L’agente in borghese e la “forza ondulatoria”: il video

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Forse dell’intervento di ieri di Luciana Lamorgese vi è sfuggito un piccolo particolare. Ovvero la spiegazione data dal ministro a quelle immagini pubblicate sui social che mostrano un agente dare man forte ai manifestanti nel ribaltare un mezzo delle forze dell’ordine. In molti lo ritenevano un “infiltrato”, tanto che anche Giorgia Meloni ne aveva chiesto conto al Viminale una settimana fa. Bene. Cosa ha detto Lamorgese?

Ecco qui. “Si è poi anche adombrata l’ipotesi della possibile presenza in piazza di agenti di Polizia infiltratisi tra i manifestanti – ha spiegato il ministro – Sento di dover escludere anche questo inquietante retroscena“. Ovviamente “nel dispositivo era prevista, come è normale, la presenza di agenti in borghese appartenenti alla DIGOS, con compiti di osservazione e monitoraggio e anche di mediazione con i manifestanti” (cosa cambia?).Tra questi c’era “anche l’operatore di Polizia, che, in abiti civili, compare in alcune immagini diffuse dai social, presente all’azione di alcuni esagitati che intendevano provocare il ribaltamento di un furgone della Polizia”. Bene. E cosa stava facendo? Sentite un po’: “In realtà – dice Lamorgese – quell’operatore stava verificando anche la forza ondulatoria scaricata sul mezzo e che non riuscisse ad essere effettivamente concluso”. Avete capito? Stava “verificando la forza ondulatoria”. Siamo seri?

Quel poliziotto, peraltro, è lo stesso “che, più tardi, aggredito da un manifestante da lui arrestato e tuttora in stato di detenzione, ha reagito in modo scomposto, per questo motivo si è auto-segnalato e ora la sua posizione è al vaglio dell’autorità giudiziaria”. Forse stava verificando anche lì il “moto ondulatorio” dei suoi pugni?

Guarda i VIDEO su: https://www.nicolaporro.it/lagente-in-borghese-e-la-forza-ondulatoria-il-video/

Assedio alla Cgil, le 3 bugie della Lamorgese

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di Redazione www.nicolaporro.it 

Un’autodifesa a spada tratta. Ieri pomeriggio Luciana Lamorgese si è presentata in Parlamento per spiegare come sia potuto succedere che un gruppuscolo di neofascisti mettesse a ferro e fuoco la sede della Cgil a Roma. Ha ammesso alcuni errori, il ministro. Ha respinto la “strategia della tensione” evocata da Giorgia Meloni solo qualche giorno fa. Ma ha anche negativamente sorpreso per la tranquillità con cui ha parlato di quella che, in realtà, può configurarsi come una vera e propria debacle nella gestione dell’ordine pubblico.

Gli errori di valutazione

Scopriamo, ad esempio, che in piazza a controllare la massa di no green pass c’erano poche forze dell’ordine. Troppe poche. Il motivo? Il Viminale non c’aveva capito una mazza. O meglio: ci si è fidati dell’ipotesi formulata dagli organizzatori della manifestazione (“avevano indicato in mille persone il numero orientativo”), si è ipotizzato che potessero essere un pochino di più (“le autorità hanno ritenuto che l’affluenza effettiva si andasse ad attestare sulle 3-4mila unità”) per poi ritrovarsi in Piazza del Popolo tra le 10 e le 12mila personeEvidente la “sproporzione” tra agenti e manifestanti. La questura di Roma aveva messo in campo appena 590 elementi, cui si sono sommati 250 operatori tra Arma e Finanza. In totale solo “840 unità effettive, da ritenersi pienamente adeguato” rispetto “alle stime previsionali”, ma di fatto un’inezia vista la reale affluenza in corteo. Da qui le prime due domande: possibile che “il sistema informativo” abbia cannato così tanto l’analisi? E possibile che non si sia riusciti a rimediare in corso d’opera?

Le bugie sull’assedio alla Cgil

Non torna invece il resoconto del ministro sull’ultimo atto di quel sabato nero. Ovvero il momento in cui un gruppo di manifestanti prende la via che porta alla sede della Cgil e la trasforma in un bivacco di manipoli. Di fronte ai deputati, Lamorgese ha negato che il corteo verso la camera del lavoro fosse stato autorizzato dalle forze dell’ordine, nonostante una nota della questura romana, rivelata dalla Verità, dica esattamente il contrario. Ma il ministro ha anche detto qualcosa di ancor più incredibile. Avete presente il video, mostrato da Quarta Repubblica, in cui si sente Giuliano Castellino, leader di FN, dire alla folla che a breve avrebbero “messo sotto assedio” il sindacato? Ecco: per difendersi dalle accuse di non essersi preparati in tempo, nonostante l’annuncio criminoso, Lamorgese sostiene che no, non fu un “il frutto estemporaneo dell’incitamento di Castellino”, ma ritiene che l’idea “fosse emersa già prima”, quando cioè Luigi Aronica ne aveva fatto esplicita richiesta ai responsabili della sicurezza. Il che è molto peggio. La volontà di dirigersi verso la Cgil era chiara da almeno 15 minuti prima del discorso di Castellino: perché allora non sono state inviati rinforzi alla Cgil? E perché ci si è fidati degli esponenti di Forza Nuova quando hanno assicurato che sotto la sede di Landini si sarebbero limitati a “scandire slogan di protesta e disapprovazione”?

Il resto è storia nota. Circa 3mila partono in corteo, sorprendono le forze dell’ordine, superano il dispositivo in piazza del Brasile e s’avventano sulla Cgil. Vista “l’evidente sproporzione tra la massa dei manifestanti e le Forze dell’ordine in campo”, ammessa dal ministro, fanno ciò che vogliono. Distruggendo i locali del sindacato.

