Carlisti… italiani

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Segnalazione del Centro Studi Federici

di don Francesco Ricossa

Nello scorso numero di Sodalitium abbiamo recensito molto positivamente il volume di Francesco Maurizio Di Giovine sugli Zuavi pontifici. Dello stesso autore, sempre con la prefazione del principe Sisto Enrico di Borbone, riceviamo una “Breve storia del Carlismo nella penisola italiana”. 
 
Avendo parlato in un’altra recensione di questo numero della “storia dei tradizionalisti”, intendendo con questo termine designare gli oppositori alle riforme del Vaticano II, possiamo qui aggiungere un capitoetto sul tradizionalismo legittimista, dalla Restaurazione ai giorni nostri, nella versione spagnola del Carlismo. 
 
Se la storia del tradizionalismo carlista e legittimista, anche in Italia, è storia condivisa dall’inizio del Carlismo (verso il 1830) fino alla Guerra di Spagna (1936-1939), tanto è vero che nella nostra biblioteca ben figurano la collezione completa della Voce della Verità e della Voce della Ragione (e questo malgrado le riserve sul tradizionalismo filosofico e religioso di quei tempi, inteso nel senso fideistico), non lo stesso si può dire dei nostri giorni. 
 
Ho vissuto personalmente il passaggio, descritto dall’autore che ne fu protagonista, nel seno del Fronte Monarchico Giovanile dalla monarchia liberale a quella tradizionale, sono stato abbonato e sostenitore dell’Alfiere, rivista tradizionalista napoletana, sono stato e sono fiero di esser stato amico di personaggi come Pino Tosca, o di aver conosciuto Elias de Tejada, ma non ho mai condiviso quel tradizionalismo che combatte, nei convegni storici, i liberali dell’Ottocento, e poi si dice in comunione coi liberali di oggi, quelli che hanno imposto la dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanæ personæ, ad esempio. 
 
Il ricordo delle cerimonie di “beatificazione” di Carlo d’Asburgo e dei martiri spagnoli da parte di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI includono ad esempio una insanabile contraddizione. Mi viene alla mente come caso emblematico una fotografia pubblicata recentemente sui giornali in occasione della morte del principe Lillio Ruspoli, nella quale si vede il principe inginocchiato davanti a Benedetto XVI mentre due valletti in abito di corte donano a Ratzinger la bandiera degli Zuavi pontifici, mentre ripenso all’elogio che lo stesso Ratzinger ha fatto dei bersaglieri della Breccia di Porta Pia e alla fine del potere temporale del Papa. I modernisti odierni sono mille volte più ingiuriosi a Dio dei liberali di ieri, e noi dovremmo giustamente inveire contro dei nemici morti, e poi omaggiare quelli vivi? 
 
Fatte queste debite riserve, non posso che raccomandare il libro recensito, sempre ricco di informazioni e scritto con acribia, che aggiunge un tassello importante alla storia del tradizionalismo italiano. 
 
Un’ultima perplessità: nella quarta di copertina si legge: “La Spagna non conobbe la riforma protestante… La penisola italiana, al contrario, subì tutte le influenze della riforma protestante…”: Paolo IV, che di protestanti, alumbrados e marrani se ne intendeva, non sarebbe certo stato d’accordo, tanto più che le influenze protestanti in Italia venivano dallo “spagnolo” Juan de Valdès. Viva Filippo II, certo, ma ancor più: viva san Pio V! 
 
Francesco Maurizio Di Giovine, Breve storia del Carlismo nella penisola italiana, Solfanelli, 2022. 
 
 
Per cancellarsi dalla lista di distribuzione:

“Opportune Importune” n. 42

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Il Circolo Christus Rex non aderisce alla Tesi di Cassiciacum, come noto. Noi siamo sedevacantisti simpliciter. Perciò quando nell’articolo lo stimatissimo e benemerito don Ugo scrive di “occupazione materiale”, noi ometteremmo quel “materiale” poiché per noi la Sede Apostolica è vacante sia materialmente che formalmente. Rispettando coloro che aderiscono alla Tesi di Cassiciacum, ritenendola un’ipotesi teologica valida in tempi di crisi senza precedenti, entrambi non siamo in comunione con gli eresiarchi conciliari per le stesse ragioni. Questo è l’essenziale che oggi ci rende fratelli nella Fede. Ad multos annos ai sacerdoti e religiosi dell’Istituto Mater Boni Consilii!

Segnalazione del Centro Studi Federici

Editoriale di “Opportune Importune” n. 42 (lettera d’informazioni della Casa San Pio X dell’IMBC)

di don Ugo Carandino

Rileggendo gli editoriali scritti a partire dal 2001 si può constatare come i principali argomenti, che dovrebbero determinare le scelte dei cattolici nell’attuale stato di privazione della Chiesa, siano stati trattati ripetutamente.
Mi riferisco all’eresia modernista e alla sua affermazione al Concilio; all’occupazione materiale della Sede di Pietro e la conseguente attuale assenza dell’autorità nella Chiesa; alla gravità di riconoscere come papa legittimo un occupante materiale e di citarlo al Canone della Messa; al rito della Messa che non può essere dissociato dalla professione della Fede; al gravissimo problema della validità molto dubbia delle nuove consacrazioni episcopali e ordinazioni sacerdotali…
Invito quindi a rileggere i precedenti editoriali e soprattutto gli articoli della rivista Sodalitium, dove troverete i temi elencati nel precedente paragrafo approfonditi alla luce della teologia tomista e del magistero papale, senza dimenticare i convegni, le conferenze e le interviste presenti sui nostri canali telematici.
In questo editoriale vorrei invece trattare di un altro argomento, apparentemente secondario, relativo al modo in cui i fedeli dovrebbero presentarsi in chiesa per assistere al Santo Sacrificio della Messa. Lo spunto mi è stato dato dall’avviso di un’agenzia viaggi rivolto ai turisti per le vacanze estive nei paesi arabi. Ecco il testo:

“È fondamentale sapere che, se si entra in una moschea in estate, non si possono indossare pantaloncini, canottiere o abiti corti e scollati. Vestitevi quindi in modo appropriato se pianificate di visitare una moschea. Sia gli uomini che le donne devono indossare abiti che coprano le braccia e le gambe. Le donne devono coprirsi il capo con il velo”.

