Assassinato Andriy Parubiy ex presidente del Parlamento ucraino e segretario del Consiglio di sicurezza nazionale ucraino

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di Claudio Verzola

Il 30 agosto 2025, Andriy Parubiy, ex presidente del parlamento ucraino e figura chiave del Maidan, cammina per le strade di Leopoli. Un corriere della piattaforma di consegne Glovo si avvicina. In pochi secondi, otto colpi di pistola pongono fine alla vita di uno dei più controversi architetti dell’Ucraina post-2014. L’assassino fugge su una bicicletta elettrica, lasciando dietro di sé non solo un cadavere, ma una domanda che scuote le fondamenta del potere ucraino: chi sta eliminando sistematicamente le figure del nazionalismo radicale?

L’omicidio di Parubiy non è un evento isolato. È il terzo anello di una catena di sangue che si dipana da oltre un anno attraverso l’Ucraina occidentale, tradizionalmente considerata la zona più sicura del paese. Prima di lui, il 19 luglio 2024, era toccato a Iryna Farion, ex deputata ultranazionalista e linguista radicale, uccisa con un colpo alla testa davanti alla sua casa di Leopoli. Poi, il 14 marzo 2025, Demyan Hanul, attivista di estrema destra ed ex leader di Settore Destro a Odessa, venne giustiziato in pieno giorno nel centro della città portuale.

Un modus operandi che racconta una storia

L’analisi di questi tre omicidi rivela un pattern inquietante che va oltre la semplice coincidenza. Tutti e tre i bersagli erano figure controverse del nazionalismo ucraino, con un passato legato all’estrema destra. Tutti e tre sono stati eliminati con esecuzioni professionali in luoghi pubblici, quasi a voler mandare un messaggio. E, particolare ancora più significativo, sia Hanul che Parubiy avevano richiesto protezione statale nelle settimane precedenti alla loro morte, protezione che era stata sistematicamente negata.

Il deputato ucraino Artem Dmytruk ha rivelato che Parubiy aveva chiesto protezione solo due mesi prima di essere ucciso. Una richiesta respinta che solleva domande scomode: le autorità sapevano e hanno scelto di non agire? O peggio, c’era un interesse attivo nel lasciare questi individui esposti?

Le ipotesi sul tavolo: un labirinto di possibili mandanti

La pista della pulizia politica interna

L’ipotesi più credibile, secondo diversi analisti, punta verso una sistematica eliminazione della “vecchia guardia” nazionalista orchestrata dall’interno dell’establishment ucraino. L’ambasciatore russo Rodion Miroshnik, pur rappresentando una fonte di parte, ha offerto un’interpretazione che trova eco anche in ambienti neutrali: i politici ucraini stanno “ripulendo il campo politico dai vecchi banderisti in previsione di ipotetiche elezioni”.

Questa teoria trova sostegno in diversi elementi concreti. Parubiy era membro del partito Solidarietà Europea dell’ex presidente Petro Poroshenko, principale oppositore di Zelensky. Nel febbraio 2025, Zelensky aveva imposto sanzioni proprio contro Poroshenko, includendo il congelamento dei beni e altre restrizioni. La tensione tra il governo attuale e l’opposizione nazionalista ha raggiunto livelli che molti considerano pericolosi per la stabilità del paese.

L’ombra lunga di Odessa 2014

Ma c’è un’altra pista, forse ancora più inquietante, che riporta a uno dei capitoli più oscuri della storia recente ucraina: la tragedia di Odessa del 2 maggio 2014. In quel giorno, 48 persone morirono, di cui 42 nell’incendio della Casa dei Sindacati, durante scontri tra filo-russi e nazionalisti ucraini. Né Parubiy, allora segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale, né Hanul, attivo negli scontri come leader nazionalista, furono mai processati per il loro ruolo in quella tragedia.

Nel marzo 2025, pochi giorni dopo l’omicidio di Hanul, la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Ucraina per il fallimento delle indagini su Odessa, ordinando compensi alle famiglie delle vittime. Dopo oltre un decennio di impunità, qualcuno potrebbe aver deciso di farsi giustizia da solo. Le famiglie delle vittime, gruppi di vendetta, o anche organizzazioni più strutturate potrebbero aver identificato in questi tre individui dei bersagli simbolici per una vendetta a lungo covata.

La guerra intestina dell’ultradestra

Un’ulteriore dimensione emerge dall’analisi delle dinamiche interne all’estrema destra ucraina. Il gruppo neonazista americano “White Phoenix” ha rivendicato l’assassinio di Parubiy attraverso la sua ala ucraina, accusandolo di aver tradito gli ideali del nazionalismo puro per unirsi “al campo degli oligarchi corrotti”. Questa rivendicazione, seppur non verificata, illumina le profonde fratture all’interno del movimento ultranazionalista ucraino.

L’ecosistema dell’estrema destra ucraina è infatti un mosaico frammentato di gruppi in competizione: Azov, Settore Destro, Svoboda, Corpo Nazionale. Ognuno con i propri sponsor, le proprie ambizioni, i propri territori. In questo contesto, l’eliminazione di figure di spicco potrebbe essere parte di una guerra intestina per il controllo delle risorse e dell’influenza politica.

Gli elementi che potrebbero supportare un coinvolgimento russo

La Russia aveva sicuramente motivi per volere questi tre individui morti. Parubiy era nella lista dei ricercati russi dal 2023, accusato formalmente per il suo ruolo nell’offensiva del Donbass che, secondo Mosca, causò oltre 1.200 vittime civili. La Russia lo aveva anche incriminato in contumacia per crimini di guerra. Similmente, Demyan Hanul era stato arrestato in absentia da un tribunale di Mosca nell’estate del 2024, e fonti russe avevano persino pubblicato informazioni personali sulla sua famiglia, offrendo una taglia di 10.000 dollari per un attacco contro di lui.

