Da: LA CIVILTÀ CATTOLICA, anno 89 – Vol. IV, 1° ottobre 1938, quad. 2119
Beatus populus cuius Dominus Deus eius. (Psalm. 143. v. 15).
Di Ebrei, di questione ebraica, di pericolo e di ” problema ” giudaico è un gran parlare da tempo.
In Italia, udiamo ripeterci da molte parti, ed è confermato anche dalla più autorevole voce della politica italiana, non si vuole imitare la Germania in genere, né l’acerbità nazistica in particolare contro gli oppositori, venuti dal giudaismo.
Ma, anche fra noi, gravi provvedimenti furono decretati contro gli Ebrei, o sono già in corso, e la stampa quotidiana li commenta, com’è suo costume, e a suo modo li giustifica, ma con una vivacità di linguaggio e una così ardimentosa facilità di logica e di storia, di citazioni e di polemica che noi, senza forti riserve, non potremmo accettare. Eppure vi abbiamo trovato più volte, contro il solito, fatto con onore il nome del nostro periodico, allegatone frasi, proposizioni, o anche interi articoli, antichi di quasi mezzo secolo fa, sebbene alludessero a condizioni sociali, o polemiche dottrinali, assai diverse dalle presenti. Ma – cosa per noi non meno grave – si vollero mettere quegli scritti del nostro periodico, di quasi mezzo secolo fa, in recisa ed aperta opposizione al sentimento odierno degli altri cattolici, ed a quello perfino dell’autorità ecclesiastica, che è dire della Chiesa gerarchica e docente, di fronte alla quale deve cedere ogni autorità di maestro o scrittore privato.
Su ciò abbiamo già aperto il nostro animo e chiarito il pensiero dei nostri predecessori ed il nostro nel precedente quaderno (1), sebbene i nostri intelligenti e fedeli lettori non ne avessero di bisogno. Essi avevano, infatti, col semplice riscontro dei passi allegati potuto verificare da sé ed accertare quanto dalle moderne citazioni dei giornali uscisse monco o travisato quel pensiero; anzi, in alcuni tratti, affatto incongruo e lesivo della giustizia e della carità. Ora l’una e l’altra assolutamente, noi, come i nostri predecessori, vogliamo usata e rivendicata anche verso gli Ebrei, sia pure con la certezza che non l’useranno essi con noi. Né certo l’hanno usata mai nelle passate persecuzioni, da essi o scatenate o promosse contro la Chiesa, in accordo sia con la massoneria, troppo da essi sostenuta, sia con altri partiti sovversivi ed anticristiani, dalla ” grande ” rivoluzione francese specialmente, fino ai nostri giorni.
Ma ciò non c’indusse punto, né c’indurrà mai a voler ricambiare della stessa moneta, bensì ad impedirli semplicemente dal loro mal fare ed a premunire gli altri dalla loro strapotenza, e ciò per il bene comune, morale e religioso sopra tutto, e per la salvezza degli stessi Giudei.
Gli uomini invece della politica, sopra accennati, per i loro fini o motivi d’interessi politici che non tocca a noi ora discutere cominciarono proprio sul loro primo trionfare, prima in Russia e poi in Germania, a rivoltarsi contro gli Ebrei, quando si accorsero di averli avversari, fautori malfidi o aperti oppositori dei nuovi metodi o “ideologie” di governo, prima che dei pretesi diritti o interessi di stirpe o di razza. Come è evidente, quella mossa antigiudaica, sia del comunismo internazionalista o bolscevismo russo, sia del socialismo nazionalista o nazismo germanico, non fu maturata da nessuna considerazione religiosa, se non anzi agevolata dall’odio o avversione generale di tali partiti contro ogni religione positiva, anche l’ebraica: odio dissimulato nel nazismo, ostentato nel bolscevismo. Non può quindi dar luogo a qualsiasi pur lontano richiamo contro la Chiesa o il Clero, nonché a quelle recriminazioni a cui usano abbandonarsi i vecchi persecutori, a loro volta divenuti perseguitati, e con essi i vecchi liberali, della massoneria specialmente, loro naturali alleati, com’è noto.
