UNO STATO SOVRANO CREA MONETA. DIVERSAMENTE, È UNA COLONIA

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28.12.2022

È necessario uscire dal sistema unipolare e, soprattutto, dai suoi costrutti per entrare in un nuovo ordine multipolare, affinché ogni Stato possa riappropriarsi della propria sovranità e avere un proprio peso nel quadro geopolitico contemporaneo

Uno dei modelli economici che ha influenzato notevolmente il pensiero i molti economisti è il modello IS-LM, formulato da Sir John Richard Hicks per sintetizzare l’economia keynesiana e riassorbirla nell’alveo neoclassico, etichettandola come un mero caso particolare. Senza addentrarsi troppo nei tecnicismi, è bene tener presente che il modello IS-LM è costituito da due funzioni: la IS, l’insieme dei punti di equilibrio del mercato dei beni e servizi, caratterizzato dall’eguaglianza tra investimenti (I) e risparmi (S); e la LM, che rappresenta il mercato della moneta. Nel primo caso, abbiamo grandezze flusso, nel secondo stock. E già questo dovrebbe far sorgere qualche interrogativo, ma l’elefante nella stanza è un altro.

Il signor Hicks, da buon neoclassico (liberista), presupponeva che un aumento della spesa pubblica non facesse altro che dirottare i fondi dal settore privato alle casse del Tesoro, deprimendo gli investimenti. Dato il rapporto inverso tra investimenti e tasso di interesse, la curva IS presenta un andamento negativo. Se aumenta il tasso di interesse, diminuiscono gli investimenti. E questo è vero. Ma gli investimenti sono influenzati anche dalla crescita del reddito (teoria dell’acceleratore). Nessuno farebbe investimenti (cioè, aumenterebbe la propria capacità produttiva) se non ci fosse domanda, anche se i tassi di interesse fossero bassi. Questo vuol dire che il modello non tiene in debito conto la propensione marginale all’investimento rispetto al reddito disponibile. Diversamente, se tenesse in giusta considerazione questa propensione, la pendenza della curva IS, anziché essere negativa, potrebbe essere positiva, con importanti conseguenze sulla politica economica. La propensione marginale all’investimento rispetto al reddito disponibile può essere, infatti, superiore alla sensibilità dell’investimento rispetto al tasso di interesse.

Quello che viene spesso rimproverato ai sostenitori delle politiche keynesiane è l’effetto di spiazzamento (crowding out), per cui aumentando la spesa pubblica si ridurrebbe l’ammontare degli investimenti, i quali verrebbero scoraggiati dall’innalzamento dei tassi di interessi causato dalla spesa del Governo. In sintesi: la spesa pubblica aumenta la domanda di moneta da parte del Governo, facendo innalzare i tassi e questi deprimerebbero gli investimenti. Ciò vuol dire che, data la moneta disponibile nel sistema, il Governo al pari di famiglie e imprese, sarebbe un ulteriore fruitore di moneta – e quindi un concorrente – anziché un creatore di moneta.

Per i liberisti, l’offerta di moneta è esogena, cioè, è un vincolo cui deve sottostare anche il Governo. Quindi, prima di spendere il Governo deve rastrellare moneta attraverso le imposte, impoverendo famiglie e imprese. Queste dinamiche, però, riguardano solo uno Stato depotenziato, cioè, uno Stato colonia o uno Stato membro dell’UE. Uno Stato sovrano, invece, è un creatore di moneta in vista del pieno impiego, non un fruitore di moneta. Alla luce di ciò, se esaminiamo i flussi finanziari, capiremo come un aumento della spesa pubblica non riduca gli investimenti privati ma li faccia crescere. Quando uno Stato sovrano domanda beni e servizi al settore non governativo (famiglie e imprese) cede in contropartita moneta (creata ad hoc), che è passività di Stato. Ciò significa che il Governo trasferisce fondi sui conti correnti di famiglie e imprese, iniettando moneta nel sistema bancario. Un incremento dell’offerta di moneta nel sistema non può far altro che ridurre i tassi di interesse, oltre che spingere verso l’alto i consumi, riducendo il rischio di invenduto per le imprese e, quindi, aumentando la loro propensione marginale all’investimento rispetto al reddito. Il problema, dunque, non è l’innalzamento dei tassi ma una loro caduta, che può essere scongiurata dall’emissione di titoli del debito pubblico. Emettendo titoli, il Governo trasforma parte della moneta “liquida” in moneta che paga un interesse (titoli di Stato), sostenendo i tassi interbancari. In questo modo può continuare a spendere in vista del pieno impiego, controllando l’inflazione.

Qualche decennio dopo la pubblicazione dell’articolo “Mr. Keynes and the Classics” (1937), Sir John Richard Hicks prese le distanze dal suo modello, firmandosi da allora J. Hicks e non più J.R. Hicks. Scrisse:

«È chiaro che devo cambiare nome. Sia ben chiaro che Valore e Capitale (1939) è opera di J. R. Hicks, un economista “neoclassico” ora deceduto; mentre Capitale e Tempo (1973) – e Una Teoria della Storia Economica (1969) – sono opera di John Hicks, un non neoclassico piuttosto irrispettoso nei confronti dello “zio”. Queste ultime opere devono essere lette indipendentemente e non interpretate, come fa Harcourt, alla luce del loro predecessore» [John Hicks (1975) Revival of Political Economy: The Old and the New, Economic Record, 51 (135), 365-367].

«Il diagramma IS-LM, che è ampiamente, ma non universalmente, accettato come una comoda sinossi della teoria keynesiana, è un elemento di cui non posso negare di essere in parte responsabile. Il diagramma ha visto la luce per la prima volta in un mio articolo, “Mr. Keynes and the Classics” (1937), ma in realtà è stato scritto per una riunione della Econometric Society a Oxford nel settembre del 1936, appena otto mesi dopo la pubblicazione di The General Theory (Keynes, 1936). Tuttavia, non ho nascosto che, con il passare del tempo, io stesso ne sono rimasto insoddisfatto. Nel mio contributo al Festschrift per Georgescu-Roegen, ho detto che “quel diagramma è ora molto meno popolare per me di quanto credo lo sia ancora per molte altre persone”». [John Hicks (1980) IS-LM: An Explanation, Journal of Post Keynesian Economics, 3:2, 139-154]

Nonostante Hicks abbia umilmente preso le distanze dalla sua sintesi, questa resta ancora un modello di riferimento in moltissime università, generando l’illusione che l’intervento pubblico nell’economia spiazzi gli investimenti e, dunque, sia da evitare come la peste.

L’altro elefante nella stanza è la concezione secondo cui la quantità moneta sia definita esogenamente, mentre in realtà essa viene creata endogenamente dal sistema bancario. Nel 2014, la Banca d’Inghilterra pubblicò nel suo Quarterly Bulletin un articolo molto interessante dal titolo: Money creation in the modern economy. In tale occasione, il Bank’s Monetary Analysis Directorate diradava inequivocabilmente ogni perplessità circa la creatio ex nihilo della moneta, minimizzando la favola del moltiplicatore della moneta.

«Nell’economia moderna, la maggior parte della moneta prende la forma di depositi bancari, ma come questi depositi vengano creati è spesso frainteso: la via principale è mediante le banche commerciali che fanno prestiti. Ogni volta che una banca concede un prestito, simultaneamente crea un deposito corrispondente al conto bancario di chi prende il prestito, in modo da creare nuova moneta. La realtà di come sia creata la moneta oggi differisce da quanto è riportato in alcuni testi di economia. Più che essere le banche a ricevere i depositi – quando le famiglie risparmiano – e, poi, prestarli, è il prestito bancario a creare depositi. In tempi normali, la banca centrale non determina l’ammontare di moneta in circolazione né la moneta della banca centrale è moltiplicata in maggiori prestiti e depositi». (McLeay, M., Radia, A., Thomas R., Money creation in the modern economy, in Bank of England Quarterly Bulletin, 2014 Q1, Volume 54 No. 1, p. 14)

Rimuovere i due elefanti dalla stanza è condizione necessaria ma non sufficiente. Bisogna, infatti, non solo prendere coscienza delle cose ma, anche, riprendersi la libertà di poter decidere del proprio destino, una volta saputo cosa fare. Ciò è possibile solo uscendo dal sistema unipolare e, soprattutto, dai suoi costrutti per entrare in un nuovo ordine multipolare, affinché ogni Stato possa riappropriarsi della propria sovranità e avere un proprio peso nel quadro geopolitico contemporaneo.

Armando Savini è un economista, saggista, cultore di esegesi biblica e mistica ebraica. Dopo la laurea in Scienze Politiche e un master in HR Management, si è occupato di scienza della complessità e delle sue applicazioni all’economia. Già cultore della materia in Politica economica presso la cattedra del Prof. Giovanni Somogyi alla Facoltà di Scienze Politiche de La Sapienza, è stato docente a contratto di storia economica, economia, HR management e metodi di ricerca per il business. Ha curato l’edizione di Heartland, il Cuore pulsante dell’Eurasia (2022), con la traduzione di alcuni articoli di H. J. Mackinder. Tra le sue ultime pubblicazioni: Sovranità, debito e moneta. Dal quantum Financial System al Nuoro Ordine Multipolare (2022, 3ª ed.); Miti, storie e leggende. I misteri della Genesi dal caos a Babele (Diarkos 2020); Le due sindoni (Chirico, 2019); Il Messia nascosto. Profezie bibliche alla luce della tradizione ebraica e cristiana (Cantagalli-Chirico, 2019); Maria di Nazaret dalla Genesi a Fatima (Fontana di Siloe, 2017); Risurrezione. Un viaggio tra fede e scienza (Paoline, 2016); Dall’impresa-macchina all’impresa-persona. Ripensare l’azienda nell’era della complessità (Mondadori, 2009).

HEARTLAND. IL CUORE PULSANTE DELL’EURASIA

“Heartland è la più grande fortezza naturale della Terra”, scriveva H. J. Mackinder. La sua opera assume un’importanza fondamentale per capire lo scenario geopolitico mondiale attuale, caratterizzato dallo scontro tra il Nuovo Ordine Mondiale – unipolare e iperliberista, imposto dalla potenza americana – e il Nuovo Ordine Multipolare guidato da Russia e Cina, uno scontro che si sta consumando al margine della Russia, in Ucraina. Nella visione geopolitica di Mackinder, l’Ucraina ha sempre svolto un ruolo strategico fin dai primi anni del Novecento: impedire qualsiasi contatto economico e politico tra la Russia e la Germania, cercando di isolare il “perno geografico della storia”. È in tale contesto che vanno lette oggi le sanzioni antirusse e la crisi del gas che attanaglia l’Europa.

«Il libro di Mackinder ci porta a comprendere uno dei concetti chiave, quello di Heartland, il cuore della terra, primo punto per entrare nell’ottica della multipolarità che si sta oggettivamente imponendo come struttura geopolitica maggioritaria. Riguardo al concetto di Heartland, tutte le scuole classiche di geopolitica riconoscono un profondo dualismo tra l’Heartland – il Continente, la Civiltà della Terra – e la Civiltà del Mare, incarnata oggi dal mondo anglosassone, in primo luogo dagli Stati Uniti e dalla loro politica marittima. La Civiltà del Mare, o Sea Power, cerca di circondare l’Heartland – il Continente, l’Eurasia – dal mare e di controllare i suoi territori costieri. Il Sea Power cerca di scoraggiare lo sviluppo dell’Heartland, realizzando così il suo dominio su scala globale. Come disse Mackinder, “chi controlla l’Europa orientale, controlla l’Heartland, e chi controlla l’Heartland, controlla il mondo”. La lotta per governare l’Heartland, con il Sea Power dall’esterno o con l’Heartland stesso dall’interno, è la formula principale della storia geopolitica, l’essenza stessa della geopolitica. La geopolitica, potremmo dire, è la battaglia per l’Heartland. Tutte le scuole di geopolitica si fondano e procedono da questo modello» (Dalla Prefazione di Lorenzo Maria Pacini).

“È simbolico che il fondatore della geopolitica, Halford Mackinder, sia stato Alto Commissario dell’Intesa per l’Ucraina durante la guerra civile russa. L’Ucraina ha svolto un ruolo importante nel quadro geopolitico di Mackinder. Questo territorio, insieme alla Polonia e ai Paesi dell’Europa orientale, faceva parte del “cordon sanitaire”, una zona strategica che doveva essere sotto il diretto controllo di Inghilterra e Francia (allora alleati dell’Intesa) e impedire il riavvicinamento tra la Russia e Germania. Trattenuta da un “cordone sanitario”, la Russia-Eurasia non potrà diventare un vero e proprio impero. Senza l’Ucraina, la Russia non è un impero.” (A. G. Dugin)

https://www.youcanprint.it/heartland-il-cuore-pulsante-delleurasia/b/8876103b-adf1-56bb-99e6-11dad6543529

SOVRANITÀ DEBITO E MONETA. Dal Quantum Financial System al Nuovo Ordine Multipolare

Henry Ford diceva che se il popolo comprendesse il funzionamento del sistema bancario e monetario, scoppierebbe una rivoluzione entro il mattino successivo. Capire cosa sia la moneta è fondamentale per ritrovare la strada della libertà e della democrazia. L’obiettivo principale di questo libro è quello di aiutare il lettore a capire come le élite finanziarie governano il mondo, influenzando le scelte di politica economica, ma anche di esporre in modo chiaro ed esaustivo tutti quei cambiamenti che si stanno verificando in questi ultimi tempi. Comprendere oggi la vera natura della moneta, il corretto funzionamento dell’economia, della politica monetaria e fiscale è più che mai fondamentale per decifrare gli eventi economico-finanziari che condizionano la nostra vita e il nostro futuro. Questa terza edizione contiene quattro nuovi capitoli su: Great Reset, supremazia quantistica e criptovalute, Quantum Financial System e Nuovo Ordine Multipolare, l’emergenza dei BRICS come sistema alternativo al globalismo liberista. È stato, inoltre, aggiornato e ampliato il capitolo sul Global Currency Reset alla luce dei nuovi avvenimenti e delle dichiarazioni dei leader internazionali. Che cosa succederà con l’implementazione del nuovo sistema finanziario? Chi emetterà moneta e come cambierà l’economia? Gli Stati europei si riapproprieranno della loro sovranità monetaria? Usciremo dalla più grande e lunga crisi economica degli ultimi cento anni?  Quali ragioni economiche e politiche muovono il Great Reset? Il capitalismo globalista è forse giunto al collasso? Che importanza rivestono oggi i computer quantistici per l’economia e la finanza? Cosa sono il Global Currency Reset e il Quantum Financial System? Che ne sarà del predominio delle banche centrali? Che cosa è la supremazia quantistica? Ci sarà continuità o rottura con gli strumenti del vecchio sistema monetario? La piena occupazione sarà di nuovo possibile? Quali nuovi assetti geopolitici attendono l’umanità al crepuscolo dell’unipolarismo liberal-globalista? Che cosa è il Nuovo Ordine Multipolare e come cambierà la nostra vita? https://www.youcanprint.it/sovranita-debito-e-moneta/b/5fce4a04-262c-59a1-bfb6-5313289468a3