C’è un precedente importante che va considerato: nel caso Hanul, le indagini ucraine hanno effettivamente scoperto che i servizi speciali russi avevano pianificato l’eliminazione di diversi attivisti pro-ucraini. Il processo contro Mykola Maiorenko, iniziato nel giugno 2025, ha rivelato che aveva ricevuto l’ordine di uccidere Hanul già nel settembre 2024, suggerendo una pianificazione a lungo termine che potrebbe essere coerente con operazioni di intelligence.

Dal punto di vista della guerra dell’informazione, questi omicidi servirebbero perfettamente la narrativa russa. Eliminare figure dell’ultranazionalismo ucraino mentre si mantiene la plausibile negabilità permetterebbe a Mosca di destabilizzare l’Ucraina dall’interno, creare paranoia e sfiducia tra le fazioni nazionaliste, e potenzialmente indebolire il morale delle unità paramilitari più ideologizzate.

Le significative difficoltà operative che rendono questa ipotesi problematica

Tuttavia, ci sono ostacoli sostanziali che rendono l’ipotesi russa meno probabile di quanto possa sembrare inizialmente. Il primo e più importante è la questione della capacità operativa. Condurre tre assassini di alto profilo nell’Ucraina occidentale, in città come Leopoli e Odessa dove il sentimento anti-russo è al massimo e la presenza dei servizi di sicurezza ucraini è capillare, richiederebbe una rete di intelligence profondamente radicata e risorse umane locali affidabili.

Consideriamo la logistica: l’assassino di Parubiy era travestito da corriere Glovo, il che implica accesso a uniformi, conoscenza dettagliata delle abitudini della vittima, e la capacità di muoversi liberamente in una città in stato di guerra. Questi non sono dettagli che si possono organizzare facilmente dall’esterno. Richiedono presenza sul terreno, informatori locali, safe house, vie di fuga preparate. In un contesto dove anche parlare russo per strada può attirare sospetti, mantenere una tale rete operativa sarebbe estremamente difficile.

L’elemento più rivelatore: la protezione negata

L’aspetto che più di tutti mette in dubbio la pista russa è il fatto che sia Hanul che Parubiy avessero richiesto protezione statale che era stata deliberatamente negata. Se le autorità ucraine avessero anche solo sospettato una minaccia russa credibile contro figure così prominenti del nazionalismo ucraino, la logica suggerirebbe che avrebbero fornito protezione, se non altro per evitare che la Russia potesse vantare successi operativi sul territorio ucraino.

Il fatto che la protezione sia stata negata suggerisce invece che le autorità ucraine o non percepivano la minaccia come proveniente dalla Russia, o avevano ragioni per permettere che questi individui rimanessero vulnerabili. Questa seconda possibilità punta molto più verso dinamiche interne che verso operazioni esterne.

Il paradosso strategico

C’è poi un paradosso strategico nell’ipotesi russa che merita considerazione. Questi tre individui, per quanto odiosi alla Russia, erano anche figure divisive all’interno dell’Ucraina stessa. Farion con le sue posizioni estremiste sulla lingua alienava i russofoni ucraini. Parubiy con il suo passato neonazista era un problema di immagine per l’Ucraina in Occidente. Hanul con le sue azioni violente creava tensioni a Odessa.

In un certo senso, mantenerli in vita serviva meglio la narrativa russa dell’Ucraina come stato “nazista” di quanto non faccia la loro eliminazione. Morti, diventano martiri per la causa nazionalista. Vivi, erano esempi viventi che la Russia poteva citare per giustificare la sua “operazione speciale”.

Il caso Shalaiev: una rivelazione cruciale

L’elemento forse più significativo contro l’ipotesi russa viene dal caso dell’assassinio di Hanul. Il killer, Serhii Shalaiev, era un soldato ucraino che credeva di eseguire ordini del SBU. Questo dettaglio è fondamentale: suggerisce che l’operazione utilizzava canali e metodi che imitavano le procedure dei servizi ucraini, qualcosa di molto più compatibile con un’operazione interna o una false flag ucraina piuttosto che con un’operazione russa.

Se fosse stata un’operazione russa, ci si aspetterebbe che utilizzassero i propri asset dormienti o agenti sotto copertura, non militari ucraini manipolati attraverso false credenziali del SBU. La complessità aggiuntiva di impersonare i servizi di sicurezza ucraini per reclutare un militare ucraino aggiungerebbe livelli di rischio non necessari a un’operazione già di per sé rischiosa.

Il caso Hanul: quando l’assassino credeva di servire lo stato

Il caso dell’omicidio di Demyan Hanul offre uno squarcio particolarmente inquietante su queste dinamiche. L’assassino, Serhii Shalaiev, un militare disertore di 46 anni, si è dichiarato colpevole ma con una rivelazione scioccante: secondo le testimonianze, credeva di eseguire un incarico del SBU, i servizi di sicurezza ucraini. I contatti con gli organizzatori erano avvenuti attraverso metodi di intimidazione e reclutamento che mimavano le procedure dei servizi segreti.

Questa rivelazione apre scenari da guerra psicologica: operazioni false flag interne, manipolazione di individui instabili per eliminare bersagli scomodi, plausibile negabilità per lo stato. Se confermata, questa modalità operativa suggerirebbe un livello di cinismo e calcolo politico che supera anche le più pessimistiche previsioni sulla deriva autoritaria del governo ucraino in tempo di guerra.

