Il mondo multipolare, vero incubo dell’élite di potere statunitense

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di Luciano Lago

L’ingerenza degli Stati Uniti e della NATO nell’Asia si va sviluppando in forma sempre più manifesta e pressante.

Washington, come una piovra, penetra nel sistema di sicurezza dell’Asia con i suoi tentacoli. La denuncia di questa ingerenza USA è stata sollevata nel corso di una un’intervista con il capo del dipartimento diplomatico russo, Sergei Lavrov.

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov , in una conversazione con Dmitry Kiselev, amministratore delegato del gruppo di media internazionali Russia Today (censurato in Occidente), ha evidenziato uno dei problemi più urgenti nelle relazioni internazionali: il crescente coinvolgimento dei paesi occidentali nel sistema di sicurezza asiatico. Lo stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, lo scorso 30 gennaio, durante una visita in Corea del Sud, ha affermato che “l’intensificarsi dei legami” con i Paesi della regione indo-pacifica è una prospettiva auspicabile e uno dei principali obiettivi dell’Alleanza. Risulta che il blocco occidentale guidato dal suo braccio militare, la NATO, stia insistentemente cercando una sponda in Asia e nella regione Indo Pacifico, per poter estendere il proprio controllo militare con l’obiettivo di contenere e mantenere sotto controllo le vie di collegamento strategiche della Repubblica Popolare Cinese.

Nonostante l’attività bellica di supporto all’Ucraina ed il coinvolgimento della NATO nel conflitto con la Russia, la volontà dell’egemone di estendere il proprio controllo militare sembra non abbia limiti e si voglia proiettare in tutto il pianeta.

La NATO non intende limitarsi all’area euro atlantica ma vuole proiettarsi verso l’Asia e l’Indo Pacifico nel suo costante sforzo di contenere la presunta minaccia della Cina. Quella della Cina come minaccia per l’Occidente non è una storia nuova, visto che è stata descritta come tale la scorsa estate nel documento descritto come “il Nuovo Concetto strategico della NATO 2022 ”.

In tale documento si sostiene che che la Cina usa la sua leva economica per creare dipendenze strategiche e aumentare la sua influenza. Oltre alla guerra commerciale a tutto campo, i paesi della NATO guidati dagli Stati Uniti conducono regolari esercitazioni tattiche e navali nella regione, come il “Super Garuda Shield” indonesiano, il più grande dal 2009, o esercitazioni congiunte USA-Canada nel Mar Cinese Meridionale.

Delegati statunitensi, fra cui l’influente vicesegretario di Stato, Victoria Nuland, si sono recati in visita in Nepal, ai confini della Cina, per cercare di influenzare questo paese con l’obiettivo di far allentare i legami con Pechino e proporre una forma di cooperazione ed alleanza con gli USA.

Instancabile è poi l’attività di informazione e propaganda mediatica su vasta scala: vengono regolarmente pubblicati articoli scientifici e giornalistici con il leitmotiv della “minaccia cinese”. Foreign Affairs, una delle maggiori riviste americane di studi internazionali, ha fatto di Xi Jinping e del sistema ideologico cinese i temi principali del numero di novembre/dicembre 2022. La frase di Mao Zedong è ben nota in tutto il mondo: “Il popolo cinese si è alzato in piedi”. Tanto che la NATO è entrata in allarme per il pericolo di una espansione del gigante cinese che possa mettere nell’angolo la presenza occidentale nel grande continente asiatico.

Per non parlare delle pressioni diplomatiche ed i ricatti economici che Washington sta esercitando sull’India per convincere questo grande paese asiatico a sostenere la campagna di sanzioni contro la Russia. Tutto però è stato inutile e l’India ha riaffermato e consolidato la sua partnership con la Russia di Putin.

In prospettiva non soltanto l’espansione della potenza cinese è una minaccia per l’egemonia USA ma il più grave pericolo è costituito dal diffondersi del multipolarismo e dagli equivalenti legami multilaterali, di cui Pechino è il centro di riferimento per molti paesi. Per contrastare tale pericolo si è costituito il partenariato strategico NATO-UE che deve affrontare le sfide sistemiche alla sicurezza euro-atlantica, che, come dichiara la NATO, oltre alla Russia, sono create dalla Cina.

Non è un mistero che Washington ha visto con molta preoccupazione l’incremento di cooperazione economica fra la UE e la Cina che ha fatto diventare quest’ultima il principale partner della UE mentre gli Stati Uniti sono di conseguenza passati al secondo posto, secondo Eurostat. Questa è considerata da Washington una sfida non soltanto economica ma anche una minaccia alla sicurezza euro-atlantica.

La perdita dell ‘”esclusività” americana e del ruolo dominante degli Stati Uniti è un vero incubo per la NATO, che sta cercando con tutte le sue forze di contenere l’influenza cinese nei paesi del continente asiatico e non soltanto in quello.

Di contro la Cina è riuscita in questi anni a tessere la sua tela ed a coinvolgere nella sua Belton Road di sviluppo e di cooperazione oltre 150 paesi. Con molti di questi la cooperazione non si limita all’ambito economico ma si estende anche ai settori dell’energia, delle sviluppo tecnologico e dell’ambito militare.

Questa competizione con gli Stati Uniti è considerata essenziale dalle autorità di Pechino che sono impegnate a creare una rete di protezione per evitare le trappole e i ricatti che costantemente le vengono tesi dagli incaricati di Washington.

D’altra parte il gruppo di potere che dirige la politica USA è ben convinto che il vero competitor degli Stati Uniti è la Cina e che quest’ultima si sta avvantaggiando del prolungarsi del conflitto in Ucraina che vede impegnati gli USA e la Russia, con la Cina in una posizione attendista.

Entra in gioco l’enigma cinese che vede nella questione ucraina un’opportunità non solo per aumentare la propria influenza nel sistema internazionale, ma anche per avvicinarsi a una posizione di leadership.

Per quanto non coinvolta nel conflitto, Pechino ha già deciso che assumerà la posizione secondo cui all’Occidente non dovrebbe essere permesso di mettere in ginocchio la Russia o sforzarsi di esaurirla. Per questo motivo la Cina non assisterà passivamente ad una possibile vittoria degli USA e della NATO in Ucraina perchè da questa Washington rafforzerebbe la sua leadership che oggi è fortemente messa in discussione.

Una cosa è certa: a prescindere dall’esito del confronto, il mondo unipolare a guida USA si avvicina al suo definitivo tramonto che piaccia o no agli strateghi della Casa Bianca.

Foto: Idee&Azione

5 febbraio 2023

Fonte: https://www.ideeazione.com/il-mondo-multipolare-vero-incubo-dellelite-di-potere-statunitense/

Castagna a Telenuovo: “Chiudere i Centri sociali, ricettacolo di odio e violenza politica”

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di Redazione

Il nostro Resp. Naz. Matteo Castagna ospite, ieri, dalle 12.40 alle 14.30 circa via Skype di Rosso&Nero, la trasmissione di approfondimento e dibattito condotta da Mario Zwirner su Telenuovo:

Presenti il segretario del PD di Padova Franco Conti, Settimo Gottardo, indipendente di Centro, già sindaco patavino, il sindaco di Vigonza Gianmarco Boscaro di Centrodestra. Ecco le tematiche trattate:
Giusta la presenza di Zelensky a Sanremo? I primi 100 giorni di Meloni premier. La gestione dell’immigrazione ai sindaci. Pugno di ferro del governo con gli anarchici, Castagna chiede la chiusura dei Centri Sociali, ove i “valori” sono odio e violenza politica!

LA REGISTRAZIONE DELLA PUNTATA: https://play.telenuovo.it/rosso-e-nero/tit-13244206

 

La finzione della guerra per difendere l’Ucraina è definitivamente caduta

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di Luciano Lago

Le élite di Washington e di Bruxelles ammettono ormai il vero disegno progettato per la guerra in Ucraina istigata e pianificata dagli Stati Uniti.

L’obiettivo era ed è la distruzione dell’integrità della Federazione Russa come stato e la sua disarticolazione per permettere agli Anglo USA di prendere il controllo dell’Eurasia e accedere alle sue enormi risorse.

Questo piano emerge non solo dai documenti scritti nero su bianco almeno tre anni prima (vedi quanto scriveva la Rand Corporation), ma anche da quello che emerge dagli incontri di Davos, dove il linguaggio è ormai scoperto e si sono abbandonati gli ipocriti appelli a “salvare la democrazia ucraina”, quella dominata dai gruppi neonazisti che assassinano gli oppositori o li fanno sparire, mentre viene appiccato il fuoco alle chiese ortodosse e perseguitato il clero ortodosso. Una democrazia che vedono solo loro e che viene rivenduta come argomento di propaganda per coprire le nefandezze commesse in quel paese.

