Robot con la coscienza? L’ultima sfida dello scientismo contemporaneo

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/02/13/robot-con-la-coscienza-lultima-sfida-dello-scientismo-contemporaneo/

L’INGEGNERIA SOCIALE È UN PILASTRO ESSENZIALE DELLA METAPOLITICA DELL’OPEN SOCIETY DI GEORGE SOROS

Tutti concordano sul fatto che stiamo vivendo un periodo di cambiamenti epocali, sul piano economico e politico, ma soprattutto sul piano sociale ed antropologico. Non si tratta di mutamenti fisiologici, dovuti al progresso o a naturali processi di trasformazione delle abitudini e del sentire comune. E’ un progetto che viene prodotto nei circoli delle élites sovranazionali da persone che hanno un nome ed un cognome nonché un fine, che è fatto di arricchimento e potere. Tale programma ha un nome: “società aperta”. Il padre nobile è Karl Popper, che inizia ad elaborare il suo pensiero negli anni quaranta del secolo scorso.

Secondo Popper, nelle società aperte, si presume che il governo sia sensibile e tollerante, i meccanismi politici trasparenti e flessibili al cambiamento, permettendo a tutti di partecipare ai processi decisionali. Nella convinzione che l’ umanità non disponga di verità assolute, ma solo approssimazioni, la società dovrebbe dare così massima libertà di espressione ai suoi individui e l’autoritarismo non è giustificato. Egli sostenne che solo la democrazia liberale offrirebbe un meccanismo istituzionale per evolvere ed essere riformata o subire cambi di potere senza il bisogno di spargimenti di sangue.

Il miliardario e attivista politico George Soros, autodefinitosi discepolo di Popper, sostiene che l’uso sofisticato di tecniche persuasive ed ingannevoli come la moderna pubblicità e le scienze cognitive, attuato da politici come Frank Luntz e Karl Rove, ponga dubbi sulla originale concezione popperiana di società aperta. Poiché la percezione della realtà dell’elettorato può essere facilmente manipolata, il discorso politico democratico non porta necessariamente ad una migliore comprensione della realtà.

Soros sostiene che, oltre alla separazione dei poteri, libertà di espressione e di pensiero, è necessario anche rendere esplicita una forte devozione alla ricerca scientifica della verità. L’ingegneria sociale diviene un pilastro essenziale della metapolitica dell’Open Society di Soros, attraverso, soprattutto, l’influenza di Popper, dell’antropologo e psicologo Gregory Bateson, padre della cibernetica. Con essa si inseriscono il controllo mentale e la riprogrammazione psicosociale delle masse.

Lo scrittore Lucien Cerise diede questa definizione di ingegneria sociale: “è il nome dato ad un approccio interventista e meccanicista dei fenomeni sociali. Si tratta di lavorare alla trasformazione della società come se si trattasse di un edificio, di un’architettura, facendo ad esempio “demolizioni controllate”, o utilizzando una sorta di “caos controllato” per provocare cambiamenti che altrimenti non si produrrebbero da soli. […] L’ingegneria sociale è la trasformazione furtiva e metodica dei soggetti sociali (individui o gruppi).” Di fronte ad un programma così inquietante, che include l’intelligenza artificiale ed annulla l’anima con la religione, azzerando il pensiero e demandando tutto alle macchine, mi sono imbattuto in un articolo di Giorgia Audiello su l’Avanti.it del 10/02/2023, dal titolo: “Robot con la coscienza? L’ultima sfida del razionalismo scientista”.

Esordisce la giornalista: “Indagare, simulare e “creare” la coscienza attraverso la robotica: è l’ultima frontiera del culto del progresso tecno-scientifico materialista e meccanicista che pervade la modernità.

Tentare di conferire autocoscienza alle macchine è il paradosso più estremo del razionalismo positivista che vorrebbe ridurre il pensiero – compresi la creatività, le emozioni e la sensibilità – a mero processo meccanico attraverso l’uso di algoritmi e deep learning.

L’obiettivo è conferire alle macchine autocoscienza per mezzo di quella che viene chiamata auto-simulazione artificiale e arrivare utopisticamente alle “macchine coscienti”: una contraddizione in termini in quanto macchina e coscienza risultano di per se stesse incompatibili, essendo la prima materiale e programmata e la seconda – in quanto collegata al pensiero e all’anima – immateriale e, per questo, sommamente libera e non programmabile.

Se indagare i grandi misteri della vita, dell’universo e della coscienza è da sempre oggetto della filosofia, oggi è diventato soprattutto interesse dell’ingegneria, delle neuroscienze e della biochimica, poiché esse cercano il modo di riprodurre questi processi artificialmente in un impulso prometeico che porta l’uomo non solo a voler dominare la realtà, ma direttamente a crearla, nella velleitaria illusione di dimostrare – attraverso la tecno-scienza – che non vi sono “misteri” e che tutto è riducibile a leggi meccaniche e materiali, compresa la vita stessa.

È quanto afferma implicitamente Hod Lipson, ingegnere meccanico che dirige il Creative Machines Lab alla Columbia University con lo scopo di creare macchine dotate di autocoscienza. Con riferimento a quest’ultima, Lipson ha affermato che «è quasi una delle grandi domande senza risposta, al pari dell’origine della vita e dell’origine dell’universo. Cos’è la sensibilità, la creatività? Cosa sono le emozioni? Vogliamo capire cosa significa essere umani, ma vogliamo anche capire cosa serve per creare queste cose artificialmente».

Conclude, a ragione, la Audiello: “Se da un lato, dunque, si assiste sempre più al tentativo di snaturare l’uomo riducendolo a meri processi biochimici, dall’altro, paradossalmente, vi è la volontà di attribuire caratteristiche intrinsecamente umane come la coscienza alle macchine, nella vana illusione di elevare l’uomo al rango di “creatore”. Tuttavia, questa volontà di potenza che ha a che fare con l’orgoglio umano di imitare goffamente “Dio”, non solo rischia di allontanare sempre più l’uomo dalla comprensione di concetti che sono già stati indagati profondamente e magistralmente dalla filosofia antica, ma anche di alterare e mettere a rischio la libertà umana sempre più in balia del controllo digitale e dell’IA che può dare vita ad un vero e proprio reticolato di sorveglianza ineludibile, rendendo l’umano schiavo delle sue stesse “creazioni””.

Canzoni e cannoni

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di Marcello Veneziani

Mettete dei fiori nei vostri cannoni, cantavano I Giganti al festival di Sanremo del 1967. Da allora in poi il pacifismo fu uno dei messaggi obbligati al festival dei fiori e dei canti. Da quest’anno invece si fa la retromarcia e Sanremo canta: Donate a Zelensky i vostri cannoni. E’ il messaggio che il presidente ucraino verrà a lanciare dalla tribuna di Sanremo. E’ proprio opportuno che Volodymyr Zelensky venga a Sanremo a perorare la sua richiesta d’armi? Un conto è essere vicini alle sofferenze del popolo ucraino, dice, un altro è alimentare da un palco dedicato alla musica questo scellerato “clima bellicista”, questa “propaganda di guerra” al posto di una vera, seria trattativa. Si può non sposare il pacifismo, ritenerlo puro irrealismo da anime belle e notare che nessun pacifismo ha mai fermato una guerra, ma l’obiezione è sensata.
Mezza Italia e forse più non vuole la nostra attiva partecipazione a questa guerra, con la fornitura di armi e supporti. Perché serve a prolungare la guerra anziché risolverla, ad aumentare il numero di vittime e distruzioni, a inguaiare pure noi e serve soprattutto agli Stati Uniti per indebolire Putin e al tempo stesso l’Unione europea, usandola come strumento subalterno della strategia egemonica degli Stati Uniti. La gente ha visto in passato tante invasioni russe, sotto lo sguardo impietrito dell’occidente: l’Ungheria, la Polonia, la Cecoslovacchia erano Europa a differenza dell’Ucraina che per secoli è stata russa, ha una lingua affine, i due popoli sono intrecciati da secoli, hanno la stessa religione ortodossa e tanta storia in comune. Abbiamo visto muti e inermi le invasioni cinesi del Tibet, le repressioni di Hong Kong, le invasioni americane in mezzo mondo, portandoci sull’orlo di tante crisi mondiali. E mai si è deciso d’intervenire in difesa dei popoli invasi. Questa volta invece è d’obbligo armare l’Ucraina e intervenire in suo favore, fino a svenarsi e inguaiarsi. Con un battage mediatico senza precedenti. Al gesto scellerato di Putin d’invadere l’Ucraina ha contribuito la linea di Biden ostile a ogni negoziato per rendere neutrale l’Ucraina e riconoscere che due regioni come il Donbass e la Crimeache sono per storia e maggioranza filo-russe. Quando Trump dice che con lui non ci sarebbe stata l’invasione, riconosce di fatto le corresponsabilità americane nella guerra.
E poi, diciamolo francamente: Zelensky non è affatto simpatico a larga parte della platea italiana, anche se si ha timore a dichiararlo perché s’incappa subito, come ieri sui vaccini e la pandemia, nell’accusa di filo-putinismo, che obiettivamente riguarda solo una piccola minoranza. Zelensky non piace per i suoi trascorsi, per il suo cinismo, per il suo vecchio mestiere di guitto, per le repressioni passate del potere ucraino contro i russi e i partiti non allineati, per le sue ingiunzioni al mondo; e poi per il suo governo di corrotti e per le vistose limitazioni alla libertà d’espressione. Agli occhi di tanti è un fantoccio degli Usa. Quanto ha pesato il suo protagonismo, il suo istrionismo narcisista e la sua dipendenza dagli Stati Uniti nella decisione di resistere ad oltranza, mandando allo sbaraglio il suo popolo e generando danni a catena a mezzo mondo? Insomma, per il senso comune della gente, le responsabilità della guerra non sono solo quelle, accertate e inescusabili, di Putin e della sua nostalgia dell’Impero sovietico e zarista. Ma sono anche dall’altra parte. E a farci le spese, nel mezzo, è in primo luogo il popolo ucraino, le città ucraine, l’economia ucraina (su cui sperano di avventarsi per la ricostruzione molti sciacalli, anche nostrani, dopo aver contribuito ad aggravarle). E in secondo luogo ne fanno le spese tanti paesi europei, sul piano economico ed energetico. Un’Europa al rimorchio degli Stati Uniti e succuba delle sue decisioni e dei suoi interessi, priva di una sua strategia autonoma e di una capacità diplomatica e militare di mediazione e dissuasione, mostra in Ucraina la sua incapacità di diventare una Potenza mondiale in grado di trattare a pari condizioni con le altre superpotenze.
Tra poco sarà un anno dall’inizio della guerra in Ucraina e sono in molti a pensare, e in pochi a dire, che sin dall’inizio era chiara l’intenzione degli Stati Uniti di riequilibrare le forze in campo per rendere più lunga possibile ed estenuante questa guerra, in modo da colpire, sfiancare Putin e indebolire l’Europa sul piano energetico, economico e geopolitico, con la scusa di difenderla dall’aggressore russo (ma Putin non vuole espandersi in Europa; mira, con velleità, a restituire i confini passati all’Impero russo).
Infine, una piccola nota su Sanremo. Da anni ormai è diventato il Tempio scemo del Politically correct, il Collettore delle sciocchezze nazionali e globali, la discarica di tutte le ipocrisie, i buonismi e lo scemenzaio delle mode. Le finte trasgressioni, i sessi in transito, i fatui sermoni strappalacrime (e scrotoclasti), la rassegna dei nuovi luoghi comuni. Una trasgressione di massa non è più trasgressione ma conformismo; è come se per ogni infrazione ti arrivasse a casa non una multa ma un bonus. Sanremo misura il tasso di minchioneria che è nell’aria e inscena una serie di carri allegorici: la Vittima Nera, il Trans virtuoso, la Femminista indignata, l’Accoppiata omosex, il Predicatore antimafia, il Menagramo pandemico, il Pugno chiuso, il Blasfemo, la legalizzatrice della droga. Mancava solo Zelensky…