I testimoni scomodi di crimini mai processati

C’è poi l’ipotesi, meno immediata ma non meno plausibile, che vede questi tre individui come testimoni scomodi di eventi che qualcuno preferisce rimangano sepolti. Parubiy era stato accusato di coinvolgimento nell’organizzazione dei cecchini che spararono sia sui manifestanti che sulla polizia durante il Maidan, un evento chiave che accelerò la caduta del governo Yanukovich ma le cui responsabilità rimangono oscure.

Tutti e tre potrebbero aver posseduto informazioni compromettenti su finanziamenti occulti ai gruppi paramilitari, collegamenti con servizi segreti occidentali, o crimini di guerra commessi nel Donbass. In un contesto dove si inizia a parlare sottovoce di possibili negoziati di pace, la loro eliminazione potrebbe essere parte di una “pulizia” preventiva per rimuovere elementi che potrebbero complicare future trattative o rivelare verità scomode.

L’Ucraina di fronte allo specchio

Questi omicidi, indipendentemente da chi ne sia il mandante, rivelano una verità inquietante sull’Ucraina contemporanea: la violenza che il paese ha scatenato e legittimato in nome del patriottismo e della difesa nazionale sta ora rivolgendosi contro i suoi stessi creatori. È la nemesi di un sistema che ha elevato la violenza politica a strumento legittimo di azione, che ha armato e glorificato gruppi paramilitari, che ha chiuso gli occhi su crimini in nome della causa nazionale.

Il fatto che le autorità abbiano negato protezione a individui chiaramente minacciati suggerisce, nel migliore dei casi, una colpevole negligenza; nel peggiore, una complicità attiva. In entrambi i casi, emerge l’immagine di uno stato che ha perso il controllo monopolistico della violenza, o che lo esercita in modo selettivo e politicamente motivato.

Il prezzo del silenzio

Mentre l’operazione “Siren” continua la caccia all’assassino di Parubiy, e mentre i tribunali ucraini processano a porte chiuse gli assassini di Farion e Hanul, le domande fondamentali rimangono senza risposta. Chi ha ordinato queste esecuzioni? Quali segreti sono morti con queste tre figure controverse? E soprattutto, chi sarà il prossimo?

Le autorità ucraine mantengono un silenzio assordante sui possibili moventi, limitandosi a dichiarazioni di circostanza sulla necessità di trovare i colpevoli. Ma in un paese dove la giustizia per la tragedia di Odessa non è mai arrivata, dove i crimini del Maidan rimangono impuniti, dove la guerra ha normalizzato la violenza come strumento politico, forse la vera domanda non è chi ha ucciso Farion, Hanul e Parubiy, ma piuttosto: in un sistema costruito sulla violenza e l’impunità, c’è davvero differenza tra carnefici e vittime?

L’Ucraina si trova di fronte a uno specchio che riflette le conseguenze delle scelte fatte dal 2014 in poi. L’eliminazione sistematica di figure del nazionalismo radicale, che siano opera di vendette private, lotte intestine o calcoli di stato, rappresenta il culmine tragico di un processo di radicalizzazione e militarizzazione della politica che ora divora i suoi stessi figli. In questo senso, indipendentemente dall’identità dei mandanti, questi omicidi rappresentano il fallimento di un’intera classe politica che ha scelto la strada della violenza come soluzione ai problemi del paese.

La storia insegna che le rivoluzioni finiscono spesso per divorare i propri figli. L’Ucraina del 2025 sembra confermare questa amara verità, con una variante particolarmente crudele: in questo caso, non è chiaro se sia la rivoluzione a divorare i suoi figli, o se siano i figli della rivoluzione a divorarsi tra loro, mentre il paese sprofonda sempre più nel baratro di una guerra che sembra non avere fine.

Fonte: https://www.difesaonline.it/2025/08/31/assassinato-andriy-parubiy-ex-presidente-del-parlamento-ucraino-e-segretario-del-consiglio-di-sicurezza-nazionale-ucraino/

Mercenari e PMC nel conflitto Ucraino

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di Claudio Verzola

La guerra in Ucraina ha ridefinito l’architettura della guerra moderna, dal ritorno alle trincee alla comparsa dei droni  il conflitto è divenuto un laboratorio anche per l’impiego massiccio di forze irregolari.

La Russia ha trasformato il suo militare in una macchina da guerra ibrida, con unità irregolari istituzionalizzate sotto controllo statale e schierate su larga scala, rappresentando fino al 40% delle truppe russe comandate ora schierate contro l’Ucraina.

In Ucraina dopo la rivoluzione di Euromaidan del 2013-2014 e l’inizio dell’intervento russo nell’Ucraina orientale, il governo ucraino si trovò di fronte a una situazione critica: le forze armate regolari erano mal preparate, mal equipaggiate e carenti di morale e spirito combattivo. In risposta a questa crisi, dalla primavera del 2014 in poi emersero oltre 79 battaglioni volontari semi-autonomi, finanziati privatamente e operanti inizialmente al di fuori del controllo governativo diretto.