Immagino che il turista italiano medio si conformi disciplinatamente alle indicazioni ricevute, considerandole al limite un po’ esagerate ma nello stesso tempo pronto a lodare una certa serietà di chi le esige per poter entrare nel proprio tempio religioso.
Ciò che amareggia è il fatto che le direttive imposte per accedere in una moschea (o in una sinagoga) non vengono prese in considerazione per entrare nelle chiese cattoliche, dove è sempre di più trascurata l’attenzione alla modestia e al buon gusto. La perdita del sovrannaturale causata dai cattivi pastori imbevuti di modernismo, che si manifesta in particolare nella rovinosa liturgia di Paolo VI, oltre alla perdita della Fede, ha favorito la perdita del pudore e del decoro nel modo di vestirsi, in una corsa verso il basso che del resto ha investito ogni aspetto della vita sociale.
Il problema dell’abbigliamento può presentarsi anche quando si partecipa alla Santa Messa detta di san Pio V. In alcuni casi, dopo molti anni di frequentazione, si può cadere nel rilassamento; oppure, col passaggio dalla parrocchia alla “messa tridentina”, si può conservare l’abitudine di un abbigliamento inadeguato. Se così fosse, si ometterebbe un segno esteriore capace di indicare che la domenica è un giorno speciale, il giorno del Signore, da distinguere dagli altri giorni anche col vestito che si indossa. Come si potrà notare, parlare della sacralità del rito e dell’importanza del dies Dominicus non sono certo argomenti secondari per un cattolico!
A questo proposito segnalo qualche brano di un articolo sull’abito della domenica indossato dai nostri avi e tanto raccomandato da un’ava d’eccezione, Mamma Margherita, la madre di Don Bosco:

«Margherita, la mamma, oltre l’ordine e la bellezza nell’anima dei figli e la docile e costante allegria (quanto cantavano tutti!), esigeva l’ordine e la pulizia nelle loro persone. Alla domenica specialmente, adattava alla loro persona i vestiti più belli da festa, ravvivava i loro capelli, che naturalmente erano ricciuti e folti, e per tenerli raccolti usava un piccolo nastro… Li prendeva per mano e tutti insieme andavano alla Messa… Ma per Margherita ogni momento era buono per educare.
“Vi piace fare una bella figura, non è vero?”. “Certo, mamma”.
“Or bene: ascoltatemi. Sapete perché vi metto i vestiti più belli? Perché è domenica ed è cosa giusta che mostriate esternamente la gioia che deve provare ogni cristiano in questo giorno, e poi perché desidero che la pulizia dell’abito sia la figura della bellezza delle vostre anime”» (dalle Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco, I, 73-74).

La lettura del brano ci ricorda appunto che in ogni circostanza, soprattutto in chiesa, il battezzato deve evitare un abbigliamento inappropriato. Non si tratta di sfoggiare abiti particolarmente ricercati (non penso che siano da considerarsi tali la giacca e cravatta per gli uomini e una gonna modesta per le donne) ma neppure di indossare vestiti troppo sportivi o disadorni.
Ribadisco che l’argomento è importante perché è legato alla devozione nei confronti del più importante atto della Religione, la Santa Messa, cioè il rinnovamento incruento del Santo Sacrificio della Croce, col quale l’Agnello di Dio si immola per la maggior gloria dell’Eterno Padre e per la nostra salvezza. Nella misura in cui si comprende il valore infinito della Messa, dovrebbe crescere nell’anima il desiderio di presentarsi al sacro rito nelle migliori disposizioni spirituali (la “veste nuziale” della grazia santificante) e, nella ricerca della perfezione cristiana, di manifestare il massimo rispetto dovuto alla Presenza Reale anche nel modo di vestire.
Poiché per amare è necessario conoscere, è fondamentale che il fedele ricerchi un’adeguata formazione: invito quindi a leggere o rileggere, ad esempio, il Breve Esame Critico del Novus ordo e il libro di don Cekada Frutto del lavoro dell’uomo. Una critica teologica alla messa di Paolo VI, entrambi editi dal Centro Librario Sodalitium, testi di grande aiuto per conoscere e venerare sempre di più la Messa Romana e detestare tutto ciò che ne offusca il suo valore e il rispetto dovuto.
Scrivo queste righe all’inizio dell’Avvento, con la speranza che possano essere lette prima del 25 dicembre (almeno sul sito di Sodalitium in attesa dell’edizione cartacea). Nel Tempo di Natale, in particolare nelle feste della Natività e dell’Epifania, chiediamo alla Sacra Famiglia di accordarci uno spirito cristiano sempre più radicato nei cuori, capace di muovere gli affetti verso la Verità divina e conformare la vita del buon cattolico in tutti i suoi aspetti, tra cui il rispetto dovuto alla sacralità dei luoghi di culto (anche i più umili) e alle funzioni liturgiche.
È l’augurio che formulo a tutti i lettori, per poter mettere così a frutto le abbondanti benedizioni che Gesù Bambino, la SS.ma Vergine Immacolata e san Giuseppe, ci accorderanno nel consolante
e fecondo tempo natalizio.
don Ugo Carandino

Per scaricare il bollettino:
https://www.sodalitium.biz/wp-content/uploads/opportune42.pdf

“Opportune Importune” n. 42

Intervista a Matteo Castagna, Responsabile Nazionale del Circolo Cattolico Christus Rex

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LA GAZZETTA DELL’EMILIA, 27/12/22 IN EVIDENZA

Di Matteo Pio Impagnatiello Pilastro di Langhirano, 26 dicembre 2022 –

  • Può parlarci del Circolo Christus Rex che lei ha fondato? Quando è nato e di cosa si occupa?

Il Circolo Christus Rex viene fondato ufficialmente il primo gennaio del 2007, ma era già attivo un gruppo con il nome di Avanguardia Scaligera già dal 2003. L’attività cattolico-tradizionalista-militante parte nel 1999. Il Circolo si occupa fondamentalmente di tre cose: la formazione cattolica tradizionale sul catechismo di San Pio X e sulla storia della dottrina sociale della Chiesa di mons. Umberto Benigni ogni primo mercoledì del mese (on line per raggiungere tutti), gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, predicati secondo il metodo di padre Vallet dai sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii di Verrua Savoia (To); informazione, poiché l’uomo è essere sociale ed ha diritto di conoscere la Verità di ciò che lo circonda, senza le fesserie del politicamente corretto/pensiero unico; azione militante, al fine della trasmissione pubblica della Fede attraverso l’esempio della vita di un cattolico fedele alla Tradizione, quindi conforme ai dieci comandamenti ed ai precetti della Chiesa. Evidentemente, tutto questo riceve una grande grazia dal Cielo attraverso una vita sacramentale costante, composta da una confessione frequente e dall’assistenza all’unica santa Messa cattolica tradizionale, non in comunione con gli eresiarchi conciliari. Per coloro che fossero interessati, tali celebrazioni sono in tutta Italia e consultabili nei luoghi e negli orari sul sito www.sodalitium.biz

All’interno del Circolo vi sono più persone con ruoli ed ambiti ben precisi, per l’apostolato cattolico-tradizionale, tra cui l’avvocato Gianfranco Amato, Presidente dei Giuristi per la Vita, il professor Giovanni Perez, l’ingegner Raffaele Amato, l’avvocato Andrea Sartori ecc…

  • I cattolici e il loro impegno nell’agone politico italiano ed europeo: qual è o quale dovrebbe essere il loro compito nella società odierna?