“1945 Germania anno zero”: Atrocità e crimini di guerra Alleati nel “memorandum di Darmstadt”

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Segnalazione di Federico Prati

Nè revisionismo, né negazionismo: i crimini di una parte non giustificano, né elidono i crimini dell’altra parte: la conoscenza completa e onesta del passato, oltre a consapevolizzarci sull’oscurità che alberga nell’uomo, può impedire l’uso strumentale della storia e quindi il perpetuarsi di spirali di odio, violenza  e vendetta per i decenni successivi.

Con questa ispirazione è nato “Germania anno zero” (Italiastorica) l’ultimo libro dello studioso Massimo Lucioli, (già autore di notevoli studi sull’ultima guerra), dedicato al cosiddetto “Memorandum di Darmstadt”. Il volume comprende una sconvolgente raccolta di immagini, di cui molte inedite.

Nel 1946, il campo di internamento americano 91 a Darmstadt, in Assia, contava 24.000 prigionieri tedeschi. Qui, in segreto, durante il processo di Norimberga, un gruppo di avvocati internati raccolse per quattro mesi le dichiarazioni giurate di 6.000 testimoni sulle violazioni delle leggi e delle regole di guerra da parte degli Alleati: dagli eccidi sulla popolazione tedesca etnica in Polonia nel 1939 (che fornirono il casus belli a Hitler), alle uccisioni dei prigionieri di guerra germanici da parte sovietica prima –con casi di torture e mutilazioni – e Alleata poi. Si documentano le violenze sessuali e le brutalità dei soldati Alleati contro i civili tedeschi; gli stupri e i massacri di massa sovietici nelle province orientali della Germania nel 1944-’45; i bombardamenti incendiari sui quartieri popolari e centri storici delle città tedesche.

Particolare attenzione è dedicata  alle draconiane misure punitive concepite dal sottosegretario al tesoro americano Henry Morgenthau applicate – di fatto – nella direttiva JCS 1067. Questa circolare disciplinava la vita dei civili e prigionieri militari nella Germania occupata dagli Usa, ma fu poi recepita anche nei settori governati da francesi, inglesi e russi dopo la conferenza di Postdam del luglio’ 45.

La popolazione tedesca, già stremata dalla guerra, fu sottoposta a privazioni tali da portare alla morte per fame, freddo e malattie centinaia di migliaia di civili – specie anziani, bambini e donne – con tassi di mortalità infantile, in alcune città, del 100%.

Nel libro si tratta anche dell’ordine segreto emesso da Eisenhower il 10 marzo ‘45 con cui i prigionieri tedeschi venivano classificati come DEF (Disarmed Enemy Forces), perdendo il loro status di POW, (Prisoners of war): in tal modo, non potevano più godere delle garanzie di assistenza minima previste della Convenzione di Ginevra. In ordini successivi, Eisenhower autorizzò a sparare su tutti i civili tedeschi che portassero da mangiare ai loro compatrioti militari prigionieri, dato che questi “dovevano essere alimentati dal Governo tedesco”. Dettaglio: il governo tedesco non esisteva, e questo condurrà alla morte circa un milione di prigionieri di guerra germanici per fame, stenti e malattie nel periodo 1945-‘47.

Il memorandum di Darmstadt, compilato in sei copie, doveva essere presentato da Hermann Göring al tribunale di Norimberga nel suo discorso di chiusura il 5 luglio del 1946. Ciò però non avvenne: gli Alleati sequestrarono e bruciarono il memorandum, tuttavia, una copia fu trafugata, pubblicata in Argentina nel ‘53 e successivamente in Germania.

Una pila di menzogne per difendere l’indifendibile? Le testimonianze dei prigionieri tedeschi trovano effettivo riscontro su tempi, luoghi, vittime, procedure e responsabili nei saggi del funzionario ONU, esperto di diritto umanitario Alfred M. de Zayas e dello storico Franz W. Seidler dell’Università Bundeswehr di Monaco. Altre testimonianze sono state verificate da Lucioli nell’archivio online del dipartimento Personenbezogene Auskünft di Berlino-Reinickendorf (con schede su 2,5 mln di caduti tedeschi).

“Devo ancora leggere il libro – commenta lo storico Franco Cardini all’Adn Kronos –  ma non è una novità che anche gli Alleati abbiano commesso atti infami. Il memorandum di Darmstadt lo conosco e ci sono invecchiato insieme. Lo dicevo da anni e qualcuno insorgeva contro di me. Ormai certe verità uniche e menzogne sono diventate patrimonio dell’umanità. Ci vorrebbe più coraggio a dirlo, nessuno ha tutta la ragione in tasca. E questo non significa ridimensionare i crimini del nazismo, sia ben chiaro. I vincitori, quando hanno vinto, hanno fatto di tutto per imbiancare le loro coscienze e annerire quelle dei vinti. Abbiamo immagazzinato una quantità infinita di errori e inesattezze storiche incredibili, una tale potenza di accuse nei confronti dei vinti, alcune anche calunniose, da far paura. Solo adesso, dopo 80 anni, si comincia a fare i conti con la verità. Attenzione, dire che Churchill sia stato un mascalzone, non significa dire che Hitler aveva ragione”.

Chiosa Massimo Lucioli: “Bisogna ricordare che gran parte di tali crimini sconvolgenti furono compiuti a guerra finita contro la popolazione civile tedesca. Non si può parlare, quindi, di crimini di guerra, bensì di crimini contro l’umanità: una forma di vendetta. Lo stesso John F. Kennedy nel libro “Profiles in Courage” del 1956 ebbe parole molto critiche sul processo di Norimberga: «Un processo tenuto dai vincitori a cari­co dei vinti non può essere imparziale perché in esso prevale il biso­gno di vendetta. E dove c’è vendetta non c’è giustizia. A Norimberga, noi accettammo la mentalità sovietica che antepone la politica alla giustizia, mentalità che nulla ha in comune con la tradi­zione anglosassone. Gettammo discredito sull’idea di giustizia, mac­chiammo la nostra costituzione e ci allontanammo da una tradizione che aveva attirato sulla nostra nazione il rispetto di tutto il mondo»”.

Insomma, “1945. Germania anno zero” farà parlare di sé.

Finlandia: il relativismo è legge

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di Raffaele Amato

Finlandia: il relativismo è legge – Su proposta del governo socialdemocratico, il parlamento finlandese ha approvato la legge sul “riconoscimento di genere”, in base alla quale sarà sufficiente una semplice autodichiarazione all’anagrafe, seguita da un periodo di “riflessione” di 30 giorni, per vedersi riconosciuto il genere prescelto.