Fonte

La bolla

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di Andrea Zhok

Fonte: Sfero

L’argomento principale di Immanuel Kant a proposito della necessità morale di non mentire era che la menzogna non era una pratica sostenibile, mentire non era una massima universalizzabile, in quanto un mondo in cui tutti mentissero era un mondo in cui la parola, il pensiero e la legge avrebbero perduto ogni valore.
Oggi siamo piombati nel mondo prefigurato da quella riflessione kantiana.
Oggi sui grandi media, sui veicoli della visione del mondo che tutti siamo tenuti ad avere in comune, imperversano i fabifazi e le michelemurgie, le concite e i parenzi, un’intera ubertosa selva di ripetitori con variazioni-dillo-con-parole-tue di ciò che è gradito ai detentori del potere. Non bisogna pensar male e ritenere che questa sterminata accolita di ripetitori con variazioni siano volgarmente stipendiati a cottimo per ciascuna menzogna. Niente affatto. Si tratta di soggetti il cui solo talento umano consiste nell’innamorarsi perdutamente delle idee di chi può pagarle. Ma così, per caso, spontaneamente, una seconda natura.
E quanto alle libere praterie della rete, per capirne il funzionamento odierno basta dare un’occhiata ai Twitter Files che un imprevisto cambio di padrone in un social ha fatto trapelare. Catene di comando dirette che portano dalle agenzie di sicurezza americane alle operazioni di oscuramento e selezione manipolativa sui social. I grandi social sono una tonnara, dove dapprima si sono fatti entrare gratuitamente centinaia di milioni di utenti, come nel paese dei balocchi, con l’illusione di dare corpo ad una nuova forma di democrazia reale, solo per poi chiudere le reti e condurre i tonni alle scatolette di destinazione. (Con il plauso degli imbecilli terminali che “sono-privati-possono-fare-quello-che-gli pare”).
Ma a prescindere dagli intercambiabili e dimenticabili protagonisti di questa stakanovista produzione di menzogne, ciò che bisogna affrontare è il risultato sistemico, che è esattamente quello prefigurato sopra: viviamo tutti in una bolla, un mondo irreale e derealizzato, che è l’unico mondo che io e il mio vicino abbiamo davvero in comune, e che si divide tra semplicemente inaffidabile e intenzionalmente manipolato. Cosa “si” sa? Di cosa possiamo parlare in comune, su cosa possiamo accapigliarci e dibattere politicamente con gli altri cittadini, se non su questo mondo fittizio, modellato da catene di filtri a monte, che ci arriva confezionato in casa su qualche schermo?
Certo, esiste la possibilità di una lotta di minoranza che si affatica a trovare le incongruenze, a sfruttare gli occasionali errori e le imperfezioni di un sistema che, come tutti i sistemi di potere quasi onnipotenti, tende a diventare sciatto. Però la semplice verità è che questo tipo di lotta richiede energia, intelligenza, coraggio, capacità di resistere all’isolamento e alle frustrazioni, tutte qualità che sono e saranno sempre patrimonio di esigue minoranze.
Il maggior risultato di questa costruzione di un edificio costante di menzogne non è tanto la ferrea persuasione ideologica dei più, ma la caduta in discredito della realtà (di quella che viene fatta passare per tale). Tolta la minoranza dei combattenti, grosso modo la popolazione sottoposta a questa “cura Ludovico” king-size si divide in due grandi gruppi.
Da una parte ci sono i conformisti arrabbiati, i nuovi bigotti del politicamente corretto, i progressisti fobici, i benpensanti militanti che, forse perché percepiscono la fragilità del loro mondo di credenze ufficiali, vi si aggrappano in modo virulento e cercano di obliterare e screditare e azzannare chiunque vi si opponga anche marginalmente. Per rifarsi ad una vecchia categorizzazione di Umberto Eco, questi sono al tempo stesso apocalittici e integrati: sono completamente integrati nel sistema e lo sostengono con la ferocia apocalittica dei millenaristi. Sono gente che sembra aver già inserito nella propria corteccia il microchip dell’indignazione morale permanente, e che la applica rigorosamente al solo catalogo approvato dai datori di lavoro. Questi “Guardiani dell’Illusione” probabilmente avvertono ad un qualche livello che la finzione è tale, ma è proprio solo la finzione a dargli conforto, calore, intrattenimento, denaro e come per la zecca il mondo si conclude dove essa può annidarsi e succhiare sangue, così questi si attestano nella loro nicchia ecologica che gli consente di passare dalla culla alla tomba senza troppi grattacapi.
Dall’altra parte esiste una grande massa scettica, che ha capito abbastanza da non credere a ciò che passa il sistema, o a crederci con mezzo cervello, ma che non ha l’energia, o la preparazione o il coraggio per cercar di ottenere un diverso accesso alla realtà. Questi rappresentano la più grande vittoria del sistema, che facendone degli scettici disillusi senza speranza ne disinnesca ogni potenziale pericolosità. Nelle nuove generazioni questa vittoria tende ad essere totale: rinchiusi in piccoli mondi pret-a-porter, brandizzati, la parte più sveglia della gioventù riesce solo a credere fermamente che non si possa credere a niente, e in nulla (quella meno sveglia sogna unicorni fluidi ecosostenibili).
Siamo nuotando in una boccia di pesci rossi, con i vetri dipinti di colori sgargianti, in caduta libera, contando sul fatto che il pavimento non arrivi mai.
Ma la realtà non cessa di esistere per il fatto di essere rimossa. Semplicemente come sempre avvenuto nella storia, quando ci si allontana troppo e troppo a lungo da essa, farà sentire la sua voce spezzando la schiena al nostro mondo di filtri e schermi, di millenaristi a gettone, di solipsisti enervati.  Non illudiamoci però, nessuna Rivelazione, nessuna confortevole Illuminazione ci aspetta. Ci sono rare epoche in cui la verità prova a filtrare come un messaggio (la “buona novella”), ma di solito essa si fa spazio nella sua forma originaria e primitiva, come schietta catastrofe. (E peraltro anche la buona novella dovette attendere il collasso di un impero per diffondersi).

Russia e Cina contrastano il piano egemonico degli USA in Eurasia

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di Luciano Lago

La inarrestabile discesa della influenza degli Stati Uniti sull’attuale ordine mondiale è segnata fra gli altri da due fattori essenziali: da un lato l’offensiva russa in Ucraina che segna il ruolo di protagonista assertivo della Russia come superpotenza che ostacola i piani egemonici degli Stati Uniti, dall’altro lato le nuove intese economiche e finanziarie che la Repubblica Popolare Cinese sta stringendo con i partner petroliferi del Golfo Persico, in primis con l’Arabia Saudita.

Se la Russia ha di fatto rotto l’accerchiamento della NATO e si è impegnata in un conflitto che, a prescindere dal suo esito, segnerà una svolta negli equilibri europei e non solo in quelli, la nuova dinamica cinese rischia di incrinare il predominio del dollaro negli scambi internazionali, visti gli accordi in definizione fra Cina e Arabia Saudita, il maggior produttore di petrolio mondiale.

Senza dubbio Washington sta perdendo il ruolo che ha svolto in Europa e in Medio Oriente negli ultimi 40 anni. L’operazione militare speciale in Ucraina è diventata un altro sintomo dell’indebolimento del ruolo dell’America come fattore di stabilizzazione globale.

Il cambiamento che si sta verificando è di fatto un riassetto degli equilibri mondiali in cui i protagonisti sono diversi da quelli che hanno predominato la scena internazionale negli ultimi 80 anni.

Il piano della elite di potere USA di disarticolare la Russia facendo leva sull’Ucraina quale piattaforma di ariete anti russa, sta ormai fallendo a prescindere da come si concluderà il conflitto. La Russia non permetterà alla NATO di stabilirsi in Ucraina e questo paese è destinato a essere disarticolato e suddiviso in varie regioni, che saranno con tutta probabilità rese neutrali.

L’equilibrio di sicurezza dovrà necessariamente essere ridefinito coinvolgendo la Russia, come lo stesso Macron e Shulz hanno dovuto ammettere.

Se si realizzerà un tale scenario, Washington avrà fallito un’altra volta e questo spiega l’ostinazione degli anglo statunitensi nel cercare di sostenere l’Ucraina nonostante il collasso previsto del suo esercito decimato dalle perdite. Lo avevamo previsto in tanti che la guerra per procura sarebbe stata combattuta dagli USA fino all’ultimo ucraino e così sta avvenendo.

L’idea di Washington di disarticolare la Russia ed ottenere un cambio di regime al Cremlino cozza con la realtà di un paese che al contrario si è stretto a grande maggioranza attorno al suo premier ed è consapevole di essere costretto dall’occidente ad una guerra esistenziale.

Il presidente Putin deve correggere alcuni sbagli e sottovalutazioni del nemico che aveva fatto all’inizio della offensiva russa: l’intervento massiccio di forze della NATO sul territorio ucraino, con forniture di armi, assistenza logistica, di intelligence, comando e controllo affidato a ufficiali statunitensi e britannici ha avuto l’effetto di prolungare le operazioni ma adesso siamo in una nuova fase dell’offensiva che assume una connotazione più decisa e diretta a neutralizzare l’intera infrastruttura del sistema ucraino e a distruggere quel che resta delle sue forze armate.

L’obiettivo strategico più ampio della Russia è quello di facilitare la liberazione dell’Europa dal controllo statunitense, questo potrà avvenire quando i paesi europei saranno costretti a trattare con Mosca per evitare un olocausto nucleare nel vecchio continente che servirebbe solo agli interessi americani.

Di conseguenza la dimostrazione della forza e della tecnologia militare russa, nel lungo termine, avranno l’effetto di convincere l’Europa che soltanto la Russia, non gli Stati Uniti, è in grado di fornire ai paesi europei una difesa strategica.

Dall’altro versante del mondo, nell’Indo Pacifico, il ruolo di protagonista viene assunto inevitabilmente dalla Cina che procede verso l’internazionalizzazione dello yuan. Dopo la visita in Arabia Saudita e gli accordi presi, lo stesso Xi Jinping ha dichiarato che la Cina utilizzerà lo yuan per il commercio di petrolio, attraverso la Borsa nazionale del petrolio e del gas di Shanghai, a cui ha invitato gli altri paesi produttori.

Negli ultimi cinque anni, la Cina è stata il più grande importatore mondiale di greggio, che proviene da metà dalla penisola arabica e più di un quarto dall’Arabia Saudita.

La Cina prosegue nel suo percorso di sviluppo e di investimenti (con la Belton Road) coinvolgendo un sempre maggiore numero di paesi in Asia in Africa, in Medio Oriente e in America Latina.

D’altra parte i cinesi non nascondono di essere determinati a distruggere la invasiva egemonia degli Stati Uniti, per stabilire l’uguaglianza e la giustizia nel mondo. In questo contesto l’America invita a boicottare la Cina ed a diffidare della cooperazione con Pechino ma non ottiene ascolto e piuttosto sta perdendo la fiducia dei suoi alleati e della comunità internazionale.

In altro modo, gli americani stanno stringendo il cappio economico e politico sull’Europa e stanno provocando un’agguerrita concorrenza volta a danneggiare in primis l’economia europea, con la finzione di mascherare l’egemonia da “ordine internazionale” basato su regole, una finzione a cui non crede più nessuno e che sta volgendo al termine.

Questa ascesa della Cina preoccupa l’elite di potere USA che aveva previsto di affrontare il gigante asiatico soltanto dopo una possibile sottomissione della Russia con l’istigazione del conflitto in Ucraina.
Il piano tuttavia non sta andando come si aspettavano gli strateghi di Washington e i decisori del Deep State sono ad un bivio: a breve devono decidere per una conflitto nucleare o per una accettazione di un ordine multipolare con ridimensionamento del loro ruolo. Una scelta difficile ma necessaria e da questa dipenderà il futuro di tutta l’umanità.

Foto: Today.it

24 dicembre 2022

Fonte: https://www.ideeazione.com/russia-e-cina-contrastano-il-piano-egemonico-degli-usa-in-eurasia/

Dieci mesi di guerra in Ucraina: cosa aspettarsi nel 2023 e il paradosso cinese

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I possibili scenari, i costi, le incertezze dell’Occidente. Mosca scommette sulla nostra mancanza di pazienza strategica e coesione politica per una lunga guerra

Sono passati circa dieci mesi da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Al momento l’unica cosa su cui concordano i governi nordamericani, europei, russi e ucraini è il desiderio di una guerra breve.

Tutti vogliono una guerra breve

A Mosca, il regime di Putin vorrebbe una breve guerra vittoriosa per sostenere la sua posizione politica e conseguentemente mantenere il potere in modo “pacifico”. L’Occidente vorrebbe una guerra breve a causa delle spaventose sofferenze del popolo ucraino e dei costi altrettanto spaventosi della crisi energetica.

Tuttavia, nessuno in Occidente, inclusi gli americani, sembrerebbe disposto a fornire a Kiev il tipo di supporto militare che potrebbe consentire agli ucraini di respingere le forze russe fuori dal loro Paese, almeno dai confini pre-24 febbraio.

Gli ucraini vorrebbero continuare le loro recenti offensive che hanno visto le forze russe respinte ma mancano del “peso militare” per far ritirare tutte le forze russe dall’Ucraina orientale.