L’élite finanziaria anglo sassone dominante oggi parla apertamente della necessità di impadronirsi delle risorse della Russia che non devono essere lasciate soltanto nella disponibilità dei russi. I veri obiettivi celati dietro la pianificazione delle azioni aggressive di Washington, l’espansione senza fine della NATO, l’utilizzo dell’Ucraina come piattaforma di attacco contro la Russia, adesso sono scoperti. Il destino degli ucraini destinati a fare da carne da cannone nella guerra contro la Russia interessa poco o niente all’élite di Washington, come questa non si è mai interessata al destino degli iracheni, dei libici, dei siriani o degli afgani e di tutti gli altri sacrificati per gli interessi egemonici degli Stati Uniti.

Questo spiega l’accrescere progressivo della retorica bellica dei neocon e delle loro reggicoda europei della NATO che sono pronti a intensificare il conflitto fino alla terza guerra mondiale, e neppure la minaccia nucleare, paventata come inevitabile sviluppo dalla Russia, potrà fermarli. Sembra che tutto sia stato già deciso da tempo e il piano deve essere portato a compimento, costi quel che costi.

Si comprende quindi la mancanza di volontà politica dei governi europei per cercare di risolvere il conflitto o di trovare una formula di negoziati. Washington ha sabotato qualsiasi tentativo di mediazione e tiene per le palle l’ex comico Zelensky, divenuto ormai una patetica marionetta, che lancia continui appelli per ricevere altre armi e finanziamenti. Le sceneggiate continuano e si prevede anche una sua comparsata in Italia a Sanremo. La regia di Hollywood non gli basta più.

Tuttavia, il tempo sta scadendo anche per Zelensky ed è probabile che si avvicini il momento di un rimpasto a Kiev e questo non sarà indolore per l’ex comico, come di frequente accaduto per le marionette degli USA, sempre destinate a fare una brutta fine.

Da ultimo si sono udite le parole dell’altro personaggio che ha la stessa valenza dell’ex comico, Joseph Borrel, l’alto rappresentante della UE, quello che aveva dichiarato “l’Europa come giardino incantato mentre fuori c’è un jungla”. Borrel ha paragonato il conflitto in Ucraina alle guerre passate condotte contro la Russia da parte di Napoleone e di Hitler. ““La Russia è un grande Paese, è abituata a combattere fino alla fine, è abituata a quasi perdere e poi a ripristinare tutto. L’hanno fatto con Napoleone, l’hanno fatto con Hitler (……). Pertanto, è necessario continuare ad armare l’Ucraina”, ha dichiarato Borrel.

Inutile commentare quale sia la logica di tali dichiarazioni, sarebbe tempo perso.

Altri politici occidentali, come la vicepremier canadese, Chrystia Freeland, hanno espresso concetti simili nella enclave di Davos, affermando che la sconfitta della Russia “sarebbe un enorme impulso per l’economia globale”.

Non per niente il Canada (assieme agli USA) è stato uno dei paesi che storicamente hanno accolto e protetto i gruppi nazisti ucraini e li hanno poi trasferiti in Ucraina dopo il crollo dell’URSS per utilizzarli come massa di manovra antirussa.

Le sconfitte continue sul campo e le enormi perdite subite dall’esercito ucraino fanno innervosire i vertici della NATO che insistono presso i governi occidentali per ottenere più carri armati, più armi e più attrezzature mentre si rende evidente che Washington e la NATO non solo mantengono l’esercito ucraino, ma forniscono anche le necessarie informazioni di intelligence, comandano le truppe ucraine sul campo di battaglia e hanno preso il controllo del processo decisionale militare.

Mentre Washington prepara nuovi pacchetti di aiuti, l’ultimo da 2,5 miliardi di dollari (che finiscono nel pozzo senza fondo di Kiev), le forze ucraine vengono addestrate in Germania, Regno Unito ed in altri paesi della NATO per l’utilizzo degli armamenti occidentali.

Come riferito da tutti i rapporti, il comando USA/NATO è quello che pianifica per l’esercito ucraino le possibili controffensive sul campo, impartisce ordini, fornisce l’intelligence per localizzare gli obiettivi russi da colpire attraverso i suoi aerei da avvistamento che sorvolano costantemente nei pressi dello spazio aereo russo e ucraino. Ultimamente il comando USA incita apertamente le forze ucraine a colpire il territorio della Federazione russa e in particolare la Crimea.

Si aggiungono a tutto questo le farneticanti dichiarazioni di Stoltenberg, il segretario della NATO, il quale dichiara che “. è necessario accelerare la fornitura all’Ucraina di armi più pesanti e avanzate per far capire alla Russia che non vincerà sul campo di battaglia”. Dichiarazioni rilasciate dopo un incontro con il ministro della difesa tedesco, Boris Pistorius.

Fornire Kiev con sistemi d’arma avanzati può essere l’unica via per la pace, aggiunge Stoltenberg.
In sostanza, quelli che si considerano i “padroni del mondo” si sentono in diritto di affermare che la potenza nucleare per eccellenza, la Federazione Russa, debba rassegnarsi alla sconfitta alle porte di casa propria nel territorio che le appartiene. Una dichiarazione farneticante che rivela quale sia il livello di onnipotenza della élite occidentale.

La reazione della leadership russa è molto meno misurata di prima e altrettanto dura e decisa: si parla apertamente di misure di ritorsione che potranno colpire non solo l’Ucraina ma anche gli interessi occidentali con utilizzo di “nuove armi” mai prima utilizzate. Chi vuole capire capisca ma non è difficile intendere che sono saltate tutte le linee rosse che la dirigenza russa aveva posto già molto tempo prima della operazione speciale in Ucraina. Le autolimitazioni che Mosca di era data nell’utilizzo dell’offensiva in Ucraina stanno venendo meno di fronte all’aggressività dell’occidente.

Di fronte alla prospettiva di un attacco portato avanti dalla NATO contro le città russe in Crimea o in altri territori, l’atteggiamento cambia e le dichiarazioni dei vari membri della leadership russa lo fanno intendere. L’occidente sta portando il mondo verso una catastrofe globale. Se Washington e i paesi della NATO, con la fornitura di armi a lungo raggio, spingeranno le forze ucraine ad attaccare città sul territorio russo o peggio, a tentare di impadronirsi dei territori russi, questo porterà a misure di ritorsione che renderanno il conflitto totalmente diverso da come appare oggi.

Questa la sostanza degli avvertimenti lanciati dalla Russia all’occidente. Dietro l’angolo c’è un allargamento definitivo del conflitto con il coinvolgimento di altre potenze e possibile utilizzo di armi nucleari, sulla base della dottrina russa.

 

A questo risultato ha portato la caparbia volontà delle élite europee di assecondare il piano di attacco USA contro la Russia, mascherato dietro il conflitto in Ucraina.

Quello che traspare, dalle dichiarazioni e dai rapporti che arrivano da Mosca, è che il presidente Putin, nel suo prossimo discorso previsto a giorni, si accinge a cambiare l’impostazione del conflitto da “operazione speciale” a guerra patriottica”, sulla base delle esplicite minacce alla sicurezza della Russia ed alla volontà dichiarata dell’Occidente a guida USA di voler distruggere la Russia.

Questo significa che tutte le risorse e le forze dal paese saranno gestite in funzione dello sforzo bellico, in modo simile a quanto avvenuto ne 1942/45 quando la Russia fu attaccata dalla Germania e dai suoi alleati. La situazione è ormai paragonabile a quella della Seconda guerra mondiale e Putin si prepara a varare una economia di guerra con mobilitazione totale contro il nemico, senza guardare in faccia nessuno. Tale impostazione permetterà allo stesso Putin di effettuare i cambiamenti necessari (probabile nazionalizzazione delle grandi imprese) e soppressione delle varie quinte colonne interne dell’occidente.

In definitiva la Russia prende atto della sfida esiziale in corso da parte dell’Occidente collettivo sotto guida USA e si organizza per combattere con tutte le sue forze.

Lo scenario della catastrofe si avvicina sempre più….