Basta una firma

Vengono così scavalcati gli accertamenti medici e psichiatrici previsti dalla precedente legislazione. Sconcertante? Non abbastanza, a quanto sembra, se è vero che c’è chi considera questa nuova “conquista” ancora troppo restrittiva, essendo riservata ai soli adulti. Matti (nomen omen?) Pihlajamaa, consulente per i diritti LGBT+ per conto di Amnesty International Finland, promette battaglia: “Escludere i bambini dal riconoscimento legale del genere viola la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia. Continueremo a chiedere al governo di modificare la legislazione, di conseguenza, per garantire che promuova i diritti dei bambini”.

I limiti della legge

Le ricadute pratiche di simili follie nel mondo si sono già registrate. Nel 2018, nelle elezioni municipali di Oaxaca, in Messico, 19 candidati uomini (di cui solo 2 classificati come transgender mentre gli altri 17 erano in gran parte padri di famiglia con mogli e figli) si sono dichiarati donne per poter rientrare nelle quote rosa.

In seguito alla causa legale intentata nel 2019 dall’American Civil Liberties Union (ACLU), a partire dal 2021 sono iniziati trasferimenti di detenuti transgender dalle carceri maschili a quelle femminili. Da allora non si contano gli episodi di molestie, gravidanze indesiderate, stupri subiti da detenute.

Questi sono gli aspetti macroscopici, spettacolari, clamorosi della deriva relativista, ma, a costo di apparire complottisti, non deve sfuggire il disegno che c’è dietro questi fenomeni. L’ideologia gender, parte integrante di quella Woke, mira ad un transumanesimo in cui ogni identità è necessariamente liquida.

Per cui nessun elemento identitario, quali la razza, la patria, la lingua, la religione, la cultura, la cucina, o come in questo caso, il sesso, può essere considerato un punto fermo, un dato certo. L’Umanità, privata di ogni riferimento, è oggetto di una svolta antropologica omologante, in cui falsi diritti diventano i totem a cui immolare la civiltà stessa.

Come fermare la deriva?

Di fronte a questa ondata nichilista che sta sommergendo l’Occidente, non si vedono argini di rilievo, non si levano che poche voci contrarie, soprattutto non si organizzano fronti di resistenza. Forse nella speranza che, prima o poi, la ragione tornerà a prevalere e le pericolose stravaganze woke – arcobaleno si afflosceranno su sé stesse. Ma le cronache degli ultimi anni ci raccontano una storia diversa. E cioè che il fronte nichilista più ottiene e più pretende, in una corsa senza fine verso l’abisso, Matti Pihlajamaa docet.

È tempo di agire, magari non temendo di affermare, con forza, che la realtà è un dato oggettivo, non soggettivo. Che i sessi sono due: maschi e femmina. E che i generi sono i mariti delle figlie.

https://www.2dipicche.news/finlandia-il-relativismo-e-legge/

Gli anni della vergogna

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di Franco Maloberti

Mi chiedo se saranno i futuri storici a definire questi anni come “gli anni della vergogna” o molto prima, per nuova consapevolezza, saremo noi stessi a parlare della vergogna di questi tempi. Gli anni in questione sono quelli successivi la Seconda guerra mondiale. I vincitori della guerra, invece di puntare a uno sviluppo armonico, hanno operato per il dominio del mondo, per diventare egemoni e tenere saldo il potere con la forza. Una egemonia che non può che essere instabile e incapace di resistere alla erosione dei tempi. La vergogna è di tutti, noi compresi, che abbiamo assistito, silenti, ai vergognosi comportamenti dei principali attori della involuzione: i cosiddetti scienziati, i giornalisti, e i politici. Sarà la gente comune, quella che proverà la vergogna, per l’essersi sentita inadeguata a porre rimedio ai disastri fatti da altri.

Ho messo al primo posto gli “scienziati”, perché la scienza ha smesso di essere scienza e si è prostituita a interessi militari, al potere e al denaro.

Attorno agli anni 1930 ci furono grandi scoperte nella fisica dell’atomo. Nonostante gli scarsi finanziamenti, i “ragazzi di via Panisperna”, dove era ubicato il Regio Istituto di Fisica dell’Università di Roma, scoprirono le proprietà dei neutroni lenti usando anche, oltre alla paraffina, la vasca dei pesci rossi per usare l’acqua come elemento idrogenato che rallenta i neutroni. A capo dei “ragazzi” c’era Enrico Fermi che per quella scoperta ricevette il premio Nobel nel 1938. In Italia in quel periodo c’era una crescente persecuzione degli ebrei e, immediatamente dopo l’assegnazione del Premio, Fermi e la moglie, di origine ebraica, emigrarono negli USA, partendo direttamente da Stoccolma.

Nello stesso periodo Robert Oppenheimer fece scoperte importanti sull’effetto tunnel, che è la base del funzionamento di vari dispositivi elettronici e di memorie a semiconduttore. Sia Fermi che Oppenheimer ebbero importanti collaborazioni con i fisici dell’epoca e trascorsero un periodo di studi in Germania a Göttingen.

Nel 1939 i fisici Bohr e Rosenfeld portarono negli USA la notizia che in Germania altri fisici avevano ottenuto la fissione dell’uranio bombardandolo con neutroni lenti. La notizia confermò l’idea che una reazione a catena di fissione potesse portare a una superbomba di potenza enorme. Un tale pericolo fu manifestato in una lettera, firmata anche da Einstein, mandata al Presidente Roosevelt.

Dopo l’invasione della Francia da parte della Germania nel 1940 Roosevelt creò il “National Defence Research Committee” per ricerche riguardanti la difesa nazionale e la progettazione di nuove armi. Il progetto specifico riguardante la bomba atomica, chiamato Manhattan, diretto per la parte scientifica da Oppenheimer e sviluppato con un contributo non trascurabile di Fermi, realizzò poi il ben noto risultato. Il progetto avrebbe dovuto costare 133 milioni di dollari ma alla fine del 1945 arrivò a più di due miliardi con più di 130 mila persone impiegate.

Quella sottomissione delle capacità scientifiche di numerosi scienziati a richieste belliche fu il primo caso di profanazione di massa del significato di scienza, come era condiviso fino ad allora da tutti. Furono pochi quelli che si dissociarono. Max Born si disse convinto fin dall’inizio che quella era un’invenzione diabolica. Franco Rasetti, uno dei “ragazzi” emigrato in Canada, criticò duramente i colleghi e, dopo Hiroshima e Nagasaki disse “La fisica non può vendere l’anima al diavolo.” Joseph Rotblat si ritirò dal progetto. Tra le ragioni di quel ritiro c’erano le affermazioni del generale Groves, il comandante del progetto per la parte militare, che diceva che la bomba non era per battere la Germania, ma l’Unione Sovietica, allora alleata degli USA. Alla fine, molti espressero “pentimento”. Oppenheimer giorni prima il lancio di prova “Trinity Test” disse: “Sono diventato Morte. Il distruttore dei mondi“. e, dopo Hiroshima e Nagasaki, “I fisici hanno conosciuto il peccato“. Fermi, invece, diede solo deboli segnali e, quando gli fu richiesto, lavorò per la bomba ad idrogeno.

Recentemente, la prostituzione a interessi mercantili o militari ha ripreso vigore. Per fare ricerca serve denaro: le risorse umane e le attrezzature sono costose. Quello che conta nei tempi moderni è la quantità dei risultati, molto più della qualità. Nelle università si è rispettati e apprezzati solo se si scrivono tanti articoli e, questo è reso possibile da una larga schiera di studenti e ricchi finanziamenti. Non è infrequente trovare ricercatori che sovrintendono una ventina di studenti. Supponendo che la settimana lavorativa sia di quarantotto ore, tenendo conto del tempo per lezioni, riunioni, scrittura di proposte e altre incombenze, si ha che il tempo dedicato a un singolo studente non arriva a un’ora alla settimana. Il ricercatore è quindi un manager alla spasmodica ricerca di denaro. E il denaro raccolto corrisponde spesso a lavori con valenza industriale o militare. Per il denaro, una buona frazione di ricercatori fa di tutto, sviluppa software per controllare le menti, studia sistemi di controllo dei proiettili, favorisce il volo senza pilota di droni assassini, crea virus mortali dispersi casomai da uccelli o da insetti. Molti, troppi, ricercatori sono finanziati da progetti di sviluppo militare, e questo è una vergogna, anche se alcuni usano dire che gli avanzamenti tecnologici sono per il bene dell’umanità.

Nel 1864, a 17 anni, Joseph Pulitzer emigrò dalla nativa Ungheria negli USA. In breve tempo divenne giornalista e poi editore. Il successo di Pulitzer, pur osteggiato da concorrenti, fu dovuto al suo convincimento che la difesa del diritto costituzionale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e della incorruttibilità della giustizia dipendesse dalla qualità della informazione. Di lui, c’è la seguente riflessione:

La nostra repubblica e la sua stampa progrediscono o cadono assieme. Un capace e disinteressato spirito pubblico di stampa, con intelligenza allenata a conoscere il diritto e con coraggio, può preservare quella pubblica virtù senza la quale il governo popolare è una farsa e un raggiro. Una stampa cinica, mercenaria, demagogica produrrà col tempo un popolo vile quanto lei stessa. Il potere di plasmare il futuro della Repubblica sarà nelle mani dei giornalisti delle generazioni future.

