Non fu uno scontro di civiltà

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Fonte: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/non-fu-uno-scontro-di-civilta-2/

No, non fu uno scontro di civiltà quello che esplose l’11 settembre di vent’anni fa. Non si scontrarono la civiltà islamica e la civiltà cristiana. Fu piuttosto l’attacco barbarico dei fanatici islamisti a un occidente nichilista, ormai separato dalla sua civiltà e dai suoi principi. Scontro d’inciviltà, ritorno di barbarie.

I fanatici che attaccarono il cuore dell’Occidente ‒ non della Cristianità, altrimenti avrebbero colpito altri obbiettivi simbolici ‒ non venivano dall’Islam tradizionale ma si erano formati e istruiti in Occidente e aderivano a una versione ideologica di islamismo. Bin Laden e la sua famiglia ne erano il prototipo. Islamisti di ritorno, come si dice analfabeti di ritorno.

I fanatici radicalizzano l’Islam, lo usano come arma, come droga e come bandiera, applicando alla lettera alcune “sure” feroci del Corano. Il nichilismo occidentale, invece, è la degenerazione della libertà e la deriva della modernità, la libertà come rifiuto del destino, della natura, dei limiti e del sacro e la vita elevata a scopo di se stessa.

È sbagliato, anzi indegno, evocare lo scontro di civiltà per indicare la vendetta dei fanatici accecati dall’odio e dall’ideologia contro il predominio planetario degli Stati Uniti e dei loro alleati o “servi”. Prima di quel feroce attacco c’era stata la guerra del Golfo, e altre invasioni, ingerenze, incursioni, sanzioni che avevano acceso gli animi del fanatismo islamico e avevano risvegliato la Jihad: ma non fu Guerra santa, fu piuttosto rappresaglia e rivendicazione delirante di dominio contro la dominazione americana. La controprova è che nessuna guerra tra i popoli o stati islamici e popoli o stati occidentali poi scoppiò; ma restarono terrorismo e tensione, conflitti locali e insurrezioni, occupazioni e attentati, rappresaglie e bombardamenti. E lo scontro aperto l’11 settembre non unì l’Islam in un solo corpo, ma lo lasciò diviso tra sunniti e sciiti, tra iraniani e sauditi, e una miriade di fazioni ostili tra loro. Non ha mai preso corpo nemmeno un asse tra i paesi leader di area, la Turchia, l’Iran e l’Egitto. Né i paesi islamici si unirono nell’isolare e condannare i terroristi.

Semmai l’11 settembre generò più compattezza difensiva nell’Occidente, perché l’orrore del terrorismo, la paura e l’insicurezza diffusi in Europa come negli Usa li spinsero a sentirsi accomunati come potenziale bersaglio dell’odio islamista. Continua a leggere

La destra che piace a lorsignori

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Non c’è giorno che un editorialista, un corsivista, un curatore di rubrica coi lettori su un giornalone o nelle sue periferie conformi, non elogi la buona destra che non c’è. È una storia vecchia, che si acutizza ogni volta che nel nostro paese o nel mondo la maggioranza dei consensi va alla destra, per definizione cattiva. Il connotato principale di una buona destra per lorsignori, lo ripetiamo, è quella di essere minoritaria, perdente, subalterna all’establishment e alla sinistra, che ne è il suo braccio politico-ideologico; e i suoi migliori riferimenti sono sempre morti. E anche stavolta (l’ultima sul Corriere della sera l’altro giorno) il copione si ripete. Di solito i riferimenti positivi che si riescono a pescare tra i viventi sono reduci dalla disastrosa esperienza finale di Fini e ora si collocano nell’area del Pd. Curioso, no?

Ma non voglio scendere sul terreno della politichetta, dei casi personali e degli interessi passeggeri, e prima di tornare allo scenario politico presente, alle destre in tutto il mondo, vi chiedo: ma secondo voi qual è il tratto tipico e generale della destra, ciò che la caratterizza e la distingue, a livello di principio e di sensibilità popolare? A me pare evidente. Piaccia o non piaccia ogni destra popolare che ha vinto o è vincente è una variazione sul tema Dio, patria e famiglia. Variazione aggiornata o degradata, volgarizzata o modernizzata, comunque l’asse su cui ruota la destra nel mondo è quella. Poi ci possono essere destre più laiche che lasciano in secondo piano il connotato religioso, altre che attenuano l’aspetto nazionalista o altre che declinano in modo più soft i diritti civili. Il tema portante è la tradizione, il comune sentire, il realismo unito alla meritocrazia; poi le declinazioni possono essere di tipo conservatore o sovranista, social-riformatore e perfino rivoluzionario-conservatore. Ma se guardate alla realtà anziché al pozzo nero dei vostri desideri, la destra è quella, sono quelli i suoi punti fermi che la oppongono al politically correct dell’ideologia global. A me non dispiace una destra con quei connotati ma ho la preoccupazione opposta: quei temi sono troppo grandi, sensibili e toccano l’animo umano per ridurli solo a merce elettorale, slogan e gesto volgare. Vanno dunque salvati, lo scrissi in un libro intitolato proprio Dio patria e famiglia, dalla loro banalizzazione strumentale. Continua a leggere