La probabilità di una guerra lunga

Di conseguenza, si prospetta la tragica probabilità di una lunga guerra. I russi si sono impegnati in una guerra che potrebbe protrarsi nel tempo perché è a questo a cui il Cremlino ha tradizionalmente fatto ricorso e gli ucraini continueranno a combattere per tutto il tempo necessario rafforzati dalla rabbia per l’occupazione delle forze russe.

La vera incognita è l’Occidente, è l’ampiezza del suo sostegno all’Ucraina. Conseguentemente il 2023 sarà l’anno in cui la guerra si concluderà perché ci sono chiaramente dei limiti al sostegno che americani, canadesi o europei sono disposti a offrire all’Ucraina.

In caso contrario, il conflitto diventerebbe una guerra “congelata” con gran parte della linea del fronte tra Kharkiv nell’Ucraina nord-orientale e Kherson nell’Ucraina sud-orientale che già oggi assomiglia sempre più al fronte occidentale della Prima Guerra Mondiale.

Gran parte dell’azione diplomatica sarà quindi dedicata a convincere Cina Popolare e India a fare pressione su Mosca affinché rinunci all’escalation, a tenere unita la coalizione a sostegno dell’Ucraina e a trovare una formula per porvi fine.

La domanda centrale a questo punto riguarda questa formula. Qualsiasi cessate-il-fuoco a breve termine sarebbe semplicemente una pausa che i due combattenti esausti sfrutterebbero per tentare di ricostruire la loro rispettiva capacità di combattimento, ma ad un certo punto la “pace” dovrà essere concordata e la probabilità è che tale pace debba essere una soluzione soprattutto europea.

Uno scontro di volontà

La battaglia sul terreno è una prova di resistenza tra il popolo ucraino e le sue forze armate contro le forze armate della Federazione Russa. La battaglia geopolitica è uno scontro di volontà tra il Cremlino e la coalizione occidentale (euro-atlantica) che sostiene l’Ucraina.

Il 2023 non vedrà solo una nuova fase sul campo, ma anche una nuova sfida interna nella coalizione perché è palese che crescono le tensioni tra i cosiddetti falchi e colombe in Occidente. Mosca cercherà di sfruttare tali divisioni. Molto, come sempre, dipenderà dalla posizione assunta dall’amministrazione Usa.

Obiettivi e condizioni

L’obiettivo generale deve rimanere la “fine militare” delle forze russe in Ucraina, consentendo così a Kiev di negoziare da una posizione di forza, con i partner occidentali che garantiscono sostegno totale. Fondamentale decidere ora se fornire supporto aggiuntivo a Kiev e di che tipo perché mantenga l’offensiva, sia durante i mesi invernali (per quanto possibile) sia nel 2023.

Qualsiasi strategia per porre fine alla guerra dovrebbe basarsi sul principio, in primo luogo, che l’aggressione russa non deve essere ricompensata in alcun modo. Poi, la Russia deve risarcire i danni che ha inflitto all’Ucraina. Stabilire che non ci possa essere alcun veto russo sulla dimensione territoriale Nato e infine, la revoca delle sanzioni, da implementare solo come conseguenza dell’azione “riparatoria” russa e solo nel tempo.

L’alternativa sarebbe, appunto, una guerra “congelata”, con la Russia che detiene il controllo (annette) su una parte significativa dell’Ucraina.

La posizione di Mosca

Invitando l’Occidente a riconoscere alla Russia i territori occupati come precondizione per i colloqui, il Cremlino ha fatto capire di non essere interessato alla pace e di essere impegnato in una lunga guerra di cui l’Ucraina è il principale, ma non unico, campo di battaglia.

È improbabile che la posizione di Mosca cambi a breve termine. Il presidente Putin è sostenuto da un gruppo sempre più intransigente sia al Cremlino sia nella Duma, che vuole che distrugga la capacità industriale ucraina, rompa il sistema bancario ucraino e ne paralizzi il sistema ferroviario e dei trasporti.

La posizione dell’Occidente

Pare oramai assodato che l’Occidente (i Paesi Nato) non entrerà in guerra con la Russia per salvare l’Ucraina dall’aggressione. Piuttosto, l’Occidente sta cercando di costringere la Russia a fare concessioni attraverso il suo sostegno diretto e indiretto a Kiev, con l’obiettivo finale di ripristinare l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina.

La ritirata russa da Kherson e il lancio di attacchi missilistici contro le infrastrutture ucraine segnano probabilmente la fine di una fase della guerra caratterizzata dai progressi tattici ucraini e l’inizio di una fase più statica nel prossimo inverno.

Le richieste ucraine

I sistemi d’arma occidentali che hanno fatto pendere temporaneamente la bilancia del conflitto verso l’Ucraina includono le armi anticarro leggere di nuova generazione (NLAW), i sistemi missilistici a lancio multiplo (MLRS) e il sistema missilistico di artiglieria ad alta mobilità M142 (Himars). Tuttavia, Kiev chiede più sistemi di difesa aerea e artiglieria, più MLRS, carri armati e molti altri droni di vario tipo.

I costi umani

Il costo umano della guerra è spaventoso. Al 27 novembre 2022 l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani (OHCHR) stimava che 6.655 civili avessero perso la vita e altri 10.368 fossero i feriti. Alcune fonti hanno anche indicato che 100 mila militari russi e circa 60 mila ucraini sarebbero stati uccisi o feriti.

L’OHCHR ha anche registrato 7.891.977 rifugiati ucraini in tutta Europa, di cui 4.776.066 registrati per la protezione temporanea. Secondo un rapporto Reuters del 13 novembre, il presidente Zelensky ha affermato che l’Ucraina avrebbe scoperto più di 400 crimini di guerra.

La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha chiesto l’istituzione di un tribunale speciale sostenuto dalle Nazioni Unite per indagare su tali crimini, affermando che 20 mila civili ucraini e più di 100 mila membri del personale ucraino avrebbero perso la vita dallo scorso febbraio.

I costi economici

Il costo economico non è meno grave. Secondo la Banca mondiale l’economia ucraina crollerà del 45 per cento entro la fine del 2022. Kiev perderà 5 miliardi di euro al mese secondo alcune fonti attendibili, mentre l’economia russa dovrebbe ridursi di circa l’11 per cento.

Anche l’impatto sull’economia globale è stato profondo. È probabile che i prezzi del petrolio rimangano sopra o intorno ai 100 dollari al barile e i prezzi del gas almeno del 50 per cento più onerosi per un periodo prolungato se il conflitto continuerà.

La Russia e l’Ucraina esportano il 25 per cento del grano mondiale e il 28,9 per cento dell’olio di girasole, la cui perdita ha portato a profonde carenze e scarsità di cibo nel resto del mondo (tutto questo si aggiunge alla carenza mondiale dei fertilizzanti prodotti in Russia).

Nel marzo 2022, Usa e Ue hanno annunciato severe sanzioni alla Banca centrale russa (CBR), bloccando il trasferimento di 643 miliardi di dollari alla Russia. Ciò ha avuto un impatto sulle valute globali poiché il dollaro si è rivalutato, ma alcune valute più fragili si sono svalutate notevolmente.

L’impatto sulle rotte commerciali

C’è stato anche un grave rallentamento, quando non interruzione, delle catene di approvvigionamento globali. La Cina Popolare è stata particolarmente colpita dall’impatto sulle rotte commerciali terrestri tra Europa e Asia.

La Turchia avrebbe chiuso il Bosforo al transito, anche se Mosca sembra ancora in grado di schierare navi da guerra nel Mar Nero che sembrerebbero contravvenire alla Convenzione di Montreux del 1936 (ma con Erdogan al potere ad Ankara non c’è da stupirsi).

L’Ucraina ha interrotto i movimenti commerciali di trasporto marittimo, mentre la sospensione delle rotte aeree sulla Russia ha notevolmente ostacolato i viaggi aerei. Le previsioni 2022-2023 dell’Organizzazione mondiale del commercio suggeriscono un calo della crescita economica dal 3 al 4 per cento in un momento in cui l’economia globale sta lottando per riprendersi dalla pandemia da virus cinese.

La forza di combattimento della Russia

La più grande preoccupazione di Mosca è per la perdita del “ponte di terra” tra la Russia occidentale e la Crimea, che ha assunto un’importanza crescente sulla scia dell’attacco al ponte sullo Stretto di Kerch.

Va considerato che la Russia ha ancora riserve significative di combattimento convenzionale e quindi continuerà l’invasione voluta dal presidente Putin. Tuttavia, le forze armate russe sono state chiaramente sbilanciate dalle offensive ucraine contro Kherson, Kharkiv e Luhansk Oblast e ci sono dubbi che i mesi invernali consentiranno ai comandanti russi di riconquistare il potere di combattimento perduto.

In contrasto con quanto indicato vale sottolineare la perdita del potere di combattimento strategico russo che si è evidenziata nel numero di sortite effettuate dall’aeronautica della Federazione Russa. Nel maggio 2022 c’erano oltre 300 sortite al giorno. All’inizio di dicembre 2022 ci sono molto meno di 100 sortite al giorno.

Data quindi per certa una perdita di potere di combattimento, e ipotizzato che la Russia sia in una brutta situazione, non c’è, però, motivo di credere che Mosca cercherà un accordo di pace degno di questo nome a breve termine e qualsiasi richiesta di cessate-il-fuoco non farebbe altro che consolidare le conquiste russe.

La strategia missilistica

Piuttosto, la Russia cercherà di costringere sia l’Ucraina alla sottomissione sia di sconfiggere i suoi partner occidentali che Mosca ritiene manchino della pazienza strategica e della coesione politica per una lunga guerra.

L’adozione di una “strategia missilistica” per colpire le infrastrutture civili dell’Ucraina è la prova del cambiamento della strategia russa. Il dispiegamento di una nave da guerra che trasporta missili da crociera nel Mar Nero suggerisce anche che l’assalto alla rete elettrica dell’Ucraina è destinato a continuare.

L’Ucraina ha reagito il 4 dicembre colpendo le basi aeree di Engels e di Dyagilyaevo a circa 700 km a est del confine russo-ucraino.

Il consenso alla guerra

In Russia ci sono poche prove che Putin stia affrontando un malcontento pubblico coordinato e diffuso. Fonti affidabili, suggeriscono che il sostegno alla guerra rimane relativamente alto con circa il 73 per cento dei russi intervistati a ottobre a sostegno delle azioni delle forze armate russe in Ucraina, ma c’è anche un dato che indica, in contrapposizione, che il 55 per cento dei russi è favorevole ai colloqui di pace.

L’ipotesi di escalation nucleare

Mosca ha chiaramente preso in considerazione l’escalation utilizzando armi biologiche, chimiche, radiologiche e persino nucleari e ci sono state molte speculazioni sulle opzioni nucleari a sua disposizione.

Un attacco nucleare tattico che utilizza un’arma a bassissimo rendimento potrebbe includere uno o più bersagli, a seconda di ciò che Mosca ritenga sia necessario per forzare la capitolazione di Kiev.

Un attacco contro una città dell’Ucraina occidentale non può essere del tutto escluso e mirerebbe a spaventare l’opinione pubblica europea, e in particolare quella tedesca, in modo che la pressione pubblica venga esercitata sui leader per porre fine al loro sostegno all’Ucraina e convincere così Kiev ad accontentarsi dei termini russi.

Tuttavia, è da ritenersi poco probabile e le altre opzioni/ipotesi includono l’uso di una bomba sporca, un massiccio attacco informatico, un limitato attacco con gas contro le truppe ucraine, la distruzione di una grande diga o attacchi più pesanti nei pressi di una centrale nucleare ucraina.

Possibili risposte dell’Occidente

Secondo una linea di pensiero di alcuni analisti strategici ci sono alcune risposte occidentali possibili. Le misure che punirebbero la Russia con un rischio limitato di un’ulteriore escalation nucleare potrebbero includere la ricerca di una condanna diplomatica unanime per l’uso nucleare presso le Nazioni Unite; rimuovere la Russia dalle organizzazioni internazionali; rimuovere completamente la Russia dal sistema di messaggistica finanziaria SWIFT; imporre un embargo commerciale e finanziario completo alla Russia (con il sostegno di Cina Popolare e India); utilizzo di beni finanziari russi sequestrati per la ricostruzione dell’Ucraina; concordare una data per l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea.

Tale risposta potrebbe includere anche un aumento della fornitura di armi convenzionali avanzate all’Ucraina.

Altre misure che “punirebbero” la Russia con un certo rischio di ulteriore escalation, e sono quindi poco probabili a breve termine, potrebbero includere: revocare i limiti taciti alla fornitura all’Ucraina di armi a lungo raggio o più offensive come i sistemi missilistici tattici, aerei da combattimento di ultima generazione e moderni carri armati; consentire all’Ucraina di utilizzare armi a lungo raggio della Nato per prendere di mira alcune aree della Russia occidentale da cui vengono lanciati attacchi contro l’Ucraina (qualcosa di simile è già avvenuto con droni “ucraini”); l’invio di alcuni consiglieri militari della Nato in Ucraina per missioni di combattimento e non solo di addestramento; concordare una data per l’adesione dell’Ucraina alla Nato.

Ci sarebbero poi misure che “punirebbero” la Russia con un rischio maggiore di ulteriore escalation, e sono quindi altamente o praticamente improbabili, che includerebbero: la possibilità che la Nato conduca con sue unità attacchi alle forze russe in Ucraina, ad esempio distruggendo il sito da cui era stato lanciato un attacco (anche nucleare) russo; attaccare la flotta russa del Mar Nero; rispondere con un ipotetica azione nucleare della Nato contro un obiettivo militare russo in Ucraina.

Europa divisa

L’Europa sembrerebbe al momento divisa. Francia e Germania si preparano ad una possibile iniziativa diplomatica che potrebbe spezzare il fragile consenso occidentale sull’Ucraina.

Durante la sua visita di stato negli Usa del novembre 2022, il presidente francese Emmanuel Macron ha osservato che “… uno dei punti essenziali che dobbiamo affrontare, come ha sempre affermato il presidente Putin, è il timore che la Nato si avvicini alle sue porte e il dispiegamento di armi che potrebbero minacciare la Russia”.

Non è stata fatta menzione delle armi sviluppate dalla Russia che minacciano l’Europa, inclusi missili da crociera, droni sottomarini e sistemi spaziali, molti dei quali sono stati sviluppati illegalmente durante l’ormai abrogato Trattato sulle forze nucleari intermedie.