Quello che Pulitzer auspicava si è attuato solo per un periodo breve. Ai tempi di Pulitzer il giornalismo negli USA, come racconta Eric Burns nel suo libro “Scribacchini infami“, era “selvaggio” con i giornali colmi di bugie, di accuse non provate ed esagerazioni. Erano, in pratica, armi partigiane usate per colpire oppositori politici.

Pulitzer fu un giornalista e un editore controverso. Nel tempo la sua linea editoriale mutò da populista e sensazionalista a “dedicata alla causa del popolo anziché a quella dei potenti”. Alla sua morte lasciò alla Columbia University due milioni di dollari per istituire la Scuola di Giornalismo e, dopo sei anni la Columbia istituì i premi in suo onore. Alcuni di questi erano anche per proteggere il giornalismo indipendente e premiare piccole organizzazioni giornalistiche che fanno inchieste e operano come organi di controllo dei governi e dei potenti.

Negli anni successivi molti giornalisti seguirono le raccomandazioni di Pulitzer. Negli USA ci furono clamorose inchieste in opposizione al potere e alle ingiustizie. Agli inizi del 1900 Ida Tarbell denunciò i metodi di spionaggio, ricatti e coercizioni usati da Rockfeller e i suoi collaboratori per sbarazzarsi della concorrenza. Il “Plain Dealer” di Cliveland svelò il massacro di My Lai in Vietnam. Il Washington Post portò alla luce il Watergate.

In Europa la vita del giornalismo fu contrastata, comunque, mostrò coraggio e determinazione come fu per il caso Dreyfus, in Francia, difeso da Émile Zola con il suo articolo “J’accuse“. In Italia ci furono giornalisti di coraggiosi e determinati, come Pier Paolo Pasolini, Giancarlo Siani, Oriana Fallaci, Giorgio Bocca, che si opposero, pur con diverse connotazioni politiche, alle ingiustizie e alle prevaricazioni.

Il giornalismo era effettivamente un “quarto potere”, inteso nella sua forma più positiva del termine, ma poi, quasi bruscamente, è diventato arte da palcoscenico guidata dalla regia degli editori, sempre più sensibili alla influenza politica e del grande capitale. L’inizio del declino iniziò con il caso Monica Lewinsky quando la stampa chiuse gli occhi e balbettò giustificazioni per salvare Clinton. Ora i giornali sono il megafono del potere vengono usati per sostenere l’una o l’altra fazione politica. Non vale più quanto descritto da Davide Caleddu su Huffpost nel 2013,

Per noi italiani è normale che il giornale o telegiornale A la racconti come piace al partito A e che per sapere la versione politica B occorra leggere o ascoltare le notizie del mass media B. È normale che la musica, da una parte e dall’altra, sia sempre la stessa. È normale ragionare di politica in termini sportivi, essere elettori e dunque supporters. È normale aspettarsi la menzogna, la versione dei fatti distorta (talvolta fino al ridicolo), la cosiddetta ‘disonestà intellettuale’. È normale. Così va il mondo.

Quella normalità è abbondantemente superata. Esiste solo “l’opinione A” dato che “quella di B” è definita, casomai dalla “saggia Ursula”, come trita disinformazione e “giustamente” e risolutivamente censurata. Le notizie sono quelle preconfezionate da A e supporter, con grande spreco di ricostruzioni cinematografiche e fantasiose interpretazioni. C’è uno sparuto numero che resiste ma devono limitare la loro attività a battaglie da poco, come scacciare gli occupanti abusivi di case. Chi supera una certa soglia viene censurato e bloccato, come è successo all’americano Eric Zuesse, che è stato bannato da “Modern Diplomacy” diventando una “non person”. Zuesse spiega che, nonostante il primo emendamento americano garantisca la libertà di parola, ma se questa viene espressa su entità private queste possono censurare. Ne consegue che un privato che controlla l’informazione può impunemente infischiarsene di Pulitzer. I Twitter files insegnano.

Il quarto potere è stato poi scalzato dal quinto (informazione via WEB) e dal sesto (pubblicità) che risponde solo a una regola: fare gli interessi degli inserzionisti. Come sottolineato da alcuni conduttori di talk show televisivi, bisogna fare cassa: attendere sessanta secondi, cinquantanove, cinquantotto, …

Tutta la vicenda informazione è deprimente. Sarà nel futuro ritenuta una grande vergogna?

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E della politica, che dire? Penso che i politici non godano di una grande reputazione. Cosa è successo allora negli anni recenti per provare ulteriore vergogna? Non è certo possibile riferirsi alla visione arcaica della politica, quella che la legava alla religione e all’etica. Ai tempi in cui la giustizia serviva a conseguire, assieme alla politica, il “buon ordine” della città. La cultura politica greca avversava la tirannide, ovvero il dominio di uno sui molti, e fece leggi miranti all’equità sociale e politica, pensate non per i singoli ma per la salvezza e la dignità della città, per sottrarla alla guerra civile e per tenerla lontana dalla tirannide.

Ora la situazione è molto, molto peggio. Nel recente passato, almeno, la politica seguiva una propria “etica” che era di certo rilassata rispetto al senso comune, ma rimaneva entro i limiti di un “onesto banditismo”. Ad esempio, la parola data era sacra, il rispetto dei propri affiliati assoluto. I politici avevano degli uffici nelle zone di loro “protezione” dove i questuanti loro seguaci andavano per essere raccomandati. Per trovare un lavoro o per avere un permesso occorreva fare anticamera in qualcuno di quegli uffici. La cosa aveva però aspetti positivi. Il politico, normalmente più istruito e anziano dei postulanti, riceveva informazioni sulle necessità della gente comune e, a seguito di una subconscia elaborazione, arrivava a decisioni che danneggiavano in misura accettabile i sottoposti. I politici erano un certo riferimento per gli affiliati, grosso modo la stragrande maggioranza della gente, inclusi i molti che “facevano i furbi”. Un vantaggio, pur di un comportamento di “furfante onesto”, era che esisteva il feedback: i “clienti” valutavano in modo positivo o negativo il favore ricevuto. Il costo dei “servizi” era poi modesto: una qualche bottiglia di olio, del vino, un capretto o un maialino o, per le poche politiche femmine, una boccetta di profumo.

Negli ultimi decenni la situazione è grandemente peggiorata. Il campo di azione dei cosiddetti politici si è allontanata dai “clienti”, anche per gli strepiti di chi diceva che la raccomandazione toglie a chi merita per darlo a chi non sa o chi non ha fatto nulla. Tutto vero, ma il risultato è che si sono evitate piccole malefatte, ma si è allontanato dalla vista della gente le grandi malefatte. L’attività del politico, invece che fare favori ai propri associati, è diventata quelli di fare favori a grandi lazzaroni, seguendo le moine (pagate profumatamente) dei cosiddetti lobbisti. Le raccomandazioni sono comunque rimaste, ma solo per delle seggiole importanti, tipo la presidenza di una azienda controllata, una banca o una azienda sanitaria.

Il lobbismo è quella “nobile” attività svolta da individui o gruppi di interesse privati per influenzare le decisioni del governo. Esso è svolto da persone, associazioni e gruppi organizzati, società, o gruppi di difesa di specifici interessi. Dagli anni ’70 il lobbismo è cresciuto enormemente sia negli USA che nella UE. La cultura americana, basata sul denaro, ammette il fenomeno che è alla luce del sole, anche se soggetto a regole facilmente eludibili. Comunque, si stima che negli USA tra lobbisti registrati e clandestini ci siano quasi centomila persone con un giro di denaro di parecchi miliardi di dollari. Si facilitano affari di tutti i tipi, e in particolare, l’acquisto e il consumo di armi sempre più costose e lucrose. Negli organi UE, popolati da “trombati in patria” il fenomeno è cresciuto a dismisura. Ogni decisione, incluse quelle che riguardano le dimensioni delle arance e delle zucchine, è “guidata” da decine di migliaia di lobbisti che guidano amorevolmente quei giovani “troppo intelligenti” che si sono trovati catapultati in una nuova Babilonia.

Per cosa si proverà vergogna, allora? Gli antichi greci erano di gran lunga migliori degli attuali politici per due ragioni: usavano la ragione e avevano vicini gli “utenti”. Ovvero, c’era “feedback”, quel meccanismo che mantiene la stabilità dei sistemi. L’aver lasciato che i centri di potere si allontanassero dagli “utenti” è la ragione principale dell’attuale disastro e vergogna.

Franco Maloberti Professore Emerito presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Informatica e Biomedica dell’Università di Pavia; è Professore Onorario all’Università di Macao, Cina.

