà tale fino a quando non verranno prese decisioni in tal senso.

Novità anche per quanto concerne la scuola, visto che sale il numero di ragazzi e ragazze vaccinati. “I provvedimenti – spiega – Sileri – verranno fatti sulla base dei dati, ma direi che ormai ci siamo”. Non sembra, comunque, andare in porto la proposta dei governatori di far restare in aula gli studenti positivi asintomatici. Si potrebbe, invece, col passare del tempo andare verso una quarantena più breve, che nei fatti agevolerebbe le attività didattiche, così come dovrebbe essere ridotto l’utilizzo della Dad per agevolare le lezioni in presenza. La svolta, però, dovrebbe aversi solo in seguito all’elezione del Presidente della Repubblica.

Un primo passo, comunque, è un provvedimento che consentirà il ritorno in aula a chi è stato positivo e ha un tampone negativo. Non ci sarà più bisogno della certificazione della Asl o del medico curante. Per quanto riguarda l’uscita dalla quarantena, infatti, si starebbe pensando a una procedura semplificata, che renderebbe più semplice tornare alla normalità.

Altro step in avanti potrebbe essere anche quello relativo alle zone a colori, considerando che per i vaccinati la diversificazione allo stato conta ben poco, mandando così in soffitta la norma adottata nell’autunno del 2020. A breve potrebbero essere non classificati più i pazienti positivi che sono in ospedale perché affetti da altre patologie, come a più riprese suggerito dalle Regioni.

Non è scontato che ci sia più neanche il tanto discusso obbligo vaccinale. “Bisognerà passare – dichiara Sileri – a una vaccinazione per il Covid fatta come quella per l’influenza, ovvero rivolgendosi soprattutto alle categorie più fragili. Anche per questo, però, i dati saranno indicativi”.

Ultimi cambiamenti, infine, dovrebbero essere quelli relativi agli spostamenti. Dal 1 febbraio al 15 marzo, chi arriva da uno Stato dell’Unione Europea potrà non effettuare il tampone, superando così quanto stabilito prima delle vacanze di Natale. Si allargano anche i cosiddetti corridoi free. Attualmente, infatti, si può andare con green pass e tampone molecolare solo ad Aruba, Maldive, Mauritius, Seychelles, Repubblica Dominicana ed Egitto. Dal prossimo mese, invece, sarà possibile recarsi anche a Cuba, Singapore, Turchia, Thailandia, Oman e Polinesia francese.

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/salute/cambiano-regole-anti-covid-cosa-succede-nelle-prossime-2005535.html

Obbligo, la data cerchiata in rosso: cosa può cambiare il 5 gennaio

Condividi su:

Nel Consiglio dei ministri del 5 gennaio nuove misure sul tavolo: spunta l’ipotesi dell’estensione del Super green pass per accedere al lavoro. Ma si valuta anche l’obbligo vaccinale: sale il pressing dei partiti

di Luca Sablone

Tempo qualche giorno e il governo prepara già la nuova stretta. Dopo aver approvato il nuovo decreto che di fatto mette spalle al muro i no-vax, nei primi giorni di gennaio il Consiglio dei ministri potrebbe tornare a riunirsi per varare un’ulteriore giro di vite per spingere sempre più verso la somministrazione del vaccino.

La data cerchiata in rosso è quella di mercoledì 5 gennaio, quando sul tavolo del Cdm potrebbe approdare una svolta nella lotta alla pandemia: l’obbligo di super green pass per i lavoratori. Di fatto sarebbe una sorta di obbligo di vaccinazione per accedere al lavoro, visto che il certificato verde rafforzato si ottiene solo con la somministrazione del siero o con la guarigione dal Covid-19. Ma si valuterà anche l’obbligo vaccinale, per cui sale il pressing dei partiti.

Cosa cambia al lavoro

Fonti governative fanno sapere che un secondo blocco di misure per il contenimento del Coronavirus potrebbe essere adottato appunto nei prossimi giorni. Viene da chiedersi quali potrebbero essere le nuove mosse dell’esecutivo e la risposta va trovata nello scontro che si è consumato ieri in Consiglio dei ministri: da una parte Forza Italia e Partito democratico favorevoli al super green pass per i lavoratori; dall’altra i dubbi di Lega e Movimento 5 Stelle che fanno saltare il provvedimento.