Battaglioni volontari principali (Ucraina)

Nome Fondazione Fondatore/Comandante Personale (Picco) Affiliazione Politica Status Attuale Finanziamento Iniziale
Azov Battalion/Regiment maggio 2014 Andriy Biletsky 900-2.500 Patriot of Ukraine, SNA (neo-nazista) 12ª Brigata Forze Speciali Guardia Nazionale Serhiy Taruta (oligarca)
Aidar Battalion maggio 2014 Serhiy Melnychuk ~400 Misto (primi volontari Euromaidan) 24° Battaglione d’Assalto Forze Armate Ihor Kolomoisky (oligarca)
Right Sector (DUK) luglio 2014 Dmytro Yarosh 2.000-5.000 Right Sector (ultranazionalista) 67ª Brigata Meccanizzata (sciolta apr 2024) Autofinanziamento, donazioni
Dnipro-1 aprile 2014 Yuriy Bereza ~500 Pro-governativo Polizia/Guardia Nazionale Ihor Kolomoisky
Dnipro-2 2014 ~300-400 Right Sector (inizialmente) Integrato in strutture regolari Kolomoisky
Donbas Battalion 2014 Semen Semenchenko 800+ Nazionalista-patriottico Guardia Nazionale Kolomoisky
Kryvbas Battalion 2014 ~500 Regionale (Kryvyi Rih) 40° Battaglione Difesa Territoriale Privato/regionale
Sich Battalion 2014 Oleksandr Pysarenko ~500 Svoboda (nazionalista) Integrato nelle Forze Armate Partito Svoboda
OUN (Organizzazione Nazionalisti Ucraini) 2014 Andriy Pastusheno ~300-500 OUN storica Sottounità 93ª Brigata Meccanizzata Autofinanziamento

PMC e formazioni irregolari Russe

Nome Status/Affiliazione Personale Aree Operative Caratteristiche Distintive Note/Status Attuale
Wagner Group (PMC Wagner) Ex-PMC privata → Frammentata post-2023 ~50.000 (picco 2023) Ucraina, Siria, Africa, Donbas (2014-2023) Prima grande PMC russa, veterani spetsnaz e GRU Frammentata dopo ribellione Prigozhin (giugno 2023)
Redut Controllata da GRU/Intelligence militare 25.000+ in 27 battaglioni Ucraina, Africa, Medio Oriente Successore principale di Wagner, network di 20+ formazioni Principale PMC russa attiva post-Wagner
Patriot PMC privata modellata su Blackwater ~500-1.000 Ucraina, Sudan, Gabon, CAR Solo ex-militari giovani, paga $2.500/mese Fondata da ex-Colonnello Generale Leonid Ivashov
Rusich (DSHRG) Gruppo paramilitare neo-nazista autonomo 200-300 Ucraina, ex-Siria Ideologia fascista, specializzata in sabotaggio Opera indipendentemente, ex-legata a Wagner
Uran Battalion PMC di Roscosmos (agenzia spaziale) ~300-500 Non dispiegato in combattimento Owned da agenzia spaziale russa, bonus $1.200 Creata per attrarre ex-Wagner, non ancora combattuto
Storm-Z Unità d’assalto penali del MoD 10.000-15.000 Fronte ucraino Prigionieri e criminali, missioni suicide Alto tasso mortalità, “carne da cannone”
Orthodox Brotherhood PMC legata alla Chiesa Ortodossa ~500-1.000 Ucraina Motivazione religiosa, “proteggere Russia cristiana” Collegata alla Chiesa Ortodossa Russa
Konvoy PMC di Crimea/Duplice status 300 combattenti Crimea, Ucraina Dual status: PMC + Combat Army Reserve Led da ex-Wagner “Mazai” Pikalov, terra promessa
Ural PMC PMC oligarca Igor Altushkin ~1.000 Fronte Kreminna Volontari degli Urali, blocked da Wagner su reclutamento carceri Fondata da oligarca russo Igor Altushkin
Arbat Battalion Formazione DPR con ex-Wagner ~500-800 Avdiivka direction Contiene distaccamento quasi interamente ex-Wagner Founder Armen Sarkisian ucciso esplosione Mosca (feb 2025)

Battaglioni regionali e volontari (Russia)

Nome Regione Personale Finanziamento Ruolo Note
Alga Battalion Tatarstan ~1.000-2.000 Budget regionale + donazioni private Fanteria d’assalto Parte rete battaglioni etnici
Timer Battalion Tatarstan ~800-1.500 Budget regionale Supporto operazioni Alto tasso casualità minoranze etniche
BARS-Kursk Regione Kursk ~2.000-3.000 Combat Army Reserve + regionale Difesa territoriale + spedizioni Dual status: locale + expeditionary
BARS-Belgorod Regione Belgorod ~2.000-3.000 Combat Army Reserve + regionale Difesa territoriale + spedizioni Framing come “unità difesa territoriale”
Battaglioni Ceceni Cecenia (Kadyrov) ~19.000 totale Ramzan Kadyrov/budget Ceceno Operazioni speciali e propaganda Lealtà personale a Kadyrov, non MoD

Sistema Dobrokor (volunteer corps)

Categoria Descrizione Bonus Contratto Status Legale Caratteristiche
Dobrokor Standard Volontari civili 1 anno $6.300-$20.400 Contractor MoD civile Nessuna protezione militare standard
Combat Army Reserve Sistema formale volontari $10.000-$15.000 Semi-militare Alcuni diritti militari, catena comando mista
Reclutamento Carcerario Prigionieri volontari $3.000-$8.000 Civile temporaneo Promessa libertà, alto tasso mortalità
Mercenari Stranieri 1.500+ da 48 paesi $2.000-$5.000 Varia per nazionalità 603 dal Nepal, centinaia da Asia Centrale

Il sistema Dobrokor: Istituzionalizzazione dell’Irregolarità

Gli sforzi per consolidare questa forza frammentata iniziarono nel 2023 quando Redut e l’Unione dei Volontari del Donbas si riunirono nella Mariupol occupata per creare il cosiddetto “Corpo Volontario Russo”, un quadro lasco collegato all’intelligence militare che unisce dozzine di formazioni irregolari.

Il sistema Dobrokor rappresenta una forma di contratto militare che offre incentivi economici significativi: I bonus di iscrizione per un contratto di un anno vanno da 6.300 a 20.400 dollari a seconda della regione, creando un mercato del lavoro militare parallelo che attinge da prigionieri, veterani, lavoratori migranti e minoranze etniche.