Il mistero Castellino

C’è poi da chiarire un ultimo punto. Per quale motivo Giuliano Castellino, vicesegretario nazionale di Forza Nuova, destinatario di un Daspo, con divieto di partecipare alle manifestazioni sportive, “noto alle forze dell’ordine per i suoi trascorsi delinquenziali”, sottoposto a “sorveglianza speciale di pubblica sicurezza” e con obbligo di soggiorno, s’è presentato come se nulla fosse al sit-in dei no green pass? Una settimana fa Lamorgese aveva detto che l’arresto sul posto è stato evitato per non creare ulteriori tensioni, e già la scusa era sembrata deboluccia. Ma perché non è stato impedito che arrivasse in piazza del Popolo? Per Lamorgese è questione di lana caprina. Roba da costituzionalisti. Giuristi di grido. Insomma pare che la giurisprudenza, quella della Cedu e della Corte costituzionale, non permetta l’arresto della persona soggetta a sorveglianza speciale. “Solo la ricorrenza, nel pomeriggio del 9 ottobre, di altri validi motivi di legge, ne hanno potuto giustificare, a diverso titolo, l’arresto”. Non prima. E va detto: fa specie sentirselo dire dopo che per oltre un anno il governo ha imposto lockdown, restrizioni e chiusure. Per l’Italia “stato di emergenza” perenne, per Castellino tutte le garanzie del mondo. Per il forzanovista la Costituzione vale e per gli altri no?

Infine, giusto come ciliegina sulla torta di una relazione decisamente discutibile, va forse sottolineata la spiegazione data per quell’agente che in diversi video si vede “presente all’azione di alcuni esagitati”. Si era ipotizzato si trattasse di un infiltrato, “inquietante retroscena” escluso da Lamorgese. Si trattava però di un poliziotto in borghese della Digos (cosa cambia?) “con compiti di osservazione e monitoraggio e di mediazione con i manifestanti”, lo stesso che poi è stato ripreso mentre reagisce in maniera scomposta nei confronti di un manifestante. Bene. Che ci faceva in quel filmato insieme ad altra gente che cercava di “provocare il ribaltamento di un furgone della polizia”? Per il ministro “quell’operatore stava verificando anche la forza ondulatoria scaricata sul mezzo e che non riuscisse ad essere effettivamente concluso”. Suvvia: “valutare la forza ondulatoria”? Siamo seri? Allora, così, vale tutto.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/assedio-alla-cgil-le-3-bugie-della-lamorgese/

Draghi e Lamorgese spietati solo con i no pass

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di Max Del Papa

Draghi ha mandato a reprimere una protesta già sconfitta, quella dei portuali di Trieste. Ha mandato la forza pubblica con gli idranti e Mattarella ha rilasciato la sua improvvida dichiarazione sui disordini inaccettabili. Quali? La Cgil contro i lavoratori, i sindacalisti carrieristi saranno contenti: volevano la repressione e l’hanno avuta, la repressione di chi non ce la fa e non capisce perché la sua vita sia diventata un inferno. Non servivano gli idranti a Trieste, sono stati quella che il questore Pascalino negli anni di piombo definiva “operazione di parata”: mostrare i muscoli, far vedere che l’Italia quanto a durezza non scherza, che i tempi sono cambiati, adesso c’è il superburocrate della Bce che del dissenso ha un’idea chiarissima e i sindacati sono d’accordo, i partiti pure: nessuno ha manifestato solidarietà ai portuali e ai cittadini triestini, che si arrangiassero, non ci provassero più e tutti gli altri prendano nota. Armata Brancaleone quella dei portuali, portavoce stordito quel Puzzer, siamo d’accordo, ma proprio per questo non era il caso di schierare la forza bruta come piace a Prodi il quale dice quello che la dittatura cinese vuol sentire.

Draghi e Lamorgese scortano i rave party, i violenti ufficialmente impediti alle manifestazioni pubbliche come Castellino di Forza Nuova, non si azzardano a toccare i centri sociali che sono focolai di sovversione, ma sui no greenpass sono spietati, applicano il monopolio della violenza teorizzato da Max Weber. Dopo gli idranti, che cosa? Questo regime, ormai è chiaro, lo scontro sociale lo cerca e gli va bene anche il caduto in piazza. Secondo antica consuetudine dello Stato italiano. Non ha tutti i torti Giorgia Meloni a evocare la strategia della tensione, i prodromi ci sono tutti. Ma allora che aspetta l’unica opposizione a farsi sentire?

La differenza rispetto agli anni di piombo è questa, che allora c’erano forze contrapposte, infine saldatasi nella fermezza sulla pelle di Aldo Moro; oggi sono tutti dentro o a lato e non c’è nessuno che sappia o voglia davvero rappresentare la protesta civile, coagularla in un senso politico. Tutti pro vaccini e greenpass a oltranza, come annuncia Draghi: “Fino a che servirà”. Cioè fino a quando parrà a lui. Che manca ancora per concludere che la democrazia in Italia è ampiamente sospesa? Gli Arlecchini di regime insinuano che il lasciapassare “potrebbe” venire ritirato a Natale, omettendo di aggiungere che potrebbe avvenire in concomitanza con nuovi coprifuoco. Ma vogliamo vedere il presente che ci avvolge? Gas + 30%, luce + 40%, benzine + 30%, gas e metano + 30/50%, alimenti + 30/50%; una famiglia su 4 sotto la soglia di povertà, cioè impossibilitata a far quadrare il mese; ci si cura di meno, ci si nutre con alimenti meno sani; nel 2020 oltre trecentomila attività saltate, nel 2021 l’inizio della frana sociale. A fronte di tanto sfacelo, non sei autorizzato a protestare. Se ti azzardi, Draghi ti manda gli idranti e i manganelli e lo fa volendo dare un preciso segnale: il Paese è schiacciato, grecizzato, la UE e la Cina ne dispongano come meglio credono. Ma la Corte dei Conti europea ha appena ammesso che i primi 130 miliardi della transizione verde si sono rivelati inutili, cioè sono andati bruciati. La risposta di Bruxelles è stata esemplare: avanti così, nel 2030 i miliardi da bruciare saranno 1000. Intanto i soldi del recovery, che sono soldi nostri concessi a debito, arrivano col contagocce e a condizioni umilianti che investono sia le riforme strutturali che le forme di regime.