E’ una grande delusione per noi vedere che troppi politici, a livello soprattutto europeo, non applicano ciò in cui  dicono di credere. Ad esempio, ricordo che nel 2008 un eurodeputato che non è mai stato cattolicissimo, come l’onorevole Mario Borghezio, ha voluto costruire con noi  un presepio nel Parlamento europeo. Questo fatto destò più paura e timore nei confronti dei cosiddetti deputati cattolici rispetto a coloro che non lo erano, suscitando in noi stupore e anche tanto apprezzamento, fino al punto che, nonostante i mugugni, l’allora presidente del Parlamento europeo si complimentò pubblicamente in Aula per l’iniziativa e ci ringraziò. Noi pensammo che, a differenza di quanto si vociferava, il presepe non era considerato divisivo per nessuno.

  • A settembre di quest’anno è stata pubblicato il suo ultimo lavoro editoriale, libro scritto insieme all’avvocato Gianfranco Amato. Vuole illustrarcelo?

“Patria e Identità” è il mio terzo libro, scritto con l’amico di tante battaglie, Gianfranco Amato, con il quale condividiamo innanzitutto la fede, la necessità della preghiera e dell’azione militante, per mantenere viva la Tradizione cattolica, alla faccia di quei modernisti che vorrebbero cancellarla, ridurla o adeguarla, a seconda dei loro comodi. Dunque, questo libro nasce dalla volontà di far pensare chiunque, credente e non credente, nei confronti della Patria e dell’Identità. Abbiamo voluto, avendo sensibilità differenti nell’approccio al prossimo, firmare ciascun capitolo con il proprio nome e cognome all’interno di tre parti: “Uno sguardo sulla politica”, “Un’occhiata sulla società”, “Una sbirciata sulla Chiesa”.

  • Si è già fatta un’idea sull’Esecutivo in carica? Cosa ne pensa?

Noi elettori abbiamo votato, fondamentalmente, per due partiti, secondo quello che la legge elettorale prevede. Pertanto, la x l’abbiamo messa su Fratelli d’Italia, ma nel nostro contesto lo stesso voto andava sia alla Camera sia al Senato a candidati della Lega e, nello specifico, a Lorenzo Fontana per la Camera (poi divenuto presidente della medesima e mio amico personale, dal 1996) nonché al Senato, a Paolo Tosato. Nell’uninominale abbiamo votato per Fratelli d’Italia. Possiamo dire, nella pratica, che la legge elettorale ci ha fatto quindi votare sia Fratelli d’Italia sia la Lega, dai quali, data la vicinanza e l’amicizia che ci lega da tanti anni, ci aspettiamo una coerenza in merito ai principi morali cristiani, che sempre con noi hanno sostenuto.

  • La società – italiana ed europea – si trova all’interno di una crisi che non è solamente socio-economica, ma soprattutto valoriale. Può la Chiesa contribuire ad “invertire la rotta”, per realizzare un modello alternativo di società?

Oggi la Chiesa ufficiale ha preso la posizione globalista, pseudo-pacifista, politicamente del deep state. Dunque noi cattolici dobbiamo stare attenti, come lo siamo dal Concilio Vaticano II (1962-1965), a quanto affermano le presunte Autorità ecclesiastiche. Ci tengo, in modo  particolare,  a dare un messaggio di speranza: “Le porte degli inferi non prevarranno”. Nessuno disperi, ma compia la volontà di Dio e la salvezza eterna sarà pronta per lui. Viva Cristo Re e Maria Regina. Sub Christi vexilli regis militare gloriamur!

  • “Dio, Patria, Famiglia”: possono insieme rappresentare un manifesto d’amore, anche al giorno d’oggi?

Questo trinomio è l’identificazione dell’Amore, anche da un punto di vista cronologico. Prima dobbiamo amore, adorazione e culto a Cristo, seconda Persona della Santissima Trinità e Figlio di Dio, il quale ha voluto che i popoli fossero distinti in diverse Patrie, che dobbiamo amare, perché dono di Lui. Nelle famiglie, composte unicamente per volontà divina e naturale, da una mamma e un papà uniti nel sacro vincolo del matrimonio. Ciò che ci viene propinato in questo tempo è solo sovversione dell’ordine naturale, in odio a Cristo ed alla Verità.

Fonte https://www.gazzettadellemilia.it/politica/item/39737-intervista-a-matteo-castagna,-responsabile-nazionale-del-circolo-cattolico-christus-rex&ct=ga&cd=CAEYACoTNjI1OTU5OTkyMDk5MjI2MjE2MzIZNGVlYTFkNmIzZjM2MmY0YTppdDppdDpJVA&usg=AOvVaw1UMwP98VwKtqgBXzB0–Bm

 

L’Articolo è stato ripreso anche sul Quotidianoweb: https://www.quotidianoweb.it/costume-e-societa/intervista-a-matteo-castagna-responsabile-nazionale-del-circolo-cattolico-christus-rex/

I due che erano tre: don Ricossa scrive ad Aldo Maria Valli

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Segnalazione del Centro Studi Federici

“Con don Alberto e don Stefano c’era anche don Marco. Che ora collabora con l’Istituto Mater Boni Consilii”
 
Caro Valli,
 
leggo su Duc in altum vari articoli in difesa di “don Alberto e don Stefano” dai quali il loro vescovo esige, secondo il motu proprio Summorum Pontificum prima ancora che di Traditionis custodes, di riconoscere validità, legittimità e santità del nuovo rito, per poter ancora celebrare con l’antico.
 
Tutti si dimenticano che i due sacerdoti erano tre: con loro c’era anche don Marco. Dov’è finito don Marco? Proprio perché non riconosceva validità, legittimità e santità del nuovo rito, non si appoggia più al motu proprio Summorum Pontificum, non riconosce la legittimità di chi ha promulgato detto nuovo rito della messa, e anche quello dell’ordinazione sacerdotale, e ora collabora coll’Istituto Mater Boni Consilii.
 
Facciano così anche don Alberto e don Stefano, oppure accettino sinceramente le esigenze del Summorum Pontificum e di Traditionis custodes che, a loro parere, sono atti promulgati dal Vicario di Cristo.
 
Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, ovverosia far uso del suddetto motu proprio senza accettarne però le condizioni. Un’alternativa c’è, ed è quella abbracciata dal loro confratello, del quale tutti sembrano essersi dimenticati.
 