* * *
L’Italia non entra nella lizza se non dopo tre lustri e più di fascismo dominante e con più miti consigli, come sentiamo, non ostante i prodromi sopra accennati. Ci dichiara anzi il Regime fascista, uno dei giornali più accreditati o rappresentativi del partito, in un suo articolo del 30 agosto passato, col titolo Un tremendo atto di accusa: “Confessiamo che il Fascismo è molto inferiore, sia nei propositi, sia nell’esecuzione, al rigore della Civiltà Cattolica”. E sopra aveva detto di accorgersi, dopo aver letto lo “studio vigoroso” del nostro periodico (dell’autunno 1890) che “gli Stati e le società moderne, e persino le più sane e coraggiose nazioni d’Europa, l’Italia e la Germania, hanno molto da imparare dai Padri della Compagnia di Gesù”; ed appunto, come conchiude, da questa, ch’egli chiama “leale e coraggiosa battaglia dei sapienti e irreprensibili Gesuiti”.
Grazie dell’elogio insolito, che troviamo ripetuto pure, in termini più o meno calorosi, da altri periodici e giornali quasi a gara, come vediamo anche dai molti ritagli che ce ne comunica alla giornata “L’eco della stampa”. Ed a questo coro di lodi – tanto poco vi siamo avvezzi! – avremo noi il mal garbo o la scortesia ingrata di rispondere con la freddezza del riserbo, della correzione o della critica? Non intendiamo ciò; ma più di ogni lode o popolarità, in un argomento specialmente che tocca le ragioni della carità e della giustizia, ci preme di chiarire il pensiero nostro e quello dei nostri defunti colleghi e maestri; perché noi siamo certi che anch’essi troverebbero queste lodi più sgradite delle critiche, se dovessero palliare sotto la loro egida una qualsiasi offesa di carità e di giustizia contro il prossimo, fosse pure il prossimo in sé meno simpatico, quello degli Ebrei, specialmente se stretti in intima alleanza con la massoneria, come apparivano alla data degli articoli accennati, del 1890.
E non vi è chi ci fa dire, generalmente e senza niuna distinzione, ciò che invece nella nostra rivista fu negato esplicitamente? Ma particolarmente si suppone che siano della rivista stessa i suggerimenti e rimedi da altri autori proposti e da essa discussi e rigettati, come quello fra i più gravi, non solo di considerare gli Ebrei come stranieri, ma di “confiscarne i beni perché roba di malo acquisto”: suggerimento che, dato così generalmente e senza nessuna distinzione sa troppo di ingiustizia o di vendetta, e perciò riesce troppo difforme dallo spirito cristiano e religioso.
* * *
Fortunatamente, gli articoli del nostro periodico, dell’ultimo trimestre del
1890 (2), che furono i più largamente sfruttati nella presente polemica, si possono riscontrare da chiunque voglia, in fonte. E diciamo in fonte, perché furono, è vero, ristampati a parte, ma non sempre correttamente, anche nella più recente edizione, da cui hanno attinto, crediamo noi, i giornalisti (3). In questa, per l’appunto, un gravissimo errore di stampa – certamente involontario, per l’omissione di una riga e lo spostamento di altre – rende inintelligibile il passo della confiscazione, di cui si parla. Si trova esso nel terzo articolo, che discute i “rimedi”, dopo che nel primo si sono indagate le “cause” e nel secondo gli “effetti”, della moderna invasione giudaica nell’Europa.
