Tony Effe censurato? Parla la poetessa Flaminia Colella

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La poetessa Flaminia Colella: “È uno zero assoluto, emblema di una deriva culturale. Chiamino De Gregori o Renato Zero per i concerti di capodanno”. E sui testi e i giovani… 

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di Benedetta MinolitiBenedetta Minoliti per www.nowmag.com 

Tony Effe censurato, ma il problema sono davvero i suoi testi? O c’è altro? Lo abbiamo chiesto alla poetessa (romana) Flaminia Colella: “Tony Effe è, al pari di molti altri improvvisati e grotteschi personaggi che affolano le radio italiane negli ultimi anni, uno zero assoluto…”. E sulla deriva culturale e i giovani…

La censura di Tony Effe, escluso dal concertone di Capodanno al Circo Massimo di Roma, sta facendo parecchio discutere. Il rapper è stato difeso, sui social (e non solo), da motlissimi artisti, tra cui Mahmood e Mara Sattei, che hanno rinunciato all’evento, lasciando così vuoto il palco del concerto per l’ultimo dell’anno. Ma è giusto parlare di censura? E c’è, più che per il rapper, un danno d’immagine per Roma? Lo abbiamo chiesto alla poetessa romana Flaminia Colella, che ci ha anche spiegato cosa ne pensa dei testi di Tony Effe e dei giovani, che probabilmente non lo avrebbero mai escluso dal concerto di capodanno a Roma.

Rispondo alla domanda dicendo che Tony Effe è, al pari di molti altri improvvisati e grotteschi personaggi che affollano le radio italiane negli ultimi anni, uno zero assoluto, l’emblema di una deriva culturale, impensabile anche poter parlare di musica, la musica è altro ed è altrove. E per fortuna esiste ancora. La nostra città continua ad avere i suoi grandi cantanti, da De Gregori a Renato Zero, e molti altri dopo di loro, che chiamino loro per i concerti di capodanno, e si torni ad ascoltare vera musica, fatta di ricerca di parole e suoni e ritmi. Non mi sento nostalgica nel dirlo. I testi di cui si parla prima che sessisti e intrisi di parole violente e oscene sono assolutamente tutto fuorchè testi d’arte, sembrano piuttosto il profluvio vomitevole di un allucinato in preda al delirio, un insensato sfogo tardo-adolescenziale rivolto al nulla e a nessuno. I giovani purtroppo sono schiavi e vittime del mercato, in questo caso musicale, che si nutre di queste forme orribili di esibizionismo. Il gusto e la sua educazione dovrebbero tornare ad essere importanti più dei social network e del mercato, che in una bolla virtuale avulsa da qualsiasi realtà finiscono per confezionare personaggi che interessano i giovani solo e unicamente per l’immagine che trasmettono.

Il Campidoglio ha escluso Tony Effe dal Concerto di Capodanno al Circo Massimo dopo critiche di associazioni femministe e politici per i suoi testi ritenuti sessisti. Il sindaco Gualtieri ha giustificato la decisione per rispettare la sensibilità pubblica, scatenando polemiche sul confine tra libertà artistica e responsabilità istituzionale. E l’attivista Clizia De Rossi ci spiega perché ha fatto bene…

Il Campidoglio ha chiesto a Tony Effe di fare un passo indietro e di rinunciare ad esibirsi nel concerto di Capodanno al Circo Massimo dopo le numerose proteste arrivate dal mondo della politica e da associazioni femministe varie nei giorni scorsi, a seguito dell’annuncio della presenza del trapper tra gli artisti ingaggiati. Tra le prime associazioni a criticare la scelta fatta dal Comune di Roma è stata “Differenza Donna”, impegnata nella difesa dei diritti delle donne e nella lotta contro la violenza di genere, con un comunicato rilasciato dalla presidentessa Elisa Ercoli: “Una scelta scellerata organizzare un concerto, dove il target saranno le ragazze e i ragazzi, nel quale sarà tra i protagonisti un cantante come Tony Effe, autore di testi sessisti, misogini e violenti. Non ci può essere posto su un palco di Roma Capitale per chi rappresenta con le parole la cultura nella prevaricazione e del disprezzo verso le donne, fenomeni che noi, ogni giorno, combattiamo nei Centri Antiviolenza e nelle Case Rifugio. La presenza di Tony Effe sarebbe una insopportabile offesa a tutte le donne che subiscono violenza e alle vittime di femminicidio: non possiamo accettarlo”. Sulla questione è intervenuto poi il sottosegretario di Stato alla Cultura con delega allo spettacolo dal vivo, Gianmarco Mazzi: “La vicenda innescata dalle polemiche sul concerto di Capodanno a Roma ci suggerisce che, d’ora in avanti, si dovrebbe prestare più attenzione a chi si offre un palco per cantare. Non c’entra nulla, in questi casi, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, che è sacro. C’entra invece il mostrare senso di responsabilità nel non diventare complici di spacciatori di violenza strapagati, nel non preparare loro ribalte per poterlo fare come se tutto fosse normale”.

Anche dalle forze politiche dell’amministrazione capitolina è arrivata la tempestiva condanna della scelta di ospitare Tony Effe al Concerto di Capodanno: “Siamo molto rammaricate del fatto che in occasione del 25 Novembre ci troviamo tutti insieme a condannare un linguaggio offensivo e mortificante, anche nella musica, che colpisce le donne nella propria dignità e invia messaggi negativi ai più giovani e poi vediamo che Roma Capitale per il concerto di Capodanno sceglie Tony Effe come artista di riferimento dell’ultima notte dell’anno”, hanno dichiarato in una nota congiunta consigliere di tutte le parti politiche, da Pd a Fdi. A loro ha fatto eco pure il senatore FI, Maurizio Gasparri che ha chiamato in causa addirittura la Rai e la partecipazione del trapper al Festival di Sanremo: “Invito pubblicamente la Rai a fare una riflessione su alcuni rapper improvvidamente coinvolti da Conti nel festival di Sanremo. Perfino il Comune di Roma, gestito dalla sinistra, di fronte alle giuste proteste per i toni molto violenti, sessisti e di offesa delle donne di canzoni di alcuni personaggi, come Tony Effe ed altri, ha deciso di cancellarne la presenza al concerto di fine anno che si terrà nella Capitale. Non si capisce perché invece il servizio pubblico dovrebbe trasformare l’importante palco di Sanremo in una tribuna per persone che, probabilmente anche a causa di una mancanza di cultura, divulgano, soprattutto tra i ragazzi, linguaggi e stili di vita assolutamente inaccettabili. La Rai è finanziata dai cittadini e non può essere trasformata nel megafono dell’Italia peggiore. Pertanto, invito pubblicamente i vertici dell’azienda a non fare il tappetino del Conti di turno e a cancellare dal Festival personaggi che non sono espressione della musica italiana, ma soltanto di una subcultura di scarto che offre cattivi esempi e usa un linguaggio deteriore.” A tutte queste legittime contestazioni è seguita infine la scelta del primo cittadino romano Gualtieri di ritirare l’invito al cantante, con una motivazione che io personalmente ho trovato assolutamente coerente e incontestabile. Il sindaco ha ricordato infatti che il concerto è un evento pubblico, finanziato con soldi pubblici e patrocinato da un comune il cui primo obiettivo e dovere deve essere sempre quello di tutelare la sensibilità di tutti i suoi cittadini: “Roma Capitale non censura nessuno. A Roma in questi tre anni hanno suonato tantissimi artisti, di ogni genere e provenienza. Roma è e resta una città aperta e libera, che ama l’arte e la musica in tutte le sue forme. Difenderemo sempre la pluralità delle idee e non imponiamo né controlliamo opinioni. Parlare di censura è quindi del tutto fuori luogo. Tuttavia, è evidente che si sono urtate alcune sensibilità su valori fondamentali come la libertà delle donne e la lotta contro ogni forma di violenza nei loro confronti. Il Concerto di Capodanno ha senso solo se è una festa che unisce e non divide la città”.