Ma l’asse gialloverde è destinato ad avere vita breve, visto che la nuova stretta potrebbe andare proprio in questa direzione: come riportato da La Repubblica, il prossimo passo potrebbe essere quello di estendere il super green pass a tutti i lavoratori, del settore pubblico e privato. Un punto su cui il premier Mario Draghi conta di ottenere il via libera in tempi brevi, sperando di risolvere le divisioni nella maggioranza.

Una conferma in tal senso è arrivata da Renato Brunetta, che ieri aveva messo sul tavolo la proposta che in sostanza impone a tutti i lavoratori di sottoporsi alla vaccinazione: il ministro della Pubblica amministrazione ha sottolineato l’importanza per l’Italia di non perdere la posizione di vantaggio rispetto agli altri Paesi, dicendosi ottimista sulla nuova misura più stringente che potrebbe vedere luce nel prossimo Cdm.

Pressing per l’obbligo

Nel frattempo aumenta il pressing per l’obbligo di vaccinazione, che finirà sul tavolo del Consiglio dei ministri di inizio gennaio. Un’ipotesi che valuta il premier Draghi e che dovrà essere attenzionato anche da tutti i partiti che sostengono il governo: conviene optare per il super green pass per i lavoratori o procedere direttamente con l’obbligo vaccinale per quasi tutti gli italiani?

Nel corso del Cdm di ieri i ministri di Forza Italia si sono espressi in modo favorevole all’obbligo vaccinale. Sulla stessa linea Enrico Letta, segretario del Partito democratico, secondo cui ora “bisogna prepararsi al passo successivo, cioè l’obbligo vaccinale e il ritorno allo smart working“. Parere favorevole lo ha dato anche Italia Viva, con il ministro Elena Bonetti che non si è messo di traverso: “L’obbligo vaccinale è la direzione giusta per sconfiggere la pandemia“.

Meno convinta la Lega, che però non chiude del tutto e chiede allo Stato di assumersi la responsabilità per eventuali conseguenze da vaccino e prevedere un elenco di “fragili” da esentare dall’obbligo. Un atteggiamento di apertura si è registrato pure tra le fila del Movimento 5 Stelle in occasione del dibattito sul super green pass per i lavoratori: il ministro Stefano Patuanelli ha sottolineato che fino a questo momento si è sempre ragionato per funzioni (forze dell’ordine, docenti, sanitari, lavori a contatto con le persone) e si è chiesto dunque quale sarebbe stata la ratio di distinguere tra lavoratori e disoccupati. “A questo punto conviene ragionare sull’obbligo di vaccinazione“, sarebbe stato in sostanza il ragionamento del M5S.

Magistrati amici e nemici. Ecco il vero scandalo Lucano

Condividi su:

Dietro il processo all'”intoccabile” ci sono gli scontri fra toghe di vari gruppi. Ma quasi tutte vicine a Palamara

di Luca Fazzo

La disperazione di un uomo che si sente tradito: c’è questo, nel day after di Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace condannato a tredici anni per l’allegra gestione dell’accoglienza ai migranti. Lucano si sente abbandonato da due poteri da cui, a torto a ragione, si credeva tutelato: la politica e la giustizia. E nel suo sfogo di ieri al Corriere contro le «ombre poco chiare» e «un magistrato molto importante e un politico di razza» che starebbero dietro la sua condanna si coglie tutta l’amarezza di un ex intoccabile. Chi avrebbe mai osato scalfire un simbolo mondiale dell’Italia migliore, un candidato al Nobel per la pace?

Invece è accaduto, per mano della magistratura e senza che la politica facesse nulla (proclami di solidarietà a parte) per salvare l’ex sindaco. Su Lucano cade la condanna per reati pesanti come il peculato e la truffa allo Stato, resi ancora più gravi dalla legge «spazzacorrotti». Ma anche tra le toghe intorno al «caso Lucano» ci sono posizioni assai diverse: d’altronde se a contribuire alla incriminazione e alla condanna del sindaco hanno contribuito magistrati di tutte le correnti – sinistra, centro, destra – è anche vero che in aiuto all’indagato eccellente qualche «manina» in toga è intervenuta, con la benedizione del Consiglio superiore della magistratura. Ed anche il fatto che un ex giudice importante come Luigi de Magistris abbia accolto nelle sue file l’ex sindaco qualcosa vuole dire.