Foto: Idee&Azione

27 gennaio 2023

Zelensky a Sanremo

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di Antonio Catalano

Il Festival di Sanremo potrebbe essere l’occasione per il popolo italiano per seguire una competizione canora all’insegna della spensieratezza e del piacere di ascoltare nuove proposte. Ci sono sempre stati quelli che ogni anno si dissociavano perché la ritenevano una manifestazione nazional popolare, quindi priva di “cultura” alta, così esprimendo un atteggiamento radical chic. Il fatto, purtroppo, è che da un bel po’ di tempo, a partire dagli anni ’90, di competizione canora ce n’è ben poca, i giochi si fanno prima, a seconda dell’aria che tira e degli interessi commerciali della grande distribuzione discografica. Ma il fatto fastidioso è Sanremo diventato una grande passerella, alla quale sono invitati le “migliori” espressioni del pensiero, “artistico” e non, omologato. Operazione tesa a “educare” gli italiani secondo i dettami del pensiero uniformante, fatto di fluidità sessuale (e di regolari baci in bocca non etero), di antirazzismo da operetta, di ambientalismo della grande finanza, di trasgressività concordata con il potere e menate di questo tipo. Una sorta di prolungamento musicale di quel tg 1, che rimane la fonte di principale stordimento nazionale, in cui l’informazione è presentata come un susseguirsi di fatti trattati alla “Novella 2000”: gossip, luoghi comuni, banalità, re e regine, fatti presentati senza approfondimento critico eccetera (non che gli altri siano meglio, ma il tg1 è maestro in questo campo). Il Tg1 di ieri riserva in ultima notizia la “sorpresa” (oh, guarda un po’!) dei Maneskin super ospiti al festival, gli stessi che qualche giorno fa hanno inscenato la misera sceneggiata del “matrimonio” (come distruggere la sacralità di questo rito) prima dell’uscita del loro nuovo album “Rush”. Ma quest’anno la grande “sorpresa” è data dalla presenza nell’ultima serata (in collegamento da Kiev) di Zelensky. Operazione tramata dal gran ciambellano Bruno Vespa e raccolta con entusiasmo («Sono felice di avere questo collegamento») dal conformista baciapile dell’establishment dello spettacolo Amadeus. E qui non c’è più da scherzare. Si tratta di una vera e propria operazione di guerra (che si sa, si combatte anche con le armi della diplomazia, della cultura, dello spettacolo, dello sport, dell’arte…), che si inserisce nel quadro del pieno e sciagurato coinvolgimento bellico che i nostri governi hanno deciso da un anno a questa parte, con l’accelerazione atlantista del governo Meloni. E questo non si può accettare. Non si può accettare che il pupazzo ucraino (il cui popolo è diventato carne da macello per la strategia di dominio geopolitico americana) in quota Nato imperversi anche al festival di Sanremo, tradizionalmente grande appuntamento dell’intrattenimento nazionale. Qui non si tratta di spegnere la tv o girare canale, si tratta di esprimere la piena ostilità a questa campagna di guerra che stanno attrezzando sopra le nostre teste. Zelensky a Sanremo è il senso dell’accettazione della logica di guerra che gli americani vogliono infondere negli italiani (come nei popoli europei). Ben venga quindi qualsiasi manifestazione di protesta ferma e decisa tesa a impedire che questo scempio vada in onda sulla tv nazionale.
NO ZELENSKY A SANREMO!

Disinformazione in Ucraina

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di Dough Bandow

Il senatore del Kentucky Mitch McConnell, un repubblicano che nominalmente rappresenta lo Stato americano e serve il popolo americano, ha recentemente dichiarato che l’Ucraina è la priorità assoluta di Washington. A quanto pare non capisce dove si trova la sua lealtà e dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di candidarsi in Ucraina, magari in un’area vicina a Kiev.

I funzionari ucraini non hanno dubbi. Sono al servizio dell’Ucraina e sono disposti a gettare gli americani nel caos e persino a trascinare gli Stati Uniti in una guerra, se ciò fa comodo agli interessi di Kiev. Perché? Perché, a differenza di McConnell, la leadership ucraina dà priorità agli interessi nazionali.

Data la convinzione di Kiev che l’Ucraina sia Uber Alles, i funzionari ucraini sono molto scontenti degli americani, che hanno la temerarietà di sostenere che le politiche di Washington dovrebbero riflettere innanzitutto gli interessi americani. Ad esempio, pur sostenendo gli aiuti a Kiev e le sanzioni contro la Russia, ritengo che l’imperativo per Washington sia garantire la sicurezza, la libertà e la prosperità degli americani: ciò significa limitare le possibilità di escalation e di espansione del conflitto e ridurre i futuri obblighi finanziari dell’America. Washington dovrebbe anche insistere per spostare la responsabilità della difesa agli evasivi europei, che ora stanno persino rinnegando le promesse fatte mesi fa di aumentare lo sforzo militare.

Di conseguenza, mi ritrovo nella lista di odio dell’operazione di propaganda ucraina, il cosiddetto Centro per il contrasto alla disinformazione, finanziato in parte dai contribuenti statunitensi. Gli operatori di Kiev non cercano di mettere in discussione le argomentazioni di coloro che si rifiutano di mettere l’Ucraina al primo posto. Il CCD accusa piuttosto i negazionisti di promuovere la propaganda russa piuttosto che quella ucraina. Sebbene le loro opinioni siano state espresse da “propagandisti non russi”, il CCD ha dichiarato che “promuovono narrazioni coerenti con la propaganda russa”. Non è sufficiente che il Congresso apra ampiamente i caveau del Tesoro e gli arsenali del Pentagono a Kiev. Tutti gli americani devono parlare con una sola voce, cantare ovazioni in onore del governo Zelensky e unirsi intorno agli obiettivi militari dell’Ucraina.

Almeno non sono l’unico sulla “lista nera” del CCD. Tra gli altri accusatori di Putin ci sono, ovviamente, Tucker Carlson di Fox News e, meno ovviamente, John Mearsheimer dell’Università di Chicago, che ha descritto nei dettagli la cattiva condotta degli Stati Uniti e dei suoi alleati che ha causato la crisi attuale. Incredibilmente, anche il nome dell’economista Steve Hanke, con cui ho lavorato ai tempi dell’amministrazione Reagan, è apparso sulla lista nera. Anche il giornalista Glenn Greenwald e l’economista Jeffrey Sachs, tra gli altri americani, fanno parte della lista.

Nonostante le dichiarazioni esplicite del governo Zelensky, continuo a credere che un’aggressione brutale sia un’aggressione brutale, ma la famosa lista CCD suggerisce che Kiev ha paura del dibattito razionale e della politica razionale.

Come già detto, ritengo che Mosca si sbagli di grosso nel proseguire l’operazione speciale. Detto questo, se Kiev ha intenzione di scagliarsi contro chi non va a letto cantando “Ucraina la bella” e “Dio benedica Zelensky”, allora ripagare il debito sembra giusto. Pensate alle carenze di Kiev e a quanti politici americani come McConnell, analisti e giornalisti si sono trasformati in spudorati propagandisti ucraini.

L’Ucraina è più libera della Russia, ma difficilmente rappresenta l’ideale democratico. Anche prima che Mosca lanciasse la sua operazione speciale, Freedom House valutava l’Ucraina solo “parzialmente libera”. La valutazione: “La corruzione rimane pervasiva e le iniziative governative per combatterla hanno incontrato resistenza e sono fallite. Gli attacchi a giornalisti, attivisti della società civile e gruppi di minoranza sono frequenti e la risposta della polizia è spesso inadeguata. Il collega del Cato Institute Ted Galen Carpenter cita “gli sforzi per soffocare le critiche interne” e altre tendenze autoritarie. Nel 2019, solo il 9% degli ucraini si fidava del proprio governo e il 12% delle elezioni ucraine.

Nel 2014 l’Ucraina ha vissuto una transizione politica non democratica, ma ampiamente accolta dall’Occidente. La rivoluzione di Maidan è stata guidata dalla strada, non dal voto. Yanukovych, benché corrotto, è stato eletto in un’elezione che molti ritenevano libera, ma l’elettorato era profondamente diviso: l’est era legato alla Russia e l’ovest era orientato verso l’Europa e l’America. Era terribilmente corrotto, ma seguiva la fallimentare presidenza di Viktor Yushchenko, che si era classificato quinto al primo turno delle elezioni con solo il 5,5% dei voti. Kiev si trovava nel territorio dell’opposizione e naturalmente attirava gli oppositori di Yanukovich. I sondaggi dell’epoca mostravano che l’opposizione era sostenuta da circa la metà della popolazione, mentre Yanukovych manteneva un livello di sostegno del 40% – e parlare contro di lui equivaleva a un colpo di stato contro un leader cattivo ma legittimamente eletto. I cittadini dell’Est hanno preferito i legami economici con la Russia a quelli con l’Europa. Quattro anni dopo, il Paese è rimasto fortemente diviso, con gli abitanti dell’Ucraina occidentale che hanno definito il Maidan una lotta per i “diritti e i valori europei” e quelli dell’est che lo hanno definito un “colpo di Stato organizzato dall’Occidente”.