Tony Effe
A lato: Tony Effe ostenta la sua cultura anche sul corpo

A tutte queste legittime contestazioni è seguita infine la scelta del primo cittadino romano Roberto Gualtieri di ritirare l’invito al cantante, con una motivazione che io personalmente ho trovato assolutamente coerente e incontestabile. Il sindaco ha ricordato infatti che il concerto è un evento pubblico, finanziato con soldi pubblici e patrocinato da un comune il cui primo obiettivo e dovere deve essere sempre quello di tutelare la sensibilità di tutti i suoi cittadini: “Roma Capitale non censura nessuno. A Roma in questi tre anni hanno suonato tantissimi artisti, di ogni genere e provenienza. Roma è e resta una città aperta e libera, che ama l’arte e la musica in tutte le sue forme. Difenderemo sempre la pluralità delle idee e non imponiamo né controlliamo opinioni. Parlare di censura è quindi del tutto fuori luogo. Tuttavia, è evidente che si sono urtate alcune sensibilità su valori fondamentali come la libertà delle donne e la lotta contro ogni forma di violenza nei loro confronti. Il Concerto di Capodanno ha senso solo se è una festa che unisce e non divide la città”. Apriti cielo! Orde di “vip” e cosiddette “influencer”, a partire dalla stessa Giulia De Lellis, attuale fidanzata di Tony Effe, hanno iniziato a gridare allo scandalo e alla censura! A me duole immensamente dover stare anche solo per una volta dalla parte di gente come Gasparri, ma dove erano Mahmood, Sattei, De Lellis e tutti gli altri, quando a febbraio scorso c’è stato un vero caso di censura di stato nei confronti di Ghali e di Dargen D’Amico a cui la Rai ha impedito con vergognosi comunicati e rimproveri in diretta televisiva di parlare del genocidio in Palestina e di immigrazione? Forse le guerre e la disperazione umana non sono argomenti abbastanza comodi per prendere una posizione? Viene quasi da pensare che dietro questa alzata di scudi, con assurdo boicottaggio incluso, non ci sia tanto la singola volontà di difendere la libertà di un “artista”, quanto piuttosto un ordine alla comune sommossa gestito da case discografiche e agenzie correlate. A questi pseudo paladini ipocriti del politicamente scorretto che fino a ieri protestavano contro il patriarcato violento e maschilista del nostro Paese, pubblicando post e storie strappalacrime per le terribili vicende di Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano, e che oggi invece difendono la “licenza artistica” di chi racconta le donne come “pu**ane” a cui “sputare in faccia” e “far su**hiare”, da usare come “un joystick”, “bambole” da “fott*re” dopo avergli “tappato la bocca”, vorrei ricordare che stanno applicando lo stesso identico amichettismo e doppiopesismo tanto contestato ai nemici politici, e che avrebbe avuto senso parlare di censura nel caso in cui fosse stato emesso un divieto statale di vendere i dischi, trasmettere le canzoni o invitare Tony Effe in un qualsivoglia concorso nazionale, non certamente per un episodio come questo di pura e semplice libertà di scelta, in cui un comune ha preferito ritirare un banale invito (come già accaduto, per altro, innumerevoli volte in svariati ambiti) per coerenza e rispetto nei confronti dei propri cittadin* che neanche un mese fa, in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, hanno riempito le strade della capitale per onorare la memoria delle cento e rotte vittime di femminicidio nel solo anno corrente, al grido di “disarmiamo il patriarcato”, lo stesso che trasuda pericolosamente dalle canzoni di Tony Effe e di tanti altri suoi colleghi sempre più inspiegabilmente in voga tra i giovani di questo Paese…era ora che la politica se ne accorgesse!

 

Fonte: https://mowmag.com/culture/tony-effe-censurato-la-poetessa-flaminia-colella-e-uno-zero-assoluto-emblema-di-una-deriva-culturale-chiamino-de-gregori-o-renato-zero-per-i-concerti-di-capodanno-e-sui-testi-e-i-giovani

Morte del GEC, braccio armato della Disinformazione e Censura del Governo USA

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EDITORIALE

di Matteo Castagna per Stilum Curiae di Marco Tosatti https://www.marcotosatti.com/2024/12/28/morte-del-gec-braccio-armato-della-disinformazione-e-censura-del-governo-usa-matteo-castagna/

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna, a cui va il nostro grazie, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sul panorama geopolitico. Buona lettura e condivisione.

di Matteo Castagna

The Guardian ci informa che l’ ex capo della NatoJens Stoltenberg, è stato nominato nuovo co-presidente dell’influente Club Bilderberg, uno dei think thank sovranazionali, di indirizzo globalista, più noti al mondo.

Stoltenberg assume ora la presidenza del suo principale forum di discussione: un evento di quattro giorni ferocemente privato, frequentato da primi ministri, commissari dell’UE, capi di banche, amministratori delegati di aziende, leader dell’intelligence e, pure giornalisti. La sua nomina a co-presidente del Bilderberg consolida il ruolo del gruppo, al centro della strategia transatlantica. 

Nel frattempo, in America iniziano i cambiamenti della nuova era Trump. I“Global Engagement Center” del Dipartimento di Stato, accusato di censurare gli americani, chiude i battenti“Il Dipartimento di Stato si è consultato con il Congresso in merito ai prossimi passi”, ha affermato un portavoce.

Morgan Phillips e Michael Dorgan, con la supervisione del direttore esecutivo di Fox News, Mike Benz, hanno realizzato un servizio molto importante. Il “centro di disinformazione estera” del Dipartimento di Stato, accusato dai conservatori di censurare i cittadini statunitensi, ha chiuso i battenti, questa settimana, per mancanza di finanziamenti.

Elon Musk aveva definito il Global Engagement Center (GEC), fondato nel 2016, il “peggior trasgressore della censura del governo statunitense e della manipolazione dei media”, e i suoi finanziamenti sono stati revocati, come parte del National Defense Authorization Act (NDAA), la legge politica annuale del Pentagono.

“Il Global Engagement Center cesserà per effetto di legge [entro la fine della giornata] il 23 dicembre 2024”, ha affermato un portavoce del Dipartimento di Stato in una dichiarazione.

I legislatori avevano inizialmente incluso i finanziamenti per il GEC nella sua risoluzione continua (CR), o disegno di legge per finanziare il governo oltre la scadenza di venerdì. Ma i conservatori si sono tirati indietro da quella versione del disegno di legge sui finanziamenti, che è stato riscritto senza fondi per il GEC e altri finanziamenti. L’agenzia aveva un budget di circa 61 milioni di dollari e 120 persone nello staff.