Per alcuni analisti la dichiarazione di Macron si avvicina pericolosamente a “premiare” la Russia per la sua aggressione. In secondo luogo, la Russia deve essere sufficientemente affidabile perché il controllo degli armamenti sia credibile.

La strategia di difesa Usa

Comunque si veda la crisi in atto, ancora una volta il Paese più importante per la sicurezza e la difesa europea è quello con capitale Washington. La guerra in Ucraina ha rivelato profonde carenze strutturali nelle relazioni euro-atlantiche causate da un crescente bisogno degli americani di alleati più capaci, ma un rifiuto da parte di molti di essi di investire adeguatamente nel budget della difesa sta creando, quantomeno, perplessità.

La strategia di difesa nazionale 2022 rivela le priorità americane, in particolare se inserita nel contesto della guerra in Ucraina. Mentre la Russia è ancora considerata una “minaccia importante” per gli Stati Uniti, per la prima volta dal 1949 uno stato diverso dalla Russia è considerato il principale sfidante: la Cina Popolare.

Pechino ha il potenziale per sfidare sistematicamente gli Stati Uniti su tutti i fronti: militare, economico, tecnologico e diplomatico. Di conseguenza, sia la Nuclear Posture Review che la Missile Defense Review sono state incorporate nell’NDS 2022 per garantire l’idoneità dell’America alla futura competizione strategica con il Paese comunista.

Nello specifico, le minacce sub-strategiche, come la Corea del Nord, l’Iran e l’estremismo violento devono ora essere “gestite”, mentre le minacce “transfrontaliere”, come il cambiamento climatico e le pandemie, devono essere “adattate”.

Gli europei devono fare di più

Per la Nato il messaggio della NDS 2022 è chiaro: mentre l’importanza di alleati e partner per gli Stati Uniti è più grande che mai, se la garanzia di sicurezza americana per l’Europa deve essere mantenuta in modo credibile in futuro, gli europei dovranno condividere gli oneri della propria difesa in modo molto più equo con gli Stati Uniti.

È ragionevole presumere che dovranno generare almeno il 50 per cento di capacità della Nato entro il 2030.

Se così non fosse, l’Alleanza potrebbe andare in crisi e sarebbe qualcosa che sia la Cina Popolare che la Russia apprezzerebbero. Pertanto, è particolarmente importante che la strategia militare della Nato 2022 sia realizzata perché contiene tutto ciò di cui l’Alleanza ha bisogno per essere credibile in questa nuova era

Il prossimo ingresso di Finlandia e Svezia che nell’Alleanza non cambierà significativamente questo aspetto.

Il ruolo di Pechino

Nessuna analisi della guerra in Ucraina può aver luogo senza considerare il ruolo della Cina Popolare sia nella guerra in Ucraina sia nella più ampia minaccia che rappresenta per l’Europa.

La Cina Popolare è indubbiamente un “concorrente strategico” a livello mondiale e l’esistenza stessa delle democrazie rappresenta una sfida al governo sempre più totalitario e stravagante del presidente Xi Jingping.

Il consolidamento del potere totale da parte di Xi al recente XX Congresso del Partito, insieme alla pubblica umiliazione dell’ex presidente Hu Jintao, implica una Cina Popolare con una crescente tendenza alla follia del controllo geopolitico, rappresentata dalla minaccia a Taiwan.

Il peso economico

Tuttavia, alla Cina manca il peso economico che le sue gigantesche ambizioni strategiche implicano. Utilizzando le statistiche economiche più favorevoli alle economie cinese e russa combinate – parità di potere d’acquisto – le loro economie combinate valgono circa 27 trilioni di dollari nel 2022. Utilizzando gli stessi dati, per i Paesi del G7 il totale è di 39 trilioni. Aggiungendo Australia e Corea del Sud si arriva a 42 trilioni.

Se si confronta il Pil nel 2022, il contrasto è ancora più evidente: Cina e Russia 20,2 trilioni di dollari, Paesi del G7 combinati 45,2 trilioni, che diventano 48,8 trilioni aggiungendo Australia e Corea del Sud.

Dato cruciale, il commercio della Cina Popolare con le democrazie è oltre dieci volte maggiore di quello con la Russia, mentre nel 2020 il surplus commerciale di Pechino con il resto del mondo ammontava a 535 miliardi di dollari, gran parte di quella cifra è dovuta ai deficit commerciali sia con gli Stati Uniti sia con l’Europa.

Il paradosso del potere cinese

Il paradosso del potere cinese è che conta sulle democrazie occidentali per ottenerlo attraverso le esportazioni. Nel contempo la Russia potrebbe offrire alla Cina Popolare una fonte energetica e un utile canale per il trasbordo di merci verso l’Europa, se e quando l’Europa aprirà le sue porte a Mosca, ma offre poco altro alla Cina Popolare in termini di futuro sviluppo dell’economia e della società cinesi.

Piuttosto, è molto più probabile che la Russia di Putin trascini la Cina Popolare in conflitti che non sono nel suo interesse. Questo sembra essere implicito nella dichiarazione congiunta di Xi con il presidente Macron al vertice del G20, in cui entrambi hanno chiesto il rispetto della sovranità dell’Ucraina.

Limiti dell’amicizia con la Russia

La Cina potrebbe riconsiderare le sue opzioni. Sulla guerra in Ucraina, ha chiaramente anteposto i propri interessi al mantenimento del suo rapporto di “amicizia senza limiti” con la Russia. Mentre Pechino era a conoscenza in anticipo della “operazione militare speciale” che Mosca stava per lanciare in Ucraina, Putin ha tenuto segreta ai cinesi la portata delle sue ambizioni.

Alle Olimpiadi invernali Putin aveva detto a Xi che la campagna avrebbe solo cercato di recuperare una provincia russa perduta, il che suggerisce che l’amicizia sino-russa ha limiti molto chiari.

Allo stesso modo, sebbene una garanzia segreta di sicurezza reciproca fosse stata concordata nell’incontro di “amicizia senza limiti” di febbraio, la Cina Popolare ha introdotto alcune disposizioni secondo cui Pechino avrebbe aiutato militarmente la Russia solo in caso di invasione straniera del territorio russo.

L’affermazione di Mosca secondo cui sia la Crimea che il Donbass fanno ora parte della Federazione Russa è stata di fatto ignorata da Pechino… ma c’è stata!

Preoccupazione per l’escalation

La minaccia di Putin di usare armi nucleari ha causato tanto allarme a Pechino quanto altrove e c’è preoccupazione per il pericolo di un’escalation.

C’è qualche indicazione che all’inizio della guerra la Cina Popolare abbia parlato con gli Stati Uniti del pericolo di un’escalation e abbia convinto Washington a porre il veto al trasferimento suggerito di aerei d’attacco MiG-29 polacchi in Ucraina.

Pechino sembra anche aver usato la sua influenza, da militare a militare, per convincere lo Stato maggiore russo a ribadire la politica tradizionale della Russia di utilizzare armi nucleari solo se la Russia stessa viene attaccata.

Nessun aiuto militare a Mosca

L’aiuto militare della Cina Popolare alla Russia è stato degno di nota per la sua assenza. E ha costretto il Cremlino ad acquistare droni iraniani a basso costo e cercare di riacquistare elicotteri, missili e armi di difesa missilistica già venduti a clienti in tutto il mondo.

Mosca è stata persino costretta a rimuovere i chip dei computer dagli elettrodomestici per compensare l’impatto delle sanzioni occidentali su tali tecnologie. Infine, la minaccia di sanzioni occidentali alle imprese e alle banche statali cinesi che operano in Russia ha visto molte di esse ritirare le linee di credito ai russi, sospendere le joint venture e persino ritirarsi dalla Russia.

In conclusione, politici Usa ed europei si lamentano del fatto che Putin sia bloccato nel passato con il suo sogno di ricostruire la vecchia Russia zarista ma, purtroppo, c’è la possibilità che i governi e le diplomazie continuino a parlare e i giovani uomini e donne continuino a morire. È ora di agire perché il futuro della libertà e delle democrazie dipende da questo.

DA

https://www.nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/esteri/dieci-mesi-di-guerra-in-ucraina-cosa-aspettarsi-nel-2023-e-il-paradosso-cinese/