Zelensky non è affatto esente da colpe. Prima dell’invasione della Russia, ha perseguito l’ex presidente e potenziale futuro avversario Petro Poroshenko per tradimento. Questo procedimento è stato molto simile al modo in cui Yanukovych, caduto in disgrazia, ha imprigionato la sua perenne avversaria Yulia Tymoshenko. Freedom House ha inoltre osservato che:

Zelensky e due dei suoi più stretti collaboratori sono stati coinvolti in attività finanziarie offshore in ottobre, dopo la pubblicazione dei Pandora’s Papers, una serie di documenti che rivelano le attività offshore di leader politici e altre figure di spicco in tutto il mondo. Nello stesso mese, l’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) ha riferito che Zelensky ha creato società offshore prima di diventare presidente, ma ha continuato a trarne profitto anche dopo il suo insediamento.

Nonostante il suo coinvolgimento in schemi di corruzione, Zelenski ha apparentemente cercato di attirare gli Stati Uniti e la NATO nella guerra, sostenendo che l’attacco missilistico ucraino alla Polonia è stato causato dalla Russia. Se l’Occidente poteva facilmente determinare l’origine e la traiettoria del missile, lo stesso poteva fare l’esercito ucraino. O qualcuno ha mentito a Zelensky o lui ha mentito all’Occidente, che sta sostenendo la sua guerra. In ogni caso, dovrebbe essere ovvio che Washington e Bruxelles non possono fidarsi di Kiev. Un leader straniero che ritiene sia nel suo interesse coinvolgere l’America in una guerra con una grande potenza, potenzialmente sfociante in una guerra nucleare, non è un amico e, francamente, è più pericoloso della Russia.

L’Ucraina e i suoi alleati ingannano abitualmente Mosca. L’Occidente ha sempre mentito a Mosca sull’espansione della NATO e ha anche ingannato l’Ucraina sull’adesione all’alleanza transatlantica. Poroshenko, predecessore di Zelensky, ha ammesso che gli “accordi di Minsk” tra Kiev e Mosca, sostenuti dall’Europa, non sono mai stati destinati a essere attuatilo stesso ha fatto di recente l’ex cancelliere tedesco Angela Merkel. Gli alleati dicono comprensibilmente di non potersi fidare di Mosca. Ma perché la Russia dovrebbe prendere sul serio le promesse ucraine o degli alleati?

Gli Stati Uniti non accetterebbero mai un comportamento simile da parte della Russia. Immaginate se Mosca estendesse il Patto di Varsavia al Sud America, facilitasse il rovesciamento di un governo filoamericano regolarmente eletto in Messico e poi invitasse le nuove autorità a unirsi al Patto di Varsavia. L’isteria di massa a Washington sarebbe intervallata da richieste di una risposta dura, fino alla guerra. Pur ammantandosi di moralità, Washington sta attivamente strangolando Cuba e il Venezuela dal punto di vista economico per installare governi più amichevoli. Dopo tutto, si trovano nella sfera di influenza degli Stati Uniti, come stabilito due secoli fa dalla Dottrina Monroe.

Nessuno di questi fattori cambia il fatto che il comportamento della Russia è criminale e che gli Stati Uniti dovrebbero aiutare l’Ucraina a difendere la propria indipendenza. Tuttavia, gli attacchi ucraini agli americani per aver messo gli Stati Uniti al primo posto servono a ricordare che gli americani devono difendere i loro interessi contro tutte le minacce, compresi i falsi amici come Kiev. Altrimenti, Washington rischia di trovarsi invischiata in una guerra aspra e sanguinosa che non è la sua. Forse è giunto il momento che gli Stati Uniti istituiscano un proprio Centro per la lotta alla disinformazione, focalizzato sull’Ucraina.

Traduzione a cura della Redazione

Foto: Controinformazione.info

Fonte: https://www.ideeazione.com/disinformazione-in-ucraina/

Ucraina, piatto ricco mi ci ficco

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di Fabrizio Casari

Fonte: Altrenotizie

La trattativa per un cessate il fuoco in Ucraina non sembra nemmeno sul punto di nascere ma in realtà tutti gli addetti ai lavori sanno che da tempo ormai gli Stati Uniti, di fronte all’insostenibilità militare e finanziaria del confronto tra Ucraina e Russia, hanno dato luce verde alla CIA per dare vita ad una ipotesi di negoziato con mediazioni varie, ultima arrivata quella indiana.

C’è da essere fiduciosi sull’apertura di un negoziato? Tutto il sistema politico e mediatico scommette sulla sua impraticabilità, pur se in qualche momento di lucidità ne ravvisa l’improcrastinabilità, dato che Kiev è allo stremo e ancor più lo sono le finanze europee. A sostegno deciso di un’ipotesi che vorrebbe la fine della guerra in Aprile, arriva ora una notizia di assoluto interesse.

Il più grande fondo speculativo del mondo, Blackrock, il cui peso è dato dal volume dei suoi affari (ottomila miliardi di Dollari in portafoglio) e dalla rinomata influenza sulla politica statunitense, lavora alla raccolta fondi per la ricostruzione post-bellica dell’Ucraina. Le stime minori per rimettere in piedi il Paese arrivano a 350 miliardi di Dollari, quelle più pesanti si spingono a mille miliardi di Dollari.
Per la Blackrock sarebbe uno dei più colossali affari di questo decennio e, di fronte a questa prospettiva, non c’è afflato ideologico statunitense che tenga il confronto.

L’eventualità che ciò si realizzi rappresenterebbe una nuova applicazione sul campo della strategia “distruggi e terrorizza” poi divenuta “distruggi e ricostruisci”, iniziata con la prima guerra in Irak. La strategia prevede la distruzione dei paesi ostili a Washington, che oltre a liberarsi di avversari politici che questionano la sua legittimità di dominare il mondo a loro esclusiva convenienza, produce prima un gran guadagno per il settore bellico, volano centrale dell’economia statunitense, poi un business altrettanto grande per la ricostruzione di quello che prima si è distrutto.

Infatti, la fine delle ostilità si chiude sempre con in allegato un contratto che favorisce le multinazionali estrattive e le aziende di costruzione statunitensi, ai quali si aggiungono poi succosi contratti che il Pentagono firma con le società di mercenari incaricata di vegliare sul personale civile e diplomatico statunitense durante tutti gli anni della ricostruzione. I becchini si fanno medici: il tritolo di ieri diventa il cemento di domani.

La strategia del “distruggi e ricostruisci” è quindi portatrice per gli USA di grandi successi economici, oltre che geopolitici, ed è appunto legata ai successi militari a stelle e strisce. Infatti è fallita solo in Afghanistan e Siria, dove gli Stati Uniti hanno raccolto figuracce e disseminato il campo di mine e fughe. A Kabul sono stati letteralmente cacciati da alcune migliaia di uomini in ciabatte e turbante, a Damasco invece – aiutati da Iran e Hezbollah, oltre che dai siriani – ci hanno pensato i russi, che sono intervenuti ed hanno sbaraccato in poco tempo l’Isis e tutta la Nato.

Le tasche piene dei soliti noti

Dal punto di vista politico, economico e militare gli USA non usciranno comunque dall’Ucraina. La Monsanto (ora Bayern) resterà proprietaria della quota enorme di terra ucraina ottenuta praticamente in forma gratuita. Si è fantasticato in propaganda sull’impatto che l’assenza di grano ucraino sul mercato avrebbe sulla crisi alimentare africana, ma era una colossale fake news. I raccolti ucraini vanno per il 95% in Europa, in Africa solo va il 5% degli stessi.

L’acquisizione di campi coltivabili fu semplice, non certo un ricordo nobile per la sovranità ucraina. Monsanto ha preso le terre, i diritti di sfruttamento e persino i finanziamenti internazionali per la produzione, che l’Ucraina richiedeva e gli statunitensi incassavano. Secondo una interrogazione parlamentare di Die Linke al Bundestag, ci fu una linea di credito da  17,000 milioni di dollari concessa all’Ucraina nel 2014 da parte delle istituzioni finanziare internazionali guidate dal Fondo monetario internazionale e il denaro utilizzato da Kiev per far ripartire le coltivazioni. Se le accuse di Die Linke fossero vere, saremmo al paradosso di un governo che riceve finanziamenti che poi dà alle imprese straniere per fare landgrabbing in casa propria.

Idem dicasi per i 37 laboratori biologici per la guerra batteriologica aperti e gestiti dai militari USA in territorio ucrainoSecondo il Cremlino il Pentagono ha finanziato la modernizzazione di almeno sessanta laboratori biologici segreti lungo i confini cinese e russo e il ministero degli Esteri cinese afferma che dispone dei dati che mostrano che Washington ha 336 laboratori sotto il suo controllo in 30 stati al di fuori della giurisdizione nazionale.