NOTE

https://www.washingtonpost.com/archive/lifestyle/2006/05/10/the-muck-started-here/0c4d1f4c-edcb-4929-a5e8-8af2fcd2e384/

https://www.ilpost.it/2022/05/09/joseph-pulitzer/

Pubblicato in partnership su ComeDonChisciotte

Foto: Katehon.com

29 gennaio 2023

Fonte: https://www.ideeazione.com/gli-anni-della-vergogna/

L’illusione che 300 tank cambino la guerra

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Segnalazione Arianna Editrice

di Fabio Mini

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Se il cancelliere Scholz credeva di poter continuare a traccheggiare sulla questione dell’invio di carri armati Leopard all’Ucraina, condizionandolo all’invio americano dei propri carri Abrams, si è sbagliato. Il presidente Biden ha raccolto l’implicita sfida non solo promettendo altri miliardi di dollari, ma autorizzando l’invio di 20-50 carri Abrams e chiedendo agli alleati europei di fare la loro parte. L’apparente convinzione generale negli Usa e nella Nato è che una massa consistente di almeno 300 carri occidentali, come richiesto da Kiev, consentirebbe di riconquistare i territori occupati e annessi dalla Russia. La valutazione non è sbagliata, ma la realizzazione dipende molto da quanti mezzi verranno effettivamente consegnati, dai tempi di consegna, dalla capacità di usarli non solo come mezzi singoli ma come elementi di forze corazzate e meccanizzate tra loro cooperanti, dalle condizioni del terreno, dalla copertura aerea, dalla disponibilità di artiglierie di sostegno, dal rifornimento di carburanti e munizioni e, non ultimo, dalla disponibilità di fanterie in grado di mantenere le posizioni riconquistate.
Finora si hanno notizie della cessione di 12 carri inglesi, 17 americani, un centinaio di carri Leopard tedeschi da parte della Polonia e qualche carro Stridsvagn-122 (versione del Leopard) dalla Svezia.

L’inverno, la primavera e l’offensiva.
I tempi di consegna variano da uno a sei mesi e oltre. Kiev chiede le forniture con insistenza crescente nella previsione che la Russia sia in procinto di attaccare in forze. La stagione invernale non favorisce le manovre militari, ma ne consente la preparazione. La stagione primaverile è storicamente la meno adatta per i movimenti corazzati in Ucraina e Russia, ma proprio per questo un attacco potrebbe sfruttare la sorpresa. L’Ucraina non è in grado di assicurare la superiorità aerea e soltanto in parte la difesa contraerea e contro missili.
La logistica dei rifornimenti e del personale è l’aspetto più sensibile. I consumi di munizioni e carburanti di una armata corazzata sono altissimi. Inoltre, un esercito proiettato in avanti e a oriente del Dniepr allunga il braccio dei rifornimenti e rende vulnerabili i centri logistici sia avanzati che arretrati. Meno importante è il problema delle parti di ricambio visto che in questa guerra gli ucraini non si sono preoccupati di riparare i mezzi danneggiati o inefficienti.

I mezzi “usa e getta”: niente riparazioni.
Di fatto, i carri armati ucraini, come altri equipaggiamenti forniti dall’Occidente, sembrano essere articoli “monouso”: usa e getta. Anche gli uomini, di entrambe le parti, sembrano avere lo stesso destino. E le riserve sono scarse. Per quanto riguarda l’impiego dei mezzi, gli ucraini hanno già previsto di mandare uomini ad addestrarsi sui carri Challenger inglesi, sugli Abrams americani e sui Leopard tedeschi. Se anche l’Italia manderà i carri Ariete e la Francia, dopo gli AMX10 leggeri, manderà i Leclerc, l’Ucraina disporrà di sei linee di carri diversi che si aggiungono a quelle dei mezzi ex sovietici: un incubo per qualsiasi nazione che pensi seriamente alla logistica, ma evidentemente non per l’Ucraina che in dieci mesi di guerra ha visto affluire armamenti e veicoli di 160 tipi diversi, ha consumato tutto il proprio arsenale e sta esaurendo anche i mezzi graziosamente ma non gratuitamente forniti dai committenti della guerra.

Il panzer non è un trattore.
L’addestramento di singoli equipaggi ai nuovi carri è una cosa da fare, ma non la più importante. Far funzionare un carro è abbastanza semplice, ma non è un trattore agricolo. Per farlo muovere a 70 chilometri all’ora e farlo sparare in movimento ha bisogno di un equipaggio ben addestrato anche su carri dotati di sistemi avanzati di tiro che in teoria sparano da soli. In teoria. Passando dal funzionamento del carro singolo a quello di un reparto, la semplicità si perde ed entra in gioco l’aritmetica della guerra. Condurre un semplice attacco di plotone (tre carri) è già più complesso e condurre un attacco di battaglione (31 carri) richiede elevate capacità di comando e logistiche. Con 300 carri armati, l’Ucraina potrebbe armare dieci battaglioni in grado di attaccare su non più di tre direttrici nel solo Donbass. Contro un nemico in difesa dotato di armi controcarro e carri sostenuti da artiglierie e aerei, come il fronte russo che l’Ucraina presume di sfondare, si perderebbero almeno due terzi della forza.

In uno scontro frontale perdite del 50 per cento.
In un combattimento d’incontro tra forze corazzate paritetiche (come un’eventuale controffensiva ucraina in Donbass) il tasso di perdite per entrambi è di oltre il 50%. Nel caso di eventuale manovra difensiva nei riguardi di un attacco russo, la massa dei carri ucraini dovrebbe bloccare l’avanzata avversaria perdendo gran parte della sua capacità dinamica e dovrebbe ricorrere a contrattacchi locali sui fianchi del nemico. La manovra potrebbe aver successo nel senso di non cedere altro terreno all’avversario, ma di certo non per recuperare quello già perduto. Passando dall’aritmetica elementare alle teorie dei giochi e della complessità applicate alla guerra, l’incremento di masse corazzate nel conflitto, se da un lato consente di continuare a “giocare” dall’altro porta all’innalzamento del livello di scontro e all’allargamento del conflitto. In ogni caso, considerare la battaglia convenzionale corazzata come risolutiva della guerra fino al punto da permettere la vittoria ucraina sulla Russia è un macroscopico errore di valutazione. Troppo grossolano per essere attribuito a un qualsiasi Stato Maggiore, ma non del tutto peregrino in termini politici.
L’urgenza manifestata da Kiev, oltre alla preoccupazione per la minaccia russa, rivela una situazione di crisi interna confermata dalle prime purghe e una crescente diffidenza nel sostegno occidentale. Il capo della Cia, William Burns, ha già ventilato a Kiev la possibile flessione degli aiuti americani a partire dal prossimo agosto e forse ha rivolto qualche sollecitazione in materia di lotta alla corruzione. Sono all’orizzonte le elezioni americane e senza risultati concreti dell’Ucraina sul fronte militare e della correttezza di governo, la leadership democratica potrebbe essere in difficoltà. Perciò, la cessione di carri armati all’Ucraina non sembra finalizzata alla distruzione reciproca dell’esercito ucraino e delle forze russe in Donbass, anche se proprio questo sarà l’effetto visibile e scontato.

Il conflitto per procura: i veri obiettivi.
Per gli Stati Uniti è il mezzo per mettere alla prova la capacità ucraina di riguadagnare terreno e sedersi da vincitori a un eventuale tavolo negoziale. È il mezzo per indurre i Paesi europei e Nato a sottostare alle direttive Usa e trascinarli in guerra. È la prova che nella guerra per procura dichiarata dagli Stati Uniti e la Nato contro la Russia il vero proxy non è l’Ucraina, ma l’intera Europa. È la prova che l’Amministrazione democratica si vuole presentare alle elezioni del 2024 non soltanto con il vanto (tutto da verificare) di aver difeso l’Ucraina e “depotenziato” la Russia, ma con il merito di aver definitivamente assoggettato l’Europa ai voleri e interessi americani anche in vista del confronto strategico con la Cina.
Per la Nato e l’Europa è il mezzo per rafforzare il nucleo bellicista e isolare gli Stati più restii a sostenere la guerra. Per la Gran Bretagna è il mezzo per frantumare la coesione europea ed esercitare la leadership in tutto il Nord a partire dalla Polonia fino al Baltico, alla Scandinavia e all’Artico. Per Francia e Germania è la rinuncia a un qualsiasi ruolo di leadership europea e per l’Italia è la conferma della vocazione alla resa. Incondizionata.

LA DIVISIONE FINALE FRA I FIGLI DELLA LUCE E I FIGLI DELLE TENEBRE

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di Alexander Dugin

Nella terza parte del suo studio, il filosofo russo confronta il mondo spirituale con quello fisico, concentrandosi sulla divisione dell’umanità dopo il Giudizio Universale. Chi è destinato a vivere per sempre e chi è destinato a perire nell’abisso è una domanda che preoccupa gli uomini fin dalla loro nascita.

Questo dualismo antropologico lo ritroviamo in un contesto prettamente cristiano con l’apostolo Paolo. Nella prima lettera ai Tessalonicesi scrive:

5. Perché voi siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non siamo né figli della notte né delle tenebre.

6. Non dormiamo, dunque, come fanno gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

7. Perché chi dorme dorme di notte, e chi si diverte di notte si diverte di notte.

8. Ma come figli del giorno, vegliamo, rivestiti dell’armatura della fede e dell’amore e dell’elmo della speranza di salvezza.

(Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, cap. 5, 5-8)

5. πάντες ὑμεῖς υἱοὶ φωτός ἐστε καὶ υἱοὶ ἡμέρας. οὐκ ἐσμὲν νυκτὸς οὐδὲ σκότους.

6. ἄρα οὖν μὴ καθεύδωμεν ὡς καὶ οἱ λοιποί, ἀλλὰ γρηγορῶμεν καὶ νήφωμεν.

7. οἱ γὰρ καθεύδοντες νυκτὸς καθεύδουσι, καὶ οἱ μεθυσκόμενοι νυκτὸς μεθύουσιν·

8. ἡμεῖς δὲ ἡμέρας ὄντες νήφωμεν, ἐνδυσάμενοι θώρακα πίστεως καὶ ἀγάπης καὶ περικεφ

Nel Vangelo di Giovanni, Cristo stesso dice quanto segue sui “figli della luce”:

Finché la luce è con voi, credete nella luce, affinché possiate essere figli della luce. Detto questo, Gesù si ritirò e si nascose da loro.

(Giovanni Cap. 12:36)

ἕως τὸ φῶς ἔχετε, πιστεύετε εἰς τὸ φῶς ἵνα υἱοὶ φωτὸς γένησθε. Ταῦτα ἐλάλησεν Ἰησοῦς, καὶ ἀπελθὼν ἐκρύβη ἀπ’ αὐτῶν.

La divisione dell’apostolo Paolo in “figli della luce” (υἱοὶ φωτός) e “figli delle tenebre” (υἱοὶ σκότους) richiama la nostra attenzione sullo stesso dualismo antropologico. Coloro che sono con Dio, con Cristo, che credono nella luce sono l’umanità di Abele, di Noè, degli antenati, dei santi e dei martiri. Essi, essendo nel tempo, preparano con il loro essere gli animali sacrificali del Giudizio Universale – le pecore, gli agnelli. Questa è un’umanità di luce.

Ma le persone non diventano tali per predestinazione, per nascita o per rigide condizioni meccaniche, bensì per libera scelta. Solo chi è assolutamente libero può scegliere tra luce e tenebre. Per questo l’apostolo Paolo invita i cristiani a “diventare” figli della luce: a essere svegli, a non dormire, a svegliarsi dall’inerzia della vita quotidiana.

Essere “figli della luce” significa mettersi nella posizione dei “figli della luce”

Cristo dice la stessa cosa nel Vangelo di Giovanni: “Credete nella luce, perché siate figli della luce”. Se credete, diventerete figli della luce. Nessuno nasce deliberatamente figlio della luce. L’uomo definisce sempre la propria natura, ponendola o al di sopra di sé – nel regno degli angeli fedeli – o al di sotto di sé – cedendo all’attrazione di Dennika, sprofondando nello sheol, scivolando nell’abisso di Avaddon.

E se un uomo cade, si allontana dalla luce, diventa un “figlio delle tenebre”, un “figlio della notte”. E ancora: non nasce, ma diviene, costituendo il proprio essere con il supporto della libertà – mente e volontà. Nessuno può essere costretto a diventare un “figlio della luce” o un “figlio delle tenebre”. C’è sempre una scelta. L’uomo è la vera scelta. Questo, infatti, è ciò che ci dicono i Salmi e i Vangeli, la Bibbia nel suo complesso.

Antropologia e fisica della resurrezione

Il Giudizio Universale ha luogo dopo la resurrezione dei morti. L’insegnamento cristiano specifica che “non tutti moriranno, ma tutti saranno cambiati”. L’apostolo Paolo scrive:

51. Vi svelo un mistero: non tutti moriranno, ma tutti saranno cambiati improvvisamente, in un batter d’occhio, all’ultima tromba;

52. Poiché la tromba suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo cambiati.

(Prima lettera di San Paolo ai Corinzi, cap. 15, 51-52)

51. ἰδοὺ μυστήριον ὑμῖν λέγω· πάντες μὲν οὐ κοιμηθησόμεθα, πάντες δὲ ἀλλαγησόμεθα,

52. ἐν ἀτόμῳ, ἐν ῥιπῇ ὀφθαλμοῦ, ἐν τῇ ἐσχάτῃ σάλπιγγι· σαλπίσει γάρ, καὶ οἱ νεκροὶ ἐγερθήσονται ἄφθαρτοι, καὶ ἡμεῖς ἀλλαγησόμεθα.

Il dualismo dell’antropologia escatologica si rivelerà pienamente dopo questa fondamentale metamorfosi dell’umanità, quando i morti risorti coesisteranno con i vivi mutati – rivestiti di carne incorruttibile -.

Per comprendere meglio il significato della risurrezione dei morti, la cui attesa è inclusa nel Credo del cristiano ed è quindi parte integrante di tutta la dottrina, dobbiamo guardare alle fasi della creazione. I processi escatologici ripetono in parte le fasi della creazione in ordine inverso. La creazione viene da Dio ed è diretta verso l’esterno (verso di Lui). La fine dei tempi riporta la creazione a Dio, la mette di fronte a Dio – portandola al suo giudizio. Questo ritorno è la resurrezione universale, quando l’intero contenuto della storia del mondo viene ricreato istantaneamente e simultaneamente.

Tuttavia, l’umanità risorta richiede condizioni ontologiche diverse rispetto al mondo in cui ci troviamo. Queste condizioni possono essere riassunte come la fisica della resurrezione. Ci sono altre leggi in gioco, al di là del tempo e dello spazio. L’apostolo Paolo dice questo a proposito della fisica della risurrezione:

39. Non tutta la carne è simile alla carne, ma la carne è diversa negli uomini, diversa nelle bestie, diversa nei pesci, diversa negli uccelli.

40. Ci sono corpi celesti e corpi terrestri, ma la gloria dei celesti è diversa e la gloria dei terrestri è diversa.

41. C’è un’altra gloria per il sole, e un’altra per la luna, e un’altra per le stelle; e la stella differisce dall’astro in gloria.

42. Così anche alla resurrezione dei morti: si semina nella corruzione, si risorge nell’incorruzione;

43. Seminato nell’umiliazione, risorge nella gloria; seminato nella debolezza, risorge nella potenza;

44. Il corpo spirituale viene seminato, il corpo spirituale viene risuscitato. C’è un corpo spirituale, c’è anche un corpo spirituale.

(Prima lettera di San Paolo ai Corinzi, cap. 15, 39-44)

39. οὐ πᾶσα σὰρξ ἡ αὐτὴ σάρξ, ἀλλὰ ἄλλη μὲν ἀνθρώπων, ἄλλη δὲ σὰρξ κτηνῶν, ἄλλη δὲ ἰχθύων, ἄλλη δὲ πετεινῶν.

40. καὶ σώματα ἐπουράνια, καὶ σώματα ἐπίγεια· ἀλλ’ ἑτέρα μὲν ἡ τῶν ἐπουρανίων δόξα, ἑτέρα δὲ ἡ τῶν ἐπιγείων.

41. ἄλλη δόξα ἡλίου, καὶ ἄλλη δόξα σελήνης, καὶ ἄλλη δόξα ἀστέρων· ἀστὴρ γὰρ ἀστέρος διαφέρει ἐν δόξῃ.

42. οὕτω καὶ ἡ ἀνάστασις τῶν νεκρῶν, σπείρεται ἐν φθορᾷ, ἐγείρεται ἐν ἀφθαρσίᾳ·

43. σπείρεται ἐν ἀτιμίᾳ, ἐγείρεται ἐν δόξῃ· σπείρεται ἐν ἀσθενείᾳ, ἐγείρεται ἐν δυνάμει·

44. σπείρεται σῶμα ψυχικόν, ἐγείρεται σῶμα πνευματικόν. ἔστι σῶμα ψυχικόν, καὶ ἔστι σῶμα πνευματικόν.

Queste sono le proprietà del corpo risorto. Lo è:

  • incorruttibile,
  • nella gloria,
  • al potere,

Così anche la seconda venuta di Cristo avverrà in potenza e in gloria. Da qui l’espressione Salvatore in potenza, che si riferisce alla figura di Cristo, l’Onnipotente, seduto sul trono del cielo. Qui l’impermeabilità e la natura spirituale del mondo si rivelano direttamente, come un’area di esperienza diretta. Il momento del Giudizio Universale rivela una speciale dimensione ontologica.

Creazione eterna

La fisica della resurrezione ci sarà più chiara se ripercorriamo attentamente le tappe del processo cosmogonico.

La principale differenza ontologica nella religione è la coppia creatore-creazione, Dio e il mondo. Dio è eterno, immutabile, primordiale, increato. Il mondo è collocato nel tempo, cioè finito, limitato e creato. Questa è la base della teologia e dell’intera tradizione della Chiesa.

Tuttavia, oltre a questa distinzione di base, già nella creazione stessa si dovrebbero distinguere almeno due livelli, due fette – corporea e spirituale. Questo si riferisce allo spirito creato, non allo Spirito Santo che è Dio e la Terza Persona della Santissima Trinità. A questa area dello spirito appartengono il paradiso celeste e le schiere degli angeli, nonché la congregazione di quei santi che, grazie alla loro fede, alle loro opere e al loro lavoro, hanno raggiunto lo spirito e sono stati trasformati nella nuova natura – sono diventati, nel pieno senso della parola, “figli della luce”.