L’I.r.a. di Biden si abbatte sull’Europa

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di Luigi Tedeschi 

Fonte: Italicum

Nella tre giorni di Macron a Washington i temi di discussione nei colloqui con Biden erano due. La guerra in Ucraina e la legge anti – inflazione approvata in agosto da Biden, che prevede ampli sussidi all’industria americana per far fronte alla crisi economica e alla transizione ambientale.
Sulle prospettive di negoziato con la Russia, tale vertice non ha espresso risultati rilevanti. E’ infatti del tutto improbabile che la Russia accetti un ritiro entro confini del 2014, così come che si pervenga alla neutralità dell’Ucraina, che invece mira alla riconquista della Crimea e del Donbass. L’Occidente, sostenendo militarmente Kiev è parte in causa nella guerra contro la Russia e quindi non può assumere il ruolo di mediatore nel conflitto. Un tavolo per i negoziati era già stato peraltro istituito dalla Turchia di Erdogan, ma nei colloqui bilaterali è stato ignorato, a conferma del senso di superiorità che pervade l’Occidente e che costituisce l’ostacolo maggiore per una credibile trattativa di pace.
Maggiore interesse invero suscitano i timori europei riguardo al piano anti – inflazione americano. Gli USA hanno varato un pacchetto di aiuti per circa 400 miliardi di dollari a sostegno di famiglie ed imprese imperniato sulla transizione green. Trattasi dell’Inflation reduction act (Ira), che prevede crediti d’imposta di 7.500 dollari per l’acquisto di auto elettriche nuove di fabbricazione americana e di 4.000 dollari per auto usate. E’ evidente che la strategia protezionistica americana mira ad abbattere la concorrenza europea nel settore dell’auto elettrica.
In realtà l’Ira è un piano di investimenti di 738 miliardi di dollari, di cui 391 verranno destinati all’energia e alla transizione ambientale, 238 verranno utilizzati per il risanamento del deficit federale e la quota residua verrà impiegata nella sanità e nella riforma fiscale. Rilevanti finanziamenti verranno erogati per ridurre i costi energetici ed aumentare l’efficienza domestica, con crediti di imposta e sconti per i cittadini oltre che con agevolazioni nei confronti degli enti locali. Si prevede che entro il 2030 in America la riduzione del gas serra sarà del 50%. Si stima inoltre che l’Ira produrrà in America negli anni a venire un giro di affari di 15.000 miliardi di dollari dovuto agli investimenti nella green economy. Tale previsione è avvalorata dalle performance registrate nei mercati finanziari nel 2020, in cui gli attivi dei fondi sostenibili hanno raggiunto il livello record di 1,25 trilioni di dollari.
Le ragioni dell’allarme suscitato in Europa dalla politica di dumping industriale degli USA nel settore dell’energia green sono evidenti. Ma la UE si è dimostrata incapace ad affrontare la minaccia mortale americana per l’industria europea. Del resto, l’inefficienza della UE si era già resa evidente nella crisi energetica. E’ stato impossibile creare un fondo comune europeo per far fronte alla crisi energetica alla stregua del Recovery fund varato per la crisi pandemica. Le stesse misure adottate per la fissazione di un price cup al prezzo del gas si sono rivelate del tutto aleatorie. E’ nota infatti l’ostilità della Germania e dei paesi frugali riguardo alla implementazione di fondi costituiti a debito comune europeo. Di recente, la fissazione al prezzo a 60 euro al barile del greggio russo è stata rifiutata dalla Russia. Ulteriori sanzioni sono state varate per il commercio navale del petrolio russo, ma è ben noto che il traffico navale nel mondo è incontrollabile. Tali provvedimenti sortiranno l’effetto opposto a quello voluto, poiché si svilupperanno inevitabilmente mercati paralleli che comporteranno aumenti dei prezzi e incentiveranno la speculazione finanziaria.
Ma l’effetto più devastante che potrebbero produrre le misure contenute nel piano Ira di Biden è quello di dar luogo a delocalizzazioni negli Stati Uniti di grandi gruppi industriali europei. Infatti, la stessa Enel, che ha usufruito di un finanziamento UE di 600 milioni per la costruzione di un impianto fotovoltaico a Catania, che potrebbe generare nuova occupazione per circa 2.000 addetti, ha deciso di delocalizzare la produzione negli USA, dato che gli incentivi americani si sono rivelati maggiormente appetibili. Grandi gruppi europei hanno progettato piani di delocalizzazione industriale negli USA, quali la francese Solvay e la tedesca Basf (settore chimico), la francese Safran (freni al carbonio), la spagnola Iberdrola (energia) e la svedese Northvolt (batterie al litio).
La fuga di queste grandi imprese in America è un fenomeno che potrebbe dar luogo ad un processo di progressiva deindustrializzazione esteso a tutto il continente europeo. I fondi americani ammontano a circa il quadruplo rispetto a quelli disponibili in Europa. Si rileva inoltre che il prezzo del gas negli USA è di 5 volte inferiore a quello praticato in Europa. La delocalizzazione industriale europea negli USA potrebbe comportare un costo di 10 miliardi di investimenti e una perdita di posti di lavoro stimata in 10.000 unità nella sola Francia. Assai più gravi potrebbero essere le conseguenze per la Germania, che ha focalizzato la propria politica economica sull’export dell’innovazione green.
L’Europa è incapace di reagire dinanzi alla svolta aggressiva assunta dalla politica economica di Biden con il piano dell’Ira. Ulteriori penalizzazioni per l’economia europea sono emerse inoltre dalla crisi energetica scaturita dalla guerra russo – ucraina che ha determinato la fine dell’interdipendenza economica ed energetica tra la UE e la Russia. Si deve pertanto rilevare che l’importazione di gas americano in Europa per sostituire il gas russo ha comportato un notevole incremento dei costi energetici. L’Europa infatti è divenuta il maggiore mercato dell’export di gas statunitense, che dalla quota del 21% del 2021 è salito all’attuale 66%.
Gli USA dunque hanno tratto i maggiori profitti dalla guerra ucraina. Hanno incrementato vorticosamente sia nella quantità che nel prezzo le loro esportazioni di gas, hanno alimentato l’industria militare con le forniture di armamenti e soprattutto, mediante le loro politiche protezioniste nel campo dell’innovazione green, potrebbero determinare la destrutturazione industriale dell’Europa, che per gli USA è stata sempre una temibile potenza economica concorrente. Gli USA vogliono affermare il loro primato nel mondo come potenza industriale nella transizione ambientale, conseguito mediante il depotenziamento dell’Europa e il contenimento della Cina. Un primato, è evidente, affermato in nome della superiorità dei valori di libertà e democrazia dell’Occidente.
Un tragicomico paradosso è poi costituito dal fatto che gli USA intendono avvalersi della alleanza con l’Europa nella strategia di contenimento della Cina, ma nello stesso tempo stanno sabotando con provvedimenti quali l’Ira l’economia europea. La reazione europea si dimostra attualmente timida ed impotente, a causa della scelta filo – Nato effettuata dalla UE nella guerra russo – ucraina. Scelta che oggi preclude qualsiasi politica europea autonoma dagli USA. Macron ha invocato esenzioni simili a quelle concesse a Messico e Canada. Si verificherà dunque uno scontro tra USA ed Europa? A tal riguardo così si esprime Adriana Cerretelli sul “Sole 24Ore”: “l’Europa è disarmata: ha le ambizioni ma non si dà le risorse e nemmeno la coesione politica ed economica necessarie a realizzarle. Così rischia l’autolesionismo se scegliesse comunque lo scontro con l’America”. Infatti, data la interdipendenza economica tra USA e UE, dopo la rottura con la Russia, è impossibile che l’Europa sia in grado di sostenere una guerra commerciale con gli Stati Uniti. Infatti, prosegue la Cerretelli, “Oltraggio alla sovranità europea? Sì. Dovevamo però pensarci prima”. La Nato si è rivelata una gabbia d’acciaio per l’Europa.
La Francia ha proposto in sede UE la creazione del Buy European Act, onde contrastare l’aggressività protezionista americana. Ma la Germania e i paesi frugali sono ostili a programmi europei di aiuti statali alle imprese. L’egoismo economico della Germania e dei suoi alleati – satelliti si traduce come sempre in autolesionismo politico per l’Europa. Ne è testimonianza l’impegno generico al negoziato con gli USA del commissario europeo Dombrovskis, che per ora esclude anche un ricorso al WTO contro gli USA per violazione delle norme internazionali sulla concorrenza. Si tratterebbe comunque di una azione del tutto pletorica. Si rammenti infatti che gli accordi sull’acciaio tra USA e UE sono tuttora sospesi.
L’Europa paga il prezzo della sua sciagurata scelta atlantica. E la Nato è una alleanza che si identifica con il dominio americano. Non si vede il perché gli USA dovrebbero scendere a patti con l’Europa sulle energie rinnovabili, dato il loro ruolo di potenza dominante in Occidente. Del resto, la finalità perseguita dagli USA nella guerra russo – ucraina consiste nel controllo dell’Europa, non certo nella vittoria dell’Ucraina. Quindi, l’obiettivo è stato raggiunto. La subalternità geopolitica europea nella Nato si ripropone coerentemente nella sfera economica, con l’imposizione da parte statunitense di una politica protezionista nei confronti dell’Europa, che condurrà la UE alla recessione e ad suo drastico ridimensionamento nel contesto geopolitico mondiale. Il declino della UE rappresenta per l’Europa il suo definitivo esodo dalla fase di letargo della post – storia in cui si era confinata. Ed il risveglio si presenta traumatico.
La politica estera di Biden si identifica con quella dell’ “America first” trumpiana, perseguita con altri mezzi, mediante cioè un protezionismo economico ampliato e diversificato e l’indiretto interventismo militare nel mondo. Aggiungasi inoltre che la strategia di deglobalizzazione economica in funzione anti cinese, iniziata in epoca trumpiana con la rilocalizzazione negli USA della industria manifatturiera americana, è perseguita con maggiore efficacia da Biden che anzi, ha reso gli USA una meta appetibile per la delocalizzazione industriale europea.
La guerra ucraina ha comportato anche il ridimensionamento della potenza economica tedesca, con la fine del modello dell’economia dell’export dominante in Europa. La crisi ha determinato anche una ridefinizione del ruolo della Germania in seno alla UE. La Germania di Scholz ha infatti intrapreso una linea politica unilateralista. In campo energetico si è opposta a qualsiasi progetto di politica comune europea. Il governo tedesco ha investito 200 miliardi di euro a sostegno di imprese e famiglie per far fronte la caro energia, con una misura unilaterale cioè, che costituisce una distorsione della concorrenza a danno degli altri paesi membri della UE, al pari dell’Ira varata dagli USA a discapito dell’economia europea. La Germania ha inoltre approvato un programma che prevede uno stanziamento di 100 miliardi di euro per la difesa, con l’acquisto di aerei F35 americani, venendo meno alle precedenti intese con Francia e Italia per la costruzione congiunta di aerei militari e sistemi di difesa aerea. Con il riarmo della Germania nell’ambito della Nato, viene meno qualunque speranza di autonomia strategica europea. La Germania, con il sostegno dei paesi frugali, ha respinto qualsiasi proposta di costituzione di fondi comuni europei e si è opposta anche ad ogni progetto di riforma del patto di stabilità.
L’europeismo tedesco ha sempre contrastato il sovranismo degli altri paesi, per affermare il proprio nazionalismo e creare, con il declino della UE, una nuova Europa centralizzata sulla potenza continentale tedesca. In realtà, al venir meno della potenza economica tedesca nel mondo, fa riscontro un rafforzamento del dominio continentale della Germania in Europa, che si impone con le stesse modalità strategiche del primato americano in Occidente.
Tale predominio tedesco non rimarrà tuttavia incontrastato in Europa. Si renderà necessaria una alleanza tra Francia, Spagna e Italia, al fine di contrastare l’aggressività dell’unilateralismo tedesco. Ma, data l’interdipendenza economica della Germania con tali paesi (specie l’Italia, in cui l’industria del nord – est è parte integrante della filiera tedesca), renderà difficile una efficace politica di contrasto alla Germania. Né sarà possibile, data la politica di ostilità economica aggressiva degli USA nei confronti dell’Europa, far leva sull’antieuropeismo americano per affrancarsi dal dominio tedesco.
Certo è che l’Europa sarà soggetta nel prossimo futuro a tensioni disgregative interne nella UE. Così come è in crisi la globalizzazione occidentale, allo stesso modo è in stato di avanzata decomposizione la UE, quale entità sovranazionale europea. La sovranità degli stati potrebbe riaffermarsi in Europa sulle orme dell’avvento di una nuova geopolitica mondiale imperniata sul multilateralismo.
Allo stato attuale gli USA, anche se potenza mondiale in declino, risultano essere gli unici vincitori ne conflitto russo – ucraino. L’Europa sarà presto investita da una crisi economica e politica anche dai risvolti esistenziali: si diffonderà una conflittualità politica interna imperniata sulle minacce alla propria sussistenza, che non dipendono davvero dall’aggressione russa all’Ucraina, ma dall’aggressività imperialista americana. Verrà dunque messa in discussione la stessa identità dell’Europa, quale provincia dell’Occidente o continente eurasiatico. Questa crisi potrebbe condurre, oltre che alla disgregazione della Ue, anche allo sfaldamento della Nato. Potrebbe quindi dar luogo alla ridefinizione degli equilibri geopolitici interni dell’Europa. La partita è aperta.

La guerra elettrica

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di Pepe Escobar

Fonte: Come Don Chisciotte

Eco di passi nella memoria
nei passaggi dove non c’incamminammo
verso la non spalancata porta
sul roseto. L’eco delle mie
parole, nei tuoi pensieri.
Per quale scopo
sollevino polvere da una coppa di foglie di rosa
io non so.
T.S. Eliot, Burnt Norton [*]

Pensiamo per un attimo all’agricoltore polacco che fotografa i rottami di un missile – poi indicati come appartenenti ad un S-300 ucraino. Così un contadino polacco, i cui passi riecheggiano nella nostra memoria collettiva, potrebbe aver salvato il mondo dalla Terza Guerra Mondiale, scatenata da un pessimo complotto architettato dall’”intelligence” anglo-americana.

Questa ignobile bassezza è stata aggravata da un ridicolo insabbiamento: gli Ucraini stavano sparando in una direzione da cui i missili russi non potevano provenire. Ovvero: la Polonia. E poi il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, il venditore di armi Lloyd “Raytheon” Austin, aveva sentenziato che la colpa era comunque della Russia, perché i suoi vassalli di Kiev stavano sparando a missili russi che non avrebbero dovuto essere in volo (e infatti non lo erano).

Il Pentagono ha elevato la menzogna palese al rango di arte piuttosto scadente.

Lo scopo anglo-americano di questo complotto era quello di generare una “crisi mondiale” contro la Russia. È stato smascherato – questa volta. Ciò non significa che i soliti sospetti non ci riproveranno. Presto.

La ragione principale è il panico. I servizi segreti occidentali si sono resi conto che Mosca sta finalmente mobilitando il proprio esercito – pronto a scendere in campo il mese prossimo – mentre, come forma di tortura cinese, mette fuori uso le infrastrutture elettriche dell’Ucraina.

Quei giorni di febbraio in cui erano stati inviati al fronte solo 100.000 uomini – e si lasciava che le milizie della DPR e della LPR, i commando di Wagner e i Ceceni di Kadyrov facessero la maggior parte del lavoro pesante – sono ormai lontani. Nel complesso, i Russi e i Russofoni si erano trovati di fronte ad orde di militari ucraini – forse fino ad 1 milione. Il “miracolo” di tutto ciò è che i Russi se la sono cavata abbastanza bene.

Tutti gli esperti militari conoscono la regola di base: una forza d’invasione dovrebbe essere tre volte superiore alla forza di difesa. L’esercito russo, all’inizio dell’Operazione Militare Speciale (OMS) era una piccola frazione di questa regola. Le forze armate russe hanno probabilmente un esercito permanente di 1,3 milioni di uomini. Sicuramente avrebbero potuto impiegare qualche decina di migliaia di uomini in più rispetto ai 100.000 iniziali. Ma non l’hanno fatto. È stata una decisione politica.

Ma ora l’OMS è finita: questo è il territorio della CTO (Counter-Terrorist Operation). Una sequenza di attacchi terroristici – che hanno preso di mira le condotte del Nord Stream, il ponte di Crimea, la Flotta del Mar Nero – ha infine dimostrato l’inevitabilità di andare oltre una semplice “operazione militare.”

E questo ci porta alla Guerra Elettrica.

Preparare la strada per una smilitarizzazione

La Guerra Elettrica viene gestita essenzialmente come una tattica – mirata all’imposizione finale delle condizioni della Russia in un eventuale armistizio (che né l’intelligence anglo-americana né il vassallo NATO vogliono).

Anche se ci fosse un armistizio – ampiamente propagandato da qualche settimana – questo non porrebbe fine alla guerra. Perché le condizioni russe, più profonde e tacite – fine dell’espansione della NATO e “indivisibilità della sicurezza” – erano state chiaramente illustrate sia a Washington che a Bruxelles lo scorso dicembre, e successivamente respinte.

Poiché da allora nulla – concettualmente – è cambiato, e la militarizzazione dell’Ucraina da parte dell’Occidente ha raggiunto il massimo livello, lo Stavka dell’era Putin non poteva che ampliare il mandato iniziale dell’OMS, che rimane la denazificazione e la smilitarizzazione. Ma ora il mandato dovrà comprendere anche Kiev e Leopoli.

E questo inizia con l’attuale campagna di de-elettrificazione, che va ben oltre la riva orientale del Dnieper e interessa la costa del Mar Nero, fino ad Odessa.

Questo ci porta alla questione chiave della portata e della profondità della guerra elettrica, in termini di creazione di quella che sarebbe una demilitarizzazione – completa di terra di nessuno – ad ovest del Dnieper per proteggere le aree russe dall’artiglieria, dagli HIMARS e dagli attacchi missilistici della NATO.

Quanto in profondità? 100 km? Non sono sufficienti. Meglio 300 km – dato che Kiev ha già richiesto artiglieria con quel tipo di gittata.

L’aspetto cruciale è che, già a luglio, a Mosca se ne discuteva ampiamente ai massimi livelli dello Stavka.

In un’ampia intervista di luglio, il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, aveva, diplomaticamente, fatto uscire il gatto dal sacco:

“Questo processo continua, in modo coerente e persistente. Continuerà finché l’Occidente, nella sua rabbia impotente, desideroso di aggravare il più possibile la situazione, continuerà ad inondare l’Ucraina con armi sempre più a lungo raggio. Prendiamo gli HIMARS. Il ministro della Difesa Alexey Reznikov si vanta di aver già ricevuto munizioni da 300 chilometri. Ciò significa che i nostri obiettivi geografici si allontaneranno ancora di più dalla linea di contatto attuale. Non possiamo permettere che la parte dell’Ucraina, che Vladimir Zelensky, o chiunque lo sostituisca, entri in possesso di armi che rappresentano una minaccia diretta per il nostro territorio o per le repubbliche che hanno dichiarato la loro indipendenza e vogliono determinare il proprio futuro.”

Le implicazioni sono chiare.

Per quanto Washington e la NATO siano ancora più “disperate di aggravare la situazione il più possibile” (e questo è il piano A, non c’è un piano B), dal punto di vista geoeconomico gli Americani stanno intensificando il Nuovo Grande Gioco: la disperazione qui è tutta nel tentativo di controllare i corridoi dell’energia e di fissarne il prezzo.

La Russia non si lascia intimorire: continua ad investire nel Pipelineistan (verso l’Asia), a consolidare il Corridoio Internazionale di Trasporto Nord-Sud (INTSC) multimodale, con i partner chiave, India e Iran, e a fissare il prezzo dell’energia tramite l’OPEC+.

Un paradiso per i saccheggiatori oligarchici

Gli straussiani/neo-conservatori e i neoliberali-conservatori che permeano l’apparato di intelligence/sicurezza anglo-americano – di fatto virus armati – non si fermeranno. Non possono permettersi di perdere l’ennesima guerra della NATO, per di più contro la “minaccia esistenziale” Russia.