Ma avanti così e per chi non ce la fa c’è la tassazione punitiva, il controllo totale e la polizia in assetto di guerra. Con la claque dei servi e dei provocatori che si esalta, disumanizza chi non si adegua, gode nel “tirare fuori” il greenpass. Ma cosa è questo esibizionismo da feticisti del regime, che cosa ha a che fare con l’informazione? Draghi confida nella propaganda e finirà male come tutti quelli che spezzano la corda a forza di tirarla. Ma per il Paese non andrà meglio. Non va meglio già ora. La stampa mondiale è allarmata per la situazione italiana, una situazione repressiva che non si era mai vista neppure nella fase terroristica. Presto non si potrà più dire, ma siamo allo Stato concentrazionario. Il dissenso schiacciato, le punizioni esemplari, il conformismo fanatizzato, gli artisti e i personaggi pubblici normalizzati, i diritti fondamentali cancellati. La democrazia strozzata.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/draghi-e-lamorgese-spietati-solo-con-i-no-pass/

E’ in atto il “disordine complesso”: così ci spinge nel caos economico

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di Leopoldo Gasbarro

Vi ho raccontato in questi giorni con i miei ultimi articoli di quanto stia accadendo alla filiera produttiva mondiale, a tutte le strozzature e alle difficoltà che stanno generando interruzioni nella produzione di beni e servizi. Il tema sta diventando sempre più scottante e il mio scopo non è certo quello dì creare tensioni, isterismi, come ha scritto qualcuno, o inutili allarmismi.

Il ruolo di un giornalista è quello di informare, anche se a volte l’informazione stessa può risultare scomoda da ricevere. Personalmente credo sia sempre meglio conoscere che non conoscere, sapere che non sapere. La possibilità di scelta nelle nostre vite, oppure la libertà di scelta, sta nella conoscenza.

Chi ci lascia o ci vuole ignoranti non ha intenzione di permetterci di essere liberi.

Proprio per incrementare i livelli di conoscenza sugli argomenti trattati in questi giorni, soprattutto relativamente ai due argomenti principe da me trattati: Gas e grano, vi riporto integralmente un articolo pubblicato su Bloomberg a firma di Tyler Cowen che spiega, con estrema semplicità, ciò di cui vi ho già parlato.

La cattiva notizia è che i problemi della catena di approvvigionamento mondiale sono più persistenti e più gravi di quanto si pensasse in precedenza. La notizia peggiore è che non c’è un unico motivo e quindi nessuna soluzione semplice. E la notizia ancora peggiore è che nessuno sa davvero quando la situazione migliorerà.

Per quanto riguarda la buona notizia?

Sta almeno diventando possibile ricostruire una storia di come tutto questo è successo. Fondamentalmente, alcuni centri nevralgici chiave dell’economia mondiale sono stati colpiti da un mix di Covid e sfortuna, soprattutto nell’ultima parte di quest’anno.  Il trasporto, l’energia e i chip semiconduttori di alta qualità stanno tutti vivendo grossi problemi allo stesso tempo, per ragioni diverse ma ampiamente correlate.

Inizia con il trasporto. Mentre alcuni porti cinesi sono rimasti inattivi o operano a capacità ridotta a causa del Covid, questo non è certo l’unico problema. Un robusto commercio di beni durevoli ha messo a dura prova container, navi e operazioni portuali in tutto il mondo. Il prezzo dei container è salito alle stelle e può essere più di 10 volte superiore a quello di appena due anni fa. In breve, molto commercio internazionale ha subito un notevole rallentamento, inoltre parte di esso non è più redditizio.

In alcuni casi, i servizi relativi ai trasporti vengono razionati, poiché i prezzi vengono mantenuti bassi, forse per evitare di allienarsi gli acquirenti fedeli, o forse perché i venditori non sono sicuri che gli attuali shock della domanda siano permanenti. Ancora una volta, il risultato netto è che molti scambi semplicemente non avvengono in modo tempestivo.

Molti fornitori richiedono componenti commercializzati a livello internazionale per completare la produzione e la distribuzione dei loro beni e servizi. Ora sono bloccati. Inoltre, molte attività portuali e il relativo trasporto locale richiedono molta manodopera. Molte parti del mondo stanno affrontando carenze di manodopera, poiché le persone non sono sicure di come riconfigurare il loro futuro lavorativo post-Covid, o in alcuni casi i benefici del governo potrebbero impedire loro di lavorare. Ciò aggiunge ulteriori ritardi alle reti commerciali.

Una tipica risposta del mercato potrebbe essere quella di produrre più container (è più difficile e più lento aumentare il numero di navi o porti). Ma ciò richiederebbe proprio alle reti commerciali e di trasporto che attualmente sono malfunzionanti. Man mano che l’intero processo procedeva, le scorte si sono esaurite, il che significa che l’economia globale è stata molto meno fiacca.

Poi ci sono i problemi energetici del mondo, che hanno radici più profonde. Molti paesi hanno cercato di passare a forniture di energia più verdi, ma senza prima disporre di alternative sufficienti. Giappone e Germania hanno deciso di abbandonare i loro precedenti impegni sull’energia nucleare e, più recentemente, la Cina ha visto carenze di energia.

Le reti energetiche globali sembravano funzionare bene un anno fa, ma con l’avanzare della ripresa la fornitura di gas naturale non è stata sufficiente per soddisfare la nuova domanda. La produzione e l’esplorazione di gas sono state respinte nelle prime fasi della pandemia e la ripresa è stata più forte e più rapida di quanto previsto dal settore energetico.

Nel Regno Unito, i prezzi del gas naturale sono aumentati del 700% nell’ultimo anno, mentre l’Europa corre il rischio di non avere abbastanza energia per il prossimo inverno.
Naturalmente l’energia è un input significativo nella produzione di molti altri beni e servizi. Quindi questo crea un’altra serie di effetti a catena. E se le reti per l’energia e il commercio internazionale non funzionano bene, molte altre parti dell’economia saranno malfunzionanti.

Un’ulteriore area problematica sono i chip per computer di alta qualità. L’economia globale dipendeva già troppo da due paesi per l’approvvigionamento: Taiwan e Corea del Sud. Poi sono successe tre cose: le fabbriche di chip sono state chiuse durante i blocchi, una serie di sfortunati disastri naturali ha danneggiato l’offerta di chip e la domanda di chip è aumentata con l’aumento della domanda dei consumatori di beni durevoli come automobili ed elettrodomestici. Ai margini attuali, la produzione di automobili è gravemente limitata dalla disponibilità di chip, motivo per cui i prezzi delle auto nuove e usate rimangono così alti.