In un momento in cui avversari come l’Iran e la Russia seminano disinformazione in tutto il mondo, i repubblicani hanno visto poco valore nel lavoro dell’agenzia, sostenendo che gran parte delle sue analisi di disinformazione è già offerta dal settore privato.

Il GEC, secondo il giornalista Matt Taibbi“ha finanziato un elenco segreto di subappaltatori e ha contribuito a creare una nuova forma insidiosa e idiota di lista nera” durante la pandemia.

L’anno scorso, Taibbi ha utilizzato i file di Twitter in cui il GEC “ha segnalato account come ‘personaggi e proxy russi’ in base a criteri come ‘descrivere il Coronavirus come un’arma biologica ingegnerizzata’, incolpare ‘la ricerca condotta presso l’istituto di Wuhan’ e ‘attribuire la comparsa del virus alla CIA’”.

“Lo Stato ha anche segnalato account che hanno ritwittato la notizia che Twitter aveva bandito il popolare sito web statunitense ZeroHedge, sostenendo che ‘ha portato a un’altra raffica di narrazioni di disinformazione’“. ZeroHedge aveva fatto dei rapporti ipotizzando che il virus avesse un’origine di laboratorio.

Il GEC fa parte del Dipartimento di Stato, ma collabora anche con il Federal Bureau of Investigation, la Central Intelligence Agency, la National Security Agency, la Defense Advanced Research Projects Agency, lo Special Operations Command e il Department of Homeland Security. Il GEC finanzia anche il Digital Forensic Research Lab (DFRLab) dell’Atlantic Council.

Il direttore del DFRLab Graham Brookie ha precedentemente negato l’affermazione secondo cui utilizzano i soldi delle tasse per tracciare gli americani, affermando che le sovvenzioni del GEC hanno “un focus esclusivamente internazionale”.

Un rapporto del 2024 della Commissione per le piccole imprese della Camera guidata dai repubblicani ha criticato il GEC per aver assegnato sovvenzioni a organizzazioni il cui lavoro include il tracciamento di informazioni errate nazionali ed estere e la valutazione della credibilità degli editori con sede negli Stati Uniti, secondo il Washington Post.

La causa è stata intentata dal procuratore generale del Texas Ken Paxton, The Daily Wire e The Federalist, che hanno citato in giudizio il Dipartimento di Stato, il Segretario di Stato Antony Blinken e altri funzionari governativi all’inizio di questo mese per “aver preso parte a una cospirazione per censurare, deplatformare e demonetizzare i media americani sfavoriti dal governo federale”.

“Il Congresso ha autorizzato la creazione del Global Engagement Center espressamente per contrastare la propaganda e la disinformazione straniere”, ha affermato l’ufficio del procuratore generale del Texas in un comunicato stampa. “Invece, l’agenzia ha trasformato questa autorità in un’arma per violare il Primo Emendamento e sopprimere le opinioni degli americani garantite dalla Costituzione.

La denuncia descrive il progetto del Dipartimento di Stato come “una delle più atroci operazioni governative per censurare la stampa americana nella storia della nazione”.

La causa sostiene che The Daily Wire, The Federalist e altre organizzazioni di notizie conservatrici erano state etichettate come “inaffidabili” “rischiose” dall’agenzia, “privandole di entrate pubblicitarie e riducendo la circolazione dei loro reportage e servizi, il tutto come risultato diretto del piano di censura illegale [del Dipartimento di Stato]”.

Nel frattempo, America First Legal, guidata da Stephen Miller, la scelta del presidente eletto Trump per il ruolo di vice capo dello staff per la politica, ha rivelato che il GEC aveva utilizzato i soldi dei contribuenti per creare un videogioco chiamato “Cat Park” per “vaccinare i giovani contro la disinformazione” all’estero.

Il gioco “vaccina i giocatori … mostrando come titoli sensazionalistici, meme e media manipolati possono essere utilizzati per promuovere teorie cospirative e incitare alla violenza nel mondo reale”, secondo un promemoria ottenuto da America First Legal.

La Foundation for Freedom Online, ha affermato che il gioco era “anti-populista” e promuoveva determinate convinzioni politiche invece di proteggere gli americani dalla disinformazione straniera, secondo il Tennessee Star.

Da notare che in Italia non esiste una struttura governativa di controllo della veridicità delle notizie e contro le censure. L’Ordine dei Giornalisti dovrebbe essere titolato a questo compito, ma, spesso, lo adempie solo su segnalazione. 
Invece, sarebbe opportuno evitare la faziosità, la manipolazione delle notizie e la mancanza di controllo sui media di Stato con uno strumento legislativo simile, che dipenda dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed abbia poteri concreti, perché in un mondo ove le informazioni sono già vecchie dopo poche ore, disporre di una comunicazione pubblica corretta dovrebbe rientrare tra i diritti degli italiani.

DSA: IL DIRITTO DI PAROLA “CONCESSO” DALLA UE

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di Andrea Caldart

La conquista della libertà di parola e di pensiero critico sono la base fondante per uno Stato democratico, ma oggi questa conquista è in grave pericolo.

️ Il 17 febbraio scorso è entrato definitamente in funzione il DSA Digital Service ACT, il quale dietro la giustificazione della guerra ai Big Digital made USA, nasconde la sua vera essenza, ovvero il controllo sul dissenso pubblico e libero, soprattutto nell’online.

️ La UE con il DSA ha l’obiettivo di silenziare quel “complottismo” che scorre nelle venature di chi non si allinea alla forma mentis transumanista voluta da quei filantropi di Davos, imponendo invece un diritto di parola “concesso”.

️ Una disinfestazione del diritto di libero pensiero per diventare i padroni della parola contro quei giornalisti e giornali che con spirito critico, diventano antisistema con l’obiettivo di cancellarli.

️Frantumare il concetto di libero arbitrio per ridurre al silenzio o meglio nel silenzio imposto con la forza di legge, chi ad esempio non si adegua alle previsioni meteo degli ecogretini o peggio ancora, chi si batte per i propri diritti, vedi ad esempio i Queer, che lottano forse, contro chi li vorrebbe “purificare”.

️Dobbiamo difendere la libertà di parola perché debba essere assoluta, consentendo a ogni individuo di esprimere qualsiasi opinione senza restrizioni, perché la UE con il DSA, ritiene invece che ci debbano essere limiti a questa libertà, specialmente quando il legittimo dubbio, ad esempio, sulle proprietà “salvifiche” del “vaccini”, possa danneggiare la reputazione di Big Pharma.

Prepariamoci ad azioni che possono assumere varie forme, tra cui leggi restrittive sulla libertà di stampa, censura online, intimidazioni contro giornalisti e oppositori politici, nonché limitazioni ai diritti di associazione e di riunione.