Si ricordi che gli esperimenti sul guadagno di funzione, cioè gli studi che permettono di modificare geneticamente un virus animale al fine di trasformarlo in un patogeno che possa essere trasmesso da uomo a uomo, sono vietati negli Stati Uniti dal 2014. In questo l’Ucraina è una cuccagna: agli statunitensi i risultati degli esperimenti, agli ucraini i rischi di possibili contaminazioni.

I laboratori resteranno saldamente nelle mani statunitensi, così come saranno gli Stati Uniti i maggiori creditori dell’Ucraina, che dovrà passare l’eternità a risarcire Washington per le forniture di armamenti, che tutti fanno finta di credere siano aiuti quando in realtà sono contratti di vendita.

Dovranno rinunciare, forse, alle ricche miniere del Donbass ed ai relativi affari di Hunter Biden, che andrà a tirare crack altrove. Del resto il potere d’interdizione del Presidente Biden non sarà più quello avuto fino ad ora; le elezioni di middle term e la sua demenza avanzata lo rilegano ormai a un puro ruolo raffigurativo. La stessa ridicola cerimonia di Zelensky al Congresso con l’esultanza di congress-man democratici ormai scaduti e la presenza di solo 70 dei 238 senatori repubblicani, è stata in qualche modo il canto del cigno di Biden più che l’inizio di una nuova era. La pagliacciata sulla minaccia russa è servita soprattutto a sostenere l’enorme aumento del budget per le spese militari, portate alla stratosferica somma di 858 miliardi di Dollari (addirittura 45 in più di quelli richiesti dalla Casa Bianca!), record assoluto nella storia statunitense e indicatore di direzione per la prossima guerra alla Cina.

Un simile aumento di budget sembra anche ignorare i risultati di un audit interno, che rivela come il Pentagono non sappia dove siano andati a finire 6500 miliardi di Dollari, circa il 40% del PIL degli USA. Denari dei cittadini di cui mancano i rendiconti, che risultano “dispersi in azione”.

E se la lobby delle armi viene soddisfatta anche quella del petrolio avrà soddisfazione. La guerra voluta dagli USA ha ottenuto il principale risultato che si prefiggeva: bloccata la partnership commerciale tra Russia ed Europa, fine delle forniture energetiche che consentivano lo sviluppo dei paesi UE, blocco delle attività finanziarie e rottura delle relazioni politiche. La dipendenza europea dalla Russia è diventata dipendenza dagli Stati Uniti e dal loro gas liquido, di scarsa quantità, minor qualità e maggior prezzo.

Firmare una pace ma continuare la guerra

A questo punto, il proseguimento della guerra così com’è non avrebbe senso, i risultati che si volevano ottenere si sono ottenuti. Mosca è lontana dall’Occidente ed è sempre più ancorata ad Oriente. La pressione militare della Nato sulla Russia resterebbe alta e, anche se gli accordi di pace dovessero prevedere Crimea e Donbass come territori russi, il risultato sarebbe quello di mettere altri 300, utilissimi, chilometri tra Mosca e la linea del fronte ucraino. L’addio scontato alla nato da parte di Kiev potrà essere sostituito dall’abbraccio mortale della UE, così i drammi sociali e i costi del ripristino dell’economia ucraina verranno pagati dagli europei.

Continuare una guerra convenzionale sarebbe un enorme onere per Washington e Bruxelles senza nessuna possibilità di vittoria sul campo. Di contro, addestrare, armare e finanziare i gruppi neonazisti incaricati di continuare le azioni militari anche dopo il raggiungimento di un accordo di pace, costerebbe poco e renderebbe molto. Un po’ quello messo in opera dal 2014 al 2022 con gli Accordi di Minsk, il cui rispetto è stato una burla, serviva solo ad avere tempo per costruire l’esercito ucraino, come ha candidamente confessato Angela Merkel.

Nelle teste d’uovo del Pentagono e di Langley si prospetta uno scenario nel quale l’Ucraina viene ridotta sensibilmente nelle sue dimensioni, creando così una corrente politico-militare che non riconosce gli accordi e sceglie la via del conflitto. Si creerebbe così un modello di guerriglia permanente come quello dei mujaheddin afghani e dei ceceni, che tennero Mosca impegnata militarmente per anni, senza altro scopo che fiaccarla e metterla nelle condizioni di dirottare le risorse del comparto bellico orientato sulla guerra a bassa intensità, più che su quella convenzionale e nucleare che preoccupa USA e UE.

Perché come sempre avviene dopo un conflitto che ha radici lontane, la pace non comporta la pacificazione. Soprattutto se gli sponsor della guerra continuano a soffiare sul fuoco del terrore.

La guerra logora anche chi non la fa

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di Gianandrea Gaiani 

Fonte: Analisi Difesa

Costi finanziari alle stelle come i consumi di armi e munizioni per una guerra che sembra lontana dal concludersi e che i russi sembrano per ora voler combattere sulla difensiva con l’obiettivo di logorare gli ucraini e soprattutto i loro alleati.
Se Kiev cerca di arruolare altre truppe per alimentare nuove offensive tese a riconquistare i territori perduti, in Europa e Occidente si cominciano a valutare le difficoltà a mantenere l’alimentazione delle forze ucraine a un ritmo sostenibile nel tempo. Gli Stati Uniti valutano se trasferire o meno all’Ucraina i missili da difesa aerea a lungo raggio Patriot per fornire un maggiore contributo al contrasto degli attacchi missilistici russi che stanno demolendo progressivamente tutte le infrastrutture energetiche del nemico.
Obiettivi legittimi in guerra (del resto bersagli di questo tipo sono stati sempre al centro del mirino di tutte le guerre occidentali, dall’Iraq alla Serbia alla Libia), la cui distruzione sta comportando gravi difficoltà allo sforzo bellico ucraino (senza energia trasporti, industrie e reti informatiche non funzionano) peggiorando sensibilmente anche le condizioni di vita della popolazione che deve affrontare un inverno durissimo.
L’assenza o la penuria di energia potrebbe mettere a dura prova il consenso nei confronti del governo e del presidente Volodymyr Zelensky che già da tempo ha messo fuori legge ogni forma di opposizione chiudendo televisioni, giornali e ben 12 partiti di opposizione e punendo per legge persino chiunque osi esprimersi a favore di negoziati di pace.
Elementi che confermano come la guerra in atto sia anche una guerra civile, con milioni di cittadini ucraini schierati dalla parte dei russi e decine di migliaia che combattono al fianco delle forze di Mosca. L’offensiva missilistica contro le infrastrutture mira anche a complicare la situazione nei paesi europei, a tutti gli effetti ormai “nazioni ostili” per i russi, poiché è evidente che milioni di civili ucraini privi di luce, acqua e riscaldamento potrebbero cercare un rifugio sicuro e caldo a ovest, in un’Europa già in difficoltà per la sciagurata gestione della guerra e della crisi energetica (che secondo Bloomberg è già costata all’Unione mille miliardi di dollari) da parte della Commissione Ue che già oggi vede ridursi pericolosamente le riserve di gas.

Patriot in Ucraina?
Un contesto in cui ben si inserisce la vicenda dei missili Patriot chiesti da Kiev. La prima a proporre di metterli in campo è stata la Germania che voleva però schierarli in Polonia per “prevenire” sconfinamenti di missili russi nel territorio dell’alleato membro della NATO.
Evidentemente un pretesto anche perché finora in Polonia è caduto solo un missile terra-aria ucraino appartenente a un sistema S-300. Berlino, dopo aver colto i potenziali rischi di un maggiore e diretto coinvolgimento nella guerra contro la Russia e aver recepito le minacce russe di rappresaglia, il 6 dicembre ha risposto picche alla proposta polacca di dispiegare in Ucraina i Patriot.
Il ministro della Difesa di Varsavia, Mariusz Blaszczak, si è detto “deluso” dalla decisione di Berlino, dopo aver parlato con il suo omologo tedesco, Christine Lambrecht.
I polacchi non avranno disponibili i Patriot che hanno ordinato agli USA ancora per molto tempo e sono quindi gli Stati Uniti oggi a dover gestire la “patata bollente”, tra indiscrezioni stampa che danno per imminente la consegna di due batterie e Il Presidente Joe Biden che il 16 dicembre ha affermato che una decisione verrà presa presto.
Difficile però credere che simili armi vengano lasciate nelle mani degli ucraini ma è verisimile che nel caso vengano gestite in Ucraina da militari o contractors statunitensi o di altri stati membri della NATO, peraltro già 0resenti con migliaia di effettivi in Ucraina.
La necessità di potenziare le difese aeree ucraine rimane del resto una priorità per l’Occidente e nei giorni scorsi sono circolate le voci circa la consegna di un altro sistema tedesco IRIS-T e di due SAMP/T, uno francese e uno fornito dall’Italia, come hanno rivelato fonti francesi (in barba all’inutile e paradossale segreto posto da Roma sulle forniture militari all’Ucraina). Si tratta di sistemi prelevati direttamente dalle dotazioni dell’aeronautica francese e dell’esercito italiano che si aggiungono ai vecchi Hawk spagnoli e forse ai sistemi Aspide/Spada italiani: armi piuttosto anziane e da tempo “scadute”, il cui impiego quindi non può offrire garanzie di efficacia e sicurezza.