Quindi da un lato dell’equazione ci sono ritardi negli scambi, ritardi negli input, maggiori costi commerciali e di trasporto, prezzi dell’energia molto più alti e carenza di chip. Dall’altra ci sono i consumatori americani ed europei, che hanno risparmiato enormi quantità di denaro nel corso del 2020 e all’inizio del 2021 e che ora lo stanno spendendo.

Questa combinazione ha alimentato l’inflazione dei prezzi. La domanda sta colpendo il mercato e l’offerta non riesce a recuperare. E non è solo un problema che ha una soluzione facile e diretta, ma piuttosto una serie di percorsi interconnessi di caos economico e ritardo.

Questi problemi con la catena di approvvigionamento alla fine si risolveranno da soli, anche se nessuno può dire esattamente quando. Nel frattempo, fornitori e distributori – così come i consumatori – possono forse trarre qualche piccola consolazione dal fatto che stanno navigando, e si spera perseverando, attraverso un disordine complesso che non ha un parallelo stretto nella storia recente.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/e-in-atto-il-disordine-complesso-cosi-ci-spinge-nel-caos-economico/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

Green pass, rivolta nei porti: “È dittatura, non ci fermiamo”

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portuali di Trieste lo avevano detto: non ci fermeremo. E stanno mantenendo la promessa, mettendo sempre più pressione al governo Draghi sul lasciapassare, che inizia a mostrare i primi segni di cedimento. La situazione è esplosiva. Domani entra in vigore il lasciapassare obbligatorio nei luoghi di lavorio e l’Italia rischia la paralisi, almeno dal punto di vista logistico. Oltre ai portuali triestini  in rivolta contro il green pass, hanno annunciato lo sciopero anche i colleghi di Genova e tra gli autotrasportatori mancheranno all’appello 80mila conducenti. Se a questo si aggiunge una crisi globale della catena di distribuzione delle merci, non è difficile capire l’entità dell’insidiosa mina che il premier deve cercare di disinnescare.

Green pass, rivolta si allarga

Una prima vittoria i “resistenti” anti green pass l’hanno già ottenuta. Il governo nelle scorse settimane aveva escluso a prescindere la possibilità di rendere gratuiti i tamponi per chi non è vaccinato. Una certezza, ribadita in più sedi, che ora sta scricchiolando. Pare infatti che domani in Cdm il governo potrebbe discutere la possibilità di porre a carico delle aziende il costo dei test per i dipendenti. Proposta ovviamente rispedita al mittente da Confindustria. Salvini chiede che a finanziarli sia lo Stato, mozione contestata dal resto della maggioranza. L’alternativa, anche questa presa in considerazione dall’esecutivo, è quella di “ragionare sul fatto che test abbiano un prezzo calmierato“. Dunque uno sconto. Anche questa ipotesi, fino ad oggi sempre respinta da Draghi, sembra essere la conseguenza delle rivolte sorte in queste ore.

Lo sciopero a Trieste

A dire il vero, i portuali triestini sarebbero “disponibili a discutere”: domani potrebbero evitare lo sciopero, ma solo se l’avvio del green pass obbligatorio venisse rimandato al 30 ottobre. Altrimenti, nisba. Loro sono “determinati sulle nostre posizioni”, che riguardano sì il settore trasporti ma, dicono, anche tutto il resto del mondo del lavoro. Nemmeno il tampone gratuito, già proposto dal Viminale, li soddisferebbe. Il problema è che il governo non sarebbe disposto a rinviare l’entrata in vigore del decreto sul green pass. Dunque si andrà al muro contro muro. Domani i portuali minacciano di bloccare il porto sia in entrata che in uscita, un danno enorme per il sistema Paese. “Siamo disposti ad andare avanti fin quando il green pass non verrà tolto”, dice Stefano Puzzer, portavoce del Coordinamento lavoratori portuali Trieste (Clpt). Nessun passo indietro, anche se la Commissione sugli scioperi ha definito “illegittima” la mobilitazione annunciata dal 15 al 20 ottobre: “Siamo in dittatura, faremo comunque lo sciopero: noi pensiamo di essere una democrazia, lo Stato in una dittatura – insiste Puzzer – Vedremo chi vincerà. È ora di fermare l’economia che forse è l’unico segnale che possiamo dare a questo Stato, per fargli capire che ci sono tante persone in difficoltà, tante persone che rimarranno senza uno stipendio, e solo perché hanno esercitato una scelta libera quella di non farsi il vaccino. Adesso mi sembra ben chiaro che questo passaporto verde è solamente una manovra economica non sanitaria”.

Green pass, rischio caos autotrasporti

Altra grana riguarda gli autotrasportatori. Per Trasportounito mancheranno all’appello 80mila conducenti, difficilmente sostituibili vista la carenza di personale. Questo si tradurrà in ritardi nelle consegne di 320mila ore in più rispetto allo standard giornaliero. Per Confetra si rischia proprio “la paralisi del sistema logistico nazionale“. Su 400mila autisti confederati, il 30% sarebbe senza green pass. Oltre al fatto che molti di quelli stranieri sono vaccinati con Sputnik o altri farmaci non riconosciuti. Se il governo decidesse di permettere loro di lavorare lo stesso, Conftrasporto ha già annunciato che per protesta le imprese italiane fermeranno i camion. Almeno su questo una mezza pezza il governo potrebbe averla trovata: i camionisti che arriveranno dall’estero senza green pass potranno guidare in Italia, ma sarà loro vietato scaricare o caricare la merce.

A proposito di merci: il problema potrebbe verificarsi anche alla fonte. Confagricoltura fa notare infatti che in questa stagione stanno iniziando le raccolte della frutta e degli ortaggi autunnali, operazione spesso realizzata da stranieri. Il green pass, è il timore, rischia di provocare “mancanza di manodopera”: Un terzo degli operai dell’agricoltura sono stranieri, molti dei quali (il 60%) extracomunitari. La gran parte non sono vaccinati o hanno in corpo un siero non riconosciuto dall’Italia. Insomma: un caos totale. Cui ora Draghi, dopo aver tirato la corda, dovrà trovare una soluzione.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/green-pass-rivolta-nei-porti-e-dittatura-non-ci-fermiamo/

Green pass, i portuali sfidano Draghi: “Blocchiamo tutto”

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Comunque la si pensi, i portuali dimostrano di essere una categoria di lavoratori compatta e coraggiosa, in grado di trattare, proprio grazie a questo binomio di caratteristiche, direttamente col Governo, avendo anche la forza di poter dettare le condizioni. Un loro comunicato spiega come stiano arrivando loro migliaia di messaggi di sostegno da parte di lavoratori e famiglie italiane che ritengono ingiusto il Green Pass. Le azioni concrete di seria protesta sono queste, e si differenziano di gran lunga da proclami, libelli, scontri e raduni, facilmente strumentalizzabili e/o palesemente inutili (N.d.R.)