Fra i “rimedi” o proposte di soluzione della vessata questione, sono riferite anzitutto dal nostro periodico, ma escluse, “alcune proposte di pubblicisti, non già mossi da maltalento di socialismo contro le ricchezze degli ebrei ma caldi di uno zelo per la religione e la patria, che per altro si desidererebbe meglio temperato da giustizia”. La prima di tali proposte è appunto il rimedio che “sarebbe più radicale di tutti, ma non conforme allo spirito cristiano”; la confisca dei beni e il bando delle persone. Quindi l’autore dell’articolo riportava bensì le ragioni più forti allegate dai proponenti, e il voto espressone anche da un congresso di antisemiti – che “si applichino ai giudei le leggi che i giudei stessi hanno fatto approvare e sancire dai framassoni governanti dei paesi cattolici contro la Chiesa”, cioè che “si dichiarino nazionali tutti, senza eccezione, i beni dei giudei” – ma senza punto approvarle, conchiudeva:
“Non è mente nostra diffonderci in un esame critico di sì fatta proposta.
Notiamo soltanto, che della sua esecuzione abbondano gli esempi nelle storie.
Ma, per essere legittima, bisognerebbe, prima di tutto, che la confisca fosse decretata da chi esercita regolarmente nelle nazioni la pubblica autorità: ed in secondo luogo, che si effettuasse con certe norme di giustizia e di carità cristiana”.
“Non tutti gli ebrei – soggiungeva – sono ladri, arruffoni, bari, usurai, framassoni, farabutti e corruttori dei costumi. In ogni luogo se ne conta un numero, che non è complice delle furfanterie degli altri. Perché involgere questi innocenti nella pena dovuta a’ rei?”. Così egli col buon senso e la equità del cristiano e del religioso, che gli era propria. Né tace le ragioni che a queste oppongono “i sostenitori dell’eroico rimedio”, come il dire che “nelle guerre più giuste e più sante perisce gran numero d’innocenti, che questa non è vendetta, ma legge di necessaria difesa ecc.”. Ma egli non le approva senza riserva, e quanto al provvedimento generale di cui si parla, conchiude anzi che “la giustizia e la carità avrebbero in ogni caso buone ragioni da far valere contro la crudezza delle sue troppo draconiane disposizioni”.
* * *
Similmente rigetta l’altro rimedio, che dovrebbe essere di necessario compimento al primo, del bando generale dell’ebreo come straniero dal nostro suolo, ammesso pure il fatto che “se esso vi sta o vi sta per toglierlo a noi cristiani o vi sta per congiurare ai danni della nostra fede”; giacché infine “si tratta di un nemico che mira a spropriarci della terra ed a privarci del cielo”. Ma un siffatto rimedio, specialmente se si avesse da praticare in tutti i paesi civili, “non sarebbe generalmente possibile, anzi contrarierebbe i disegni di Dio”, che vuole la conservazione di Israele, sebbene così disperso, come “un palpabile argomento della verità del Cristianesimo”. E “ammesso pure che fosse ora praticabile, sarebbe difforme dal modo di vedere e di operare della Chiesa romana”. Ed a quest’ultimo proposito l’autore aveva allegato già l’esempio dei papi e dei principi cattolici, e citato anche la testimonianza dei due ebrei convertiti, i fratelli Lémann: i quali notano come “i Papi hanno sempre permesso con benevolenza il soggiorno nella città loro; e questo popolo errabondo, pur avendo libertà di non andarvi, sempre vi andava e chiamava anzi per gratitudine Roma il paradiso degli ebrei”. Se ciò avveniva, era perché quei giudei più assennati dei moderni riconoscevano che le leggi di separazione o “
interdizione” loro poste, erano non meno a difesa loro propria che a tutela dei cristiani, impedendo ogni mutua offesa o violazione di diritto da una parte e dall’altra.
Ora su questo ultimo punto insiste precisamente la nostra rivista nel 1890, e l’oppone alla condotta del liberalismo e massonismo allora dominanti, per trovare “il solo modo di accordare il soggiorno degli ebrei col diritto dei cristiani”. E questo sarebbe, secondo essa, di “regolarlo con leggi tali che al tempo stesso impediscano agli ebrei di offendere il bene dei cristiani, ed ai cristiani di offendere quello degli ebrei”: leggi quindi non odiose, ma giuste; di eccezione, non di persecuzione, anzi di mutuo vantaggio, come si disse.