Scorte in esaurimento
Il prolungamento del conflitto sta mettendo in grave difficoltà la capacità degli anglo-americani e dei loro alleati di mantenere un elevato ritmo di consegna di armi e munizioni, adeguato ai consumi e al logorio imposto da questa guerra convenzionale ad alta intensità.
A fine novembre il New York Times ha sentito un alto funzionario dell’Alleanza Atlantica che ha ammesso che i due terzi dei Paesi della Nato hanno esaurito armi. mezzi e munizioni che potevano venire ceduti all’Ucraina.
“Le scorte di armamenti di 20 dei 30 membri della Nato sono “piuttosto esaurite”, ha detto il funzionario che ha voluto mantenere l’anonimato, ma “i restanti 10 Paesi possono ancora fornire di più, soprattutto gli alleati più grandi”, ha aggiunto citando tra questi l’Italia, la Francia, la Germania e l’Olanda.
La situazione delle scorte di armamenti è particolarmente difficile per la Polonia e gli Stati baltici, sottolinea il giornale, secondo cui nel complesso i Paesi della Nato hanno trasferito all’Ucraina armamenti per un valore di 40 miliardi di dollari.
Il supporto militare all’Ucraina “non dovrebbe essere inferiore a quello degli ultimi sei mesi…. ma a parte questo, abbiamo bisogno di armi più moderne, più rifornimenti” ha detto il 15 dicembre il presidente Volodymyr Zelensky davanti ai leader Ue durante il suo intervento da remoto al Consiglio europeo. “Questo vale sia per la difesa aerea che per la difesa missilistica. E chiedo a ciascuno dei ventisette paesi dell’Unione Europea di decidere cosa si può fare nello specifico per aumentare la fornitura di sistemi di difesa aerea e missilistica – ha aggiunto Zelensky.
“Questo vale anche per i carri armati moderni. Non c’è alcuna ragione razionale per cui l’Ucraina non dovrebbe riceverli ora. Ciò vale anche per l’artiglieria a lungo raggio e per i sistemi missilistici che potrebbero accelerare la fine dell’aggressione russa”.
La criticità della situazione dei rifornimenti è stata presa in esame anche dal ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto: “In tutto il mondo l’industria militare, e anche in Russia, è in crisi di produzione e di approvvigionamento. Per assurdo questo è uno degli elementi che possono dare una svolta alla trattativa sull’Ucraina che tutti ci auguriamo”, ha detto in un’intervista su RAI 3.
Intervenendo in Senato il 13 dicembre il ministro italiano ha ammesso che gli aiuti militari all’Ucraina possono avere un impatto sulle nostre Forze Armate.
“Non voglio nascondere al Parlamento che quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo, pur non comportando oneri diretti e immediati nel lungo periodo, potrebbe incidere sulle nostre capacità”. E’ molto probabile che perdite, usura e consumi mettano in difficoltà anche i russi che devono fare i conti anche con gli effetti delle sanzioni poste dall’Occidente ma la portata di queste difficoltà è tutta da verificare.
Fonti militari ucraine ammettono di aver trovato resti di missili russi esplosi prodotti in ottobre di quest’anno e se si escludono idroni-suicidi (munizioni circuitanti) a lungo raggio Geran-2 di origine iraniana (ma probabilmente ormai prodotti in Russia), tutte le armi impiegate appaiono prodotte in Russia e in molti casi stoccate in depositi sparsi per tutto l’immenso territorio della Federazione da molti anni.
L’intensità dell’offensiva missilistica sulle infrastrutture energetiche e dei bombardamenti dell’artiglieria russa lungo i fronti di guerra non sembrano certo indicare difficoltà nei rifornimenti di munizioni nonostante diversi depositi siano stati colpiti negli ultimi mesi nelle retrovie da sabotatori o dai razzi lanciati dai sistemi HIMARS statunitensi e recentemente lo stesso Vladimir Putin abbia ammesso qualche difficoltà logistica.
Gli Stati Uniti hanno più volte denunciato forniture alla Russia di armi e munizioni nordcoreane ma finora non ci sono stati riscontri in proposito dai campi di battaglia.
Le previsioni dell’intelligence britannico, che nei suoi bollettini giornalieri riferisce dall’aprile scorso che la Russia sta finendo le scorte di missili balistici e da crociera, si sono rivelate errate o più probabilmente frutto più di intenti propagandistici che di attività d’intelligence (del resto non si sono mai visti i servizi segreti pubblicare bollettini di guerra quotidiani).
Il 27 novembre il ministro della Difesa estone Hanno Pevkur ha ammesso che “dopo nove mesi di conflitto, l’Esercito e l’Aeronautica della Federazione russa non sono state indebolite in modo sensibile”. Pevkur ha sottolineato che nonostante la Russia abbia subito considerevoli perdite, il suo potenziale ritornerà ad essere “prima o poi” quello del 24 febbraio, ponendo l’accento sul fatto che “il pericolo per i Paesi della NATO è pari a quello di inizio conflitto”.
I russi “hanno ancora abbastanza missili per condurre diversi attacchi pesanti. Noi abbiamo abbastanza determinazione e autostima per rispondere” ha detto il 16 dicembre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un video messaggio.
Come abbiamo sottolineato più volte questa è la prima guerra convenzionale ad alta intensità combattuta in Europa dalle ultime offensive alleate nella primavera del 1945.
Tra le “lezioni apprese” che avevamo indicato già nel giugno scorso vi era l’inadeguatezza delle forze armate europee e occidentali a far fronte a un conflitto del genere perché non potremmo reggere migliaia di morti e feriti e perché le nostre dotazioni di armi pesanti e munizioni verrebbero azzerate dopo una o due settimane di guerra, in molti casi anche in pochi giorni.
Correre ai ripari non è facile e richiede tempi lunghi, determinazione e ampi investimenti  poiché l’industria della Difesa in Occidente non è strutturata per compensare in tempi rapidi perdite e consumi elevati come quelli registrati da una guerra convenzionale come questa in cui le forze ucraine “bruciano” migliaia di proiettili d’artiglieria al giorno e decine o addirittura centinaia di mezzi ogni settimana.
Solo per citare un esempio, il Pentagono ha assegnato a Raytheon un contratto da 1,2 miliardi di dollari per fornire a Kiev 6 batterie di missili terra-aria NASAMS in aggiunta alle due già consegnate ma che verranno realizzate in non meno di due anni.

Guerra convenzionale
“Da quando è finita la guerra fredda un po’ tutti gli arsenali militari sono stati ridotti poiché non si pensava certo che una guerra convenzionale potesse tornare in Europa” – ha detto a fine novembre all’Adnkronos il generale Giorgio Battisti, veterano di molte missioni oltremare, membro del Comitato Atlantico e opinionista di Analisi Difesa.
“Ci sono state le diverse missioni di peacekeeping, missioni all’estero che hanno fatto in modo che venisse privilegiata la parte leggera dell’equipaggiamento militare: armi individuali, mezzi non pesanti abbandonando un po’ le caratteristiche di un esercito convenzionale, appunto con carri armati e le artiglierie che servivano appunto durante la Guerra Fredda.
Ora la guerra convenzionale ritornata in Europa si combatte con i droni e con i missili, a colpi di artiglieria e si parla di migliaia di colpi che sia i russi che gli ucraini sparano tutti i giorni. Mentre in Afghanistan gli Stati Uniti sparavano 300 colpi di cannone al massimo ogni giorno, nella guerra in Ucraina si sparano 5mila con delle punte di 20mila colpi al giorno.
Questo dimostra come questa guerra abbia messo a nudo le nostre carenze. Una guerra che non può essere paragonata a quelle nei Balcani negli anni ’90 dato che erano guerre a bassa intensità, mentre qui lo scontro è tra due stati che utilizzano tutti gli equipaggiamenti degli arsenali di cui dispongono. Negli ultimi anni, in moltissimi paesi compresa l’Italia, è subentrata una forma di accanimento, possiamo dire, contro le industrie che producevano armi che sono state costrette o a riconvertirsi in altre produzioni o anche a chiudere” – ha evidenziato Battisti.
“Circostanza che ha fatto sì, salvo che negli Usa, che tantissimi paesi abbiamo ridotto sensibilmente i propri magazzini, le proprie riserve militari. Una eventuale riconversione all’industria bellica non sarà facile, ampliare la capacità industriale di un paese non può realizzarsi in breve tempo.
Ritengo che occorra evitare di rimanere completamente privi di armi e gli Stati Maggiori di tutti i paesi, compresi gli Stati Uniti, stanno studiando come non rischiare di rimanere sguarniti e rifornire allo stesso tempo l’Ucraina delle armi necessarie per difendersi. Anche perché gli Stati Maggiori devono tenere conto sempre del rischio che il conflitto si allarghi coinvolgendo direttamente paesi dell’Alleanza Atlantica” – ha concluso Battisti.