Questa strategia offre a Mosca diversi vantaggi tattici e politici:

Logoramento senza costi politici: L’esternalizzazione delle operazioni belliche alle formazioni irregolari consente a Mosca di condurre una guerra prolungata di logoramento isolandosi dal contraccolpo interno. Assegnate sproporzionatamente a settori di prima linea ad alta casualità e basso supporto, queste unità servono come fanteria sacrificabile.

Negabilità plausibile: Le formazioni irregolari operano in una zona grigia legale che permette operazioni non rivendicate e missioni politicamente sensibili senza coinvolgimento ufficiale delle forze regolari.

Flessibilità operativa: Questa forza eterogenea di paramilitari, mercenari, veterani e criminali è inadatta per guerre di manovra decisive o campagne sostenute senza il supporto delle forze regolari. Tuttavia, fornisce al Cremlino chiari vantaggi strategici e operativi.

L’Ucraina e il dilemma delle PMC

A differenza della Russia, l’Ucraina ha mantenuto un approccio più cauto verso le PMC. La legge ucraina non prevede la costituzione di compagnie militari private e in teoria vieta la creazione di formazioni paramilitari o armate. Tuttavia, diverse organizzazioni all’interno del paese affermano di essere PMC di fatto e hanno operato in una zona grigia legale.

I Tentativi di legalizzazione
Negli ultimi anni, tre progetti di legge sono stati mirati a legalizzare le società di consulenza militare e le aziende di difesa internazionale in Ucraina, con l’ultimo introdotto nell’aprile 2024. Questi sforzi legislativi riflettono la crescente consapevolezza che l’Ucraina potrebbe aver bisogno di strumenti simili per competere efficacemente.

La Presenza Straniera in Ucraina
Mentre l’Ucraina sviluppa le proprie capacità, ha fatto affidamento su contractor stranieri. Le stime suggeriscono che fino a 3.000 mercenari stanno combattendo per conto del governo ucraino. Di questi, almeno 300 sono dipendenti di PMC statunitensi, incluse aziende come Forward Observations Group (FOG) e DynCorp International.

Russia :truppe regolari vs mercenari, differenze tattiche e strategiche

Vantaggi delle forze irregolari

Flessibilità operativa: Se pensi a loro come contractor (anche se con le armi) allora il ragionamento per averli diventa più chiaro. Diciamo che eri un manager di un’attività ciclica. Non terresti il numero massimo di dipendenti sui tuoi libri tutto l’anno. Non avrebbe senso finanziario.

Efficienza dei costi: Secondo uno studio del Congressional Budget Office, il costo di mantenimento, in tempo di guerra, di un battaglione regolare si aggirerebbe ad un costo di quasi 110 milioni di dollari rispetto ad una unità contractor privata che andrebbe a pesare per un totale di 99 milioni.

Negabilità politica: John-Clark Levin, un esperto di sicurezza marittima privata, ha detto dell’uso di contractor privati:

‘I contractor di sicurezza privata permettono ai politici di spostare alcune delle loro attività militari fuori dai libri in termini di supervisione e responsabilità politica’.

Svantaggi critici

Erosione del professionalismo: Questo modello ibrido comporta seri rischi. Accelera l’erosione del professionalismo all’interno delle forze armate regolari russe, poiché la maggior parte dei volontari subisce addestramento abbreviato e bypassa il controllo medico e psicologico richiesto dalle reclute regolari.

Frammentazione del Comando: Inoltre, le formazioni irregolari operano sotto lealtà conflittuali. Alcune rispondono a ufficiali dell’intelligence militare, altre a potentati regionali come Ramzan Kadyrov o a sponsor privati. Le catene di comando sovrapposte alimentano attriti, diluiscono la disciplina e interrompono la logistica.

Limitazioni tattiche: PMC o mercenari degraderanno la strategia complessiva delle operazioni militari se non comunicano con l’esercito nella stessa AO. PMC contrattate da uno stato potrebbero aver bisogno di supporto nelle zone di conflitto, aumentando il peso sulle operazioni di combattimento per supportare i contractor.

PMC in Europa e in Italia

L’Europa presenta un panorama estremamente frammentato nel settore delle PMC, con approcci nazionali che variano drasticamente tra regolamentazione permissiva (Regno Unito), controllo ristretto (Germania), pragmatismo selettivo (Francia) e divieto sostanziale (Italia). Questa frammentazione crea distorsioni competitive e zone grigie legali che favoriscono operatori extra-UE.

Tabella delle principali PMC Europee

Regno Unito (UK)

Azienda Fondazione Personale Fatturato Annuo Servizi Principali Aree Operative Status Attuale
G4S plc 2004 (fusione) 620.000+ €12+ miliardi Sicurezza armata, prigioni private, base militari Globale (125+ paesi) Maggiore PMC mondiale per fatturato
Aegis Defence Services 2002 ~5.000-10.000 ~€500 milioni Protezione diplomatica, addestramento, intelligence Iraq, Afghanistan, Africa, Medio Oriente Controllata da GardaWorld (Canada) 2015
Control Risks Group 1975 ~3.000 ~€300 milioni Risk management, intelligence commerciale, crisis response Globale Azienda specializzata in intelligence
Defence Systems Limited 1981 ~1.000-2.000 ~€100-200 milioni Addestramento forze armate, consulenza militare Africa, Medio Oriente Acquisizioni multiple
Keeni-Meeny Services 1975 ~500-1.000 Non disponibile Servizi speciali governo, anti-terrorismo Classificato Strettissimi legami MI6/SAS