Se le trattative non andranno in porto, saranno guai seri. Non solo per il sistema portuale italiano, che non può certo fare a meno di Trieste. Ma anche per l’economia nostrana, in un periodo in cui la filiera della logistica mondiale è in subbuglio. E soprattutto per il governo, che si trova sul piatto una grana enorme che rischia di esplodere nel giorno del battesimo del green pass obbligatorio.  I lavoratori portuali di Trieste lo hanno detto chiaro e tondo: il 15 ottobre ci sarà il “blocco delle operazioni del porto” se “non sarà tolto l’obbligo“ del lasciapassare verde, non solo per loro “ma per tutte le categorie di lavoratori”.

Un ultimatum a Draghi in cui non sembrano esserci spazi di mediazione. Ieri il Viminale aveva provato a trovare una soluzione, chiedendo alle aziende di pagare i tamponi ai dipendenti sprovvisti di green pass. Una sorta di “privilegio” rispetto al resto dell’Universo mondo, visto che la linea Draghi è sempre stata quella di non avvallare le tesi “no vax” a suon di test molecolari gratuiti. Infatti, i portuali hanno respinto al mittente pure questa ipotesi. Niente da fare. Neppure le paventate dimissioni del presidente dell’Autorità, Zeno d’Agostino, li ha scalfiti. I 950 operai triestini non scendono a patti: se anche un solo lavoratore italiano dovesse essere escluso dal lavoro, si metteranno a braccia conserte fermando – di fatto – l’intera macchina organizzativa del porto. Il 40% di loro non è vaccinato, e dunque è sprovvisto del pass, in una città in cui il movimento 3V dei No Vax ha sfiorato il 5% dei consensi. In città le manifestazioni anti green pass vanno avanti da settimane. Mentre gli occhi d’Italia erano puntati sugli assalti romani alla Cgil, qui sfilavano 15mila persone capitanate proprio dai portuali. “Siamo venuti a conoscenza – ha scritto il leader della protesta  Stefano Puzzer – che il Governo sta tentando di trovare un accordo, una sorta di accomodamento riguardante i portuali di Trieste, e che si paventano da parte del Presidente Zeno D’Agostino le dimissioni. Nulla di tutto ciò ci farà scendere a patti fino a quando non sarà tolto l’obbligo di green pass per lavorare. Non solo noi, ma tutte le categorie di lavoratori”.

Una guerra senza esclusione di colpi, che dimostra come il governo si sia presentato impreparato all’appuntamento col green pass. Non solo i portuali, infatti. I poliziotti da giorni sono sul piede di guerra perché la possibile esclusione dal servizio di 15-19mila divise non vaccinate rischia di paralizzare il sistema di sicurezza italiano. Chi occuperà i turni dei colleghi rimasti a casa, vista la cronica mancanza di organico? E se la durata del tampone dovesse “scadere” in mezzo al servizio, il poliziotto che fa: lascia scappare il ladro? Draghi ora dovrà trovare una soluzione. Non semplice. I portuali triestini gli hanno lanciato il guanto di sfida. E per ora hanno loro il coltello dalla parte del manico: la ripresa italiana non può permettersi di perdere un porto. Col rischio che la protesta contagi anche gli altri scali. A partire da Genova.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/green-pass-i-portuali-sfidano-draghino-green-pass-o-blocchiamo-tutto-i-portuali-sfidano-draghi/ 

Immagini tagliate, frasi decontestualizzate. È credibile l’inchiesta di Fanpage?

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Qualcosa sembra non tornare nella ormai celeberrima inchiesta di Fanpage sulla “lobby nera”. In attesa che la magistratura si pronunci ufficialmente, e nonostante presunte fonti della procura di Milano parlino di “inchiesta fedele al girato”, ieri sera, a Quarta Repubblica, un servizio a firma di Claudio Rinaldi ha mostrato in maniera inequivocabile come la stessa frase del “barone nero” Jonghi Lavarini sia stata inserita e montata due volte, vale a dire in entrambe le puntate della video-inchiesta e riferita dunque a due contesti differenti. 

Vedi il Video del servizio su: https://www.nicolaporro.it/immagini-tagliate-frasi-decontestualizzate-e-credibile-linchiesta-di-fanpage/

Come spiega bene il servizio, nella prima puntata in cui l’inchiesta punta i riflettori su Fdi e Carlo Fidanza, il barone nero si esprime così: “Se vogliamo riprenderci il governo di Milano, ci deve essere spazio anche per noi”. Pronuncia queste parole stando in piedi, con alle spalle delle vetrate scure e alla sua destra un uomo, seduto, che rientra nell’inquadratura. 

Ecco, se si osserva attentamente le immagini di entrambe le video-inchieste, non potrà non risultare evidente come la seconda porzione di frase, vale a dire “ci deve essere spazio anche per noi”, viene riproposta paro paro anche nella secondo puntata quando, però, ad essere messi in mezzo sono il partito di Salvini e due esponenti lombardi del Carroccio, Angelo Ciocca e Silvia Sardone. “In un grande partito come la nuova Lega – dice il barone nero – ci deve essere spazio anche per noi”. E non vi è alcun dubbio che le immagini siano le stesse. Identica postura, stesse vetrate scure alle sue spalle, stesso uomo alla destra. Insomma, è proprio la stessa frase utilizzata due volte. E a confermarlo ci sono anche i tagli del montaggio che vengono effettuati prima della parola “ci”. Il primo netto e visibile, per quanto ben fatto e il secondo nascosto con un’immagine di copertura.

Dunque, anche non avendo visionato tutto il girato, come chiedeva Giorgia Meloni, che temeva proprio furbate di questo tipo, una prima certezza sembra esserci già: quella frase, con tutta probabilità, è estranea ad almeno uno dei due contesti. E non è la prosecuzione naturale delle due frasi precedenti dati i tagli.