Un caro saluto
 
don Francesco Ricossa
 
 
 

Calendario Sodalitium 2023: Leone XIII e il suo magistero a 120 anni dalla morte

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Segnalazione del Centro Studi Federici

di don Francesco Ricossa

Leone XIII e il suo magistero a 120 anni dalla morte
 
Il 20 luglio 1903, 120 anni fa, moriva in Vaticano Papa Leone XIII; il 4 agosto successivo veniva eletto come suo successore il cardinale Sarto, che prese il nome di Pio X e veneriamo come nostro Santo protettore (assieme alla Madonna del Buon Consiglio, a san Giuseppe e a san Pio V). Nato nel 1810 a Carpineto Romano, e battezzato col nome di Vincenzo Gioachino Pecci, fu ordinato sacerdote nel 1837, nominato vescovo nel 1843 da Papa Gregorio XVI, creato cardinale da Pio IX nel 1853, ed eletto suo successore nel 1878. Prima della sua esaltazione al Sommo Pontificato servì la Santa Sede nella diplomazia (nunzio in Belgio), nell’amministrazione del potere temporale della Chiesa (delegato a Benevento, Spoleto e Perugia) e nel ministero episcopale (arcivescovo di Perugia).
 
Dedicandogli questo calendario, vogliamo rendere omaggio a un grande Pontefice che volle imitare un suo predecessore, l’illustre Innocenzo III, il quale riposò nella sua Perugia e di cui volle portare le spoglie a Roma.
Per ben comprendere il pontificato di Leone XIII e soprattutto il suo magistero, bisogna tener presente la sua fedeltà al Dottore comune, San Tommaso d’Aquino. Suo il grande, grandissimo merito di rimettere in onore la filosofia scolastica ed il pensiero del Dottore Angelico nell’enciclica Æterni Patris: tutto il suo insegnamento deve considerarsi come un’applicazione di questi grandi principi. A torto qualcuno ha visto nel suo pontificato una mano tesa al mondo moderno nato dalla Rivoluzione; al contrario, lo scopo del Pontefice era la restaurazione della Cristianità medioevale così ben rappresentata dal già citato Innocenzo III, erede di quella civiltà cristiana e romana ben incarnata dal patrono di Leone XIII, San Leone Magno. Contro il “diritto nuovo”, egli ricordò i grandi princìpi dello Stato e della Società cristiana, iniziando dal rammentare che la sovranità non viene dal basso, ma dall’alto, ovvero da Dio. Contro il falso concetto di libertà, ricordò, al seguito di San Tommaso, il vero e genuino concetto di libertà, che ha per oggetto il bene, e non il male. Riconobbe nella setta massonica l’opera tenebrosa di Lucifero e il nemico dichiarato della Chiesa: di tutti i Papi fu certamente il più attivo nel combattere il naturalismo massonico che oltraggiava la Chiesa in Roma stessa, col sindaco Nathan e il monumento a Giordano Bruno. Per questo fu convinto assertore dei diritti violati della Santa Sede anche quanto al potere temporale, ben conscio di come la setta massonica, attraverso la secolarizzazione della società laicizzata, l’attacco alla famiglia e l’ostacolo posto alla libertà e indipendenza del Sommo Pontefice, intendesse distruggere lo stesso Papato e con esso la Chiesa di Gesù Cristo, la rivelazione divina, la vita sovrannaturale.
 
Leone XIII ebbe modo anche di avvedersi dei prodromi della crisi che stava per manifestarsi all’interno della Chiesa stessa: per questo diede un duro colpo al movimento ecumenico con la dichiarazione sull’invalidità delle ordinazioni anglicane (Bolla Apostolicæ curaæ, 1896) e con l’enciclica sull’unità della Chiesa Satis cognitum. Diede anche le prime condanne al nascente modernismo, nel campo della spiritualità (condanna dell’americanismo con Testem benevolentiæ, 1899) come nel campo dell’attività politico-sociale (enciclica Graves de communi, 1901). Con l’enciclica Rerum novarum, sulla questione operaia, si opponeva sia al socialismo sia al liberalismo, rinnovando l’alleanza tra la Chiesa e il popolo e ponendo le basi di una società veramente cristiana. Affidò questo grande progetto alla protezione della Santissima Vergine: devotissimo alla Madonna del Buon Consiglio, Leone XIII raccomandò a tutti la recita del Santo Rosario in tante encicliche, ben sapendo come nella meditazione dei misteri dell’Incarnazione, della Passione e della Resurrezione del Signore, con gli occhi e i sentimenti della SS. Vergine, il popolo cristiano avrebbe mantenuto viva la Fede.
 
Durante il suo lungo pontificato non mancarono, è vero, anche gli insuccessi. Vana fu la sua attenzione all’Oriente, nella speranza di ricondurlo all’unità cattolica. Dura fu la persecuzione che dovette subire dai nemici della Chiesa un po’ ovunque durante l’Ottocento anticlericale, dal  tedesco, ai governi massonici in tutto il mondo, specie nelle vicine Italia e Francia. Soprattutto da quel paese vennero cocenti delusioni, e sarà il suo successore, san Pio X, che con coraggio intrepido e distacco da ogni bene terreno, con libertà evangelica, affronterà la separazione tra Stato e Chiesa, la cacciata dei religiosi, la confisca dei beni della Chiesa, facendo rinascere la Chiesa di Francia e condannando le false interpretazioni del magistero leonino (come quella del Sillon). Leone XIII vide anche la stringente necessità di sviluppare e ammodernare gli studi ecclesiastici, un programma pienamente condiviso dal giovane perugino Umberto Benigni; ma sulla fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si faceva già luce il tradimento di questo bel programma da parte dei modernisti: sarà san Pio X (nominato vescovo nel 1884 e creato cardinale nel 1893 proprio da Leone XIII) a dover affrontare il pericolo mortale, per “restaurare ogni cosa in Cristo”.
 
Ogni mese del nuovo anno può essere un’occasione per i nostri lettori di leggere una o più encicliche di questo grande Papa, che abbiamo scelto, in quest’occasione, di onorare.
 
Don Francesco Ricossa
 
 

La commemorazione dei fedeli defunti

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Segnalazione del Centro Studi Federici

 
 
La pace dei Santi
concedi oh Signore,
alle anime che aspettano
l’eterna mercè.
Rimetti il dolore
e chiamale a Te!
Requiem aeternam
dona eis Domine,
et lux perpetua
luceat eis.
 

L’enciclica Pascendi, il modernista agnostico, Joseph Ratzinger

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Segnalazione del Centro Studi Federici

L’8 settembre 1907 il papa san Pio X promulgava l’enciclica “Pascendi Domini gregis” sugli errori del Modernismo. Ricordiamo questo anniversario con un editoriale della rivista antimodernista “Sodalitium”, che tratta l’aspetto del modernismo agnostico denunciato nell’enciclica, in particolare riferito al teologo modernista Joseph Ratzinger.
 