L’altra area del mondo creato è il regno della carne, che è più denso e grossolano dei mondi spirituali

Le leggi del tempo e dello spazio si applicano alla creazione corporea e determinano la vita, le forme e i tempi dei corpi e dei fenomeni corporei. I mondi spirituali sono governati da altre leggi. Nel mondo dei corpi non esiste ciò che intendiamo per “tempo” e “spazio”. I mondi spirituali sono la creazione, non Dio. Perciò sono in parte simili al mondo corporeo (creato e finito), ma anche più vicini a Dio stesso (non ci sono tempo e spazio).

Per questo Cristo stesso dice: “Il regno di Dio è dentro di voi” (Vangelo di Luca, cap. 17, 21). Questo regno dello spirito, come già detto, non è soggetto alle leggi del tempo e dello spazio (quindi, essendo onnicomprensivo, è in grado di adattarsi al cuore umano). Rispetto alla totalità della storia del mondo corporeo, il regno spirituale è eterno.

Tali sono gli angeli, gli spiriti intelligenti, la “seconda luce”. Appartengono a questa dimensione spirituale – verticale rispetto al cosmo corporeo. Possono essere ovunque e in qualsiasi momento. Non sono soggetti a morte e decadimento. Ma allo stesso tempo sono fondamentalmente finiti, una volta non erano e una volta non saranno. Si dice che “i cieli passeranno” (Vangelo di Matteo, cap. 24:35). Allo stesso modo la creazione spirituale passerà. Rispetto alla creazione corporea è eterna. Rispetto alla vera eternità di Dio, essa è finita e relativa.

Nel processo di creazione il mondo spirituale occupa il primo posto, inizia con esso. Gli esseri spirituali – gli angeli – sono stati creati per primi e aiutano Dio a ordinare la creazione. Il mondo corporeo – con tempo e spazio – si forma nella fase successiva. Nella croce della creazione, prima viene tracciata la verticale dell’eternità e solo successivamente l’orizzontale del mondo corporeo. L’uomo è al centro di questa croce – si trova al centro del mondo corporeo e al centro della verticale della creazione eterna – tra gli angeli buoni e cattivi.

Alla fine del tempo questo processo si svolge in direzione opposta. In primo luogo, il mondo corporeo viene elevato al mondo celeste-spirituale, e questo è il momento della resurrezione dei morti. E poi questa creazione risorta – eterna – viene portata davanti al Giudizio Universale. Il tempo orizzontale ascende all’eternità verticale.

La risurrezione non è quindi un ritorno alla vita corporea terrena, ma alle strutture della creazione spirituale. Da qui le seguenti caratteristiche della fisica della risurrezione: impermeabilità, potenza, gloria, spirito. Questi stessi attributi sono propri degli angeli. Cristo rispose ai Sadducei che negavano la risurrezione:

25. Infatti, quando saranno risuscitati dai morti, non si sposeranno né saranno dati in matrimonio, ma saranno come gli angeli del cielo.

(Vangelo di Marco, cap. 12, 25)

25. ὅταν γὰρ ἐκ νεκρῶν ἀναστῶσιν, οὔτε γαμοῦσιν οὔτε γαμίζονται, ἀλλ’ εἰσὶν ὡς ἄγγελοι οἱ ἐν τοῖς οὐρανοῖς.

Questo paragone non implica l’immortalità, ma lo stesso corpo della risurrezione cambierà la sua natura, diventando spirituale, celeste e imperituro (anche se finito) rispetto ai normali corpi terreni.

Risurrezione eterna

Se la risurrezione dei morti o il cambiamento dei viventi che saranno catturati sulla terra dalla Seconda Venuta ricreano cioè una creazione spirituale eterna, allora bisogna notare che il momento della risurrezione non può essere associato in modo univoco alla struttura del tempo. Il tempo della resurrezione non è un tempo ordinario. In un certo senso è un tempo speciale e di conseguenza il mondo spirituale dell’eternità creata è sempre presente, dall’inizio del mondo alla fine.

Allo stesso modo, ci sono sempre gli angeli, entità spirituali. Non vengono al mondo come le persone corporee e non lo lasciano. Sono solo visibili o invisibili. Allo stesso modo, ci sono persone che risorgeranno. Perché possano risorgere, devono già esserlo – in un certo senso sempre. Non necessariamente nel tempo e nel corpo, ma necessariamente nella concezione, nel loro senso. Per poter risorgere qualche volta, bisogna risorgere sempre – in questa dimensione verticale, risorgere nello spirito.

Questo è esattamente ciò che sostiene il cristianesimo. Cristo non risusciterà tutti semplicemente risorgendo dai morti, ma ha già risuscitato tutti perché ha ricreato, rinnovato la creazione, restaurato la sua struttura spirituale.

In ogni essere umano, sotto la fisica ordinaria, si nasconde la fisica della resurrezione. Al di sotto dell’uomo corporeo c’è l’uomo spirituale, che appartiene al mondo della resurrezione, al regno dei cieli.

La risurrezione, non essendo un evento nel tempo, è un evento nell’eternità, cioè è sempre attiva. E così è ora.

La linea di demarcazione tra i vivi e i morti nell’ottica della resurrezione è stata cancellata. Tutti si trovano ugualmente di fronte al problema fondamentale della scelta. La vita corporea, proprio per la sua estrema distanza da Dio, offre opportunità uniche per dimostrare la devozione a Dio – nonostante le condizioni stesse dell’esistenza terrena costringano a negare il Suo essere.

Ma l’uomo non può essere totalmente privato della mente e della volontà, cioè del coinvolgimento nel mondo dello spirito. Altrimenti sarebbe una macchina o un animale. Pertanto, nel profondo di ogni anima umana c’è un’area di scelta fondamentale.

Questo è il territorio del corpo di gloria, il corpo di risurrezione. Non esiste solo dopo, ma ora, sempre. Si trova – come l’Adamo originale – sulla verticale tra l’arcangelo Michele (che è come Dio) e l’angelo caduto, il diavolo, il Dennitz, il “figlio dell’alba”. È questa collocazione ontologica del suo cuore – sulla linea della creazione eterna e, di conseguenza, nel regno della risurrezione – che rende l’uomo umano.

L’antropologia escatologica non si riferisce al futuro in senso ordinario, ma all’eterno presente.

È importante che il Credo dica della seconda venuta di Cristo:

Colui che tornerà con gloria giudicherà i vivi e i morti. Καὶ πάλιν ἐρχόμενον μετὰ δόξης κρῖναι ζῶντας καὶ νεκρούς

Qui va sottolineato che Cristo giudicherà anche i “vivi”, non solo i morti risorti. Ma questi saranno “viventi” speciali – già “cambiati” (ἀλλαγγησόμεθα – dal verbo ἀλλάσσω), secondo l’apostolo. Che cos’è questo cambiamento?

Essa restituisce all’uomo il “corpo di gloria”, il “corpo di spiritualità” senza che egli debba passare attraverso le tre fasi successive – nascita nel corpo, morte, resurrezione. Un tale cambiamento – anche se come caso estremo – è possibile proprio per la natura intrinseca dell’uomo di “eternità creaturale”. Al livello più profondo del suo essere è già risorto, e questa “resurrezione” può avvenire sia attraverso la morte che aggirandola.

I santi, i martiri e quei cristiani che hanno sviluppato pienamente la loro identità cristiana sono in grado di raggiungere lo stato di “risorti” prima del Giudizio Universale. Il fenomeno delle reliquie imperiture e delle altre reliquie è collegato a questo. I corpi stessi dei santi si trasformano, uscendo dalle condizioni materiali del tempo.

Questo significa che l’uomo spirituale, uomo potente, corpo di gloria, è già in ognuno di noi, e questo è il modo del cristiano di cambiare se stesso già durante la sua vita, per essere il più vicino possibile alle condizioni ontologiche del Giudizio Universale. Dobbiamo cercare di arrivare a questa Corte il prima possibile, senza aspettare la fine dei tempi, e proprio la volontà di operare un cambiamento corrispondente nella natura umana porta alla seconda venuta del Salvatore.

Un tale cambiamento di vita significa diventare “figlio della luce”, risvegliarsi e condividere irrimediabilmente il proprio destino con i “figli delle tenebre”, che versano in uno stato di sonno insensato e insensibile.

Parte I – Il problema antropologico nell’escatologia

Parte II – Il dualismo del mondo spirituale

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Dante di destra? È la pena del contrappasso

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di Marcello Veneziani

Ora che avete finito di sganasciarvi dalle risate di scherno e di superiorità per la boutade del ministro dei beni culturali, Gennaro Sangiuliano su Dante Alighieri fondatore del pensiero di destra, proviamo a dire qualcosa di serio.

Si può condividere in pieno, in parte o per niente la sua provocazione, come lui stesso l’ha definita, ma alla fine si è trattato di una ritorsione, ovvero Sangiuliano ha applicato in senso contrario una pratica assai diffusa, soprattutto a sinistra. Anzi, per usare una categoria dantesca, ha usato la pena del “contrappasso”.