E’ vero che ciò sembrerà violare quella piena “eguaglianza civile” che il liberalismo si fece vanto di concedere loro senza limitazione alcuna. E il nostro polemista lo riconosce, ma contro le ragioni dei vecchi liberali richiama il pensiero del de Pascal, uno degli scrittori antiliberali del secolo passato, che “volere un diritto comune fra condizioni sociali disparate, è come volere una misura eguale fra stature diverse. L’equo, il necessario è invece il rispetto eguale a tutti i diritti differenti”, quali corrono, ad esempio, fra nazionali e stranieri. E fra questi ultimi vanno annoverati, a loro stessa confessione, gli ebrei, generalmente parlando; se è vero che “il cosmopolitismo della loro stirpe è dai giudei medesimi confessato”.
Il nostro antecessore del secolo passato crede adunque che la totale eguaglianza civile, data dal liberalismo agli ebrei, che li collegò quindi con la massoneria, non solo e loro indebita, non avendone essi diritto, ma “anzi è perniciosa non meno ad essi che ai cristiani”. Egli era perciò di opinione che “presto o tardi, per amore o per forza, si avrà da rifare” ciò che si era disfatto, da cento anni in qua, negli antichi ordinamenti civili, per amore di novità, di pretesa libertà o falso progresso. “E forse – egli soggiungeva – gli ebrei medesimi saranno costretti di supplicare che si rifaccia”. Ora la ragione di questa previsione sta appunto sotto i nostri occhi: perché proprio oggi “la strapotenza alla quale il diritto rivoluzionario li ha oggi sollevati, viene scavando loro sotto i piedi un abisso, pari nella profondità alla altezza in cui sono assorti”.
Ma sopra ogni altra cosa, vi è il troppo giusto motivo di ben considerare se non sia troppo vero e confermato dall’esperienza di mezzo secolo quanto egli denunciava fin dal 1890: che “la uguaglianza, largita agli ebrei dalla setta anticristiana, ovunque si è usurpato il governo dei popoli, ha partorito l’effetto di collegare l’ebraismo col massonismo nella persecuzione alla Chiesa Cattolica e di innalzare la razza giudaica sopra i cristiani, nella potenza occulta e nella opulenza manifesta”.
Eppure né per il presente, né per tutto il cinquantennio passato, non è venuto proprio né da parte della Chiesa, né da reggitori o governi cattolici, ossia da quelli che più erano danneggiati dall’ebraismo, nessuna mossa violenta, di rappresaglia o di lotta contro gli ebrei, non ostante la loro strapotenza. E’
venuta per ultimo proprio dalla Germania, protestantica e nazista, come prima dalla Russia zarista e poi dalla comunistica e internazionalistica, che pure agli ebrei era per gran parte debitrice della sua rivoluzione, come è noto e fu anche dimostrato su queste pagine (4).
* * *
Da questi rapidi cenni ognuno vede quanto lo scrittore del nostro periodico,
sebbene tanto vivacemente commosso dalla persecuzione religiosa – che allora
infieriva in Italia ed era attribuita in massima parte, sia pure con qualche
esagerazione, alla strettissima alleanza della massoneria col giudaismo
anticristiano – fosse tuttavia sollecito di non proporre, contro i mali da lui
deplorati, nessun “rimedio” od opposizione che non riuscisse pienamente consona
alle supreme ragioni della giustizia e della carità. Si fa quindi troppo
evidente che il suo pensiero non fu bene inteso, anzi fu interamente svisato da
chi lo ebbe a rappresentare come un programma di vendetta o di rappresaglia, se
non anzi di guerra senza quartiere, quale sarebbe certamente suggerita dalle
considerazioni meramente umane e interessate della politica. Esso era invece un
caldo e ben motivato richiamo alla vigilanza e alla difesa. efficace ma
pacifica, contro un pericolo e disordine civile, non meno che religioso e
morale, della società moderna, minacciata dal giudaismo.