“Che infine l’elogio dell’agnosticismo fatto da Ratzinger non stupisce se si rileggono le pagine dell’enciclica Pascendi dominici gregis di condanna dell’eresia modernista, ove San Pio X spiega come il modernista concili in sé stesso l’essere agnostico e l’essere credente”
 
Editoriale del n. 65 della rivista Sodalitium, febbraio 2012
Dopo molto, troppo tempo, Sodalitium ritorna nelle vostre case. Inevitabilmente, questo numero 65 risente del lungo ritardo, per cui alcuni argomenti trattati non sono più di stretta attualità. Come ad esempio quando rispondiamo ad alcune reazioni a proposito degli articoli del n. 64, oppure trattiamo dell’anno dell’infausto 150° dell’Unità d’Italia, quando ormai i “festeggiamenti” e le commemorazioni sono praticamente (e fortunatamente) giunti al termine. Ma, lo abbiamo ricordato più volte, la nostra non è una rivista di attualità ma di approfondimento.
Nel frattempo la situazione diviene sempre più grave, sia per quel che riguarda la società temporale, dove si realizza più velocemente il potere unico mondiale anticristiano o acristiano, sia per quel che riguarda, e questo è ancora più triste, la situazione della Chiesa Cattolica fondata da Nostro Signore Gesù Cristo. Il 19 aprile 2005 il nostro Istituto, in seguito alla dichiarazione di Joseph Ratzinger, appena eletto al Soglio pontificio, di applicare e difendere il Concilio Vaticano II, dichiarò pubblicamente, per questo motivo, di non poter essere in comunione con lui, e di non poter riconoscere, nella sua persona, l’autorità divinamente assistita.
Il n. 59 riconosceva quindi che colui che era stato eletto col nome di Benedetto XVI non era affatto mutato – come egli stesso ripetutamente aveva affermato – ma era sempre rimasto il giovane teologo tedesco neo-modernista che, come perito del cardinale Frings, contribuì, assieme ad Hans Küng, Karl Rahner, Henri de Lubac, Jean Danielou, Marie-Dominique Chenu, Yves Congar, John Courtney Murrey, ed altri “nuovi teologi”, ad operare la rivoluzione modernista nel seno e nelle viscere stesse della Chiesa.
Fummo voce quasi isolata. Fin dal­’inizio, e poi ancora di più dopo il Motu Proprio Summorum Pontificum e la levata delle scomuniche ai Vescovi consacrati da Mons. Lefebvre, un vero e proprio entusiasmo nei confronti di Joseph Ratzinger animò la maggior parte dei fedeli, del clero, della stampa cattolica “antimodernista” legata alla tradizione della Chiesa. In questo nuovo clima, non ancora del tutto spento, si fece strada un doppio e convergente fenomeno. Da un lato, grazie al “Motu Proprio”, dei sacerdoti, liturgisti e teologi conciliari (e persino editori massoni), vale a dire assolutamente fedeli al Vaticano II (fino al punto di giustificare ed applaudire il nuovo incontro interreligioso di Assisi), hanno preso in mano il movimento di difesa della liturgia tradizionale, a scapito di chi, da sempre, aveva difeso la tradizione liturgica cattolica a viso aperto, contro la riforma liturgica montiniana.
D’altro canto, la Fraternità Sacerdotale San Pio X, uscita per così dire dal “ghetto”, ha instaurato una collaborazione quotidiana con questo clero (spesso ‘ordinato’ col nuovo rito) per cui è frequente osservare un ‘sacerdote’ biritualista (che dice cioè la Messa seguendo entrambi i riti) officiare nei priorati della Fraternità, o un sacerdote della Fraternità servire all’altare o assistere in coro a delle ‘messe’ in ‘rito straordinario’ celebrate da ‘sacerdoti’ conciliari (come è accaduto, in Italia, a Oropa e a Bologna). Prima ancora di un ‘accordo’ ufficiale, che pare aver incontrato degli ostacoli, è nella pratica e alla base che le frontiere tra conciliari e anticonciliari stanno diventando sempre più labili se non invisibili.
Eppure, Joseph Ratzinger non nasconde – tutto il contrario – il suo pensiero chiaramente liberale e modernista. Non ci riferiamo tanto alla scandalosa “beatificazione” di Karol Wojtyla (a proposito di quella del card. Newman si potrà leggere qualche cenno nel prossimo numero), all’elogio del “Risorgimento” e del cattolicesimo liberale (anche di questo parliamo in questo numero), né alle due opere pubblicate come ‘dottore privato’: Luce del mondo (Libreria Editrice Vaticana, 2010) e Gesù di Nazaret (vol. II, Dall’ingresso in Gerusalemme alla Risurrezione, Libreria Editrice Vaticana, 2011), benché la prima abbia suscitato scalpore (e scandalo) per le ambigue aperture nel campo della morale (o dell’immoralità) e della seconda sia stata scritta una ampia critica – alla quale rinviamo il lettore – dalla rivista francese di Saint-Parres-les-Vaudes, Il est Ressuscité (a partire dal numero 104, e tuttora in corso).
Ci riferiamo piuttosto all’insegnamento di Joseph Ratzinger a proposito dell’ateismo e dell’agnosticismo. Quello della possibilità della Fede nel mondo moderno, dopo l’Illuminismo, è un tema centrale nel pensiero del teologo Ratzinger fin dai suoi primi saggi (si vedano ad esempio le prime pagine del suo Introduzione al Cristianesimo, che data del 1968, ove Ratzinger commenta le parole del Simbolo Apostolico “Io credo”); a questo proposito il suo pensiero è rimasto sostanzialmente immutato. Più recentemente, egli lo ha sviluppato con l’iniziativa del “Cortile dei Gentili” affidata all’esegeta dichiaratamente modernista “cardinal” Ravasi, nelle sue parole durante la visita in Germania (e con lo scandaloso ma ormai “tradizionale” elogio di Lutero) e soprattutto nel discorso da lui tenuto durante il nuovo incontro interreligioso di Assisi del 27 ottobre 2011, voluto da Benedetto XVI, come lo aveva annunciato già il 1 gennaio 2011, per commemorare il 25° anniversario dell’analoga iniziativa del “beato” Giovanni Paolo II.
Le novità del nuovo incontro d’Assisi rispetto a quello wojtyliano sono state essenzialmente due: nessuna preghiera pubblica – in comune o fatta separatamente – è stata prevista durante l’incontro (ma solo una preghiera privata nell’ora della siesta!), da un lato; e, d’altro lato, l’invito all’incontro rivolto anche ad alcuni rappresentanti dell’ateismo e dell’agnosticismo.
Alcuni hanno visto in queste novità un aspetto positivo (esclusione del sospetto di sincretismo, minimo comun denominatore trovato legittimamente nella ragione e nel diritto naturale); altri, come Francesco Agnoli su Il Foglio (quotidiano il cui direttore si è definito ironicamente, ma non troppo, “ateo devoto”) hanno lamentato solo che siano stati invitati degli “atei sbagliati” (comunisti, psicanalisti, in genere negatori del diritto naturale) e non quelli “devoti”, rispettosi della Chiesa e del diritto naturale (come il sen. Pera o, appunto, Giuliano Ferrara).
Il problema invece è ben diverso, e lo ha esposto, con la chiarezza che gli è abituale, lo stesso Joseph Ratzinger nel suo discorso durante la giornata di Assisi. Di questo discorso non colpisce tanto la pubblica ammenda – “pieno di vergogna” – per l’uso della violenza in nome del Cristianesimo (che continua la neo-tradizione dei “mea culpa” inaugurata da Giovanni Paolo II in occasione del “Giubileo”) quanto l’incredibile, interessantissimo e gravissimo elogio dell’agnosticismo.
Don Ricossa ha ampiamente commentato questo discorso, in continuità con quanto già Ratzinger scrisse in “Introduzione al Cristianesimo”, durante i convegni di Parigi e Milano (novembre 2011) organizzati rispettivamente dall’Istituto Mater Boni Consilii e dal Centro Studi Davide Albertario.
Il tema è così importante che verrà ampiamente affrontato in un prossimo articolo da pubblicare su Sodalitium e, prima ancora, da diffondere a parte, appena ultimato.
Vi sarà dimostrato che Joseph Ratzinger è essenzialmente un agnostico.
Che il suo agnosticismo rende impossibile l’atto di fede, giacché dell’atto di Fede nega la certezza fondata sull’autorità di Dio.
Che per lui l’esistenza di Dio non è dimostrabile con la ragione (vedi questo numero a pag. 41).
Che per lui credere e non credere sono di fatto due facce del dubitare, dato che il dubbio è inscindibilmente legato alla condizione umana e quindi sia al credere che al non credere.
Che per lui le religioni, come pure, all’opposto, l’ateismo militante, devono essere purificati e messi in difficoltà dall’agnosticismo, se vogliono evitare la devianza della giustificazione della violenza e dell’intolleranza.
Che l’agnostico non ha ricevuto da Dio la possibilità stessa di poter credere, ma ha ricevuto da Dio quell’apertura a Lui (il dubbio) che è già, in fondo, un credere, un essere “pellegrino della verità e della pace”.
La terza riunione di Assisi è stata, ancor più della prima, una riunione di Loggia dove uomini “religiosi” (credenti o non credenti) si riuniscono fraternamente rimanendo ciascuno della propria confessione ma evitando – proprio per restare fraternamente assieme nel servizio dell’Uomo – di parlare di religione (che non sia quella a tutti loro comune) o di pregare secondo i riti di questa o quella religione. Lo “spirito d’Assisi” (promosso dal neo-ministro Riccardi) dimostra che veramente l’ecumenismo e il “dialogo religioso” sono, tramite l’Agnosticismo – la via all’Ateismo, come scrisse papa Pio XI e come viene ricordato in questo numero nell’articolo dedicato alla novella dei Tre Anelli (e a quella dei Tre Impostori).
Che infine l’elogio dell’agnosticismo fatto da Ratzinger non stupisce se si rileggono le pagine dell’enciclica Pascendi dominici gregis di condanna dell’eresia modernista, ove San Pio X spiega come il modernista concili in sé stesso l’essere agnostico e l’essere credente.
Leggendo queste pagine del Santo Papa Pio X, e le parole di Ratzinger, non si può non convincersi che, volente o nolente, consciamente o no, Joseph Ratzinger è, nel senso stretto della parola, nel suo agnosticismo credente, un vero e proprio modernista.
Signore salvaci, e salva la Tua Chiesa!
 