Armi e munizioni agli sgoccioli
Considerato questo contesto non sorprende che gli anglo-americani cerchino alternative al depauperamento delle proprie riserve di armi e munizioni anche tenendo contro che le capacità produttive statunitense di munizioni da 155 mm raggiungono i 15 mila proiettili mensili (molti meno in Europa), pari più o meno a tre giorni di fuoco dell’artiglieria ucraina: terminate le riserve disponibili, occorrerebbero anni per tornare a disporre di un livello accettabile di munizioni.
Tra le alternative, Washington e Londra cercano di reperire armi e munizioni di tipo russo/sovietico da girare a Kiev in Africa e Asia, come nel caso del Marocco già illustrato da Analisi Difesa.
Da un lato è indubbio che la guerra in Ucraina abbia dato un forte impulso alla spesa militare in diverse nazioni europee e negli Stati Uniti: molte nazioni un tempo membri del Patto di Varsavia hanno già ceduto a Kiev tutti o quasi gli equipaggiamenti ex sovietici di cui disponevano. In termini concreti però questo incremento delle risorse finanziarie richiederà anni per trasformarsi in nuove armi e munizioni per le forze NATO come per quelle ucraine.
Per fare un esempio di sistemi d’arma peraltro di relativamente facile e rapida produzione, il ministero della Difesa britannico ha commissionato l’acquisto di un numero imprecisato di armi anticarro NLAW per 229 milioni di sterline che verranno consegnate tra il 2024 e il 2026 (altri 500 NLAW ordinati in precedenza arriveranno nel 2023) per compensare la cessione all’Ucraina di ben 10 mila armi anticarro (in gran parte NLAW) in pochi mesi.
Occorre inoltre valutare se gli stanziamenti annunciati in Europa in modo altisonante sull’onda emotiva del conflitto risultino sostenibili di fronte alla crisi energetica e a quella economica e sociale che si stanno abbattendo sul Vecchio Continente.
Secondo uno studio del think-tank britannico Royal United Services Institute (RUSI) “con la fine della guerra fredda l’Europa ha ridotto drasticamente il budget della difesa, ritrovandosi con eserciti e scorte d’artiglieria limitati, inadatti a sostenere nel lungo periodo il ritmo di una guerra come quella combattuta oggi in Ucraina. Ai tassi ucraini di consumo di artiglieria, le intere scorte britanniche potrebbero durare una settimana e gli alleati europei non sono in una condizione migliore”.
Secondo dati ufficiali resi noti il 27 novembre il Regno Unito ha già armato l’Ucraina con quasi 7 mila armi anticarro NLAW, oltre un centinaio di veicoli blindati, semoventi antiaerei Stormer con missili Starstreak, diverse decine di obici M109 e cannoni trainati L119, lanciarazzi campali MLRS M270, oltre 16 mila proiettili d’artiglieria, missili Brimstone e 4,5 tonnellate di esplosivi al plastico. Materiale in parte già usurato o distrutto mentre le munizioni d’artiglieria sono state sufficienti per circa tre giorni di combattimenti.
Per comprendere come anche per le scorte dell’US Army questa guerra non sia sostenibile nel tempo il RUSI evidenzia che nell’estate scorsa gli ucraini sparavano in un giorno 6/7 mila colpi d’artiglieria (i russi fino a 50mila), quando gli Stati Uniti riescono a produrne in un mese solo 15mila.
La costruzione negli USA di uno stabilimento di munizioni ad hoc per l’esercito ucraino richiederà tempo e gli 800 mila proiettili da 155 mm previsti richiederanno due anni per venire prodotti. Secondo il RUSI “al culmine dei combattimenti nel Donbass, la Russia stava usando più munizioni in due giorni di quante ne avesse in magazzino l’intero esercito britannico”.
Il Pentagono ha ceduto a Kiev circa un terzo delle riserve di missili anticarro Javelin e di quelli antiaerei Stinger: ripianare tali scorte richiederà rispettivamente 5 e 13 anni: troppi, soprattutto tenendo conto che altri conflitti potrebbero esplodere in aree diverse, incluso il Pacifico.
Citando fonti del Pentagono, il New Yorker ha reso noto che gli Stati Uniti non intendono fornire all’Ucraina i lanciarazzi campali multipli HIMARS in grandi quantità a causa del costo (7 milioni di dollari) dei tempi di produzione di nuovi mezzi la limitata ma soprattutto per la difficoltà industriale a far fronte alle commesse di munizioni.
“A fronte di una produzione di 9mila razzi all’anno le forze armate ucraine ne consumano almeno 5mila al mese”, afferma la fonte citata dal giornale.
E bene evidenziare che gran parte dei 20 miliardi di dollari di aiuti militari statunitensi, degli oltre 3 miliardi di sterline forniti da Londra (secondo contributore) e dei 3,1 miliardi di euro forniti dall’Europa all’Ucraina (l’Italia ha speso finora quasi mezzo miliardo di euro secondo l’Osservatorio MIL€X) riguardano mezzi, armi e munizioni prelevati dai magazzini o dai reparti delle forze armate occidentali, che se ne sono privati non senza critiche da parte di molti ambienti militari.
Citando fonti militari francesi, il magazine statunitense Politico ha rivelato a inizio dicembre che in Francia gli stock di munizioni e artiglieria si sono ridotti pericolosamente a causa delle donazioni all’Ucraina mentre fonti militari tedesche riducono oggi ad appena due giorni l’autonomia di fuoco dell’artiglieria in un conflitto convenzionale.
L’ambasciatore polacco alla NATO, Tomasz Szatkowski, ha dichiarato alla radio polacca RMF che “i depositi militari dei paesi della NATO si stanno vuotando a causa degli aiuti all’Ucraina”. Un allarme che potrebbe aumentare i dissidi tra gli alleati considerato che il segretario generale della NATO, Lens Stoltenberg, continua a esortare gli stati membri a trasferire più armi e munizioni possibile a Kiev.
Come ha rivelato all’ANSA un’alta fonte diplomatica alla NATO, all’interno dell’alleanza è in corso “un dibattito” sull’ipotesi di dare carri armati di produzione occidentale a Kiev dopo l’appello in tal senso del ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis.
La questione però, sempre in termini concreti, è dove reperire in Europa tank per l’Ucraina considerato che alcune nazioni NATO hanno rinunciato a mantenere in servizio carri armati e chi ancora ne ha in organico dispone di flotte compresa tra i 150 (l’Italia) o e i 350 (la Germania) esemplari, solo per meno della metà operativi: flotte non cedibili se non si vogliono appiedare gli ultimi reparti corazzati rimasti in Europa. Pochi anche i mezzi in riserva che richiederebbero comunque ampi lavori per tornare a essere operativi.
A Kiev il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha lamentato che la Germania non ha assunto al momento alcun impegno per la fornitura di carri armati Leopard 2 all’Ucraina.
Il 15 dicembre Berlino ha consegnato all’Ucraina missili per il sistema di difesa area IRIS-T, due veicoli corazzati e 30 mila proiettili per lanciagranate da 40 mm, 5 mila munizioni da 155 mm, 4 ambulanze e 18 autocarri. In Belgio, come in altre nazioni europee, le pressioni politiche tese a dare più armi agli ucraini cozzano con le resistenze dei militari che temono di dover domani affrontare un contesto bellico ad alta intensità senza disporre di armi e munizioni.