Non negheremo però che la forma o lo stile, più che la sostanza del pensiero,
possa, dopo quasi cinquant’anni, apparire di qualche acerbità, ora che la
lotta, sia della massoneria come del giudaismo sembrerà a molti mitigata; nella
forma almeno, se non nella sostanza. Ma checché sia di ciò, il difetto dello
stile e della forma non attenua la forza del ragionamento, né il valore quindi
delle conclusioni nella loro sostanza.
* * *
Quella severità di linguaggio oscurò tuttavia agli occhi di qualche studioso
il concetto dominante di quegli antichi articoli, per quello che concerne il
vecchio liberalismo e lo spirito della rivoluzione. Così il ch. Roberto
Mazzetti ne riconosce bensì “la nobiltà dell’intenzione e la serietà
indiscutibile e la larghezza d’orizzonte nell’indagine e la impressionante
molteplicità di dati storici e la pregnanza delle idee antigiudaiche”; ma trova
poi “da notare che non è affatto accettabile il concetto dominante circa il
valore della rivoluzione, così detta francese, circa il significato della
civiltà democratica e liberale del secolo XIX e, quindi, circa il Risorgimento
italiano”. E posto ciò, egli avrebbe ragione di non ammettere, come
“storicamente valido il coprire di quella che era una momentanea degenerazione
dello spirito del Risorgimento tutto il Risorgimento stesso”; ed oltre a
questo, di trovare illogico che la questione ebraica fosse posta nella seconda
metà del secolo XIX “col medesimo spirito con cui si sarebbe posta nel secolo
XVIII e prima ancora” (5), supponendo “l’origine giudaica della rivoluzione del
1789 e della civiltà democratica e liberale del secolo XIX”.
Ora appunto a cotesta “degenerazione” dello spirito del risorgimento mirano i
colpi del nostro vivace polemista del 1890, sebbene l’impeto della polemica non
gli abbia sempre richiamato alla penna tutte le fredde ed opportune
distinzioni. Del resto, è ben certo che egli non dava né poteva dare tutta la
colpa dei disordini sociali da lui deplorati al giudaismo ed alla massoneria
con esso collegato, né perciò voleva ferire, proprio senza distinzione, tutto
il Risorgimento, tutta la civiltà democratica ecc.
Nella interpretazione del Mazzetti noi troviamo quindi un grosso abbaglio; al
quale, non neghiamo, può aver data ansa il linguaggio generico dell’articolo,
che nel calore della polemica non poteva scendere a tutte le precisioni
desiderabili: non è cioè tutto il complesso moto del Risorgimento che egli ha
dinnanzi ed impugna; è l’indirizzo anticattolico che vi si era immischiato; è
il connubio del liberalismo con la massoneria; è insomma quella “degenerazione”
appunto che il Mazzetti stesso riconosce e deplora. Ma questi la suppone
“momentanea”; laddove tale non fu, certamente, né così ristretta come a lui
sembra. Quanto generale anzi e radicata fosse tale “degenerazione” tra i
liberali del Risorgimento – anche se non collegati con la massoneria così
esplicitamente, come credeva il nostro confratello di cinquant’anni fa –
risulta dallo stesso “studio introduttivo”, che il Mazzetti premette alla sua
raccolta di testimonianze sulla questione ebraica, e più ancora dai passi
citati appresso, di un R. Lambruschini, di Massimo D’Azeglio, di G. B.
Giorgini, di C. Cattaneo, di V. Gioberti, tutti buoni rappresentanti del
liberalismo e perciò difensori del giudaismo, sebbene in diverse gradazioni e
per motivi diversi.