Francia

Azienda Fondazione Personale Caratteristiche Aree Focus Status/Note
Secopex 2003 ~200-500 Fondata da veterani forze speciali Libia, Africa Occidentale Presidente ucciso in Libia 2011
Amarante International 2008 ~300-800 Certificazione ISO 18788, membro ICoCA Iraq, Afghanistan, Africa Una delle poche certificate UE
GEOS Group 2005 ~400-600 Membro affiliato ICoCA Medio Oriente, Africa Sicurezza diplomatica
Groupe Corpguard 2006 ~200-400 Certificazione ISO 18788, addestramento militare Africa, addestramento estero Fondata da ex-Secopex
Barril Group 1995 ~100-200 Protezione personale VIP Francia, internazionale Fondata da ex-GIGN

Germania

Azienda Fondazione Personale Controversie Status Note
Asgaard German Security Group 2007 ~100-300 Affari Somalia 2010, dibattito Bundestag Operativa ma controversa Sede Hereford (UK), accademia Germania
Altri operatori Vari <100 ciascuno Limitazioni legali severe Frammentati Mercato domestico ristretto

Altri paesi UE

Paese Aziende Principali Caratteristiche Limitazioni
Paesi Bassi Aziende logistiche/supporto Focus trasporti, logistica militare No combat operations
Belgio Piccoli operatori regionali Servizi di supporto Mercato limitato
Spagna/Portogallo Operatori locali Africa Legami ex-colonie Mercato di nicchia
Paesi Nordici Quasi assenti Filosofia neutralità/pace Opposizione culturale PMC

Europa e Italia: È tempo di ripensare le PMC?

L’Europa si trova significativamente indietro nell’ecosistema delle PMC globali. Mentre l’UE non ha una definizione ufficiale singola delle compagnie di sicurezza private o dei loro servizi, due istituzioni chiave dell’UE hanno già pesato nel dibattito definitorio. Nel Concetto UE 2014 per il Supporto dei Contractor alle operazioni militari guidate dall’UE, il Consiglio dell’Unione Europea ha offerto due definizioni separate per PSC e PMC, sottolineando che “l’UE non impiegherà PMC in nessuna circostanza”.

L’Italia si trova in una situazione paradossale: mentre la legislazione nazionale vieta formalmente l’attività mercenaria e non riconosce le PMC, diverse realtà imprenditoriali italiane operano de facto nel settore della sicurezza militare privata, spesso attraverso strutture societarie complesse, partnership internazionali o operando all’estero sotto giurisdizioni più permissive, in un prossimo articolo faremmo un focus su queste realtà.

Esiste in Italia un vuoto legislativo, cosa inconcepibile in un sistema mondiale dove la privatizzazione della sicurezza è ormai qualcosa del tutto regolamentata e assodata. Ad oggi, sia la legge antipirateria in mare, sia quella che riguarda gli Istituti di Vigilanza, sono comunque così complesse che le nostre maggiori aziende multinazionali che operano fuori dai confini nazionali sono, spesso, costrette a ricorrere prevalentemente alle cosiddette PMC straniere.

Per il nostro Paese, il Documento di Montreux del 17 settembre 2008 segna uno spartiacque importante per tutta la componente di diritto internazionale legata alle PMSC. L’Italia l’ha firmato e si deve adeguare a quanto sottoscritto, ma la mancanza di una legislazione specifica continua a penalizzare le aziende italiane.

Ultime considerazioni sul nostro paese, l’Italia dovrebbe sviluppare una legislazione specifica che distingua chiaramente tra:

  • Attività mercenarie illegali (combattimento diretto per profitto)
  • Servizi di sicurezza privata legittimi (protezione, consulenza, addestramento)
  • Support contractor (logistica, intelligence non operativa)

Occorrerebbe mettere mano alle proposte attualmente sul tavolo ed integrarle tenendo conto delle esigenze del sistema paese delle ambizioni geopolitiche, e delle realtà operative e dell’industria della sicurezza privata Italiana, ( ancora regolamentata da Regi Decreti ) … funestata da un alto tasso di abusivismo ed ambiguità normative che consentono a soggetti diversi di operare nei medesimi mercati, vedasi l’impiego di personale “volontario” all’interno della sicurezza disarmata.

Mettere mano alle norme in un paese poco incline a prevedere i futuri scenari ed inchiodato da sempre in una gestione emergenziale delle problematiche legate alla sicurezza, appare un’impresa ardua, quasi impossibile, ma in mancanza di progettualità si allargano sempre più le “aree grige”, si impedisce al mercato di crescere e si continuano a favorire le aziende straniere anche laddove, vedasi aziende di interesse strategico nazionale operanti all’estero, sarebbe più che opportuna la creazione di dispositivi di protezione nazionali capaci di salvaguardare non solo l’incolumità fisica ma anche le informazioni.

Il conflitto ucraino ha dimostrato che anche se la guerra in Ucraina finisse domani, queste strutture persisterebbero. Le formazioni irregolari sono ora integrate nel vasto sistema di servizi militari e di sicurezza della Russia. Questo nuovo paradigma bellico non è un fenomeno temporaneo, ma rappresenta una trasformazione strutturale della guerra moderna.

Per l’Italia e l’Europa, ignorare questa realtà significherebbe rimanere strategicamente vulnerabili in un mondo dove la guerra ibrida è diventata la norma. Non si tratta di “militarizzare” la società civile, ma di riconoscere che la sicurezza moderna richiede strumenti flessibili e capacità diversificate che vadano oltre le forze armate tradizionali.