Questa operazione sarà stato fatta in buona fede o no? Avrà in qualche modo alterato il significato di una delle due situazioni o anche solo presentato sotto una luce utile a qualcuno alcuni eventi, oppure può essere ritenuto un fatto di poco conto nell’ambito totale dell’inchiesta? Questo non lo possiamo sapere.

Quello che invece sappiamo è che anche nella seconda puntata una frase dell’europarlamentare leghista, Angelo Ciocca, sembra esser stata in qualche modo decontestualizzata. E più precisamente questa: “C’è solo un modo per difendere la nostra patria, uno non ce n’è un altro: fare quello che hanno fatto i nostri militari nella prima e nella seconda guerra mondiale”, dice il politico nel video mostrato da Fanpage. Peccato che sia stata tagliata la parte finale del suo ragionamento che, come sostiene lo stesso Ciocca, avrebbe rivelato senza ombra di dubbio come non vi fosse alcuna correlazione tra quelle parole e il fascismo. Tant’è che il leghista è stato ripreso anche altre volte mentre sosteneva il medesimo concetto, come mostra subito dopo il servizio di Quarta Repubblica. E proprio in quei filmati si può cogliere il senso reale del discorso di Ciocca, che lo utilizzava anche in campagna elettorale.

In ultimo, un’altra stranezza: la donna che ritira i soldi (in realtà dei libri) per conto di Lavarini, che è vestita con un outfit invernale mentre tutte le altre persone sono a maniche corte. È così che si dovrebbe fare per non farsi notare mentre si sta facendo un’operazione losca? Anche questo appare francamente un po’ strano.

Tre indizi fanno una prova? Forse no, però era giusto rendere pubbliche queste incongruenze che siamo certi, non sorprenderanno minimamente la leader di Fratelli d’Italia. Ora, palla alla magistratura.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/immagini-tagliate-frasi-decontestualizzate-e-credibile-linchiesta-di-fanpage/

Spionaggio e denunce dietro il crash di FB, Instagram e WhatsApp

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Ma chi avrebbe lanciato l’attacco informatico?

di Leopoldo Gasbarro

Ecco cosa è successo: Un tecnico interno ha accusato il gigante dei social media di dare priorità al profitto. Quelli di FB, secondo le memorie, non si occuperebbero di reprimere l’incitamento all’odio e la disinformazione. I suoi avvocati hanno presentato almeno otto denunce alla US Securities e Commissione di cambio contro Zukeberg e soci.

Frances Haugen, così si chiama la talpa che ha lavorato come product manager nel team di Facebook, è apparsa domenica nel programma televisivo della CBS “60 Minutes”, rivelando la sua identità di informatore che ha fornito i documenti che hanno sostenuto un’indagine del Wall Street Journal. Haugen testimonierà davanti a una sottocommissione del Senato proprio oggi, in un’audizione intitolata “Proteggere i bambini online”, sulla ricerca  sull’effetto di Instagram sui giovani utenti.

“C’erano conflitti di interesse tra ciò che era buono per il pubblico e ciò che era buono per Facebook”, ha detto durante l’intervista. “E Facebook più e più volte ha scelto di ottimizzare per i propri interessi come fare più soldi”.

Haugen, che in precedenza ha lavorato presso Google e Pinterest, ha affermato che Facebook ha mentito al pubblico sui progressi compiuti per reprimere l’incitamento all’odio e la disinformazione sulla sua piattaforma.

Ha aggiunto che Facebook è stato utilizzato per aiutare a organizzare la rivolta al Campidoglio il 6 gennaio, dopo che la società ha disattivato i sistemi di sicurezza in seguito alle elezioni presidenziali statunitensi.

Insomma davvero una vicenda tutta da spiegare e riportata da un’agenzia di stampa prestigiosa come Reuters. Il giorno dopo la trasmissione è arrivato il Blocco…una coincidenza?

La versione di Facebook sui blocchi di ieri

Facebook non ha fornito alcuna informazione specifica sulla natura del problema né ha detto quanti utenti erano stati interessati dall’interruzione.

Diversi dipendenti di Facebook che hanno rifiutato di essere nominati, hanno, invece affermato di ritenere che l’interruzione sia stata causata da un errore interno ad un dominio Internet. L’errore sarebbe stato aggravato dai guasti degli strumenti di comunicazione interna e di altre risorse che dipendono dallo stesso dominio per funzionare.

Gli esperti di sicurezza, invece, hanno dichiarato che l’interruzione potrebbe essere il risultato di un errore interno, anche se il sabotaggio da parte di un insider sarebbe teoricamente possibile Insomma si rimanda tutto al mittente. Così, nell’ attesa che qualcuno ci capisca qualcosa veramente. Troppe le contraddizioni, troppe le incertezze di comunicazione. Se davvero si fosse trattato di un processo di routine andato in tilt, proprio l’esistenza di una routine avrebbe previsto anche la soluzione.

La reazione dei mercati. Facebook, che è la seconda piattaforma pubblicitaria digitale più grande al mondo, ha perso circa 545.000 dollari di entrate pubblicitarie. Le azioni di Facebook, che ha quasi 2 miliardi di utenti attivi ogni giorno, sono scese del 4,9%,  il loro più grande calo giornaliero dallo scorso novembre.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/articoli/spionaggio-e-denunce-dietro-il-crash-di-fb-instagram-e-whatsapp/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

Amministrative, i tre mali del centrodestra (o quattro?)

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IL COMMENTO POST ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2021

di Giuseppe De Lorenzo

È inutile nasconderselo: le elezioni amministrative 2021, che già iniziavano sotto cattivi auspici, sono andate persino peggio del previsto. Al di là del premio di consolazione – la Calabria e, forse, qualche Comune che la coalizione riuscirà a conservare – il centrodestra viene stracciato al primo turno a Milano e Napoli, a Torino parte in svantaggio e a Roma, probabilmente, soccomberà al ballottaggio (mai dare nulla per scontato, ma all’alba del giorno dopo, questa è la proiezione).

I tre motivi della disfatta

L’analisi della sconfitta non può prescindere da tre elementi di riflessione. I tre vicoli ciechi che hanno eroso una squadra, fino a poco tempo fa, col vento in poppa e dai quali non è detto sia possibile uscire.