 

Mons. Benigni con San Pio X contro il modernismo

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Sono disponibili i filmati della conferenza tenutasi a Roma il 1 Marzo 2014: Mons. Benigni con San Pio X contro il modernismo
relatore: Don Francesco Ricossa

Monsignor Umberto Benigni

Benigni-Umberto-03Nacque a Perugia nel 1862, fu ordinato sacerdote nel 1884 e subito dopo iniziò la collaborazione ad alcuni giornali cattolici locali.

Nel 1892, dopo la promulgazione della Rerum Novarum, insieme a don Cerruti, promotore delle Casse Rurali, fondò la prima rivista cattolica sociale d’Italia, Rassegna Sociale e divenne caporedattore de L’Eco d’Italia di Genova.

Nel 1895 si trasferì a Roma, dove per dieci anni si occupò di storia ecclesiastica, prima come addetto alla Biblioteca Vaticana e poi come professore al Seminario Romano.

Dal 1900 al 1903 fu anche direttore del quotidiano intransigente La Voce della Verità.
Dal 1902 curò la pubblicazione della Miscellanea di storia e cultura ecclesiastica, primo periodico italiano consacrato alla storia ecclesiastica, che uscirà sino al 1907.
È possibile che gli studi pubblicati sulla Miscellanea siano stati alla base della sua monumentale Storia Sociale della Chiesa, in sette volumi, che si interrompe purtroppo all’età medioevale.

Nel 1904, dopo l’elezione di Pio X, per don Umberto si aprirono le porte dei vertici della Curia vaticana: divenne infatti Sottosegretario degli Affari ecclesiastici straordinari, ritrovandosi ad assumere la quinta carica d’importanza all’interno della Segreteria di Stato.

Si deve al genio di Benigni la paternità della sala stampa vaticana. Per invogliare i quotidiani laici (“indipendenti”) a occuparsi correttamente delle vicende ecclesiastiche, Benigni pensò di ingraziarsi una parte di giornalisti (che oggi chiamiamo “vaticanisti”), riunendoli quotidianamente (ecco la “sala stampa”) e fornendo loro esaurienti (e ben impostate) informazioni, che il giorno seguente erano poi pubblicate su tutti i giornali. La strategia risultò efficace per preparare sulla stampa laica il terreno alla pubblicazione dell’enciclica Pascendi e per neutralizzare, almeno in parte, le successive campagne denigratorie della fazione modernista. Nacque così l’agenzia di stampa Corrispondenza di Roma (il n. 1 uscì il 23/5/1907, il 1282° e ultimo numero il 31/12/1912), che ebbe presto un’edizione francese, Corrispondance de Rome (dall’ottobre 1907). Bollettino “né ufficiale né ufficioso”, rifletteva gli orientamenti della Segreteria di Stato e non tardò a suscitare grandi polemiche negli ambienti cattolici e in quelli politici, come le aspre reazioni del governo massonico della III Repubblica francese.
Dal 1910 al 1912 un settimanale in lingua francese, Cahiers contemporaines, riportava gli articoli più importanti della Corrispondenza.