La «manina» che venne in aiuto a Lucano ha un nome e un cognome: Emilio Sirianni, esponente di Magistratura democratica, che venne intercettato dalla Guardia di finanza mentre dava istruzioni a Lucano su come difendersi, compreso il consiglio di non parlare troppo al telefono. L’allora ministro Bonafede mise Sirianni sotto procedimento disciplinare: il Csm lo salvò con una sentenza secondo cui dare consigli a un indagato rientrava tra i diritti del magistrato. Difficile immaginare il Csm decidere ugualmente se a ricevere consigli fosse stato un indagato di altra risma.

Ma con chi ce l’ha, adesso, Lucano? Se il «politico di razza» cui accenna potrebbe essere Marco Minniti, il «magistrato importante» è meno facile da identificare. Anche perché l’inchiesta su Riace ha finito con l’accavallarsi e in parte intrecciarsi col terremoto scaturito all’interno della magistratura dal «caso Palamara», nelle cui chat compaiono alcuni dei magistrati che si sono occupati di Lucano. A partire dal grande accusatore del candidato al Nobel, l’allora procuratore di Locri Luigi D’Alessio. D’Alessio è considerato anche lui una «toga rossa», fa parte di Magistratura democratica. Però parte ugualmente a testa bassa contro il sindaco-icona della sinistra. Ma il posto di procuratore a Locri a D’Alessio va stretto, punta a Potenza: a sponsorizzarlo con Palamara è però una toga di centro, il futuro capo delle carceri Francesco Basentini. Niente da fare. Altro nome importante nella vicenda di Riace è quello di Tommasina Cotroneo, presidente del tribunale di Reggio Calabria. È la Cotroneo, nel maggio 2019, a respingere il ricorso di Lucano contro il divieto di dimora a Riace: è uno snodo cruciale della vicenda, perché è la prima volta in cui le tesi della Procura vengono confermate, la Cotroneo dice che Lucano «si muove ed agisce nel Comune di Riace con disinvoltura e abilità sorprendenti, raggiungendo scopi che persegue in spregio assoluto della legge». E anche la Cotroneo finirà sotto procedimento disciplinare per avere chiesto sponda a Palamara («aiutami, stratega!») contro colleghi con cui era in lizza.

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/politica/magistrati-amici-e-nemici-ecco-vero-scandalo-lucano-1979109.html

Il crollo della Cdu scuote i popolari. E il centrodestra riapre il cantiere

Condividi su:

Le ripercussioni del voto tedesco. Fi spera che i moderati restino al governo. Salvini rilancia il partito unico, Meloni contro le larghe intese. Berlusconi: Merkel lascia un vuoto incolmabile

di Pasquale Napolitano

Il tracollo elettorale in Germania della Cdu-Csu, per la prima volta nel dopoguerra sotto la soglia del 30% dei consensi, e l’addio di Angela Merkel rimescolano le carte nella famiglia dei Popolari europei.

In Italia il voto tedesco spinge il leader della Lega Matteo Salvini a riaprire il cantiere del partito unico del centrodestra. Il segretario del Carroccio fiuta la debolezza del Ppe, orfano della leadership della Merkel, e gioca d’anticipo: «Il voto in Germania deve essere di insegnamento anche per il centrodestra italiano. Il centrodestra in Germania ha preso una batosta storica. Il centrodestra italiano dovrebbe imparare che uniti si vince, soprattutto in Europa. Quindi ripropongo agli alleati di unirsi a Bruxelles, perchè adesso siamo divisi in tre gruppi diversi e contiamo di meno. L’Italia conta di meno. Se i centrodestra italiani si uniscono l’Italia conta di più in Europa. Io sono pronto anche domani. Spero che Berlusconi e Meloni lo siano altrettanto».

È il momento di accelerare. Il ragionamento che filtra da via Bellerio è chiaro: «Con l’uscita di scena della Merkel si aprono spazi enormi sia in Italia che in Europa per riorganizzare il fronte anti-socialista».

E il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ammette: «È molto difficile riempire un vuoto come quello che lascerà la signora Angela Merkel nella politica europea. Un’Europa con una politica estera e di difesa comune, quindi tra i grandi protagonisti del mondo, richiede una leadership di alto livello politico».