Articolo integrale ⤵️

https://www.quotidianoweb.it/politica/dsa-il-diritto-di-parola-concesso-dalla-ue/

Politica fluida e conservatori bolsi: così l’ideologia woke travolge l’Europa

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L’EDITORIALE – su Affaritaliani.it di oggi

di Matteo Castagna
A fronte di una galassia conservatrice sempre più fiacca divampa l’ideologia woke: il totalitarismo culturale che banna tutto ciò che non è politically correct
Politica e ideologia woke, “se i conservatori non si svegliano dal torpore dovremo soccombere al delirio transumano progressista”: il commento 
Nell’agone politico, destra e sinistra nascono con la Rivoluzione Francese nel 1789. Il filosofo francese Marchel Gauchet scrive che “coloro i quali tenevano al re e alla religione si erano messi alla destra del presidente per sfuggire ai discorsi, alle indecenze e alle urla che avevano luogo nella parte opposta, dove stava la componente rivoluzionaria”.
Nel periodo della Restaurazione, in Francia e poi in Europa, la destra era occupata dai monarchici cattolici contro-rivoluzionari, mentre dalla parte opposta vi erano coloro che intendevano sovvertire l’ordine morale, sociale e politico, ovvero i giacobini anticattolici e anticlericali. Nel XX secolo, la sinistra era rappresentata dai social-comunisti, mentre la destra dai monarchici e dai fascisti. Ci furono ulteriori sfumature, che inglobavano i liberali e i cattolici, a seconda delle circostanze storiche. Nel XXI secolo non ha più senso parlare di “destra e sinistra” perché le ideologie che le reggevano sono sostanzialmente morte.
Nel XXI secolo si parla di posizioni conservatrici e patriottiche per quella che fu, storicamente, la destra, e di progressiste e globaliste per quella che fu la sinistra. Ad eccezione delle posizioni radicali, che non sono rappresentate in Parlamento, almeno in Italia, la globalizzazione viene accettata da tutto l’arco costituzionale e tutti si dichiarano liberali, liberisti e libertari.
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Per cui sfumano le differenze tra le due parti, soprattutto sul piano economico (tutti liberisti) e morale (tutti libertari). Questa situazione si è creata perché il modello imposto dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale, è stato quello anglo-americano, con una decisiva accelerata dopo il crollo del muro di Berlino, nel 1989. Possiamo, dunque, parlare di evoluzioni e involuzioni nel tempo, del pensiero e dell’azione di entrambe le parti. Le crisi, generalmente, sono le cause dei cambiamenti. Le guerre sono i mezzi con cui si impongono i nuovi ordini/disordini. Il maggior potere possibile sul mondo è il grande Vitello d’Oro, il fine degli avidi e dei corrotti.
Oggi, osserviamo una politica fluida come la società, ove tra i conservatori prendono posizione tre corpi estranei, che ne riducono l’efficacia subordinando lo schieramento ai paradigmi dei progressisti, ridimensionando l’orizzonte valoriale: i liberali, gli anticattolici, gli opportunisti globalisti, che potrebbero tranquillamente cambiare casacca, senza colpo ferire. Anche tra i globalisti, buona parte della componente liberale e ex democristiana, figlia del modernismo, è trasformista per stipendi e privilegi, ma a livello culturale e sociale si sta imponendo una nuova ideologia che, progressivamente costituirà il bagaglio elettorale dei globalisti, ovvero del partito Radicale di massa.
Al momento, dalla parte opposta, si notano le pesanti infiltrazioni di questa wéltanschauung che oscura il sovranismo e l’identità e affievolisce la Tradizione, che dovrebbe costituire la solida roccia sulla quale basare la filosofia, l’economia e l’azione politiche. “La destra è sempre tradizione – ha scritto recentemente Marcello Veneziani – ho un’idea diversa da quella irregimentata nell’establishment italo-euro-atlantico, che include anche la destra di governo”.(cfr. Barbadillo, 7/4/2023)
Dunque, a fronte di una galassia conservatrice fiacca un po’ confusa, ha gioco più facile la nuova ideologia, costola del globalismo, che, come per il movimento sovversivo del 1968 muove i primi passi nelle Università francesi ma giunge dagli Stati Uniti. Si definisce “cultura woke“.
“La woke culture è inoltre il substrato della call-out culture (molto vicina alla più nota cancel culture) – scrive il giornalista ed esperto di comunicazione Andrea Zanini su Formiche del 06/12/2021 –  ossia la minacciosa e spesso violenta censura nei confronti di soggetti ritenuti colpevoli di idee e comportamenti disallineati da valori considerati progressisti e, più in generale, politicamente corretti; sono infatti molteplici i casi in cui attivisti woke hanno ostracizzato professori e accademici impedendogli di parlare ad eventi pubblici, manipolandone le dichiarazioni e proscrivendoli sui social e sui media tradizionali, fino ad arrivare, in alcuni casi, a provocarne le dimissioni”.
La nuova “ghigliottina woke” è l’isolamento assoluto dell’uomo della tradizione, che non avrà mai alcuna difesa da parte di quei Conservatori bolsi, che pensano solo agli affari e si vendono al miglior acquirente. Questo fenomeno sta pericolosamente dilagando nelle università americane, laddove woke è sinonimo di vigile allerta nella lotta contro le “ingiustizie della maggioritaria e prepotente cultura dei maschi bianchi”, che penalizzerebbero gli afroamericani, le donne, le identità sessuali diverse da quelle categorizzate biologicamente e via dicendo. Nelle teorizzazioni più estreme gli ideologi della woke culture affermano addirittura l’inutilità della lettura di testi o della fruizione di opere di autori non conformi ai canoni woke.

Zanini prosegue nello spiegare questo inquietante scenario: “Un altro requisito di questo totalitarismo culturale è la pretesa che siano gli studenti a decidere che cosa studiare. E’ la negazione della fondamentale figura del maestro, colui che per studi ed esperienza ha titolo ad insegnare…”. E’ evidente a tutti che, nel mondo dominato dai social media, qualsiasi mitomane possa, grottescamente, laurearsi su Facebook. Al voto si sostituirebbe il numero di like…

C’è infine un elemento che rappresenta il vero il cavallo di Troia della woke culture, ossia la pretesa di voler difendere dalla cultura dominante dei maschi bianchi le culture oppresse, ghettizzate e negate, un obiettivo sul quale liberali progressisti non possono che concordare. Peccato che gli assunti e i metodi della woke culture portino alla società dell’assurdo, del caos e della follia. Il problema è che di fronte a questa minaccia, una società dalla pancia piena, quasi totalmente apatica e paurosa come quella occidentale, non riesca a reagire.

I conservatori, troppo spesso appiattiti su questa decadenza o in altre faccende affaccendati, dovrebbero riflettere sulle loro responsabilità verso i figli d’Europa, che non possono avere come modello i Ferragnez, Bello Figo o i Maneskin, senza cadere nella peggiore decadenza, mai vista nella storica culla della Civitas Christiana.

 

È il tempo degli identikit dei filorussi e delle liste dei “Putinversteher”…

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di Dalila di Dio

SE C’È UNA COSA IN CUI I PROGRESSISTI SONO MAESTRI È TRACCIARE LINEE RETTE CHE DIVIDONO I BUONI DAI CATTIVI

Se c’è una cosa in cui i progressisti sono maestri è tracciare linee rette che dividono i buoni dai cattivi.

Le situazioni di emergenza, poi, sublimano questa loro attitudine: che sia il Covid o la guerra, ciò che risulta indispensabile è identificare immediatamente i cattivi, puntargli tempestivamente una luce addosso, stabilire che qualunque cosa promani dalla loro parte è ineluttabilmente sbagliata, corrotta, falsa.

Anche a dispetto di ogni evidenza.