Manutenzioni oltre confine
Sostenere lo sforzo bellico ucraino diventa difficile anche sul piano logistico poiché la carenza di energia e la devastazione dell’apparato industriale militare ucraino rendono ardue se non impossibili anche manutenzioni e riparazioni.
A Michalovce, in Slovacchia, è stato aperto il centro per le riparazioni delle armi pesanti fornite dalla Germania all’Ucraina, come ha comunicato nei giorni scorsi il generale di brigata Christian Freuding, capo dello Stato maggiore speciale per l’Ucraina presso il ministero della Difesa tedesco. Presso il polo di Kosice verranno riparati, in particolare, i 14 obici semoventi Pzh 2000 che la Germania ha fornito insieme a Olanda e Italia all’Ucraina e che vengono ormai “cannibalizzati” per mantenerne qualcuno operativo secondo testimonianze dirette dal fronte
Il centro in Slovacchia curerà la manutenzione anche dei 5 lanciarazzi multipli Mars e dei 37 semoventi antiaerei corazzati Gepard forniti a Kiev e in futuro anche dei 50 blindati ruotati Dingo di prossima consegna. L’ubicazione del centro logistico oltre i confini ucraini offre garanzie contro gli attacchi russi ma impone lunghi trasferimenti dal fronte dei mezzi da riparare.
Il viceministro della Difesa ceco, Tomas Kopecny, ha annunciato che migliaia di tecnici e operai ucraini delle aziende del settore Difesa lavoreranno negli stabilimenti di produzione di armi della Repubblica Ceca dove la produzione di alcuni sistemi d’arma nell’ambito di progetti comuni dovrebbe cominciare nella prima metà del 2023.
La Svizzera invece si è impegnata a non fornire armi all’Ucraina. “Né al tempo della prima guerra mondiale, né durante la seconda guerra mondiale, abbiamo esportato armi. Non esporteremo armi e non parteciperemo direttamente o indirettamente a un conflitto militare né in termini di armi né con le nostre truppe in Ucraina, Russia o in qualsiasi altra parte del mondo”, ha sottolineato il 12 dicembre il presidente della Confederazione, Ignazio Cassis, aggiungendo che “c’è sempre pressione” sulla Svizzera da parte dei Paesi europei”.

Di fronte alla catastrofe?

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di Luciano Lago

L’impressione lasciata dagli avvenimenti relativi alla caduta del missile in territorio polacco è ancora alta, si è sfiorata la guerra tra la NATO e la Russia ma la paura di una guerra nucleare è divenuta concreta. Dai commenti dei media mainstream non si capisce se fosse la paura di fronte alla realtà di una guerra nucleare davanti ai propri occhi o per il contrario se questi commentatori erano entusiasmati per il fatto che la NATO adesso avrebbe avuto le mani libere per distruggere la Russia, visto che affermavano convinti che la NATO sarebbe invincibile.

Intanto ieri Putin ha legalizzato formalmente il fatto che i volontari internazionali possano integrarsi all’Esercito russo e si deduce per sicuro che volontari provenienti dall’Iran o dalla Repubblica della Corea del nord arriveranno ad integrarsi alla battaglia contro i seguaci di Stephan Bandera e i loro patron occidentali. Dei volontari della Corea del Nord si era già molto parlato per i treni avvistati in transito da quel paese verso la Russia. Nessuno sa quale fosse il carico.

Così risulta che il presidente Vladimir Putin ha firmato il decreto che modifica il procedimento per reclutare cittadini stranieri che potranno servire nell’Esercito russo. Il documento modifica il regolamento approvato nel 1999 sul servizio militare e, in accordo con questo, da adesso in poi i cittadini stranieri potranno servire nell’esercito russo,media mainstream sotto contratto, al pari dei cittadini della Federazione Russa.

Inoltre nell’attacco russo dell’altro ieri, attuato con più di cento missili, si è saputo che lo stato Maggiore delle forze ucraine è stato distrutto a Kiev. Questo indica che la guerra è entrata in una nuova fase.

Secondo i rapporti, come risultato dell’attacco uno dei missili ha colpito l’obiettivo a Kiev, lo Stato Maggiore delle forze armate dell’Ucraina è stato distrutto, nonostante i missili antiaerei lanciati, quando nessuno dei missili antiaerei ucraini ha intercettato l’obiettivo e questo a dimostrazione della bassa efficienza del sistema di difesa antiaereo ucraino. Al momento si sa che, come risultato dell’attacco, l’edificio è stato parzialmente distrutto e sembra che questo sia avvenuto mentre era in corso una riunione a cui partecipavano ufficiali di alto rango delle forze straniere che sono coinvolte nelle operazioni in Ucraina.

Il comando della Forze Armate ucraine ancora non si è pronunciato ma questo è uno dei pochi attacchi diretti alla sede centrale del comando. I residenti locali parlano di un fumo nero che si è levato dall’edificio e dall’area dove si è verificata l’esplosione ma nulla si sa sul numero delle vittime.

Tutto è molto confuso in questo momento nei paesi alleati della UE e nelle reazioni scomposte degli USA e della NATO. Sopratutto si nota che c’è una grande preoccupazione che gli USA se ne vengano fuori con una uscita precipitosa e le dichiarazioni rilasciate in proposito sono molto sconcertanti.

In occasione della caduta del missile in Polonia si è visto che Biden non ha risparmiato tempo per smentire che il missile fosse russo e che tutto indicava che la Russia non era la responsabile. Cosa questa che ha rappresentato un secchio di acqua fredda sulle aspettative ucraine di coinvolgere direttamente la NATO nel conflitto con il sostenere che il missile fosse russo. Gli USA conoscono perfettamente la traiettoria del missile e questo mette in dubbio che possa essere stato un errore della contraerea ucraina, visto che gli obiettivi dell’attacco russo erano tutti a oltre 30/40 Km. dal confine polacco.

Potrebbe essere stata questa una provocazione ucraina per ottenere il coinvolgimento diretto della NATO nel conflitto? Il dubbio rimane dalle frettolose accuse lanciate subito da Zelensky e compagnia cantante.

Le notizie che arrivano sono indicative di un qualche cosa che sta avvenendo in questo momento. Il capo del Dipartimento di Sicurezza interna USA, Alejandro Mayorkas, ha dichiarato che se si verifica una esplosione nucleare in Europa questa non avrà conseguenza negativa per la salute degli americani e le minacce radiologiche sono basse; che voleva dire? Inoltre lo stesso ha detto che, mentre gli USA hanno espresso la loro preoccupazione per il fatto che la Russia sta facendo tintinnare le sciabole …non ci sono indizi che una esplosione nucleare in Europa possa avere conseguenze dirette sulla salute negli Stati Uniti, come dichiarato nella sua udienza davanti al comitato del Congresso.

Il presidente Putin ha detto in precedenza che l’Occidente ha lanciato un ricatto nucleare e i rappresentanti della NATO stanno parlando della possibilità di usare armi di distruzione massiva contro la Russia.

Anche l’ammiraglio ritirato Mike Mullen si è pronunciato su questo dicendo che il momento è molto pericoloso e tutto indica che potrebbe verificarsi uno scontro diretto fra Russia e USA. Il conflitto in Ucriana potrebbe produrre una escalation verso una conflagrazione nucleare.

Bisogna far terminare il conflitto senza l’uso di armi nucleari e, se appariranno tali armi, saremo molti vicini ad una guerra nucleare, ha detto l’ammiraglio con molta saggezza. Bisogna riprendere quindi un processo di negoziato per evitare questo rischio.Putin, NATO,

Da notare che Zelensky a minacciato ripetutamente la Russia di un bombardamento nucleare preventivo, anche se più tardi il suo segretario ha voluto rettificare le dichiarazioni (censurate dai media occidentali) per diminuire il significato di queste affermazioni. La natura psicopatica del personaggio sta diventando sempre più evidente e viene nascosta all’opinione pubblica dei paesi occidentali che lo stanno finanziando.

Tutto darebbe l’impressione in apparenza che gli USA non vogliano far precipitare la situazione in un conflitto nucleare.

Il rappresentante russo Dimitry Peskov ha rimarcato che Zelensky con la sua retorica ha chiesto l’inizio di una guerra mondiale. Lo stesso ha raccomandato ai paesi occidentali di prestare attenzione alle dichiarazioni improvvide di questo personaggio e ha ricordato che, in caso di tale conflitto, le conseguenze sarebbero mostruose per tutti.

Anche il ministro Lavrov ha ricordato che i rischi crescenti dell’uso di armi di distruzione di massa sono sempre più forti per effetto delle dichiarazioni del presidente ucraino. Tutti dovrebbero essere messi di fronte alle proprie responsabilità prima di fare dichiarazioni affrettate e prive di riscontro, come accaduto in occasione della notizia del missile in Polonia.

Prevarrà la prudenza fra i leader occidentali? Questo si vedrà a breve scadenza ma le dichiarazioni dei leader occidentali sono molto contraddittorie.

Foto: Idee&Azione https://www.ideeazione.com/di-fronte-alla-catastrofe/

19 novembre 2022

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