Anche se le notizie dai campi di battaglia ucraini promettono di essere ancora più tristi con l’arrivo del Generale Inverno, si può trovare conforto almeno nella sfera culturale. Il racket della transizione verde, condito in una tossica insalata mista con l’etica eugenista della Silicon Valley, continua ad essere un contorno offerto con il piatto principale: la “Grande Narrazione” di Davos, ex Grande Reset, che, ancora una volta, ha mostrato la sua brutta testa al G20 di Bali.

Questo significa che tutto va bene per quanto riguarda il progetto di distruzione dell’Europa. De-industrializzare ed essere felici, ballare la danza dell’arcobaleno al ritmo delle melodie woke sul mercato, congelare e bruciare legna benedicendo le “energie rinnovabili” sull’altare dei valori europei.

Un rapido flashback per contestualizzare il punto in cui ci troviamo è sempre utile.

L’Ucraina aveva fatto parte della Russia per quasi quattro secoli. L’idea stessa della sua indipendenza era stata inventata in Austria durante la Prima Guerra Mondiale allo scopo di indebolire l’esercito russo – e questo era certamente accaduto. L’attuale “indipendenza” era stata creata per permettere agli oligarchi trotzkisti locali di saccheggiare la nazione, proprio mentre un governo allineato alla Russia stava per muoversi contro quegli stessi oligarchi.

Il golpe a Kiev del 2014 era stato essenzialmente organizzato da Zbig “Grande Scacchiere” Brzezinski per impantanare la Russia in una nuova guerra partigiana – come in Afghanistan – ed era stato seguito da ordini ai petrolieri del Golfo affinché facessero crollare il prezzo del greggio. Mosca aveva dovuto proteggere i Russofoni della Crimea e del Donbass – e questo aveva portato ad ulteriori sanzioni occidentali. Era stata tutta una montatura.

Per otto anni, Mosca si è sempre rifiutata di inviare i suoi eserciti persino nel Donbass, ad est del Dnieper (storicamente parte della Madre Russia). Il motivo: non trovarsi impantanati in un’altra guerra partigiana. Il resto dell’Ucraina, nel frattempo, veniva saccheggiato dagli oligarchi sostenuti dall’Occidente e sprofondava in un buco nero finanziario.

L’Occidente collettivo ha deliberatamente scelto di non finanziare questo buco nero. La maggior parte delle sovvenzioni del FMI sono state semplicemente rubate dagli oligarchi e il bottino trasferito fuori dal Paese. Questi saccheggiatori oligarchici sono stati ovviamente “protetti” dai soliti sospetti.

È sempre fondamentale ricordare che, tra il 1991 e il 1999, l’equivalente dell’attuale intero patrimonio nazionale della Russia era stato rubato e trasferito all’estero, soprattutto a Londra. Ora, gli stessi soliti sospetti stanno cercando di rovinare la Russia con le sanzioni, visto che il “nuovo Hitler” Putin ha fermato il saccheggio.

La differenza è che il piano di usare l’Ucraina come pedina del loro gioco non sta funzionando.

Sul terreno, ciò che è avvenuto finora sono per lo più scaramucce e poche, vere battaglie. Ma, con Mosca che sta ammassando truppe fresche per un’offensiva invernale, l’esercito ucraino potrebbe essere completamente sbaragliato.

La Russia non se l’è cavata poi così male – considerando l’efficacia della sua artiglieria contro le posizioni fortificate ucraine, le recenti ritirate pianificate o la guerra di posizione, tutte cose che hanno mantenuto basse le perdite e distrutto la potenza di fuoco ucraina.

L’Occidente collettivo crede di avere in mano la carta della guerra per procura in Ucraina. La Russia punta sulla realtà, dove le carte economiche sono cibo, energia, risorse, sicurezza delle risorse e un’economia stabile.

Nel frattempo, come se per un’UE suicida dal punto di vista energetico non fosse sufficiente dover affrontare una miriade di calvari, ci saranno almeno 15 milioni di Ucraini disperati e in fuga da villaggi e città senza energia elettrica che busseranno alla sua porta.

La stazione ferroviaria di Kherson, temporaneamente occupata, ne è un esempio lampante: qui la gente fa la fila per riscaldarsi e ricaricare i propri cellulari. La città non ha elettricità, né riscaldamento, né acqua.
Le attuali tattiche russe sono l’esatto contrario della teoria militare della forza concentrata sviluppata da Napoleone. Ecco perché la Russia sta accumulando seri vantaggi mentre “solleva la polvere da una coppa di foglie di rosa.”

E, naturalmente, “non abbiamo ancora iniziato.”

[*] Traduzione di Elio Grasso.

Fonte: strategic-culture.org
Link: https://strategic-culture.org/news/2022/11/23/electric-war/

Scelto e tradotto da Markus per www.comedonchisciotte.org

Non finiremo per salvare il liberalismo, come progettano loro

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di Aleksandr Gelʹevič Dugin

Fonte: Antonio Catalano

«NON FINIREMO PER SALVARE IL LIBERALISMO, COME PROGETTANO LORO. FINIREMO PER “UCCIDERLO”, UNA VOLTA PER TUTTE» Aleksander Gelʹevič Dugin

[Il libro “La Quarta Teoria Politica” di Aleksandr Gelʹevič Dugin si conclude con il capitolo sulla guerra alla Russia nella sua dimensione ideologica; articolo pubblicato l’11 marzo 2014. Illuminante come il grande filosofo avesse antivisto il corso delle cose, descrivendo lo scenario che a molti sembra prendere avvio solo il 24 febbraio del 2022. Riporto di seguito alcuni passaggi decisivi dello scritto. Antonio Catalano]

La guerra contro la Russia è attualmente la questione più discussa in Occidente. Per ora è ancora un suggerimento e una possibilità, ma potrebbe diventare realtà, a seconda delle decisioni che prenderanno le nazioni coinvolte nel conflitto ucraino Mosca, Washington, Kiev, Bruxelles.
Nell’Occidente moderno, c’è un’unica ideologia dominante: il liberalismo. Può manifestarsi in molte sfumature, forme e varianti, ma la sua essenza è sempre la stessa. Il liberalismo ha in sé una struttura intrinseca fondamentale: individualismo antropologico, fede nel progresso, tecnocrazia, eurocentrismo, economia come destino, democrazia come governo delle minoranze, classe media come unico attore realmente esistente in campo sociale e unica forma universale, globalismo inclusivista.
Durante il XX sec. il liberalismo ha sconfitto i propri rivali, e dal 1991 è diventata l’unica ideologia dominante nel mondo.
L’unica libertà di scelta nel reame del liberalismo globale è tra liberalismo di destra, di sinistra o radicale, ivi compresi quello di estrema destra e dell’estrema sinistra, e quello più estremo. Di conseguenza, il liberalismo è stato installato come sistema operativo della civiltà occidentale e di tutte le altre civiltà che si trovano nella zona d’influenza occidentale. Perfino il senso comune è divenuto liberale.
C’è un aspetto dell’ideologia liberale che ha in sé il germe di una crisi: il liberalismo è intimamente nichilista. L’insieme dei valori propugnati dal liberalismo è legato a doppio filo alla sua tesi primaria, cioè la primazia della libertà. Ma la libertà, nella visione liberale, è una categoria sostanzialmente negativa: è essere “liberi da”, non “liberi di” o “per”. Il liberalismo avversa ogni forma di identità collettiva e ogni genere di valore, progetto, strategia, obiettivo, metodo che sia collettivista, o meramente non-individualista. Questa è la ragione per cui uno dei più importanti teorici del liberalismo, Karl Popper ha sostenuto, nella sua opera “La società aperta e i suoi nemici”, che i liberali debbano combattere qualsiasi ideologia o filosofia politica (da Platone ed Aristotele a Marx ed Hegel) che suggerisca che la società umana dovrebbe avere un qualche obiettivo o valore o significato comune. (È da notare che Georges Soros considera questo testo la sua bibbia personale).
La Russia, l’avversario geopolitico tradizionale degli anglosassoni, è un nemico molto più serio [di Afghanistan, Iraq, Libia, citati prima]. È perfetta per ricoprire quel ruolo – il ricordo della guerra fredda è ancora fresco negli animi di molti. La russofobia è facile da coltivare, anche con mezzi rudimentali. Ed è per questo che penso che la guerra con la Russia sia una prospettiva concretamente possibile. È ideologicamente necessaria come “extrema ratio” per posporre l’implosione definitiva dell’Occidente liberale. È quel “passo indietro” necessario.
Considerando i diversi piani di questo possibile conflitto con la Russia, sottolineo alcuni punti:
1. Una guerra con la Russia aiuterà a ritardare il caos globale imminente. La maggioranza delle nazioni implicate nel sistema economico liberale e liberal-democratiche, che dipendono o sono direttamente controllate dagli Usa e dalla Nato, faranno un’altra volta “fronte comune” sotto la bandiera dell’Occidente liberale nella sua crociata contro Putin, l’antiliberale.
2. Una guerra contro la Russia rafforzerebbe la Nato e soprattutto i suoi membri europei, che saranno ancora una volta obbligati a considerare l’iperpotenza americana come qualcosa di positivo e vantaggioso, e i vecchi schemi della guerra fredda non sembreranno più obsoleti. Per paura della venuta dei “malvagi russi”, gli europei torneranno leali agli Usa, loro protettori e salvatori.
3. L’Unione Europea sta cadendo a pezzi. La presunta “minaccia comune” dei russi potrebbe prevenirne un’eventuale frammentazione, mobilitando la società e rendendo i popoli europei di nuovo volenterosi di difendere le proprie libertà e i propri valori, minacciati dalle “ambizioni imperiali” di Putin.
4. La Giunta ucraina di Kiev ha bisogno di questa guerra per giustificare e seppellire tutte le malversazioni che risalgono alle proteste di Maitan, sia dal punto di vista giuridico che costituzionale, ratificando la “sospensione della democrazia”, che avrebbe impedito loro di governare nei distretti sudorientali, prevalentemente filorussi, e di stabilire la loro autorità e il loro ordine nazionalistico per via extraparlamentare.
L’unica nazione che non vuole la guerra è ora la Russia, ma Putin non può lasciare che il governo ucraino, radicalmente anti-russo, governi un paese che ha una popolazione per metà russa, e che è composta da molte regioni filorusse. Se lo permettesse perderebbe ogni credibilità a livello interno e internazionale.
La guerra russa non sarà solo a vantaggio degli interessi nazionali russi, ma sarà per la causa di un mondo multipolare più equo, per la dignità e la vera libertà – quella positiva, “creativa” non quella “nichilista”. In questa guerra la Russia darà l’esempio come tutrice della Tradizione, dei valori conservatori connaturati ai popoli, e rappresenterà la vera liberazione dalla società aperta e da chi ne beneficia – l’oligarchia finanziaria globale. Questa guerra non è contro gli ucraini e nemmeno contro una parte della popolazione ucraina, e non è nemmeno contro l’Europa. Non finiremo per salvare il liberalismo, come progettano loro. Finiremo per “ucciderlo”, una volta per tutte.

Anpi-nquisizione e la fase isterica dell’antifascismo

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di Raffaele Amato

Anpi-nquisizione e la fase isterica dell’antifascismo. – La recente, penosa, vicenda della maglietta della X Mas di Montesano ci riporta al tema dell’involuzione dell’antifascismo. Dall’antifascismo di opinione, ideologico, si è passati prima all’antifascismo militante, che tanti lutti e tragedie ha provocato soprattutto negli anni ’70, e quindi all’attuale antifascismo isterico, autentica patologia psichiatrica, che si manifesta con attacchi di orticaria, convulsioni, urla, vesti stracciate e bave alla bocca alla sola vista di un qualunque elemento che possa essere anche lontanamente ricondotto al Fascismo, a Mussolini o al Ventennio.

La solita ANPI

La (per nulla) santa inquisizione, che ha nell’ANPI la sua alta gerarchia e nei mediocri artisti del circuito radical chic i suoi banditori, non fa un processo alle idee, ai contenuti, alla Storia ma, direttamente, condanna senza appello a quello che vorrebbe fosse un totale oblio. Il tanto deprecato ventennio, semplicemente, deve essere cancellato e tutto ciò che lo ricorda non ha diritto ad esistere. Paradossalmente, più ci si allontana dal 1945 e più questo fenomeno si intensifica, anziché lasciare spazio ad un dibattito serio, sereno e soprattutto scientifico su ciò che il fascismo ha rappresentato.

FDI latitante

Nel 1983, in occasione del centenario della nascita del Duce, ci fu un intenso periodo di iniziative culturali, convegni, conferenze. Il MSI promosse diversi eventi di alto livello e nessuno pensò di scandalizzarsi. Nel centenario della marcia su Roma, 39 anni dopo, Fratelli d’Italia, il partito erede del MSI, fischietta facendo finta di niente, stando bene attento a non farsi trascinare in qualche accostamento sconveniente, aspettando nervosamente che passi la nottata. Venuti meno la disputa ideologica, il confronto su visioni della vita e della società, appiattitosi tutto nel pantano liberal-liberista-libertario, rimane spazio solo per le urla scomposte di qualche testa di cazzullo, di qualche Pif (cosa aspettarsi da chi ha scelto come nome d’arte il suono di una flatulenza mal trattenuta?), di qualche Lucarelli, che invocano il rogo e il pubblico ludibrio per chi osa deviare dai binari del conformismo.

Il politicamente corretto impera

Copione già visto e rivisto: il personaggio di turno (Montesano il più recente) commette il peccato mortale verso il politicamente corretto, che può essere un simbolo su una maglietta o, molto peggio, un giudizio non del tutto ostile riguardo al Fascismo.

I pretoriani dell’antifascismo

L’Anpi-nquisizione si scatena immediatamente. Segue un breve periodo di smarrimento del colpevole e tutto si conclude con l’immancabile ammenda, il capo cosparso di cenere, le scuse condite da lacrime. Viene da chiedersi come mai persone alquanto navigate possano scivolare in certe ingenuità. Sorge quasi il sospetto che certi episodi siano costruiti ad arte, forse per regalare un attimo di notorietà a personaggi non più sulla cresta dell’onda o, più probabilmente, per sancire, una volta di più, chi è che comanda, chi stabilisce cosa si può dire e cosa no, cosa si può pensare e cosa no. Il diritto di opinione stabilito dall’art.21 della “Costituzione più bella del mondo”? Acqua fresca. La libertà di espressione per cui “i partigiani hanno combattuto”? Aria fritta. Quando fu istituita la famosa commissione Segre, con il compito di combattere l’incitamento all’odio, pensai, un po’ troppo candidamente, che avremmo finalmente assistito allo scioglimento dell’ANPI. Invece … E la destra tace o, al massimo, fischietta.