Non sono le verifiche o i giudizi controfattuali a stabilire la veridicità di un’affermazione, la affidabilità di una teoria, la verosimiglianza di una ricostruzione: semplicemente, c’è una parte, la loro, da cui scaturiscono solo verità inconfutabili; tutto il resto è propaganda, menzogna, fake news, per usare un’espressione molto cara ai signori della censura delle idee altrui.

Un fulgido esempio di questo efficacissimo modus operandi è stato offerto giovedì sera a Piazza Pulita. Durante la nota trasmissione che va in onda in prima serata su La7, infatti, è andato in scena uno scontro tra il prof. Alessandro Orsini, Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS e Federico Fubini, vicedirettore del Corriere della Sera, che ci ha fornito la rappresentazione plastica di come al progressista medio, pur incapace di confutare compiutamente un ragionamento articolato, documentato, puntuale – quello di Orsini – basti sostenere con fare isterico che l’interlocutore è ignorante, mente e dovrebbe tornare sui libri per averla vinta.

La colpa di Orsini, come di molti altri studiosi di tutte le estrazioni, è di essersi opposto all’idea di spiegare il conflitto tra Ucraina e Russia sentenziando che “Putin è un pazzo” e di essersi spinto ad una analisi lineare quanto invisa a Fubini & co. delle ragioni che hanno portato all’attacco russo: Orsini, in pochi minuti, ha messo a nudo il re, puntando il dito contro l’Unione Europea, la Nato, gli Stati Uniti e chiamando ciascuno alle proprie responsabilità nella causazione dell’escalation che è in atto dal 24 febbraio in Ucraina.

«Possiamo uscire da questo inferno soltanto se noi riconosciamo i nostri errori» ha sostenuto ragionevolmente Orsini. «In primo luogo, perché questa era la guerra più prevedibile del mondo. Mi sono sgolato per dire che certamente la Russia avrebbe invaso l’Ucraina, perché esiste una legge ferrea della politica internazionale, la quale prevede che le grandi potenze proibiscano categoricamente ai Paesi confinanti, laddove sia possibile, di avere una linea di politica estera che rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale». In altre parole, ha proseguito il docente, «quello che accade è che l’Ucraina sta alla Russia come il Messico e il Canada stanno agli Stati Uniti. Se il Messico oggi si alleasse con Putin, certamente gli Stati Uniti distruggerebbero il Messico. O assassinando il suo presidente o favorendo una guerra civile, oppure con uno sfondamento del confine, facendo esattamente questo tipo di guerra».

Ecco perché secondo Orsini le responsabilità principali sarebbero da ascriversi all’Unione Europea: «tutte le grandi potenze, o quelle che ambiscono a essere grandi, hanno delle linee rosse. Gli Stati Uniti hanno delle varie linee rosse, una delle quali è Israele, che non può essere toccato. La Russia ha una linea rossa in Ucraina e Georgia. La Cina, quando le sarà possibile farlo, ha una linea rossa a Taiwan. L’Unione Europea, che queste linee rosse non le ha, avrebbe dovuto dire agli Stati Uniti: “Noi vi amiamo ma abbiamo una linea rossa che voi americani non dovete permettervi di superare». La debolezza dell’UE, quindi, secondo l’esperto LUISS, risiederebbe nell’incapacità di opporre un «rifiuto a qualunque politica che metta in pericolo la vita degli europei».

Un ragionamento lineare, semplice, difficilmente confutabile ma che ha collocato immediatamente l’accademico tra le fila dei russofili, dei “Putinversteher”, di coloro di cui bisogna diffidare perché iscritti nelle liste di quanti, secondo quanto scrive Gianni Riotta su la Repubblica «per interesse, ideologia, snobismo… hanno in uggia l’autodeterminazione dei popoli».

Tra questi Massimo Cacciari, Marcello Foa, Pino Cabras, Ugo Mattei e persino Laura Boldrini e Stefano Fassina che, secondo Riotta, «odorano di “Putinversteher”».

E poiché il pensiero unico dispone di un sistema di difesa di primo livello, come già accaduto in passato, dopo le dichiarazioni di giovedì sera, il professore Orsini è stato praticamente scaricato dalla LUISS: con un comunicato, l’ateneo ha invitato l’accademico ad «attenersi scrupolosamente al rigore scientifico dei fatti e dell’evidenza storica, senza lasciar spazio a pareri di carattere personale che possano inficiare valore, patrimonio di conoscenza e reputazione dell’intero Ateneo».

È singolare che un’università, luogo della conoscenza per eccellenza, consideri lesivo della propria reputazione che uno studioso faccia ciò che è chiamato a fare per definizione: interrogarsi, andare oltre le tesi precostituite, offrire una lettura dei fatti che vada oltre gli slogan e le teorie preconfezionate dal mainstream.

Ma lo abbiamo già visto fare nei confronti di accademici che hanno osato affermare ovvietà come «non esistono donne con il pene»: carriere immolate sull’altare della verità che cede il passo al cospetto del politicamente corretto. Niente di nuovo sotto il sole, quindi.

E che dire del corrispondente Rai Marc Innaro? Colpevole di aver sostenuto che «ad espandersi, negli ultimi trent’anni, è stata la Nato e non la Russia», è stato accusato di essere filo-Putin e di prestarsi alla propaganda russa, ragion per cui è finito nel mirino del PD con un’interrogazione all’ad Carlo Fuortes per sollecitare una presa di posizione dell’azienda e con la richiesta di richiamarlo dall’incarico in Russia.

Suonerebbe strano, in tempi normali. Ma quelli che stiamo vivendo non sono tempi normali: sono tempi in cui si plaude all’esclusione dei gatti russi dalle mostre, dei direttori d’orchestra russi dai teatri, dell’insalata russa dai menu.

Viviamo in un tempo in cui non si ha alcuna remora a dichiarare pubblicamente che bisogna «affamare il popolo» russo, come ha dichiarato qualche giorno fa la “Giornalista” Claudia Fusani.

Viviamo in un tempo in cui una parlamentare della Repubblica come Patrizia Prestipino (Pd) ha giudicato «giustissima la decisione del CIO di escludere gli atleti [disabili] della Russia e della Bielorussia dalle Olimpiadi».

È il tempo giusto per tracciare profili psicologici dei dissenzienti, identikit dei filorussi, liste dei “Putinversteher”, per mettere a tacere accademici e giornalisti se non raccontano la versione giusta della storia.

È il tempo giusto per isolare e discriminare chi non prende le distanze a comando dal cattivo di turno. Il tempo dei sinceri democratici.