La sfida non è se adottare strumenti simili alle PMC, ma come farlo mantenendo i valori democratici, la trasparenza e l’accountability che distinguono le democrazie occidentali dai regimi autoritari. La guerra in Ucraina ha mostrato che il futuro appartiene a chi saprà integrare efficacemente capacità statali e private in una strategia di sicurezza coerente e sostenibile.

L’Italia ha l’opportunità di posizionarsi come leader europeo in questo campo, sviluppando un modello che bilanci efficacia operativa e valori democratici. Il tempo per agire è ora, prima che il divario con i competitor strategici diventi incolmabile.

 

 

Fonte: https://www.difesaonline.it/2025/08/28/mercenari-e-pmc-nel-conflitto-ucraino/

La lezione da apprendere dallo scontro Israelo Palestinese

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di Claudio Verzola

Il 7 ottobre 2023 ha segnato una delle giornate più drammatiche della storia recente di Israele. L’attacco lanciato da Hamas dal cuore della Striscia di Gaza ha colpito in profondità non solo obiettivi militari, ma anche civili, generando un trauma collettivo e costringendo il governo israeliano a una risposta immediata.Da quel momento, la narrativa ufficiale di Tel Aviv si è concentrata su un obiettivo prioritario: smantellare completamente l’organizzazione islamista. La liberazione degli ostaggi – sebbene centrale sul piano umanitario e politico – è apparsa sin dall’inizio come un obiettivo subordinato, sacrificabile rispetto alla distruzione delle capacità militari e amministrative di Hamas. Una scelta discutibile, che ha innescato non poche polemiche all’interno sia della comunità internazionale che della società civile Israeliana: quale scopo si è perseguito con l’azione militare? Annullare la forza militare di Hamas o assecondare l’estrema destra di governo nelle proprie mire espansionistiche territoriali?

Colpevole o negligente che sia stato il governo israeliano nel non prevenire quell’attacco, come è stato riportato dal documento pubblicato dal New York Times 40 pagine arrivate sul tavolo dell’intelligence Israeliana ben un anno prima dell’evento e che le autorità israeliane chiamarono in codice “Muro di Gerico”, documento che descriveva, punto per punto, esattamente il tipo di devastante invasione che ha portato alla morte di circa 1.200 persone. Come se non bastasse tre mesi prima degli attacchi, un analista veterano dell’Unità 8200, l’agenzia israeliana di intelligence, avvertì che Hamas aveva condotto un’intensa esercitazione di addestramento di un giorno che sembrava simile a quanto delineato nel piano.

Ma un colonnello della divisione di Gaza respinse le sue preoccupazioni, secondo le e-mail crittografate visualizzate dal Nyt. “Nego assolutamente che lo scenario sia immaginario”, replicò l’analista negli scambi di posta elettronica. L’esercizio di addestramento di Hamas, osservò, corrispondeva pienamente “al contenuto del piano Muro di Gerico”. “È un piano progettato per iniziare una guerra, non è solo un’incursione in un villaggio”, fù l’ammonimento dell’analista. Ma gli indizi che portano a pensare che qualcuno possa aver atteso un casus belli eclatante che potesse consentire di raggiungere gli obiettivi territoriali previsti nei programmi dei partiti estremisti attualmente al governo, non si fermano qui Shalom Sheetrit, combattente della Brigata Golani in un intervista rilasciata all’emittente nazionalista di destra Israel National News – Channel 7, ha raccontato di uno “strano ordine” trasmessogli dal suo comandante, che a sua volta dichiara di averlo ricevuto dai suoi superiori, in cui si imponeva di fermare le pattuglie nella zona della recinzione di confine con la Striscia di Gaza dalle 5:20 alle 9 del 7 ottobre 2023.

Quello che accadde il 7 ottobre è tristemente noto, la ferocia di Hamas dilagò senza alcuna pietà, uccidendo a sangue freddo innocenti, catturando ostaggi e segnando di fatto un cambio radicale nella politica Israeliana. Gli interrogativi e le zone grigie di questa vicenda appaiono ancor più paradossali se confrontate con le attività poste in essere da parte di Israele nei confronti dell’Iran, successivamente coinvolto nel conflitto, in questo caso l’intelligence Israeliana è apparsa efficiente e all’altezza della propria proverbiale fama, riuscendo a colpire con chirurgica precisione obiettivi mirati. Ma nella vicenda del 7 ottobre nulla sembrerebbe aver funzionato, calcolo machiavellico? Sottovalutazione? Quanto successo il 7 ottobre con tutte le sue ombre ha cambiato i connotati di una regione che sembrava destinata, dopo gli accordi di Abramo a diverso epilogo.Offrendo al Governo Netanyahu in piena difficoltà dopo le proteste dei riservisti e quelle della società civile per le contestate riforme della giustizia un’occasione perfetta per giustificare una strategia militare che, secondo molti analisti, era già in cantiere, e che di sicuro era presente nei programmi elettorali di quelle frange estremiste che in quei mesi tenevano in ostaggio il governo Netanyahu.

Ad oggi, 148 ostaggi sono stati liberati vivi (105 durante la tregua 2023, 5 rilasciati unilateralmente, 8 con operazioni israeliane e 30 nella tregua 2025). 75 sono stati confermati morti o dati per deceduti. Restano 50 in cattività, di cui 27 si ritiene già deceduti.