1. L’incapacità di offrire una classe politica all’altezza, unita alla paura di amministrare. Un fattore abbastanza sorprendente soprattutto nel caso della Lega, che tradizionalmente aveva nel buongoverno locale un suo punto di forza. L’indisponibilità di big da giocarsi nelle metropoli, in realtà, è stata solo uno dei fattori in gioco: sicuramente, a spingere verso la scelta di candidati estranei ai partiti e oggettivamente deboli e impreparati, sono stati il timore di raccogliere sfide pericolose come banco di prova nazionale (Roma), le liti e le fratture interne alla coalizione e la costituiva difficoltà del messaggio sovranista a penetrare nei grandi centri urbani (Milano). Anche se – valga come monito a quelli di scuola giorgettiana – non hanno scaldato i cuori degli elettori nemmeno candidati tutt’altro che radicali, come i borghesissimi Luca Bernardo nel capoluogo lombardo e Paolo Damilano sotto la Mole.

2. È indubbio, tuttavia, che sulla disillusione dei sostenitori della coalizione – è il secondo spunto – abbia pesato la sostanziale irrilevanza politica dei sovranisti. Gli uni (Fdi), in quanto ancorati a una scelta d’opposizione coerente quanto si vuole, ma alla fine improduttiva: il partito di Giorgia Meloni ha un’indiscutibile forza critica, però è inevitabilmente marginale rispetto alle decisioni che contano e che esso deve limitarsi a subire. Gli altri (il Carroccio), nonostante avessero scelto di entrare nell’esecutivo di Mario Draghi proprio “per incidere”.

La realtà è che anche l’ala moderata o governista, alimentata dai presidenti delle Regioni del Nord e capitanata da Giancarlo Giorogetti, non ha portato a casa nulla: non l’apertura delle discoteche, non i tamponi gratis per il green pass, non la propulsione alla produzione di vaccini italiani, mentre l’abbandono dei lockdown duri derivava prevalentemente da un’intima convinzione di Draghi, il quale di sicuro non si concepisce come un uomo chiamato a gestire un Paese fermo. Giorgetti, per adesso, ha solo l’onere di affrontare le crisi industriali al Mise. Un ministero che appariva un grande riconoscimento alla Lega e che, a ben vedere, potrebbe essere stato un trappolone. Nel frattempo, Draghi & company preparano un’imboscata fiscale già nel cdm odierno. Tutto ciò ha suscitato una sensazione di disempowerment e di scoramento nell’elettorato d’area: la gente ormai ha capito che, comunque vadano le elezioni, non cambierà nulla.

3. Questo ci porta al terzo, più buio vicolo cieco: l’inagibilità politica. Un centrodestra a trazione sovranista finirebbe in un cul de sac, quand’anche vincesse le elezioni 2023. Da un lato, resterebbe esposto, com’era già successo ai gialloverdi nel 2018-2019, alle imboscate dei mercati finanziari e dell’élite europea. Dall’altro, sarebbe comunque vincolato in partenza agli impegni sottoscritti col Pnrr e modellati sulla base delle “raccomandazioni” dell’Ue all’Italia. Cercare di sottrarsi alla tenaglia significherebbe, con ogni probabilità, perdere l’accesso alle fonti di finanziamento del debito pubblico e le risorse garantite dal Next generation EU.

Noi di “Christus Rex” aggiungeremmo un quarto motivo: la mancanza più assoluta di un orizzonte valoriale metapolitico chiaro e condiviso da tutto il centrodestra. Ricordiamo che Salvini faceva incetta di voti quando parlava da cattolico e proponeva principi con solide radici cristiane, senza timore di andare controcorrente. Ci sarà ancora posto, nel centrodestra, per incidere come cristiani? Crediamo che nei fatti, nelle aperture anche alle persone maggiormente rappresentative di quest’area conservatrice e tradizionalista, della quale si sente orfano di rappresentanza almeno un milione di “tradizionalisti” anonimi, si possa e si debba ragionare. Se si annacqua il tutto per paura del politicamente corretto e del Pensiero Unico, il centrodestra è destinato, a nostro avviso, a continue debacle. Le linee siano chiare fin da principio, senza tentennamenti, ricordando che, anche in politica, come nella vita, nella morale, nell’etica, due + due fa sempre e solo quattro. (N.d.R.)

Come scrivemmo già su questo blog, il Recovery fund commissaria la destra per i decenni a venire. Il che, peraltro, rende quanto mai incerte le geometrie parlamentari del 2023, fermo restando che, per formulare ipotesi, è necessario scoprire chi arriverà al Quirinale. Ad esempio, se Draghi restasse a disposizione di un incarico a Palazzo Chigi, mettereste la mano sul fuoco sul fatto che Forza Italia s’imbarcherebbe in un’impresa con leghisti e meloniani, anziché riproporre una grande coalizione, ovvero una conventio ad excludendum contro i sovranisti?

Era ieri, quando il caos immigrazione metteva il turbo alla Lega di Matteo Salvini. Eppure, è come se fosse passata un’eternità.

Giuseppe De Lorenzo, 5 ottobre 2021

Fonte: https://www.nicolaporro.it/amministrative-i-tre-mali-del-centrodestra/

 

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In Borsa è il momento di investire sul Pil della felicità

