DI GIULIANO GUZZO
Più che di difesa, sa di ammissione. Oscillanti tra il vittimismo e lo scaricabarile, le parole con cui Laura Boldrini ha replicato alle accuse mossegli martedì da Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano – attraverso le testimonianze di collaboratrici mai liquidate, assistenti sottopagati e collaboratori costretti a dimettersi – smentiscono ben poco. L’assistente le prenotava il parrucchiere? «Perché sono una donna sola». Veniva spedita in lavanderia? «Può essere capitato». I mancati pagamenti alla colf? «É da settembre che la mia commercialista prova a contattare vanamente la funzionaria del Caf».
Povera arrampicata sugli specchi, una volta era uno sport serio: ora è ridotta a presa per il naso verso il prossimo. Pazienza. Qui però il punto, attenzione, non è la figura non della Boldrini. Il punto qui son le crepe apertesi sullo scafo del femminismo 2.0, il #MeToo in servizio permanente, il clero rosa dal ditino sempre alzato. Crepe di cui, sia chiaro, la rivelata tirannia domestica dell’ex Presidente della Camera è solo l’ultimo aggiornamento. Abbiamo infatti un crescente elenco internazionale di donne che – ciascuna nel suo ambito, e in modo più o meno netto – si smarca dalla cultura dominante. Qualche esempio?
Amy Coney Barrett che si fa nominare alla Corte suprema Usa da fiera antiabortista, Beatrice Venezi che vuol esser chiamata «direttore», la vicepremier spagnola Carmen Calvo che stronca la Ley Trans – per l’identità di genere con autocertificazione, senza sentenza, perizia o atto medico -, l’attivista inglese Julie Blindel che boccia la gestazione per altri come una truffa, la femminista Meghan Murphy che dice di preferire «di gran lunga uomini apertamente sessisti con cui puoi almeno avere una conversazione onesta» rispetto gli ipocriti progressisti. L’elenco è lungo. Son tutte intellettuali – spesso pure di sinistra – assai critiche col progressismo.
Se ne sente parlare poco, di sfuggita, perché i burattinai dell’informazione mica vogliono s’inceppi, il loro giocattolino propagandistico. Ma i fatti, che sono ostinati, raccontano un’altra storia: quella di un femminismo 2.0 che nonostante le tante icone su cui può ancora contare – da Kamala Harris a Megan Markle, da Lilli Gruber a Giovanna Botteri, da Rula Jebreal a Laura Boldrini fino a pochi giorni fa – ormai annaspa. Onnipresente sui media, in realtà zoppica. Arruola molto meno di un tempo. Appassiona, sì, ma fino ad un certo punto. Continua murgescamente a dominare nelle librerie, vero: ma convince solo chi è già convinto. Occhio, la giostra scricchiola.
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