Arrivano i soldi ma lo Stato non c’è

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di Marcello Veneziani

Tutta la commedia intorno ai soldi europei, tutta la pantomima dei premier e degli eurocrati, tutte le promesse di rilancio ruotano intorno a un asse che non c’è: lo Stato. Dov’è lo Stato che dovrebbe pompare sangue al paese, ai paesi, ai popoli, all’economia stremata dopo la pandemia? Dov’è lo Stato-Cuore che dovrebbe rimettere in moto la società, dare ossigeno ai settori boccheggianti, colpiti dall’emergenza, incentivare l’iniziativa e la ripresa, aiutare i bisognosi e coloro che possono poi far fruttare gli aiuti, renderli produttivi? Lo avete visto voi, in questi anni, in questi mesi, lo identificate in qualcosa, in qualcuno, in un ceto? Non dico statisti, ma almeno apparati, procedure funzionanti, sistema consolidato.

Manca lo Stato con la sua gerarchia e la sua solida intelaiatura e vengono fuori le task force, ovvero le task-farse, fabbricate direttamente a Forcella. Solo fumo per poi gestire il potere indisturbati. Manca lo Stato e a occuparsi della redistribuzione sociale ed economica dovrebbe essere il ceto politico meno attrezzato e meno formato al senso dello Stato di sempre, quel circo equestre di grillini più fondi di magazzino della sinistra. Avete presente?

Non solo in Italia, ma in Europa, lo Stato è diventato da anni un participio passato. Lo Stato ci manca ormai da tempo come idea, come cultura, come struttura, come motore, come classe dirigente, come scuola di pubblica amministrazione, come statisti. Il paradosso europeo è che da decenni pensiamo la società con lo Stato ridotto ai minimi termini, un modesto agente che lavora per un’impresa di pulizie e vigilanza al servizio di una società chiamata Capitale o Mercato Globale. Lo Stato fu smantellato nella mente e nei cuori, oltre che nelle prerogative e nelle strutture, perché i paesi e i popoli non hanno confini, perché il mercato non ha confini, perché viviamo nella società globale, perché il turboliberismo è stato per anni l’ideologia travestita da non-ideologia che ha dominato e ha trovato negli statalisti di ieri, la sinistra marxista e socialista di un tempo, i suoi nuovi guardiani. Continua a leggere

Non ha futuro la Chiesa di Bergoglio

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fonte – QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Qual è il punto debole del messaggio di Papa Francesco al mondo, qual è il motivo principale per cui suscita grande dissenso? Corrado Augias su la Repubblica, rispondendo a un lettore che aveva visto il suo dialogo televisivo con me, notava che nel mio ultimo libro avrei eretto “un coerente edificio di pensiero reazionario” in cui critico il Papa perché riduce la fede a sociologia. Giusta l’osservazione sul Papa (anche se nel libro mi occupo d’altro) ma non la collocherei nell’alveo del pensiero reazionario. La definizione di reazionario in sé non mi spaventa ma non rispecchia il senso di quella critica.

A dir la verità non critico il Papa solo perché rompe col passato, con la tradizione e la civiltà cristiana, con la storia e la dottrina della Chiesa dei secoli passati. Ma per una cosa a mio parere più radicale e più devastante. Non c’è più nella Chiesa di Papa Bergoglio l’orizzonte d’attesa, l’aspettativa del futuro e la trascendenza. Tutto è ripiegato e risolto nel frangente storico, in questo oggi e nell’urgenza di soccorrere.

L’impareggiabile risorsa della religione cristiana rispetto a ogni visione laica è di prospettare l’eterno oltre il tempo, l’avvenire oltre la vita terrena, la resurrezione oltre la morte. Il messaggio cristiano che apre i cuori e convoglia le menti è tutto rivolto al futuro, e la fede come la speranza sono virtù teologali interamente rivolte al futuro, a quel che accadrà. La forza suprema della fede è addomesticare la morte, dare uno spiraglio alla vita oltre la parabola terrena, far capire che non finisce tutto qui, che la vita è oltre e fuori il sepolcro, Veni foras; e oltre l’umano c’è il divino, oltre la storia c’è la luce eterna. Continua a leggere