Dunque, come si esprime il monopolio ideologico della sinistra sulla cultura quando affronta temi, opere e autori del passato? Lo schema prevalente è il riduzionismo, ovvero tutto viene riportato al presente. Parlano di Gesù Cristo come del primo rivoluzionario della storia, difensore degli ultimi. Parlano di Enea come del primo migrante e profugo di guerra, sbarcato clandestinamente. Parlano delle lotte tra patrizi e plebei come un esempio di lotta di classe. Parlano del tumulto dei ciompi come il debutto della Cgil nel medioevo… Parlano di san Francesco come un profeta dell’uguaglianza, un difensore dei poveri e un nemico delle gerarchie, e gli affiancano per rispettare le quote e la parità dei sessi, Santa Chiara, come se fosse una femminista ante litteram. Non c’è opera lirica o dramma teatrale che oggi non venga rappresentato con l’allusione all’oggi, travestito nel presente, su tematiche del politically correct di oggi: i migranti, i transgender, l’antifascismo. Ci sono nazisti pure nella tragedia greca. E nella lotta politica, nel 1948, i socialcomunisti trascinarono perfino Garibaldi come simbolo del Fronte popolare, loro che erano stalinisti e lui che difendeva al patria e la libertà.

Tutto viene ridotto al presente, o nei più colti diventa una metafora allusiva del presente. Dal ’68 in poi, a scuola e ovunque, per misurare il valore e la grandezza di un autore si pesa la sua attualità: ricordo menate indecorose proprio su Dante per tirarlo nell’attualità o per dannarlo col metro dell’inattualità. Dire che Dante sia il fondatore del pensiero di destra è l’applicazione coerente, e forse inconsapevole, di quello schema ideologico retroattivo.

Mi pare perfino ovvio obiettare che destra e sinistra sono categorie moderne, mentre Dante è in tutto medievale e i classici vanno preservati i dagli usi e gli abusi di chi li costringe nel letto di Procuste del presente. Ma se serve a denunciare l’immiserimento dei grandi nelle gabbiette del nostro tempo, allora il paragone è utile, anzi didattico. E poi, se è sbagliato abbassare il Sommo Poeta al nostro oggi, è invece lodevole tentare di innalzare la bassezza dell’oggi a una dignità superiore. Dopo tante ricerche affannose e ridicole dei pantheon d’autori, per rivendicare, dantescamente, “chi fuor li maggior tui” ovvero chi sono i padri nobiii a cui riferirsi, partire da Dante significa perlomeno guardare in alto. E liberare il pensiero di destra dal tentativo altrui di ricacciare le sue radici nel fascismo. Chi ama la tradizione viene da più lontano.

Mi sono occupato a lungo del pensiero di destra e a Dante ho dedicato vari scritti e un libro. Mai ho sostenuto che Dante fosse il padre della destra, l’ho definito “nostro padre” riferendomi a noi italiani. Per dirla in breve, in un suo intervento sul Corriere della sera, Sangiuliano citava dal mio libro questo passo: “La fonte principale, più alta e vera della nostra identità è Dante Alighieri. A lui dobbiamo la lingua, il racconto, la matrice, la visione. L’Italia intesa più che nazione, come civiltà”. La nostra identità, intendevo, di noi italiani.

Dante è trascinato nell’attualità da almeno due secoli. Anzi, la riscoperta di Dante la dobbiamo proprio all’uso di Dante nella vicenda risorgimentale. Dopo l’uso che ne fece il Risorgimento, Dante fu usato per dare un fondamento all’Italia unita, col pullulare di monumenti e toponimi danteschi e la nascita della società Dante Alighieri. Il fascismo fece largo uso della “vision de l’Alighieri”, come cantava Giovinezza nella versione fascista. Lo faceva avvalendosi di letture carducciane e dannunziane, dei saggi di Giovanni Gentile e di altri eminenti studiosi, che non trascinavano Dante nell’attualità ma elevavano il momento storico e l’idea fascista al rango dell’ispirazione dantesca. E Dante si prestava ai fascisti, ai carducciani, ai risorgimentali? Lui no, naturalmente, ma ciò che aveva detto e fatto poteva prestarsi a quella lettura, nel nome dell’amor patrio e della civiltà, della nostalgia del sacro romano impero, della passione per la romanità e per la fierezza, per l’avversione ai mercanti e all’usura, alla “gente nova e i subiti guadagni che orgoglio e dismisura han generato”. Per questo, citavo nel mio libro, Sanguineti lo reputò un reazionario e Umberto Eco lo definì “un intellettuale di destra”, sottolineando che predicava il ritorno all’Impero mentre fiorivano i liberi comuni. E Giorgio Almirante, appassionato di Dante, lo citava sempre in parlamento e nei comizi, a memoria, e a lui si richiamava più che a ogni altro autore o pensatore.

Dunque? Dante è universale e universale resta. Dante è eterno e non è di questo o di quel tempo. Dante è grandissimo poeta, ma anche pensatore e scrittore civile, e pur vivendo e scontando le sue passioni politiche, fino alla faziosità più sanguigna, non si può ridurre a questa o a quella fazione attuale. Però ora capite meglio che succede quando si piega la storia e la letteratura al nostro oggi. Perciò non atteggiatevi a superiori, voi danteggiatori di sinistra, perché ogni giorno tacete sulla forzata attualizzazione di storie e autori.

Quanto a Dante, non s’è crucciato, vede le cose da lontano e dall’alto per indignarsi. Ne ha passate troppe nei secoli per arrabbiarsi di un’innocua richiesta di affiliazione. I grandi autori sono come fontane aperte ai viandanti, notava Nietzsche ne la Gaia Scienza, ciascuno si abbevera come vuole, “i ragazzi la sporcano coi propri pastrocchi” e altri passanti la intorbidano, gettandovi la loro attualità; ma noi siamo profondi e “diventiamo di nuovo limpidi”.

La Verità – 18 gennaio 2023

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/dante-di-destra-e-la-pena-del-contrappasso/

Fogazzaro e la Teosofia

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Le Edizioni Amicizia Cristiana qualche anno fa hanno ripubblicato un saggio di don Alessandro Cavallanti sulla figura di Antonio Fogazzaro. 
 
Nella quarta di copertina si legge:
«Antonio Fogazzaro (1842-1911) rappresentò una delle figure più insidiose del modernismo religioso in Italia. Nel 1905 pubblicò il romanzo Il Santo, avente come protagonista un religioso, venerato come un santo dai suoi fedeli, che intendeva convincere lo stesso Papa della necessità di una radicale riforma della Chiesa Romana.
Don Alessandro Cavallanti (1879-1917), direttore della rivista antimodernista “L’Unità Cattolica” – a più riprese lodata da san Pio X – pubblicò questo breve saggio su Fogazzaro, per smascherare il “tenace propagandista del modernismo”.
L’intervento di don Cavallanti fu determinato dall’influenza che il pensiero di Fogazzaro esercitava nel clero e in alcuni circoli cattolici, anche grazie alla copertura ricevuta dai vescovi insofferenti al magistero (e ai provvedimenti disciplinari) di san Pio X contro l’eresia modernista. Fu significativo il caso mons. Geremia Bonomelli (1831-1914), vescovo di Cremona, che lodò Fogazzaro nell’opera “Profili di personaggi italiani” (1911): Papa Sarto indirizzò al prelato un severo monito. Il modernismo stava devastando la Chiesa, e le speranze contenute ne “Il Santo” si sarebbero realizzate negli anni Sessanta, facendo del Fogazzaro un autentico precursore del concilio Vaticano II.»
 
Effettivamente Fogazzaro fu combattuto dai cattolici integrali (tra cui appunto don Cavallanti e i fratelli Scotton) e difeso dai cattolici liberali: oltre al già citato mons. Bonomelli, anche da mons. Ferdinando Rodolfi, vescovo di Vicenza. Rodolfi, pessima figura, invece di condannare i sostenitori del modernismo preferiva inquisire coloro che seguivano la linea antimodernista tracciata da san Pio X, come i fratelli Scotton di Breganze (VI).
 
Tuttavia la figura di Fogazzaro è più tenebrosa di quel che si possa credere, in quanto la sua vicinanza al modernismo era accompagnata dall’interesse per la Teosofia, come testimonia l’articolo che segnaliamo. L’autore dell’articolo è apertamente legato alla Teosofia, e quindi non possiamo che prendere le distanze da lui come dalla Società a cui appartiene, e mettere in guardia il lettore. Tuttavia il testo segnalato è di grande importanza poiché illustra l’interessamento e i legami di Fogazzaro col movimento teosofico (come l’abbonamento per più anni a riviste teosofiche e gli scambi epistolari con alcuni dei massimi rappresentanti della setta).
Il Padre Gioachino Ambrosini nel 1907 pubblicò il libro “Occultismo e Modernismo”, che denunciava il legame tra i modernisti e gli ambienti esoterici  e in particolare tra Fogazzaro e la Teosofia.
 
I cattolici integrali dimostrarono, nei confronti di personaggi come Fogazzaro e Maria Montessori (come vedremo in un prossimo comunicato), una lungimiranza frutto della loro profonda preparazione “controrivoluzionaria”, che mancava invece nei moderati del “terzo partito”. 
 
Articolo segnalato:
Antonio Fogazzaro e il movimento teosofico Una ricognizione sulla base di nuovi documenti inediti
 
 
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