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di Massimo Di Guglielmo

Ciascuno di noi dovrebbe iniziare a immaginare la propria vita come cinque palline che deve far roteare in aria con l’abilità di un giocoliere. Solamente una di queste è tuttavia di gomma, infrangibile e rappresenta il lavoro perché, persa un’occupazione, se ne può trovare una diversa. Le altre quattro sfere – famiglia, salute, amici, anima – sono invece di cristallo, pertanto se cadessero si romperebbero in maniera irreparabile. L’ammonimento che l’ad di Google, Sundar Pichai ha affidato di recente alla rete riflette il forte cambiamento di mentalità in atto nella nostra società. Complice la tragedia del Coronavirus, sempre più persone sono alla ricerca di una felicità che non corrisponde alla carriera o alla ricchezza ma a una migliore qualità dell’esistenza. Ecco perché questo è momento di applicare il paradigma della felicità anche al mondo delle Borse e degli investimenti. A invitare i piccoli risparmiatori a questa presa di coscienza è Schroders, colosso del risparmio gestito responsabile di un patrimonio di 815,8 miliardi di euro in 37 Paesi nel mondo. Un decennio fa – sottolinea Piya Sachdeva, Economista di Schroders – il premio Nobel Joseph Stiglitz aveva commissionato un rapporto chiamato La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il Pil non basta più per valutare benessere e progresso sociale”, dimostrando la necessità di sostituire il Pil con il benessere. Il prodotto interno lordo, infatti, non solo è un parametro aggregato ma nulla o quasi dice del reddito effettivamente disponibile. E le riserve di Stiglitz non solo erano in parte già state anticipate nel 1968 da Bob Kennedy in un celebre discorso all’università del Kansas, ma sono state rafforzate e ulteriormente sviluppate dal movimento Beyond Gdp (Oltre il Pil), impegnato a costruire uno sviluppo appunto sostenibile. Ma vediamo come il benessere” si integra strettamente con i principi Esg (acronimo di Environmental, Social e Governance), che guidano oggi gli investimenti verdi, consapevoli e a impatto di cui Schroders è uno dei grandi alfieri. 

Piya Sachdeva, Economista di Schroders
Benessere e Sostenibilità, due grandi direttrici del futuro

L’idea di usare il benessere, e non più il Pil, come misura per valutare una società si è diffusa in parallelo all’aumento degli investitori che scelgono su quali aziende puntare in base ai principi ESG e nello specifico di quella “S”, che esprime la dimensione “Sociale”. Questo dimostra come il denaro possa comprare la felicità ma solo fino a un certo punto, sottolinea l’economista di Schroders, decidendo di condividere la sua personale esperienza durante i ripetuti lockdown dello scorso anno. “Ogni giorno scrivevo tre cose che apprezzavo nella mia vita: questo mi ha permesso di riflettere su ciò che mi rendeva felice. Recentemente ho ritrovato quel diario della gratitudine, e rileggendolo è chiaro che le cose che mi rendevano più felice tendevano a essere cose che il denaro non può comprare”. Certo, ammette Sachdeva, “questo va contro tutto ciò che mi è stato insegnato nella mia carriera di economista”. A ben guardare, tuttavia, non è così perché – prosegue – sebbene il Pil pro capite abbia una forte relazione con la felicità nazionale, più una persona è agiata, minore è la spinta alla felicità che le deriva dal diventare più ricca. Più precisamente, secondo alcune stime, la felicità si stabilizza quando il reddito medio della società raggiunge la soglia dei 70mila dollari. Insomma, i Paesi sviluppati hanno un modo più efficace per aumentare la felicità della loro popolazione rispetto al solo obiettivo di una maggiore crescita economica, e consiste in una saggia politica distributiva.

La corruzione erode felicità; Salute sempre più centrale

L’Ocse è stato tra i primi a cercare di scattare una fotografia più accurata del benessere mondiale, riunendo misure comparabili nel suo “Better Life Index”. Bisogna però tenere conto che alcuni fattori pesano più di altri, nello specifico quattro: il reddito personale, la disoccupazione a lungo termine, la salute auto-percepita e la corruzione percepita. Proprio la “corruzione” erode la fiducia di famiglie e imprese verso le istituzioni; quindi in ultima istanza mina la felicità. A confermarlo è anche l’ultimo “World Happiness Report”, che vede in fondo alla classifica, per percezione della corruzione, alcuni Paesi emergenti e dell’est Europa ma va detto che neppure l’Italia e la Grecia occupano un posto invidiabile. All’opposto i Paesi nordici sono ai massimi livelli.

 

Classifica per percezione della corruzione dei paesi europei

 

L’altro architrave su cui poggia la felicità delle popolazioni è poi la salute e il Covid ha potenziato tale convinzione: in questo caso la misura impiegata è la “salute autovalutata”, che combina quella mentale con quella fisica.

I rischi per l’economia globale e le Borse 

I fattori sociali non hanno ancora un grande impatto quando analisti e agenzie di rating stilano la pagella dei singoli Paesi, a meno non siano in corso forti disordini sociali. Il quadro cambia molto quando i report si riferiscono alle imprese quotate in Borse: le società sono infatti già punite dagli investitori se vengono allo scoperto problemi nella governance o non si impegnano per l’ambiente. Ne deriva – suggerisce Sachdeva – che “gli investitori macro che integrano l’ESG nelle loro analisi dovrebbero considerare i rischi per i loro investimenti dai mercati infelici”, come i Paesi emergenti o di frontiera. L’economista di Schroders indica in particolare tre rischi per la ripresa mondiale involontariamente insiti nella ‘Sostenibilità’: 1) La Fed, con i massicci aiuti stanziati per la ripresa post Covid a favorire l’occupazione, sta riconoscendo il proprio ruolo nella riduzione della disuguaglianza. Ma questo potrebbe portare a una reazione tardiva al rialzo dell’inflazione che potrebbe tradursi in una nuova recessione di cui pagherebbero le spese in primis i redditi più bassi. 2) La gestione del cambiamento climatico è cruciale per la crescita sostenibile e la creazione di nuovi posti di lavoro relativamente ben pagati sul lungo termine, nell’immediato provocherà dei costi sociali. 3) È possibile che, davanti alle macerie economiche lasciate dalla pandemia, aumentino i disordini nei Paesi più “infelici”, che di fatto sono delle polveriere pronte esplodere.

Un nuovo contratto sociale per investire in Borsa

“La nostra scoperta che i Paesi con bassa corruzione sono più felici dimostra che le considerazioni sociali derivano da una forte governance”, prosegue l’economista di Schroders; insomma nell’approccio ESG la “S” di “Sociale” non solo è inscindibile ma è sostenuta dalla “G” di “Governance”. Il risultato è la nascita di un nuovo ‘contratto sociale’ che dal lato delle società quotate impone già scelte virtuose; complice anche il ruolo dei gestori di fondi attivi nel selezionare le imprese da privilegiare e spingere a migliorarsi le realtà ora in ritardo. Ora però bisogna approfondire l’analisi e applicare questo stesso contratto sociale anche quando si analizzano i singoli Stati. E – conclude Sachdeva – “gli investitori macro che integrano i fattori ESG, piuttosto che cercare un ritorno dai mercati felici, dovrebbero invece considerare i rischi per i loro investimenti dai mercati infelici”.

 

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