In un siffatto consenso a difesa dei giudei, che si accompagnava non di rado
ad uno strano accordo di persecuzione, di vessazione e disprezzo della Chiesa,
del Clero, degli Ordini religiosi, allora spogliati e dispersi senza pietà, non
si poteva vedere, su quell’ultimo scorcio del secolo XIX, quanto ora vi scorge
il Mazzetti: che “il Risorgimento italiano, specie nel suo fiore fu filosemita
non perché fosse una diabolica instaurazione di nuovo paganesimo, non perché
fosse una settaria negazione del cristianesimo, ma perché intimamente religioso
e fervido di ricchezza di vita morale, sognò e volle un mondo di spiriti
religiosamente liberi, in cui più non fosse distinzione antiumana fra Barbaro e
Greco, Ebreo e Romano” ecc.
Un siffatto ideale di unità e concordia che sarebbe fondamentalmente
cristiano, se bene inteso e schiettamente applicato – non era di tutti, e
quantunque riaffermato con sincerità e con forza nel liberalismo mitigato del
d’Azeglio, del Giorgini, del Manzoni segnatamente, non era poi applicato nei
riguardi del clero e del laicato cattolico dall’altra scuola o “corrente” del
liberalismo anticlericale, sempre così gretto ed accanito nella sua opposizione
alla Chiesa che accreditava purtroppo l’opinione corrente di un connubio con la
massoneria incredula ed il giudaismo anticristiano. Diamo pure che vi sia stato
su ciò della esagerazione e dell’abbaglio anche dall’altra parte, per la facile
propensione a generalizzare; ma era ben il caso di dire, a scusa di chi
esagerava nell’attribuire troppa importanza all’ingerenza massonica ed ebraica,
che un tale abbaglio non mancava di fondamento; avverandosi l’effato
filosofico, che interdum falsa sunt probabiliora veris.
* * *
Il simile possiamo dire sul punto dell’origine giudaica della rivoluzione del
1789; la quale non è affermata negli articoli menzionati, in modo esclusivo, ma
semplicemente concomitante; per quanto cioè nel complesso moto rivoluzionario,
che doveva trasformare la società civile, ebbe una sua parte, e tra le più
nefaste e scristianeggiatrici, l’ingerenza dei Giudei e dei loro amici. Ma. con
questa concorse pure in gran maniera quella giansenistica, regalistica e
incredula dei parlamentari, dei “filosofi” e di altri partiti avversi alla
Chiesa ed al Papa; e per tutte queste molteplici e violente spinte
rivoluzionarie gli stessi ben pensanti e il clero medesimo andò travolto e
lasciò prendere alla fiumana irrompente della rivoluzione quel corso rovinoso
che minacciò di finire, con gli orrori del “Terrore”, nell’abisso delle
barbarie.
Posta la tanta molteplicità e varietà di cause che concorsero a quello
straordinario cataclisma sociale uno degli avvenimenti più complessi della
storia umana, come anche recenti studi hanno dimostrato – riconosciamo che
sarebbe davvero “semplicistico” assegnargli per unica e precipua causa
l’ingerenza giudaica, sia pure rafforzata dalla massoneria, com’era opinione
del vecchio Barruel. In ciò conveniamo col Mazzetti come anche gli concediamo
che sarebbe del pari semplicistico il “voler sostenere la origine e la funzione
esclusivamente capitalistica, secondo lo spirito del materialismo storico, del
gran moto rinnovatore del liberalismo moderno”. Ma da lui dissentiamo
nell’attribuire cotale “semplicismo” antistorico al nostro collega; giacché
questi non intendeva allora di involgere tutto l’intero “moto rinnovatore”;
bensì mirava, come dicemmo, alle sue degenerazioni da quella primitiva
ispirazione, di origine fondamentalmente cristiana, verso una giusta e ben
compresa libertà e fratellanza di individui e di popoli. Questa fu bensì, o
apparve ai più, “l’anima di verità” dell’errore e il nobile impulso iniziale
che attrasse molti alla professione e proclamazione dei famosi principi del
1789; ma purtroppo degenerò così presto in un moto anticristiano, violento e
sovvertitore dell’ordine sociale, che anche le origini prime e la iniziale
ispirazione apparvero a molti prettamente anticristiane.