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/2022/03/06/e-il-tempo-degli-identikit-dei-filorussi-delle-liste-dei-putinversteher/

Anche 1984 finisce nel mirino liberal: censurata l’opera di Orwell

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L’università di Northampton, nel Regno Unito, ha emesso un avviso sul libro di George Orwell, 1984: il classico contiene “materiale esplicito”. E a Dublino viene ribattezzata l’aula magna intitolata a Erwin Schrödinger

di Roberto Vivaldelli

La furia iconoclasta della censura liberal non risparmia più nessuno. Da Shakespeare a Geoffrey Chaucer passando per Mark Twain, la guerra culturale dei progressisti identitari che vuole cancellare la storia e i classici per imporre una visione del mondo basata sull’antirazzismo e sull’anticolonialismo, ora se la prende con scrittori e intellettuali del calibro di George Orwell, autore del celebre e citatissimo romanzo distopico 1984. Come riporta Il Foglio, il romanzo scritto nel 1949 sugli orrori della censura e della minaccia totalitaria, viene censurato dalle università inglesi. L’università di Northampton, infatti, ha emesso un avviso sul libro: il romanzo contiene “materiale esplicito” e gli studenti potrebbero trovare 1984 “offensivo e inquietante“. Cosa ci sarà mai di così offensivo nel classico di Orwell? Rimane un mistero. Paradossale e rappresentativo dell’epoca che stiamo vivendo che un classico contro la censura e il totalitarismo venga “segnalato”.

Orwell e 1984 nel tritacarne del politically correct

Come spiega il Daily Mail1984 è fra le numerose opere letterarie che sono state segnalate agli studenti di Northampton che stanno studiando un modulo chiamato “Identity Under Construction“. Vengono avvertiti del fatto che il romanzo “affronta questioni impegnative relative a violenza, genere, sessualità, classe, razza, abusi, abusi sessuali, idee politiche e linguaggio offensivo“. Oltre al libro di Orwell, gli accademici identificano diverse opere nel modulo che hanno il potenziale per essere “offensive e sconvolgenti“, tra cui l’opera teatrale di Samuel Beckett Endgame, la graphic novel V For Vendetta di Alan Moore e David Lloyd e Sexing The Cherry di Jeanette Winterson. Il deputato conservatore Andrew Bridgen ha dichiarato: “Piuttosto ironico che i nostri studenti vengano ‘avvertiti’ prima di leggere 1984. I nostri campus universitari stanno rapidamente diventando zone distopiche del Grande Fratello in cui si pratica la neolingua per ridurre la gamma del pensiero intellettuale e cancellare coloro che non si conformano ad esso“.

Il biografo di Orwell, David Taylor, ha commentato così la vicenda: “Penso che i tredicenni potrebbero trovare inquietanti alcuni passaggi del romanzo, ma non credo che nessuno in età universitaria rimanga più scioccato da un libro“. Peraltro il celebre romanzo di Orwell, come ricorda il Daily Mail, è stato regolarmente adattato per il teatro ed è diventato anche un – bellissimo film – con protagonista John Hurt. “Siamo consapevoli che alcuni testi potrebbero essere impegnativi per alcuni studenti e ne abbiamo tenuto conto durante lo sviluppo dei nostri corsi” ha spiegato un portavoce dell’università.

La cancel culture contro Erwin Schrödinger: “Era un pedofilo”

E non finisce qui. La cancel culture, ossia quel processo revisionista promosso dai fanatici della censura che intende applicare i criteri etici di oggi al passato cancellando la storia, decontestualizzandola completamente, ha messo nel mirino anche il Premio Nobel Erwin Schrödinger. Il fisico austro-irlandese, morto nel 1961, ricevette infatti il Premio Nobel per la fisica nel 1933 per il suo lavoro nel campo della meccanica quantistica e per aver stabilito l’equazione di Schrödinger, che determina l’evoluzione temporale dello stato di un sistema. Un genio a cui, ancora oggi, dobbiamo moltissimo per via dei suoi studi e delle sue scoperte scientifiche. La sua vita privata – a maggior ragione se pensiamo che era un uomo figlio del suo tempo – dovrebbe dunque passare in secondo piano, ma la cancel culture non ammette questa distinzione.

Come riportato dal The Times, infatti, il preside della scuola di fisica del Trinity College di Dublino ha raccomandato di ribattezzare l’aula magna dedicata a Schrödinger a causa dei presunti abusi su donne e bambini che il fisico austro-irlandese avrebbe commesso. Vero o falso che sia, c’è un “piccolo” dettaglio che i giustizialisti non considerano: Erwin Schrödinger è morto nel 1961 e non può difendersi. Tutto nasce da un articolo pubblicato a dicembre 2021 sulll’Irish Times, secondo il quale il fisico era un pedofilo. L’articolo cita la biogragia redatta dall’astrofisico britannico John Gribbin, Erwin Schrödinger and the Quantum Revolution, spiegando che, all’età di 39 anni, Schrödinger si era innamorato della quattordicenne Ithi, a cui insegnava matematica. Inoltre, secondo il biografo di Schrödinger, Walter Moore, il celebre fisico teneva un elenco nel suo diario delle donne e delle ragazze con cui aveva avuto una relazione. Fra queste c’era anche la dodicenne Barbara MacEntee. Ma quanti personaggi storici, intellettuali e artisti, dovremmo “riconsiderare” se tenessimo conto della loro vita privata? Da Pasolini a Moravia – che sposò una donna di quaranticinque anni più giovane – forse se ne salverebbero pochi.

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/mondo/e-ora-censurano-persino-orwell-e-i-premi-nobel-2005426.html

Del Debbio e Giordano finiscono in castigo. Ecco come la tv silenzia le voci contro il green pass

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A Mario Giordano e Paolo Del Debbio va la nostra incondizionata solidarietà. Siamo persone che seguono i vostri programmi con interesse. Non è necessario esser sempre d’accordo con i contenuti, ma le domande e i ragionamenti che avete condotto in questi mesi sull’applicazione del green pass e sui vaccini sono, a nostro avviso, il minimo sindacale per chi ha un cervello che non serva solo a sostenere gli occhiali. Questa censura è, a nostro avviso, incredibile perché pietra tombale sulla libertà d’informazione. Finché c’è chi sogna modelli comunicativi che restringano la democrazia, chi è fuori dal coro è destinato al bavaglio. E’ questa l’Italia nata dalla Resistenza? Sentiti alcuni “toni rossi” particolarmente entusiasti per controlli e restrizioni, non c’è da stare allegri…(N.d.R.)  

A proposito, questo pezzo è sul sito di Gianluigi Paragone. Ci è parso scritto bene, in linea col nostro pensiero. Ma non siamo “no vax” né seguaci di Paragone. In Italia è sempre bene specificare per evitare fraintendimenti di menti un pochino disturbate che, poi, fanno danni…(N.d.R.)

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Mario Giordano e Paolo Del Debbio in ‘castigo’ per cinquanta giorni. Sia Fuori dal coro e Dritto e rovescio andranno infatti in paura rispettivamente il 7 e il 9 dicembre per rientrare solo il 25 e 27 gennaio 2022. In sostanza è un mese e mezzo di stop che sappiamo bene come in tv corrisponda più o meno a due secoli e che corrisponde ‘casualmente’ con l’entrata in vigore del ‘super green pass’ e con quella che, in teoria, dovrebbe essere la fine della validità del certificato verde. Non solo: né Giordano né Del Debbio potranno, questo modo, commentare le fasi propedeutiche all’elezione del nuovo presidente della Repubblica.

Piazzapulita, al contrario, saluterà il pubblico il 16 dicembre ma tornerà onda in onda, con molta probabilità, il 13 gennaio (stando a quanto riferisce TvBlog). Stesso calendario varrà per Cartabianca e Di MartedìQuarta Repubblica di Nicola Porro si congederà il 6 dicembre, e il 10 gennaio sarà di nuovo operativo.