Fonte: https://www.2dipicche.news/anpi-nquisizione-e-la-fase-isterica-dellantifascismo/

 

 

 

In guerra la verità è la prima vittima

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2022/10/31/in-guerra-la-verita-e-la-prima-vittima/

ELON MUSK HA ACQUISTATO TWITTER PER 44 MILIARDI DI DOLLARI. IL MAGNATE AMERICANO PROMETTE CHE IL SUO SOCIAL NON AVRÀ PIÙ PARTICOLARI CENSURE

Elon Musk ha appena acquistato Twitter per 44 miliardi di dollari. Il magnate americano promette che il suo social non avrà più particolari censure. Detto, fatto: l’analista di guerra, sempre americano, Scott Ritter torna, dopo la sospensione, ricevuta in primavera, per aver messo in discussione la versione ufficiale sulla strage di Bucha. E il primo tweet è: “Sono tornato, test test test…Bucha è stato un crimine di guerra commesso dall’Ucraina“.

I progressisti vanno nel panico. Per Musk si prospetta il “trattamento Zuckerberg”, per portarlo dal “Lato Giusto della Storia”. Pare che le sinistre globali, quelle che a parole sono sempre paladine del pluralismo e della libertà di espressione, siano in preda ad un vero e proprio tracollo nervoso, con annesso travaso di bile. Abbiamo, dunque, l’opportunità di comprendere cosa le élite occidentali globaliste intendano effettivamente col termine “libertà di parola”. Ne hanno parlato il docente di giornalismo Jeff Javis e Brynn Tannehill con un articolo sul The New Republic.

La tesi di fondo è che un internet, ovvero Twitter, liberi, in cui le informazioni circolano in maniera non controllata, costituirebbero un ritorno alla dittatura fascista. Il timore è direttamente rivolto nei confronti di Donald Trump e suoi fiancheggiatori, che diffonderebbero menzogne, favorendo una disinformazione che, nel tempo, andrebbe a coprire la verità, compromettendo la democrazia. Eppure, Trump ha guidato per un intero mandato gli Stati Uniti d’America, che non appaiono minimamente come una forma di dittatura di estrema destra. Ma, tant’è. Secondo Tannehill le cattive idee non si combattono con le buone idee, ma con la censura. Perciò, il mondo progressista americano arriva a dire che sarebbe la libertà a portare alla dittatura. Non solo. Poche le rimostranze provengono tutte dalla galassia di sinistra, la libertà è propaganda di destra.

Il New York Times ha già etichettato Elon Musk come “un agente del caos geo-politico”, proprio per alcune sue posizioni lontane dalla narrativa mainstream e per lo spazio che ha dichiarato di voler dare a Donald Trump e a gente come Scott Ritter, ex ufficiale dei servizi segreti della Marina degli Stati Uniti, già nello staff del generale Schwarzkopf durante la Guerra del Golfo, e dal 1991 al 1998 ispettore delle Nazioni Unite.

Nel VI secolo a.C. il grande drammaturgo greco Eschilo scriveva che “in guerra, la verità è la prima vittima” perché domina la propaganda di parte. Il terribile video della dozzina di cadaveri legati a terra, mentre a Bucha passa un convoglio ucraino, ha sconvolto il mondo. Gli americani hanno immediatamente dato la colpa dell’assassinio dei civili alla Russia e detto che Putin va considerato un criminale di guerra. Il Cremlino ha fermamente smentito le responsabilità ma, oggi, tutti credono che Bucha sia il simbolo della ferocia dei russi sul popolo ucraino. La gente sta, dunque, “dal Lato Giusto della Storia” perché glielo ha assicurato il Presidente Joe Biden e tutti i leader occidentali.

Ma Ritter scrive, il 7/4/2022: “La verità su ciò che è accaduto a Bucha sta là fuori, in attesa di essere scoperta. Purtroppo, questa verità sembra essere scomoda per coloro che si trovano nella posizione di poterla perseguire in modo aggressivo attraverso un’indagine forense eseguita sul posto. Se alla fine emergesse che la Polizia Nazionale ucraina ha ucciso civili ucraini per il crimine di aver presuntivamente collaborato con i russi durante la loro breve occupazione di Bucha, e che le forze che rappresentano il diritto internazionale sono pronte ad agire contro i veri perpetratori di questo crimine, ogni vera ricerca della giustizia dovrebbe includere i governi sia degli Stati Uniti che del Regno Unito come cospiratori consapevoli dei crimini presi in esame”. Questa sarebbe la “disinformazione” che andrebbe censurata, secondo gli anglo-americani, Ue a traino. Vi ricorda nulla del passato?

La pace impossibile. Dalle ceneri della UE nascerà la nuova Europa

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di Luigi Tedeschi

Fonte: Italicum

Siamo dinanzi ad una guerra infinita? Quello russo – ucraino è in effetti un conflitto il cui esito e la cui durata non sono prevedibili. Questa guerra tra USA e Russia è un confronto geopolitico in cui sono in gioco i nuovi equilibri mondiali.

Dopo il fallimento della guerra – lampo, l’estensione della Nato nel mar Baltico con l’ingresso di Svezia e Finlandia ed i recenti arretramenti russi dinanzi alla controffensiva ucraina, le difficoltà della Russia sono evidenti. Ma Putin non può perdere la guerra, poiché la sua leadership non sopravvivrebbe alla sconfitta. Né è pensabile una pace che comporti il consolidamento delle posizioni russe del 2014 nella Crimea e nelle province russofone orientali dell’Ucraina. Si tratterebbe in tal caso di riproporre soluzioni già previste dagli accordi di Minsk, peraltro disattesi dell’Ucraina. E un simile accordo si tramuterebbe per Putin in una sconfitta. Pertanto Putin, attraverso la mobilitazione parziale vuole compattare il fronte interno e con l’aggravarsi della crisi energetica dell’Europa, vuole esercitare pressioni sull’Occidente per giungere ad una trattativa con gli USA, data la riscontrata impossibilità di una vittoria sul campo.

Improbabili appaiono altresì le velleità di Zelenski e dei paesi dell’est europeo circa il perseguimento di una guerra ad oltranza con l’obiettivo di sconfiggere la Russia, destabilizzarne le istituzioni e determinarne un suo successivo smembramento. L’Ucraina è totalmente dipendente dal sostegno bellico della Nato. La dissoluzione della Russia non rientra nelle strategie americane. Si verrebbe a creare un vuoto geopolitico in un immenso territorio che, diviso in tanti stati, sarebbe impossibile da controllare, specie per quanto concerne la probabile dispersione degli armamenti nucleari russi. Con la crisi energetica potrebbero sorgere nel prossimo futuro conflittualità interne all’Europa difficilmente governabili. E gli USA non possono permettersi di perdere l’Europa per sostenere la guerra dell’Ucraina. Gli americani inoltre, temono una escalation del conflitto che potrebbe comportare un intervento diretto della Nato. Dopo la sconfitta umiliante in Afghanistan (l’ultima di una lunga serie), l’opinione pubblica americana è refrattaria a farsi coinvolgere in nuove guerre. Anzi, l’opposizione repubblicana, alla vigilia delle elezioni di medio termine, imputa alla presidenza Biden l’eccessiva spesa militare a sostegno dell’Ucraina.

La Russia attualmente vuole negoziare una tregua, come anche l’Europa centrale, mentre l’Ucraina e l’Europa dell’est propendono per una guerra ad oltranza. Gli USA necessitano della russofobia quale storico elemento di contrapposizione ideologica al primato americano nel mondo, ma al contempo questa guerra distoglie gli Stati Uniti dalla loro priorità strategica, quella del contenimento della Cina. Gli americani sono dunque arbitri esclusivi della pace e della guerra?

Tre elementi tuttavia si oppongono ad ogni possibile prospettiva di negoziato. 1) L’attuale conflitto è nei fatti una guerra civile tra russi ed ucraini, che ha innescato una spirale di odio irriducibile tra i due popoli. 2) Con l’estensione della Nato ad est e la trasformazione dell’Ucraina in un avamposto strategico armato occidentale, accordi che prevedano uno status di neutralità dell’Ucraina sono impossibili. 3) L’annessione alla Russia delle regioni di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk è un atto che preclude qualsiasi possibilità di ripristino dello status quo del 2014. Si deve quindi concludere che attualmente ogni prospettiva di pace appare impossibile.

Gli USA non vogliono la vittoria dell’Ucraina ma il controllo dell’Europa

Fino a che punto gli americani sono disposti a sostenere l’Ucraina? Non vogliono certo ingaggiare un conflitto diretto con la Russia. La stessa minaccia nucleare potrebbe costituire un valido strumento propagandistico per indurre le parti in conflitto ad una trattativa. Pertanto il conflitto non dovrà essere esteso oltre i confini dell’Ucraina. L’obiettivo primario degli americani non è quello ottenere una vittoria dell’Ucraina, ma il controllo dell’Europa.

E’ del resto assai improbabile che l’Ucraina possa riconquistare interamente i territori occupati dai russi, nonostante i successi conseguiti nella recente controffensiva. L’avanzata ucraina è stata resa possibile dalle rilevanti forniture di armamenti americani. Non si sa comunque fino a che punto la controffensiva ucraina potrà spingersi nella riconquista dei territori occupati. Gli USA hanno fornito all’Ucraina 16 sistemi di artiglieria Himars (ed è in programma l’invio di altri 18), oltre ai carri armati Abrams. Ma tali armamenti tecnologicamente sofisticati necessitano di lunghi tempi di produzione, valutabili in alcuni mesi se non anni. Tali armamenti saranno prodotti per la prima volta in Europa e non negli USA. Gli americani non possono lasciare sguarnito il loro arsenale di scorte armate in patria per evidenti motivi di sicurezza. Un eccessivo sostegno militare all’Ucraina potrebbe compromettere l’azione di contenimento americana nei confronti della Cina nell’area dell’indo – Pacifico riguardo al contenzioso per Taiwan.

L’elettorato americano è largamente contrario ad una escalation del conflitto e, data la attuale impennata inflazionistica con conseguente ondata recessiva incombente, le eccessive spese militari dell’amministrazione Biden non riscuotono molto consenso popolare. Gli Stati Uniti hanno sostenuto spese militari a sostegno dell’Ucraina per 16 miliardi di dollari in 7 mesi, contro i 4 erogati ogni anno a Israele gli 1,3 all’Egitto.

La guerra, la crisi energetica, l’inflazione galoppante e la recessione economica sono fattori destinati a generare gravi conflittualità sociali e instabilità politica in Europa. Gli USA, onde scongiurare fratture tra i paesi europei membri della Nato, potrebbero essere indotti ad una soluzione negoziata del conflitto ucraino. Aggiungasi che da una conflittualità interna all’Europa potrebbe trarne vantaggio lo stesso Putin.

Si rileva inoltre che la russofobia imperante nei media occidentali costituisce una formidabile arma di distrazione di massa, atta a distogliere il dissenso politico e sociale dilagante tra i popoli dell’Occidente, per dirottarlo contro la Russia, “stato canaglia” di turno.

E’ noto che la finalità strategica americana nella guerra ucraina è quella di logorare economicamente e militarmente la Russia. Questa guerra è da considerarsi una fase della strategia geopolitica americana che prevede la penetrazione della Nato in Eurasia e l’accerchiamento della Russia. Ne sono la prova il recente conflitto tra Azerbaigian e Armenia e i disordini verificatisi in Kazakistan. Tuttavia un eccessivo prorogarsi della guerra a cui sia gli USA che la Cina non sono in grado di porre fine, potrebbe condurre al logoramento non solo della Russia, ma dello stesso Occidente. La Cina potrebbe trarre profitto da un prolungato conflitto russo – ucraino che comportasse un eccessivo impegno sia militare che finanziario da parte americana. E si deve inoltre rammentare che contenimento della Cina rappresenta una priorità strategica per gli USA. Come afferma Michael Kimmage in una intervista pubblicata sul numero 9/2022 di Limes: “Inoltre, esiste un desiderio cinese di vedere l’Europa, gli Stati Uniti e la Russia indebolirsi insieme a causa di questo conflitto. Nonostante le dichiarazioni a Samarcanda, credo che Xi auspichi un risultato della guerra d’Ucraina simile a quello della prima guerra mondiale, dove tutte le potenze coinvolte riemersero infiacchite, lasciando la Cina unica beneficiaria. Nel frattempo, cercherebbe di trarne vantaggio. Per esempio nel Sud del mondo, visto il discredito della leadership americana. La Repubblica Popolare potrebbe ergersi a isola di stabilità in un emisfero caotico. Quindi in una certa misura è probabile che anche Pechino ritenga una guerra lunga nei propri interessi”. Occorre tuttavia osservare che la Cina teme che uno stato di guerra prolungato possa determinare una grave recessione economica nell’Occidente, che inciderebbe gravemente sul suo export, già danneggiato dalla chiusura della via della seta in Ucraina, che rappresenta la principale via di transito commerciale nelle relazioni economiche tra la Cina e l’Europa. Inoltre, un eccessivo indebolimento della Russia potrebbe compromettere gravemente la sicurezza dei confini settentrionali della Cina e depotenziarla nel  contenzioso con gli USA nell’area dell’indo – Pacifico.

La strategia occidentale di logoramento della Russia attuata mediante le sanzioni si è rivelata fallimentare. Anzi, dalle sanzioni alla Russia ne esce penalizzata maggiormente l’economia europea in termini di inflazione e caro energia, rispetto a quella russa. La stessa URSS, colpita dalle sanzioni, seppe sviluppare grandi capacità di resistenza e suscitare nel popolo russo un grande patriottismo contro l’aggressore occidentale. L’esclusione della Russia dal sistema interbancario swift ha sviluppato la diffusione di sistemi di pagamento alternativi nei paesi non occidentali. Le sanzioni, con l’esclusione dal mercato interno delle merci importate, si tramutano nei paesi sanzionati in formidabili incentivi allo sviluppo della produzione nazionale. Ma soprattutto le sanzioni, comportando la confisca dei patrimoni e il congelamento dei depositi nei confronti della Russia, hanno generato la sfiducia negli USA e nel dollaro da parte dei paesi non occidentali. In tali paesi si è diffusa da tempo la convinzione secondo cui, in caso di dissenso nei confronti della politica estera americana nel mondo, si vedrebbero minacciati nella loro sovranità sia economica che politica.