L’antifascismo dei cretini

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Abbiamo sempre avuto pazienza con i cretini non cattivi e con i cattivi ma intelligenti. Non riusciamo però ad averne con i cretini cattivi, magari in origine solo cretini poi incattiviti oppure solo cattivi poi rincretiniti. Ma sono cresciuti a dismisura e si sono aggravati. Sto parlando del nuovo antifascismo, collezione autunno-inverno, che si alimenta di fascistometri per misurare il grado di fascismo che è in ciascuno di noi e di istruzioni per (non) diventare fascisti, di Anpi posticce che sventolano l’antifascismo anche il 4 novembre, non più costituite da partigiani ma da militanti dell’odio perenne; e poi di mobilitazioni, manifestazioni e mascalzonate, veicolate da giornaloni, telegiornaloni, talk show e da tante figurine istituzionali. Come quel Figo che alterna dichiarazioni d’antifascismo a dichiarazioni surreali d’amore a proposito degli stupri e i massacri tossico-migranti. Per lui le violenze si combattono con l’amore, come dicevano i più sfigati figli dei fiori mezzo secolo fa. Lui ci arriva adesso, cinquant’anni dopo e a proposito di un fatto così terribile come uno stupro mortale a una ragazzina.

Sopportavamo il vecchio antifascismo parruccone, trombone, un po’ di maniera. Arrivavamo a sopportare perfino un antifascismo di risulta, violento, intollerante, estremista. Finché si tratta dei dementi agitati dei centri sociali, di qualche femminista in calore ideologico o con caldane fasciofobe, oppure di sparsi cretini del grillismo e del vecchio sinistrismo, ce ne facevamo una ragione. Continua a leggere

Come tradire il IV novembre

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Dopo un anno di commemorazioni masochiste per auto-mortificarci, arrivò finalmente il giorno in cui siamo costretti a ricordarci della Vittoria e del suo centenario. Eccolo, il 4 novembre, anzi il IV novembre, la giornata della Patria. Ma avrete già sentito come viene trasformato quell’anniversario nel Racconto Ufficiale fatto da presidenti, ministri, media e professori: la Vittoria sparisce, la Nazione pure, alla Patria solo un timido sbuffo di cipria e dei caduti se ne parla come povere vittime del nazionalismo e dei loro capi. Il resto sarà tutta una celebrazione della pace, dell’Europa, dell’umanità col sottinteso che eroi e vittime di guerra sono caduti invano, per una sanguinosa illusione.

La memoria della Grande Guerra viene esattamente rovesciata: diventa la celebrazione dell’Europa e la mortificazione delle nazioni identificate nei nazionalismi. Ma la verità storica dice esattamente il contrario: la Prima guerra mondiale fu il funerale dell’Europa e il trionfo dell’Italia, pur mutilato.

Da quel conflitto l’Europa uscì infatti sfasciata e indebolita, non fu più il centro del mondo, perse gli Imperi Centrali che ne erano la spina dorsale, il mondo cominciò a dividersi tra l’Ovest americano e l’Est comunista, schiacciando l’Europa nel mezzo o relegandola a periferia. Nacque da quel conflitto il comunismo e poi la reazione ad esso, nacque la frustrazione tedesca che portò al nazismo, nacque il fascismo. Con la Seconda guerra mondiale, il tramonto dell’Europa avviato dalla prima raggiunse il suo epilogo. Gli occhi dell’ideologia pacifista non vogliono vedere la realtà tragica e gloriosa di quell’evento. Continua a leggere

Pound, l’imperdonabile

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QUINTA COLONNA

di Marcello Veneziani

Pound, l’imperdonabile

Se penso al primo novembre del ’72, quando morì Ezra Pound, mi risale negli occhi una gondola nera che porta per il suo ultimo viaggio verso l’Isola di San Michele il corpo del poeta in una sobria bara di castagno; il suo esile, curvo, ieratico corpo, la sua testa incorniciata in una mitica corona bianca sul capo e intorno al volto, che splendeva al sole come un’aura ieratica. Ogni volta che vado a Venezia non riesco a separare quel che vedo da quel che ricordo, ogni gondola mi sembra custodire il ricordo di lui, le spoglie del poeta pazzo, che amava l’Italia e la sua Tradizione, Dante e Cavalcanti.

Da giorni si parla con insistenza di Pound in relazione all’attualità, anzi alla cronaca politico-giudiziaria. S’indignano che un movimento come CasaPound si “appropri” di quel nome. Si, per carità, la Casa di Ezra Pound non può essere un fortino assediato o un centro sociale alternativo di giovani militanti politici; ma ricordiamoci in quale casa fu costretto Pound dal bel mondo democratico e occidentale: la gabbia pisana di un campo di concentramento, il manicomio criminale di Saint Elizabeth… Certo, la vera Casa di Pound non è un luogo chiuso, è il mare di Venezia, la città d’arte e poesia come Firenze, il cielo glorioso di Roma. Continua a leggere

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