Controcorrente terminerà il 19 dicembre per riprendere il 9 gennaio, con Veronica Gentili. Prima ancora riapparirà in schermo Gianluigi Nuzzi con Quarto Grado (17 dicembre – 7 gennaio). Zona Bianca di Giuseppe Brindisi, invece, non conoscerà soste: dall’aprile scorso, non ha saltato neanche una settimana, e intende mantenere questo record. Restano comunque da capire le cause dei due esclusi eccellenti: certo è che visto il periodo ‘prescelto’ per la pausa a pensar male si fa peccato, ma raramente ci si sbaglia …

Fonte: https://www.ilparagone.it/attualita/del-debbio-e-giordano-finiscono-in-castigo-ecco-come-la-tv-silenzia-le-voci-contro-il-green-pass/

I virologi piangono solo se zittiscono loro

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di Francesco Giubilei

Dopo mesi di marginalizzazione dal dibattito pubblico e mediatico di ogni voce che provasse ad avanzare dubbi sulla gestione della pandemia in Italia, anche i virologi gridano a una presunta censura nei loro confronti a causa di un ordine del giorno discusso in parlamento. Il coro unanime di Galli, Bassetti e Preglisco “no al bavaglio” arriva a causa dell’odg al Dl green pass bis che afferma: “I professionisti sanitari possono fornire informazioni relative alle disposizioni sulla gestione dell’emergenza sanitaria in corso su esplicita autorizzazione della propria struttura sanitaria”.
In poche parole i virologi e tutti i medici, prima di rilasciare dichiarazioni o interviste sui media, devono farsi autorizzare dall’azienda sanitaria in cui lavorano per “evitare di diffondere notizie o informazioni lesive per il Sistema sanitario Nazionale e di conseguenza per la salute dei cittadini”. Una proposta sulla carta sbagliata ma nata dopo un anno e mezzo di sovraesposizione mediatica in cui i virologi hanno detto tutto e il contrario di tutto nei principali media nazionali.
La levata di scudi dei virologi contro la presunta censura contraddice il loro silenzio nei mesi passati quando a non avere spazio erano voci critiche di molte decisioni legate al covid non da un punto di vista medico ma politico, sociale, economico e costituzionale. Numerosi giornalisti, costituzionalisti, intellettuali hanno avanzato legittimi dubbi sul green pass o su misure che mettono in discussione diritti costituzionali eppure, pur non addentrandosi in analisi di carattere medico, sono stati etichettati come no-vax e marginalizzati. Sarebbe stato importante anche in questo caso che i virologi si esprimessero contro la censura e il bavaglio. Eppure nei mesi passati non abbiamo sentito nessun appello alla libertà di parola e di dissenso su determinate scelte politiche.
Al contrario, ogni volta che qualche commentatore aveva l’ardire di contraddire le posizioni dei virologi, veniva tacciato come antiscientifico. Il problema è che nell’ultimo anno e mezzo molti di loro non si sono limitati a parlare di medicina o covid da un punto di vista scientifico ma sono diventati veri e propri tuttologi intervenendo quotidianamente su ogni tema e sostituendosi spesso alla politica. Abbiamo assistito al paradosso che, mentre i virologi accusavano commentatori a vario titolo di parlare a sproposito di medicina e di “dover studiare”, erano essi stessi a esprimersi su argomenti in cui deficitavano di una preparazione. Si sarebbero perciò dovuti accorgere prima che la libertà di parola va sempre difesa e non solo quando ad essere toccati sono i propri interessi.

L’intervista che Facebook censura: ecco cosa ha detto Trump in tv

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L’intervista a Donald Trump condotta dalla nuora Lara, moglie di Eric, è stata rimossa da Facebook. Prosegue la guerra dei Colossi Big Tech contro l’ex Presidente Usa. Ira dei repubblicani

di Roberto Vivadelli

L’ex Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump non solo non può avere un account su Facebook e Instagram – oltre a YouTube – ma non può nemmeno essere intervistato.

Non è un lontano mondo dispotico ma è la realtà che stiamo vivendo, dove i colossi Big Tech stanno, sempre di più, decidendo chi può prendere parola o meno, cosa è verità e cosa non lo è, in maniera del tutto arbitraria e pericolosamente ideologica, ovviamente a danno dei conservatori di tutto il mondo. Lara Trump, moglie del figlio del tycoon, Eric, ha intervistato suo suocero sulla sua pagina in un videoclip subito rimosso da Facebook. Come riporta l’agenzia Adnkronos, si tratta di un’ulteriore mossa adottata da Facebook nei confronti di Trump, dopo che a gennaio aveva chiuso il suo profilo Twitter in seguito all’assalto al Congresso da parte dei suoi sostenitori. “In linea con il blocco che abbiamo posto agli account Facebook e Instagram di Donald Trump, ulteriori contenuti pubblicati con la voce ‘Donald Trump’ verranno rimossi e comporteranno ulteriori limitazioni sull’account“, si legge in un’e-mail. Una decisione che Lara Trump ha definito “orwelliana”. “Stiamo andando verso 1984 di George Orwell, è proprio così” ha commentato sui social media. Continua a leggere

IL GRANDE DANTE ALIGHIERI E LA MALAFEDE DI CHI LO VORREBBE CENSURARE

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di Matteo Castagna

Fanno riflettere le proposte di vietare lo studio di Dante nelle scuole, con il pretesto che il pensiero dantesco sarebbe omofobo, antisemita e persino islamofobo. È evidente che l’avversione per le opere dantesche celi qualcos’altro. Forse le parole di Dante danno fastidio perché scuotono ancora le coscienze, perché sollevano il velo dell’ipocrisia e dell’ignoranza, e perché si scagliano contro i falsi messaggi che attirano gli uomini con l’ingannevole prospettiva di farli essere pienamente liberi, ma dietro ai quali è in realtà occultato l’obiettivo di instillare nella società modelli di vita egoici e talora contrari alla natura umana.

Di fronte ai discorsi fatti da coloro che vorrebbero eliminare lo studio di Dante dai programmi scolastici (e questo vale in generale anche per tutte le valide espressioni della cultura) non è possibile reagire dicendo “non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, perché quelle istanze ‒ che hanno il sapore di un moderno tentativo di censura ‒ vanno respinte con forza e al contempo devono sollecitare una profonda riflessione sull’omologazione di pensiero che da più parti si vorrebbe imporre. Gli attacchi alla cultura e soprattutto alle opere di alto valore morale, come insegna la storia, celano sempre obiettivi contrari alla legge divina e, per conseguenza, alla dignità umana. E, dunque, quale miglior conclusione lasciare a Dante, nel VII centenario dalla morte, come monito alla nostra gente: Avete il novo e l’l vecchio Testamento e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte… (V canto del Paradiso (74-81) )

Daniela Bianchini, del Centro Studi Livatino, analizza in maniera estremamente semplice e chiara la figura di Dante Alighieri, quale militante politico cattolico:

Egli puntò il dito con coraggio contro i mali della società, contro la degenerazione dei costumi e di una politica non orientata al bene comune, bensì al perseguimento di interessi personali. Attingendo alla morale naturale prima ancora che a quella cristiana, egli ebbe il merito di denunciare la corruzione dilagante, mostrandone le conseguenze infauste, in una visione comunitaria – di evidente ispirazione cristiana ‒ per cui la salvezza non può essere raggiunta attraverso un percorso solitario di redenzione, necessitando piuttosto dell’ impegno di tutti, nella consapevolezza della comune appartenenza a Dio, quali figli.