Nella deviazione del moto, pertanto, più che nella sua iniziale ispirazione e
direzione, si troverà avverato ciò che osserva il Mazzetti, e non si oppone al
nostro pensiero: che “in questo moto (del liberalismo), gli ebrei hanno portato
un valido contributo in Italia come in Europa in genere; ma essi furono un
ruscello, un piccolo affluente, non il maestoso e gonfio fiume della storia
moderna” (pag. 118). Il ruscello cioè e l’affluente – diremo noi nel senso ben
inteso degli articoli del 1890 – intorbidò il maestoso fiume non solo, ma lo
disarginò talora e lo sospinse alle devastazioni, religiose e morali, sotto il
manto della libertà e del progresso. Si ebbero così magni passus extra viam; e
di essi poterono bensì profittare gli Israeliti che il liberalismo davvero
“liberò politicamente e umanamente”, ma non del pari le classi medie, né molto
meno le altre “classi e categorie popolari”, se parliamo col Mazzetti di verace
e “integrale umanamento”, di un moto cioè o avviamento della “futura storia
d’Italia verso il regno di un romano e cristiano umanesimo integrale in cui è
l’anima più vera della vita italiana”, come parrebbe al benevolo nostro
critico. Per il malo fermento della massoneria e del giudaismo, infiltratosi
fino dalle origini, il liberalismo parve favorire troppo spesso l’apostasia
delle nazioni dalla vita dello spirito, da Dio e dalla sua Chiesa. E la sua
vantata “liberazione” a che cosa riuscì nella pratica? A sguinzagliare le
classi medie e le inferiori, la borghesia ed il proletariato, verso una mentita
libertà, che era licenza sfrenata e riusciva infine ad una sorte di schiavitù,
anche economica e morale. A ciò alludeva la risentita frase del nostro, che
“tutto il dolce del liberalismo finiva con attirarle ( le nazioni) fra le
strette della vorace piovra del giudaismo”.
La frase saprà di “semplicismo”, e sia pure. Ma il certo è che il liberalismo
così traviato, come il giudaismo ed il massonismo da esso protetto, venne a
punirsi da sé, nei medesimi effetti tristissimi della sua “degenerazione” o
deviazione, partecipe della pena, come fu complice della colpa, del suo
protetto, il giudaismo. E di quello possiamo dire ciò che di quest’ultimo
scriveva il nostro collega nel 1890, ben presago di quanto si è poi venuto
maturando e che possiamo riscontrare più al vivo in questi ultimi tempi: “sente
già rumoreggiare da lontano la tempesta di quella rivoluzione sociale che esso
ha in gran parte generato e pare debba essere l’esterminatrice sua e dei
rinnegati che seco hanno stretto alleanza”.
Le parole sono forti, ma più duro ancora è l’esito che fin d’allora esse
preannunciavano e che al presente tutti possono già vedere verificato in
diversi paesi, mentre in altri si va purtroppo avverando.
Conchiudiamo tuttavia, per debito di verità e di lealtà, che ciò non è
avvenuto e non avviene per colpa unica, e neppure forse la più grave, degli
ebrei; avviene altresì per colpa della complicità o dell’inerzia di tanti
cristiani e cattolici sviati; e le colpe di costoro non è giustizia addossare
sugli ebrei per infierire ai loro danni.
* * *
L’ordine delle considerazioni in cui ci siamo tenuti finora, ci esime
dall’entrare nell’esame e nella discussione dei tanti altri particolari aspetti
della questione giudaica; tanto più che di non pochi si è già trattato, più o
meno ampiamente, nel nostro periodico (6).