E’ in corso pertanto un processo di dedollarizzazione dell’economia mondiale che ha comportato negli anni la riduzione delle riserve valutarie in dollari presso le banche centrali dal 70% al 52%. Si diffonde sempre più il commercio nelle valute nazionali tra i paesi non occidentali. Mediante le fluttuazioni del dollaro, che è valuta di riserva mondiale, gli USA hanno fatto sempre fronte alle proprie crisi esportando recessione e debito nei paesi europei. L’attuale rincorsa della BCE al rialzo dei tassi della FED condurrà l’Europa alla recessione e al suo dissanguamento finanziario. L’Europa atlantica è oggi dipendente sia dal punto di vista energetico che finanziario dall’area del dollaro. Ma l’Europa stessa con l’euro potrebbe creare un proprio sistema economico e finanziario alternativo al dollaro come lo sono l’EAEU (Eurasian Economic Union) e lo SCO (Shanghai Cooperation Organization). Ma, come afferma Fabio Mini nel suo saggio “Le guerre dentro e per l’Ucraina” pubblicato nel libro “Ucraina 2022” a cura di Franco Cardini, Fabio Mini e Marina Montesano, edito da “La Vela” 2022: “C’è abbastanza per far ragionare tutti, e in particolare Stati Uniti ed Europa. Se non fosse per la debolezza politica interna, se si liberasse della sudditanza nei confronti americani e se assumesse la responsabilità della propria sicurezza, l’Unione europea potrebbe diventare la potenza equilibratrice per tutto l’Occidente e perfino per Russia e Cina. L’euro potrebbe diventare la moneta internazionale in grado di rappresentare finalmente un’economia reale solida ancorché minacciata dai trucchi finanziari, dalle bolle speculative e dai vari quantitative easing. Ma quei “se” pesano come macigni.

Germania: la grande sconfitta

La guerra russo – ucraina ha determinato la rottura dei rapporti politici ed energetici tra Germania e Russia. Con i sabotaggi del Nord Stream 1 e 2, che hanno estromesso le forniture di gas russo dall’Europa, è venuto meno il ruolo della Germania quale paese distributore di gas in Europa. La Germania è stata infatti soppiantata dalla Polonia, che ha inaugurato in concomitanza con gli attentati il gasdotto Baltic Pipe, con cui verrà importato il gas norvegese che poi verrà distribuito dalla Polonia stessa in Europa. Inoltre, la Turchia e la Russia hanno recentemente concluso un accordo per la costruzione di un hub energetico per esportare gas russo in Europa e paesi terzi. Alla dipendenza russa si è quindi sostituita quella polacca. La debacle della Germania è evidente.

Ma la svolta epocale verificatasi nella politica tedesca con la crisi ucraina è costituita dalla fine della Ostpolitik. All’inizio degli anni ’70 il cancelliere Brandt inaugurò una nuova stagione politica per la Germania, con il riconoscimento della DDR e l’instaurazione di una politica di distensione con i paesi dell’est europeo, in particolare con l’URSS. La Ostpolitik ha garantito una lunga fase di sviluppo economico alla Germania ed ha creato una interdipendenza sia nel campo energetico che commerciale con la Russia. Ma la Germania ha sempre dovuto fronteggiare l’ostilità americana e inglese riguardo al rapporto privilegiato con la Russia. Gli USA hanno sempre osteggiato la nascita di una potenza europea autonoma dalla Nato.

Pertanto, a seguito della rottura dei rapporti energetico – commerciali con la Russia, la Germania ha assunto una nuova dimensione nella politica estera. La Germania, da potenza economica sarà trasformata anche in potenza militare nell’ambito della Nato. E’ stato varato dal governo Scholz un programma di riarmo per 100 miliardi di euro in 4 anni.

La fine della Ostpolitik comporterà anche la fine di un modello tedesco che ha fatto assurgere la Germania a potenza economica mondiale. La potenza tedesca si basava: 1) Sull’importazione di energia a basso costo dalla Russia. 2) Sull’export verso la Cina. 3) Sui suplus commerciali realizzati nella UE, a discapito degli altri paesi europei. Tali fattori di sviluppo sono dunque venuti meno. I rincari energetici e l’inflazione genereranno la crisi dell’export tedesco e difficilmente potrà ancora sussistere quel modello di sviluppo imposto anche alla UE, fondato su bassi costi energetici, compressione salariale, contenimento della domanda interna e avanzi commerciali. Onde salvaguardare l’export verso la Cina, la Germania effettuerà la cessione alla cinese Cisco del 25% del porto di Amburgo. La Germania è stata inoltre penalizzata nell’export dell’auto verso gli USA da un piano di incentivi alla produzione di auto elettriche di carattere protezionistico recentemente varato da Biden. La nuova Germania, seppur riconvertita all’Occidente con la rottura delle relazioni con la Russia, dovrà comunque fronteggiare l’ostilità americana riguardo ai rapporti con la Cina.

Il varo da parte di Scholz di un piano di 200 miliardi di finanziamenti per far fronte al caro energia, che darà luogo a rilevanti distorsioni della concorrenza nell’ambito della UE, produrrà profonde conflittualità con gli altri paesi della UE. E la crisi dell’export tedesco si ripercuoterà nella UE, data l’interdipendenza economica tedesca con gli altri paesi europei (specialmente con l’industria italiana). E’ evidente che la Germania esporterà in Europa inflazione e recessione economica.

Dalla fine del modello economico tedesco scaturirà alla lunga anche la dissoluzione della UE. La Germania non mira ad assumere la leadeship politica della UE. Vuole semmai trasformarsi un una “grande Svizzera”, tesa alla protezione dei suoi interessi economici e finanziari, a salvaguardare il benessere dei suoi cittadini ma diverrà un paese concentrato esclusivamente nei suoi egoismi nazionali e soprattutto regionali. La Germania vuole preservarsi nella sua dimensione post – storica assunta dal dopoguerra in poi nell’ambito della Nato. Ma non potrà estraniarsi dalla storia e tanto meno restare esclusa dai mutamenti geopolitici in atto su scala globale. Sarà infatti il divenire incessante della storia a coinvolgere, seppur passivamente, la Germania nel contesto delle trasformazioni dell’ordine mondiale del prossimo futuro.

E’ assai significativa l’analisi di Lucio Caracciolo espressa in un recente video sul blog di Limes: “E’ presto per stabilire chi vincerà la guerra tra Russia e Ucraina. Ma un grande sconfitto c’è ed è la Germania”.

La colonizzazione dell’Ucraina

L’Ucraina è da decenni un paese in declino. La sua popolazione in 30 anni è scesa da 52 milioni (1991) a 41 milioni (2021), con relativa fuga di cervelli e smembramento delle sue istituzioni culturali e scientifiche. Le sue risorse naturali e il suo export agroalimentare sono stati acquisiti da multinazionali e fondi di investimento occidentali.

Non si deve credere peraltro che il sostegno armato occidentale sia stato erogato a favore dell’Ucraina per ragioni ideali o con finanziamenti filantropici. L’Ucraina usufruisce degli aiuti occidentali a fronte della cessione di 12 miliardi di dollari di riserve auree agli Stati Uniti, come si rileva da un articolo di Drago Bosnic pubblicato sul blog “Bye Bye Uncle Sam”: “Attualmente, poiché in Ucraina è rimasto molto poco da saccheggiare, il regime di Kiev ha deciso di cedere le ultime vestigia di ricchezza nazionale: le sue riserve d’oro. Secondo Gold Seek, il regime di Kiev ha recentemente consegnato agli Stati Uniti almeno 12 miliardi di dollari di riserve auree ucraine. Sembra che quelle potrebbero essere le ultime riserve auree rimaste al Paese.
Da quando la Russia iniziò la sua operazione militare speciale a febbraio, la politica occidentale, guidata dagli Stati Uniti, si è appropriata di decine di miliardi di dollari di valuta estera e riserve auree dell’Ucraina. Dopo aver ricevuto decine di miliardi di dollari in cosiddetti “aiuti militari”, oltre a finanziamenti per le istituzioni governative, il regime di Kiev è stato costretto a rinunciare alle sue riserve d’oro come condizione per tutta l’”assistenza” statunitense e dell’UE”.

E’ già stato programmato peraltro dall’Occidente un grandioso business per la ricostruzione dell’Ucraina. Questa guerra avrà come epilogo la colonizzazione economica e politica dell’Ucraina. Le multinazionali occidentali mirano infatti ad appropriarsi delle riserve di gas scisto presenti nel sottosuolo ucraino, valutabili in 1,2 milioni di metri cubi di gas.

A guerra conclusa il popolo ucraino non tarderà a prendere coscienza di come la sciagurata scelta di Zelenski a favore della Nato abbia comportato la svendita del paese all’Occidente.

Dalle ceneri della UE nascerà una nuova Europa

L’unità europea nella Nato in funzione antirussa è un mito mediatico destinato a dissolversi dinanzi alla realtà. Varie aree continentali e blocchi di stati di diverso orientamento geopolitico sussistono nell’ambito della Nato. Gli stati dell’Europa orientale sono storicamente russofobi, considerano la Russia una minaccia esistenziale e sono determinati ad una guerra ad oltranza, non temendo nemmeno una sua escalation. Per l’Europa centrale invece le relazioni con la Russia sono state essenziali per il suo sviluppo economico. Poiché la crisi energetica potrebbe provocare una crisi strutturale del suo sistema economico, propendono per una pace negoziata con la Russia. L’Europa dell’anglosfera, costituita dalla Gran Bretagna e dai paesi scandinavi è ormai parte integrante dell’area geopolitica atlantica e condividono con gli USA la strategia di contenimento di Russia e Cina su scala globale.

In realtà gli USA hanno conseguito in questa guerra un rilevante successo strategico: quello di provocare la rottura delle relazioni tra l’Europa e la Russia e di ricondurre la UE nella sfera atlantica. Infatti gli USA hanno sempre avversato ogni politica europea volta alla collaborazione con la Russia, che comportasse l’emergere di una singola potenza europea o peggio, di un blocco continentale che si affrancasse dal dominio americano sull’Europa. Gli interventi americani in Europa nelle due guerre mondiali costituiscono i precedenti storici di questa strategia.

Con tutta probabilità il fronte europeo della Nato è destinato a spaccarsi. Con l’arrivo dell’inverno la crisi energetica accentuerà i suoi effetti, generando recessione economica e conflittualità politico – sociali che potrebbero condurre alla destabilizzazione interna degli stati dell’Europa centrale e mediterranea. Come afferma Dario Fabbri sul numero 7/2022 della rivista “Domino”: “Se l’armata russa può contare soltanto sulla popolazione della Federazione, sul timore di subire un’umiliazione, sul patologico legame con le terre occupate, il campo ucraino è appeso al soccorso proveniente da ovest, militare, economico, diplomatico.

Retroguardia che, in piena bufera, potrebbe repentinamente collassare. Per eclatante choc energetico, se non addirittura nucleare. Per inclinazione a fare da sé nei momenti decisivi. Per il rabbioso scorno degli americani. I prossimi mesi sperimenteranno il tasso di sopportazione degli europei occidentali, quelli meno convinti tra i sostenitori della causa ucraina, a differenza degli ex paesi comunisti, ancestralmente antirussi. L’aggravarsi della questione gasiera provocherà profonde lacerazioni alle nostre latitudini, dentro paesi post-storici usi a studiare gli eventi con lenti economicistiche, maneggiando il bilancino dei costi e dei benefici”.

Profonde lacerazioni si profilano all’interno dell’Europa: la UE è destinata a sfaldarsi. Quindi, onde evitare la frammentazione europea, gli americani assumeranno il ruolo di mediatori interni tra blocchi contrapposti. La governance politica dell’Europa sarà dunque devoluta agli USA, con una UE ormai in fase di dissoluzione.

Questa guerra produrrà fratture insanabili all’interno dell’Europa. Occorre dunque ripensare l’Europa, acquisendo la coscienza dell’artificialità delle barriere novecentesche tra oriente e occidente, che si rivelano ormai antistoriche. L’Europa rinnega se stessa, nella misura in cui non si percepisce come continente eurasiatico, in cui convivono da sempre popoli diversi, dotati di una propria identità specifica, ma accumunati da un unico destino. E’ altresì evidente il fallimento della UE, quale unione fondata esclusivamente su interessi economici e quindi destinata a dilaniarsi in conflittualità interne insanabili.

I confini di una nuova Europa non corrisponderanno più con quelli geografici. Accanto all’Europa carolingia, dovrà emergere la centralità dell’Europa mediterranea, protesa a coinvolgere anche i popoli del nord Africa e del medio oriente, in virtù delle comuni radici storiche e spirituali. E’ la sola Europa possibile. I paesi dell’anglosfera e del Baltico appartengono ormai ad altre aree sia culturali che geopolitiche non compatibili con il processo di unificazione europea. La configurazione di una possibile nuova Europa è magistralmente delineata da Franco Cardini in una recente intervista rilasciata a “La Verità”: “Fin dal Novanta al crollo dell’URSS avevano promesso a Gorbaciov che la Nato non sarebbe avanzata neppure di un pollice. Si sono mangiati tutta l’Europa orientale. Stiamo presentando il mondo con il confine Occidente dove sta il bene e Oriente dove sta il male. Ma questo confine non c’è: esiste una dimensione euro-afro-asiatica, ci doveva essere e dovevamo ribadire e difendere la centralità del Mediterraneo forte di una enorme tradizione. Invece ci troviamo a considerare gli americani come fossero i fratelli della porta accanto, i russi come criminali, i cinesi chissà come e nel frattempo ci siamo impoveriti e diventiamo sempre più succubi”.

Ucraina: Il mondo al bivioUcraina: Il mondo al bivio – Libro

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