Nel 1912, pochi mesi prima della chiusura della Corrispondenza, mons. Benigni aprì una seconda agenzia d’informazioni, l’A.I.R. (“Agenzia Internazionale Roma”), col bollettino quotidiano Rome et le monde e il settimanale Quaderni romani, che usciva anche in edizione francese.

Le notevoli capacità organizzative di mons. Benigni diedero vita ad altri organi di stampa, come il Borromeus, per i componenti romani del SP, e il Paulus, indirizzato agli amici giornalisti.
All’estero SP disponeva di alcune pubblicazioni come La Vigie in Francia, la Correspondance Catholique nel Belgio, la Mys Katolycka in Polonia.

Inoltre Benigni era in stretta collaborazione con altre riviste antimoderniste indipendenti da SP, come La Riscossa dei fratelli Scotton e La Critique du libéralisme del sacerdote Barbier, in Francia.

Per dedicarsi maggiormente e più liberamene all’opera intrapresa, don Benigni lasciò l’incarico agli Affari ecclesiastici, sostituito da mons. Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, che nel processo per la canonizzazione di Pio X rimase indifferente alle pressioni di coloro che dipinsero Benigni come l’anima nera di Papa Sarto per impedire che il Pontefice fosse elevato agli altari.

Nel 1911 san Pio X creò per don Umberto un’ottava carica di Protonotario Apostolico Partecipante, il più alto titolo prelatizio, che sino ad allora era limitato a soli sette membri. Il prestigioso titolo fece capire al novello monsignore due cose: innanzitutto la preclusione a una eventuale futura nomina episcopale, ma anche l’incoraggiamento papale a continuare sulla strada intrapresa.
Fin dal 1909 Benigni lasciò l’appartamento in Vaticano e aprì in Via del Corso la “Casa san Pietro”, sede delle sue attività. Qui nacque il Sodalitium Pianum, di cui si è parlato diffusamente nella prima parte di questo numero.
Dopo lo scioglimento definitivo del SP, avvenuto il 25/11/1921, mons. Benigni, seppur amareggiato, seppe trovare la forza d’animo per proseguire le battaglie per l’integralità della Fede. Nel 1923 rilanciò l’AIR con il nome di Agenzia Urbs, che continuò le attività sino al 1928, curando la pubblicazione del bollettino settimanale Veritas e poi del mensile Romana.

Nel 1928 fondò l’Intesa Romana per la Difesa Sociale (IRDS), col motto “Religione, Patria, Famiglia”. È la fase fascistizzante della vita di mons. Benigni, certamente la meno originale e rappresentativa: Benigni cercò di usare il Fascismo in chiave anti-democristiana nello stesso modo in cui il regime usava in modo strumentale la Religione.

Mons. Benigni, calunniato e perseguitato dai suoi nemici, condusse gli ultimi anni della sua vita nella povertà più assoluta. Nella Disquisitio uno dei testimoni, il padre Saubat, intimo collaboratore di Benigni assicurò che Mons. Benigni, pur non avendo la cura delle anime, celebrava ogni giorno la Messa e si confessava ogni settimana nella chiesa di S. Carlo al Corso da un padre mercedario.

Mons. Benigni si spense a Roma il 27 febbraio 1934, “abbandonato e disprezzato dal clero”: al funerale presenziarono “7 o 8 senatori, da 12 a 15 deputati, una legione di giornalisti e persino 12 carabinieri in alta uniforme” ma furono presenti solamente due sacerdoti: il padre Saubat e il padre Jeoffroid.

Quasi 50 anni dopo la sua morte, il pensiero e l’opera di mons. Benigni divennero il punto di riferimento per la nostra rivista Sodalitium (fondata nel 1983).

[Estratto da Sodalitium n. 61]

Fonte: https://www.sodalitium.biz/mons-benigni/

S. Pietro Martire da Verona, l’inquisitore santo ucciso dagli eretici

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Oggi, 29 Aprile, la Chiesa festeggia San Pietro Martire, co-patrono della città di Verona. E’ per noi di Christus Rex motivo speciale per la Sua devozione, soprattutto perché i cattolici fedeli alla Tradizione riuniti nel “Comitato perché la chiesa di San Pietro Martire resti cattolica e contro il relativismo religioso” riuscirono a far cacciare i luterani ivi insediatisi con l’assenso della diocesi alla guida dell’allora “mons.” Flavio Roberto Carraro, il cappuccino ultra-progressista che gliela mise a disposizione. La prima azione riparatrice fu un S. Rosario guidato da don Francesco Ricossa dell’I.M.B.C.

Dopo circa 5 anni di militanza pubblica, tra migliaia di volantini distribuiti in ogni luogo visitato da Carraro, Messe e Rosari riparatori, azioni eclatanti davanti alla Curia, una Processione, lettere di protesta, il Comitato di cui faceva parte attiva il nostro gruppo, riuscì a convincere il nuovo “ordinario diocesano” Giuseppe Zenti a non rinnovare la convenzione coi protestanti, che vennero sfrattati tra le proteste dei fedeli, dei loro pastori, ma soprattutto del “clero” diocesano, allora considerato più autorevole a Verona. Correva l’anno 2010…

Foto di una delle tante manifestazioni di protesta del Comitato davanti alla chiesa e casa natale del Santo martire a Verona, con lo striscione realizzato dal nostro Circolo Christus Rex

 

Segnalazione del Centro Studi Federici

San Pietro Martire è il patrono del Seminario dell’Istituto Mater Boni Consilii di Verrua Savoia (TO): http://www.sodalitium.biz/seminario/
 
29 APRILE SAN PIETRO, MARTIRE
 
L’eroe che la Santa Chiesa presenta oggi quale intercessore a Gesù risorto, ha combattuto così valorosamente da ricevere la corona del martirio. Il popolo cristiano lo chiama san Pietro Martire, di modo che il suo nome e la sua vittoria non si separano mai. Immolato da mano eretica, è stato il tributo che la cristianità del secolo XIII offrì al Redentore. Mai nessun trionfo ebbe acclamazioni così solenni. Nel secolo precedente, la palma raccolta da Tommaso di Cantorbery fu salutata con trasporto da quei popoli che allora amavano soprattutto la libertà della Chiesa: quella di Pietro fu oggetto di un’ovazione simile all’altra. La sua festa veniva celebrata con la sospensione del lavoro, come si faceva nelle antiche solennità, ed i fedeli accorrevano nelle chiese dei Frati Predicatori, portando rami, che presentavano per essere benedetti, in ricordo del trionfo di Pietro Martire. Quest’uso si è mantenuto anche ai nostri giorni nell’Europa meridionale, ed i rami, benedetti in quel giorno dai Domenicani, sono considerati una protezione per le case, nelle quali vengono conservati con rispetto.
 