Di altri punti che riguardano particolarmente il lato politico, economico,
finanziario e simili, come il “capitalismo ebraico” in particolare, il “mito
giudaico” e le prime reazioni oppostevi dalla coscienza italiana, con le accuse
e le difese degli ebrei, secondo la tradizione liberale e laica, si troverà
pure una larga esposizione nello “studio introduttivo” del Mazzetti all’opera
sopra citata (7). Egli appunto passa in un’erudita rassegna, anche se non del
tutto adeguata per “un secolo di cultura italiana” fino allo scoppio della
guerra mondiale, le varie opinioni, discussioni e proposte che si dibatterono
in Italia; o piuttosto gli “atteggiamenti con cui i nostri pensatori
esaminarono quella questione”: atteggiamenti che egli ordina giustamente
“secondo tre fondamentali correnti: una cattolica tradizionale; una cattolica
liberale; una laica su basi economiche e giuridiche”.
Notiamo solo, tra le varie riserve che l’indirizzo liberale dell’autore ci
suggerisce, come tutte e tre queste correnti vadano talora miste e confuse, per
le diversità dei rigagnoli, diciamo così, che vi confluiscono. Diversa e non
poco manchevole è la precisione di dottrina e spesso anche diverse le
deficienze di ortodossia, dal giansenismo al cattolicesimo liberale,
rappresentato, ad esempio, dall’abate Raffaele Lambruschini, la cui concezione
umanistica non pare a noi così “intimamente religiosa, e in concreto,
cattolica”, ma piuttosto laica, e di un laicismo che fraintende e svisa il
cattolicesimo genuino. Esso e ben lontano perciò dal concetto del Manzoni, del
Tommaseo, del Rosmini, e vicino invece a quello del Gioberti, tanto tenero
verso gli ebrei, come verso “i buoni e generosi Valdesi”, quanto acerbo ed
intollerante verso i cattolici da lui dissenzienti, designati col nomignolo di
gesuiti, per lui il più odioso e calunniato.
La fallacia, nel resto, dell’argomentazione liberale per la abolizione delle
antiche leggi che regolavano la vita della nazione giudaica in mezzo ai popoli
cristiani, è riconosciuta dallo stesso Mazzetti, che ben vi ravvisa pure
qualche ingenuità. E tale è, ad es., l’insistere che fanno nell’attribuire i
vizi degli ebrei all’effetto naturale delle leggi stesse, e vederne il rimedio
invece nel sempre più “legarli alla vita moderna” mercé la piena eguaglianza
dei diritti, senza nessuna tutela dei diritti dello stesso popolo cristiano.
Ciò era un lasciar loro del tutto libero il campo, e questo a loro stesso
danno, come ragionava il nostro periodico. Del quale infine il Mazzetti
medesimo loda “l’opera coordinatrice ed ispiratrice”, onde “la cultura italiana
impostava, in tutta la ricchezza delle sue direzioni, e svolgeva, con
indiscutibile serietà di preparazione scientifica, la questione ebraica”. Ma
appunto perché tale quell’opera del nostro periodico, non poteva dipartirsi,
anche nella vivacità spiegabile della polemica, e dallo studio sincero della
verità e dall’equilibrio doveroso della giustizia e della carità cristiana, che
noi abbiamo dimostrato.
- Rosa S. I.
NOTE
( l) Cfr. Civ. Catt. 1938, III, pp. 560-561.
(2) Cfr. Civ. Catt., Serie XIV, vol. 8°, pp. 5 , 385 , 641. . (Della questione
giudaica in Europa).
(3) Cfr. La questione ebraica in, un secolo di cultura italiana. Con uno
studio introduttivo di Roberto MAZZETTI (Modena, Soc. Tip. Modenese 1938), pp.
326-387.
(4) Cfr. Civ. Catt. 1922, vol. IV, p. 11 (La rivoluzione mondiale e gli
ebrei).
(5) La questione ebraica, pp. 118-119
(6) Cfr. Civ. Catt. 1934, vol. IV, pp. 126 segg.; 276 segg. (La questione
giudaica e l’antisemitismo nazionalsocialista), 1937, vol. II, pag. 418 segg,.,
497 segg.; vol. III, pag. 27 segg. e 1938, vol. II, p. 77. (La questione
giudaica e il Sionismo; le conversioni e l’apostolato cattolico).
(7) La questione giudaica (Modena 1938), pp. 7-119.