La sconfitta della Cdu in Germania fa discutere Forza Italia, che nei giorni scorsi ha frenato sull’ipotesi di una formazione politica unica in Europa. Intanto il coordinatore Antonio Tajani si augura «che i popolari restino al governo a Berlino e il ministero delle Finanze non vada ai liberali».

Contro il progetto salviniano di unire le tre forze di centrodestra si schiera Giorgia Meloni, leader di Fdi, che boccia le larghe intese e rilancia il bipolarismo: «Il crollo dei popolari della Cdu-Csu in Germania dopo 16 anni di cancellierato Merkel e il successo della Spd certificano che quando forze di centrodestra si prestano per anni ad alleanze innaturali con la sinistra finiscono per annacquare la propria identità e perdere consenso. Lo stesso sta avvenendo nelle istituzioni Ue con un Ppe ormai al traino delle sinistre. Il messaggio che ci arriva dalle elezioni tedesche non è dunque la sconfitta del sovranismo, come dice il mainstream, ma la necessità di consolidare un sano bipolarismo che consenta ai cittadini di scegliere maggioranze chiare e coese e di sapere la sera stessa delle elezioni chi governerà. Un bipolarismo che come Fratelli d’Italia e come Conservatori europei vorremmo riprodurre anche a livello continentaee».

In direzione opposta si muove il ministro del Sud Mara Carfagna che insiste, incassando la sponda di Matteo Renzi, sulla costruzione di un polo centrista: «Credo invece che debba farsi strada nei partiti l’urgenza restituire un baricentro alla politica italiana. Lo si può fare solo rinunciando all’estremismo e questo percorso va imboccato subito da tutti coloro che si candidano a governare in futuro il Paese» spiega nel blog su HuffPost.

Sul fronte opposto il Pd esulta per la «non vittoria» dei Socialdemocratici fermi al 25,7%. A Berlino sono partiti gli scongiuri. A scrutino ancora in corso il segretario Enrico Letta sentenzia: «Il cancelliere sarà Scholz, non ho alcun dubbio su questo». La sinistra italiana non perde il vizio dell’innamoramento facile. Il copione si ripete: Biden, Blair, Zapatero. Stavolta al Nazareno si festeggia il successo di Pirro di Scholz. Ma dal voto tedesco Letta spera di portare a casa un altro risultato: lo stop al proporzionale e la corsa verso il bipolarismo.

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/politica/crollo-cdu-scuote-i-popolari-e-centrodestra-riapre-cantiere-1978135.html

Le (solite) priorità di Letta? Ddl Zan e Ius soli

Condividi su:

https://www.ilgiornale.it/news/politica/priorit-letta-ddl-zan-e-ius-soli-1974853.html 

Letta sul palco della Festa dell’Unità detta l’agenda al governo: approvazione del ddl Zan e legge sulla cittadinanza. Salvini: “Non hanno speranza di passare”

di Federico Garau

Altro che problematiche legate al Green pass, emergenza sbarchi e crisi economica, per il segretario del Partito democratico Enrico Letta le priorità sembrano proprio essere altre, vale a dire ddl Zan e Ius soli.

Intervenuto sul palco per chiudere la Festa dell’Unità di Bologna, il leader del Pd ha parlato quasi come se a supportarlo ci fosse un vero e proprio mandato popolare. Letta infatti è apparso molto sicuro nell’affermare che entro la fine della legislatura sarà approvato il decreto di legge Zan e verrà messa a punto una legge sulla cittadinanza per gli stranieri.

Le battaglie del Pd

Il segretario dem ha voluto definire il Pd come il partito “del lavoro e dell’impresa“, tuttavia dal suo discorso è apparso fin troppo evidente quali siano i reali temi che animano la sua compagine. Ostentando sicumera, Letta ha infatti affermato di non avere alcun dubbio nel ribadire che le battaglie sui diritti portate avanti dal Partito democratico troveranno presto nuova linfa e forza. “Arriveremo all’approvazione finale del ddl Zan, così come vogliamo usare l’anno e mezzo di legislatura che abbiamo davanti per recuperare l’errore che fu fatto nella scorsa legislatura, nel non varare una legge sulla cittadinanza“, ha assicurato, come riportato da AdnKronos.

Ovviamente il grande obiettivo del partito resta quello di battere gli avversari del centrodestra. Ma, ancora una volta, Letta non ha dubbi: “Fidiamoci, da questa pandemia non si uscirà a destra ma si uscirà andando verso i valori della solidarietà, della giustizia e della coesione sociale. Da questa pandemia si uscirà laddove siamo noi”.