San Pietro e l’Inquisizione.
Qual era il motivo che aveva potuto infiammare lo zelo del popolo cristiano per la memoria di questa vittima di un odioso attentato?
Pietro soccombette mentre lavorava in difesa della fede, ed i popoli a quei tempi non avevano niente di più caro. Egli aveva avuto l’incarico di cercare gli eretici manichei, che da un pezzo infestavano il Milanese con dottrine perverse e costumi altrettanto deprecabili. La sua fermezza, la sua integrità nel compimento di questa missione, lo esposero all’odio dei Patarini; e quando cadde vittima del suo coraggio, un grido di ammirazione e di riconoscenza si levò dalla cristianità. Niente dunque di più lontano dalla verità, che le invettive dei nemici della Chiesa e dei loro imprudenti fautori, contro le persecuzioni che il diritto pubblico delle nazioni cattoliche aveva decretato per sventare e colpire i nemici della fede. In quei secoli, nessun tribunale fu mai più popolare di quello che era incaricato di proteggere la santa fede, e di reprimere coloro che avevano osato attaccarla.
Che l’Ordine dei Frati Predicatori, incaricati principalmente di questa alta magistratura, gioisca dunque senza orgoglio, come senza timore, dell’onore che ebbe di esercitarla così a lungo per la salvezza del popolo cristiano. Quante volte i suoi membri hanno trovato gloriosa morte nell’adempimento del loro austero dovere! San Pietro Martire fu il primo tra quelli dati dall’Ordine per questa causa; ma i fasti domenicani ne produssero un gran numero: eredi della sua dedizione ed emuli della sua corona. La persecuzione degli eretici non è più che un fatto storico; ma a noi cattolici non è permesso considerarla altrimenti di come la considera la Chiesa. Oggi ella ci ordina di onorare come martire uno dei suoi santi che ha incontrato la morte andando incontro ai lupi che minacciavano le pecorelle del Signore; non saremmo noi colpevoli verso la madre nostra, se osassimo giudicare, altrimenti di quanto lo meritano, quelle lotte che hanno valso a Pietro la corona immortale? Lungi dunque dai nostri cuori di cattolici la vigliaccheria che non osa accettare gli sforzi fatti dai nostri padri per conservarci la più preziosa delle eredità! Lungi da noi quella facilità puerile nel credere alle calunnie degli eretici e dei pretesi filosofi, contro una istituzione ch’essi non possono, naturalmente, che detestare!
Lungi da noi quella deplorevole confusione di idee che mette sullo stesso piede la verità e l’errore, e che, visto che questo non può avere diritti, ha osato concludere che la verità non deve reclamarne!
 
VITA. – San Pietro nacque a Verona nel 1206, da genitori eretici. Prevenuto dalla grazia ed istruito da un sacerdote cattolico, aderì, fin dalla sua giovinezza, alla verità della fede. Studente a Bologna, ben lungi dal lasciarla indebolire, entrò tra i Frati Predicatori, ove si distinse nella pratica delle virtù religiose. Ordinato sacerdote, esercitò il suo ministero nelle province circostanti, vi operò miracoli e numerose conversioni. Nel 1232, Gregorio IX lo nominò Inquisitore generale della Fede. Il suo lavoro per estirpare l’eresia gli procurò l’odio dei manichei. Il 6 aprile 1252, uno di essi lo assassinò mentre si recava a Milano. Il corpo del Martire fu trasportato nella Chiesa dei Domenicani di Milano, e l’anno seguente, Innocenzo IV poteva iscrivere Pietro nell’albo dei santi.
 
Protezione contro l’errore.
Protettore del popolo cristiano, quale altro motivo di quello della carità poteva guidare il tuo lavoro? Sia che la tua parola viva e luminosa riconducesse a verità le anime che erano state ingannate, sia che, affrontando direttamente il nemico, la tua severità lo costringesse a fuggir lontano da quei pascoli che esso veniva ad avvelenare, non avesti che uno scopo: quello di preservare i deboli dalla seduzione. Quante anime semplici avrebbero goduto le delizie della verità divina, che la Santa Chiesa faceva giungere fino ad esse, e che, invece, miseramente ingannate dai propagatori dell’errore, senza difesa contro il sofismo e la menzogna, perdevano il dono della fede e si spegnevano nell’angoscia e nella depravazione!
La società cattolica aveva prevenuto tali pericoli e non sopportava che quell’eredità, conquistata al prezzo del sangue dei martiri, fosse in preda a nemici gelosi, che avevano risolto d’impossessarsene. Ella sapeva che nel fondo del cuore dell’uomo, decaduto per la colpa, spesso si trova un’attrattiva verso l’errore, e che la verità, immutabile in se stessa, ha la sicurezza di rimanere in possesso della nostra intelligenza solo quando è difesa dalla scienza e dalla fede: la scienza, che è retaggio di pochi, e la fede, contro la quale l’errore cospira senza tregua, sotto le apparenze della verità. Nelle epoche cristiane si sarebbe ritenuto tanto colpevole quanto assurdo garantire all’errore la stessa libertà che è dovuta alla verità, ed i pubblici poteri si consideravano investiti del diritto di vegliare sulla salvezza dei deboli, allontanando da essi le occasioni di cadere, come fa un padre di famiglia quando si prende cura di salvaguardare i suoi bambini da quei pericoli che sarebbero tanto più funesti, quanto più la loro inesperienza non glieli farebbe avvertire.
 
Amore della fede.
Ottienici, o Martire santo, una stima sempre più grande di questo dono prezioso della fede, che ci mantiene nella via del cielo. Veglia con sollecitudine, affinché essa venga conservata in noi ed in tutti quelli che sono affidati alle nostre cure. L’amore di questa fede santa è andata in molti affievolendosi; il contatto con chi non crede li ha abituati a compiacenze di pensiero e di parola che li hanno snervati. Richiamali, Pietro, a quello zelo per la verità divina che deve essere la caratteristica principale del cristiano. Se nella società in cui vivono tutto cospira per eguagliare i diritti dell’errore a quelli della verità, che essi si sentano maggiormente obbligati a professare la verità ed a detestare l’errore. Ravviva dunque in tutti noi, o martire santo, l’ardore della fede: “senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Ebr 11,6). Rendici delicati su questo punto d’importanza capitale per la nostra salvezza, affinché, accrescendosi sempre più la nostra fede, meritiamo di vedere in cielo, per l’eternità, ciò che fermamente avremo creduto sulla terra.
 
Da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 582-584
 
 
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