Nelle opere dantesche vi è l’esortazione a uscire dall’angusta prigione dell’egoismo per riscoprire la pienezza di una vita vissuta in pace e in armonia col prossimo, nell’interiorizzazione di quella che per i cristiani prende il nome di carità e che, per usare una categoria “laica”, è oggi più comunemente conosciuta come solidarietà. Dalle opere dell’Alighieri si coglie un aspetto rilevante della laicità: il suo stretto rapporto con l’impegno politico, a cui tutti i cristiani sono da Dio chiamati. Esso discende dall’essenza stessa del concetto di laicità, e nel corso dei secoli si è caricato di molti significati ed accezioni, non sempre correttamente riconducibili alle sue radici storiche. Nella visione dell’Alighieri, questo concetto viene sviluppato a partire dall’originario significato del termine, partendo dall’evangelico dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio, ossia, da una parte, dalla necessaria distinzione fra la sfera temporale e quella spirituale e, dall’altra ‒ conseguentemente ‒ dalla limitazione dell’agire umano che, in quanto legato all’ambito temporale, non può superare certi confini. Esistono principi intoccabili del diritto naturale e divino che non possono essere oggetto di voto senza correre il rischio di sovvertire l’identità del popolo, che, in sè, è un atto inaccettabile. 

In Dante si trova la giusta consapevolezza che ogni uomo è peccatore e come tale è limitato e imperfetto: su queste basi si sviluppa il suo pensiero sul rapporto fra il potere temporale ed il potere spirituale, e sull’ importanza di non mostrarsi passivi – con un evidente richiamo al monito presente negli Atti degli Apostoli ‒ innanzi ai mali della società, come dimostra anche la condanna degli ignavi, di cui al canto III dell’Inferno (vv. 22-69).

L’Alighieri all’età di trent’anni iniziò la sua attività politica, caratterizzata dalla convinta difesa dell’autonomia comunale contro ogni tipo di ingerenza esterna. Egli ricoprì incarichi importanti, fu membro del Consiglio Speciale del Popolo, del Consiglio dei Savi per l’ elezione dei Priori e del Consiglio dei Cento (il più importante organo amministrativo del Comune), fino ad essere eletto Priore, la massima carica di governo della città. Tuttavia i suoi avversari politici, i Neri, per riprendere il potere in città lo accusarono ingiustamente di baratteria (per usare categorie attuali, di corruzione, truffa e peculato), e per questo egli subì due processi e fu condannato in contumacia.

Dante ha mostrato gli effetti disastrosi cui conduce una politica non incentrata sulla giustizia, destinata a decadere in demagogia. La mente corre a quella «nave sanza nocchiere in gran tempesta» del canto VI del Purgatorio (v. 76), che fa tuttora riflettere, dopo sette secoli, sui pericoli cui va incontro una società priva di una guida capace di governare nel rispetto di Dio, della libertà e dell’equità sociale. Egoismo, avidità, idolatria del potere e della ricchezza, sovvertimento dell’ordine naturale: sono questi i mali che finiscono con l’affliggere una società smarrita.

Laicità e partecipazione politica sono temi strettamente legati, come si ricava dall’episodio del tributo, dalla Lettera ai Romani o dalla Prima Lettera di Pietro, e interessanti spunti si ritrovano nella Divina Commedia.

Si pensi al canto III dell’Inferno, noto per il riferimento a colui che fece per viltade il gran rifiuto, espressione su cui molto è stato scritto, ma che in questa sede cede il passo agli altri protagonisti del canto: le anime degli ignavi, costrette, nell’applicazione di un rigoroso contrappasso, a inseguire un’insegna bianca priva di significato. Per queste anime, di cui nel mondo non è rimasto ricordo, Dante mostra un atteggiamento che va oltre il rimprovero e il disappunto morale, tanto che li colloca nell’Antinferno, non senza offrire al lettore un’esplicita motivazione. Gli ignavi, infatti, essendo vissuti sanza ‘nfamia e sanza lodo, insensibili a ogni forma di interesse politico o religioso, sono stati addirittura respinti dall’inferno, per timore che potessero diventare motivo di vanto e di compiacimento per gli altri dannati, così che, nel luogo loro assegnato dopo la morte, ‘nvidiosi son d’ogne altra sorte (Inf.,III,v.48). Vien da chiedersi, oggi, quanti si siano definiti e definiscano “moderati” proprio perché, in realtà, ignavi?

Severo è dunque il giudizio dell’Alighieri per coloro che in vita si sono sottratti agli impegni e alle responsabilità naturalmente legate all’esistenza umana e al vivere sociale, disprezzando il grande dono del libero arbitrio fatto da Dio all’uomo quale più alta testimonianza del suo amore e della sua fedeltà.

Dante vede in una vita priva di slanci e di partecipazione, in una vita passiva incentrata sulla mera coltivazione dei propri interessi e del proprio comodo, il rifiuto e il disprezzo non solo di quel prezioso dono – fonte di tutte le libertà ‒ ma anche della stessa natura umana:fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza”, dirà poi Dante per bocca di Ulisse nel canto XXVI dell’Inferno (vv. 119-120); a insistere sul fatto che l’uomo, dotato da Dio di libertà e di ragione, è tenuto a vivere pienamente e a mettere a frutto quanto ricevuto.

Come Dante ha più volte ribadito, non bisogna abituarsi alla corruzione, alle ingiustizie, ai soprusi come se fossero accessori naturali del vivere sociale: l’uomo ha il diritto di essere felice e per fare questo deve combattere contro la cupidigia, ossia contro tutti quei vizi e quei mali che affliggono la società ed ostacolano il cammino verso la felicità terrena e, cosa più importante, verso la beatitudine celeste. Una società fondata sull’egoismo e sull’individualismo non può portare buoni frutti, non può garantire un sano sviluppo di tutti e di ciascuno, ma può soltanto contribuire ad accrescere separazione ed indifferenza, ossia i germi dell’odio e dei conflitti.

Dante ha avuto il coraggio di dire a voce alta che esistono dei confini invalicabili che l’uomo non deve superare e che ogni sua azione determina una conseguenza, nel bene o nel male.

La sua attualità è legata soprattutto alla trasmissione dell’universale messaggio di fede, onestà e di giustizia che zampilla dalle sue opere e in particolare dalla Divina Commedia. In un mondo, quale quello attuale, con particolare riferimento al panorama europeo, dove vi è la tendenza sempre più forte alla superficialità, al consumismo, all’individualismo, dove le quotidiane relazioni umane sono sempre più spesso sostituite dalle relazioni “virtuali” – a testimonianza, non di rado, dell’incapacità di entrare veramente in relazione con l’altro ‒ è importante, soprattutto per i più giovani, tornare a leggere pagine cariche di valori, di umanità, di esortazione a non perdersi dietro false felicità e di non rinchiudersi nella gabbia dell’egoismo, ma di coltivare il rispetto per l’altro, nel perseguimento della pace e della giustizia nella verità, per essere sempre inclusivi in essa, ma divisivi nei confronti degli errori e dei peccati. 

 

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