Insomma, il Pd sarà l’alternativa contro“le destre popoliste”, ed un primo assaggio lo si avrà alle prossime elezioni amministrative. Ormai il solco fra le fazioni è netto: “O si sta di qua o si sta di là. Non c’è posizione intermedia. Dall’altra parte non c’è più il centrodestra guidato da Berlusconi, legato a una logica ben diversa da quella cui sono legati Lega e FdI. Questi sono alleati del governo ungherese, governo polacco, il partito di Marie Le Pen e i neofranchisti in Spagna, quella è destra estrema. Dobbiamo costruire alternativa che sia in grado di battere questa destra”.

Lealtà a Draghi e all’Europa

Enrico Letta ha poi ribadito la lealtà del Pd al governo Draghi, che deve durare fino al termine della legislatura. Non sono poi mancate dichiarazioni di fedeltà all’Europa ed ai suoi principi:“Noi siamo il partito dell’Europa e siamo noi il partito dell’europeismo italiano, che è stato sposato nel modo che tutti conosciamo anche da altri. Ma l’Europa non è una questione mercantile, che diventi europeista perché devi portare a casa un assegno: per noi è un’adesione di valori perché l’Europa è la culla dello stato di diritto, della democrazia e dei diritti umani”.

Il punto sui vaccini

Il segretario del Pd si è mostrato intransigente sul tema vaccini. Per Letta la campagna vaccinale deve essere completata, altrimenti“senza i 10 milioni di italiani che mancano all’appello delle vaccinazioni non ce la faremo”.

Sappiamo che sono i più difficili, che è il passaggio più duro, ma se ci fermiamo a dire che il più è fatto non capiamo qual è la logica rischiosissima delle varianti e del rischio che corriamo proprio nelle prossime settimane”, ha aggiunto, prima di puntare il dito contro coloro che hanno preso una decisione diversa:“Il vaccino è libertà. Questa parola ‘libertà’ è stata usata a sproposito tante volte, il vaccino è libertà di viaggiare, andare a scuola, lavorare, di fare sport, di divertirsi, di godersi spettacoli. Chi non si vuole vaccinare è contro l’altrui libertà e non può essere premiato”.

Le posizioni dei partiti

La spinta su Ddl Zan e legge sulla cittadinanza non ha per nulla stupito il segretario della Lega Matteo Salvini, che nel corso del suo intervento a San Benedetto del Tronto ha commentato:“Hanno l’ossessione del ddl Zan, se non passa siamo un paese incivile. Io dico, ognuno della sua vita privata fa quello che vuole, mi interessa men che zero… ma il ddl Zan tira in ballo i bambini delle scuole elementari: vuole spiegare ai bambini che non ci sono i maschietti e le femminucce ma che ci sono esseri fluidi…questa roba alle elementari non la porterò mai”. Salvini ha poi garantito che con la Lega al governo ddl Zan e Ius soli non passeranno.

Secca anche la replica della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni“Noi non abbiamo paura delle etichette: siamo omofobi perché non siamo d’accordo sul ddl Zan. Siamo omofobi perché siamo contrari all’adozione da parte delle coppie omosessuali. In Italia non è consentita l’adozione da parte dei single, l’Italia è singolofoba? Quando si tratta di bambini senza famiglia, bisogna garantire il massimo dello standard: una mamma e un papà. Vuol dire amare quel bambino. Si può parlare con garbo di questo? La legge Zan nulla c’entra con la discriminazione degli omosessuali”.

Le parole di Letta hanno tuttavia ricevuto il plauso di altri rappresentanti del Pd. Dopo aver ringraziato il suo segretario, Monica Cirinnà ha dichiarato:“Il Pd non cambia né opinione né linea politica. Per noi la lotta ai crimini d’odio è e resta una priorità, perché prioritarie sono le vite delle persone che questa legge proteggerà”“Impegni: approvare il ddl Zan e portare a termine finalmente la legge sulla cittadinanza. Ben detto Enrico Letta , c’è da fare”, ha confermato anche Filippo Sensi, deputato del Partito democratico.

Presto i bianchi saranno minoranza: i dati che sconvolgono gli USA

Condividi su:

di Francesco Boezi

Il censimento del 2020 – quello messo a punto dal Us Census Bureau – racconta di un’America in progressiva e costante mutazione. Dalle statistiche demografiche, in un certo senso, è possibile trarre pure qualche conclusione previsionale di tipo politico. Nel senso che, interpretando un censimento, emerge quali sono le fasce di popolazione in ascesa e quali quelle in calo. Il che è utile anche per capire chi, tra i due partiti che compongono il bipolarismo americano, parta da una situazione di vantaggio per il prossimo futuro. Le statistiche, nel caso del 2020, non sono del tutto definitive. Ma qualche informazione utile già c’è.

L’idea dell’America come uno spazio geografico per lo più vuoto non è in discussione. Ma esiste una migrazione interna verso le grandi città. Un fenomeno immortalato dall’ultimo censimento che merita di essere registrato. Di sicuro, la globalizzazione spinge i cittadini statunitensi verso le grandi metropoli urbanizzate. L’economia – questo è un paradigma che vale per tutto l’Occidente – sta accentrando i processi economici all’interno di pochi e selezionati luoghi. L’elemento inaspettato, se c’è, è quello appena descritto degli spostamenti. Perché il resto, ossia la crescita verticale in percentuale delle cosiddette minoranze, è telefonato ormai da qualche decennio. Così come la diminuzione della popolazione bianca.

Gli afroamericani costituiscono quasi il 20%. Si tratta di un trend demografico che prosegue da un po’ e che sembra favorire, per via della tradizione elettorale della comunità afroamericana, i Democratici di Joe Biden e Kamala Harris. Non per il 2020, che è ormai acqua passata, ma per l’avvenire politico-elettorale, già a partire dal prossimo appuntamento delle elezioni di metà mandato. Non è un caso, del resto, se i Repubblicani si interrogano da tempo sul come rinnovare il loro rapporto con le minoranze. Chi vorrebbe ridimensionare Donald Trump pensa che un leader meno aggressivo dal punto di vista ideologico possa contribuire ad una modifica della narrativa.

Qualcosa che sarebbe decisivo per aprirsi nei confronti delle minoranze. Trump si è affermato tra gli ispanici, che nel 2020 – come riporta lo specchietto del Metropolitan Policy Program – rappresentano il 12.1% del totale – ma non riesce ad intraprendere un percorso di dialogo con buona parte dei cittadini di colore, che continuano a preferire l’opzione Dem. Questo è stato vero in entrambe le circostanze in cui The Donald si è candidato a presidente degli Stati Uniti. Virare verso il centro, per una certa parte del GOP, è considerato un obbligo. Perché i trend demografici sono senz’appello. E lo spettro di numerose sconfitte consecutive si è già palesato.

Capiamoci: non è si tratta di escludere in maniera aprioristica una futura affermazione da parte dei Repubblicani. Perché la storia non procede mediante certezze così granitiche. Però il fatto che le minoranze votino per lo più per i Dem, in combinato disposto con la crescita numerica di afroamericani ed ispanici, corrobora l’ipotesi di un avvenire complesso per il GOP. In contemporanea con le altre casistiche, è semplice notare una discesa statistica della popolazione bianca, che nel 1980 si aggirava attorno all’80% e che oggi si ferma a meno del 60%. I bianchi peraltro – come ripercorso dall’Adnkronos – sono già la minoranza dei giovani americani. In quella particolare fascia d’età, le persone di colore arrivano a quasi il 60% del totale . E questa potrebbe divenire la fotografia sull’intera popolazione da qui a qualche anno. Gli altri numeri, ad esempio quelli relativi alle persone di origine asiatica, crescono in maniera più lenta, ma avanzano comunque.

Provando a fare qualche ragionamento, si potrebbe dire che per i Dem, il punto di domanda, resta quello attorno al programma economico-lavorativo da proporre al loro elettorato. La crescita delle minoranze può, e Bernie Sanders ne è stata una dimostrazione, mettere in crisi il modello economico liberal-liberista. Almeno dal punto di vista delle preferenze espresse dal basso in materia economica. Sulla dialettica con le minoranze, però, di dubbi non ce ne sono. Mentre per i Repubblicani, come premesso, la vera questione da risolvere è proprio quella.

 https://it.insideover.com/senza-categoria/perche-il-nuovo-censimento-usa-interroga-il-gop-sul-suo-futuro.html

 

1 2 3