L’argomento militare per l’occupazione

Sul piano strettamente operativo, l’idea di un’occupazione totale di Gaza e della Cisgiordania trova una sua logica interna direttamente correlata alle politiche portate avanti fino dagli anni 70/80 da Israele che avevano come obiettivo quello di delegittimare ed indebolire le fazioni laiche come l’OLP, furono infatti numerose le iniziative volte a sostenere sia dal punto di vista organizzativo che finanziario gruppi Islamici come Mujama al-Islamiya, precursore di Hamas, che successivamente ha contribuito ad isolare operativamente e politicamente l’autorità nazionale Palestinese delegittimandola agli occhi del proprio popolo. Hamas non è soltanto un gruppo armato: è un sistema radicato nel tessuto urbano e sociale, con un’infrastruttura, e una logistica, che comprende una vasta rete di tunnel, depositi di armi, officine per la produzione di razzi, centri di comando e un apparato amministrativo che fornisce servizi di base alla popolazione. Una popolazione stremata come raccontano le cronache, ridotta alla fame, segnata da lutti e privazioni, che certamente avrebbe difficoltà a riconoscere come amica la divisa israeliana, qualora le intenzioni del Governo Israeliano fossero unicamente quelle della neutralizzazione di Hamas.

Questi terribili mesi hanno fatto emergere un Israele poco conosciuta in occidente, lasciando spazio ad un Israele che sta progressivamente allontanandosi da molti tratti fondamentali di una democrazia liberale “occidentale” di matrice illuminista (separazione delle poteri, primato del diritto, tutela eguale dei diritti individuali e delle minoranze), soprattutto per effetto di politiche di nazionalizzazione etnica, spinte di forze politiche religiose-nazionaliste e dell’espansione dei coloni. Tuttavia non è (ancora) un regime teocratico pienamente consolidato: mantiene elezioni competitive, una società civile vivace e istituzioni che resistono.

Questa valutazione è frutto di una semplice analisi.

Cosa intendiamo per “democrazia illuminista”?

Per farlo ci basta usare alcuni criteri classici:

  • Stato di diritto e indipendenza giudiziaria;
  • Tutela universale dei diritti civili e delle minoranze;
  • Separazione dei poteri e controlli istituzionali;
  • Neutralità laica dello Stato rispetto alle leggi religiose;
  • Pluralismo politico e libertà di associazione/manifestazione.

Le evidenze che mostrano un’erosione di questi criteri, sono molteplici

Partendo dagli attacchi ai controlli e all’indipendenza giudiziaria. Negli ultimi anni ci sono state proposte e tentativi di riforma giudiziaria che mirano a ridurre il ruolo del sistema giudiziario come controllo sul potere esecutivo (limitando la valutazione di “ragionevolezza”, cambiando la composizione delle nomine): osservatori e studi accademici hanno definito queste mosse potenzialmente destabilizzanti per i contrappesi democratici.

Norme di nazionalizzazione e discriminazione istituzionale. La Legge fondamentale sullo «stato-nazione del popolo ebraico» (2018) e altre politiche sono state criticate perché formalizzano la priorità nazionale e mettono in secondo piano l’eguaglianza civile delle minoranze, cambiando il rapporto Stato-cittadino verso una base etno-nazionalista.

Espansione delle colonie e approvazioni governative recenti. Il governo ha continuato ad approvare nuovi insediamenti e legalizzare avamposti in Cisgiordania nonostante le condanne internazionali; decisioni recenti (es. autorizzazioni del 2025) indicano una politica attiva di ingrandimento del controllo territoriale. Questo alimenta un sistema in cui diritti politici e civili dei Palestinesi rimangono subordinati e ineguali.

Crescita della violenza dei coloni e impunità percepita. Organizzazioni internazionali e think-tank hanno documentato un’impennata di violenza dei coloni contro i palestinesi e una percezione diffusa di scarsa responsabilizzazione statale, trasformando gruppi di coloni in attori non statali violenti che operano con tolleranza o sostegno implicito.

Abusi e limiti ai diritti umani in contesti di sicurezza. Rapporti internazionali documentano detenzioni amministrative, condizioni carcerarie e restrizioni che colpiscono gravemente i diritti dei Palestinesi; in tempo di guerra emergono politiche che erodono ulteriormente garanzie fondamentali.

Queste tendenze insieme mostrano che, sul piano pratico, lo Stato esercita con sempre maggiore forza prerogative che privilegiano un’identità nazionale e una maggioranza etnica, a scapito di pluralismo, laicità e tutela universale dei diritti.

Alcune politiche punitive e dichiarazioni di leader nazionalisti mostrano atteggiamenti ritorsivi e collettivi (vedi politiche detentive, limitazioni e risposte militari dure) inoltre la religione soprattutto nei partiti che sostengono l’attuale maggioranza viene utilizzata come fonte di legittimazione politica: forze politiche di ispirazione religiosa usano valori religiosi per giustificare espansione territoriale e trattamenti differenziati, riducendo la sfera della laicità. Questo sposta il baricentro politico verso un ethos meno illuminista ed “Occidentale”

Ma attenzione: non è un passaggio univoco verso una teocrazia formale — è piuttosto l’uso politico della religione come ideologia nazionale che erode principi laici.

E in un simile contesto rimane difficile ipotizzare “soluzioni” vicine a principi di diritto e può risultare più probabile il ricorso a soluzioni più drastiche ed in linea con le affermazioni di molti leader dei partiti estremisti dell’attuale maggioranza.

La visione nazional-religiosa e il progetto territoriale

«E poi Davide tolse la testa a Golia dalle spalle e allontanò l’umiliazione da Israele. Allontaniamo gli arabi da Israele e portiamo la redenzione. Loro devono andare».

Queste furono le parole scritte nel saggio intitolato “Loro devono andare” dal rabbino Meir Kahane negli anni 80, e sulle sue teorie, prima fra tutte quella di far “trasferire l’intero popolo palestinese dal Giordano al mare per consentire la creazione di uno Stato ebraico che si fonda la politica del governo Israeliano degli ultimi 3 anni.Gli stessi ministri del governo di Benjamin Netanyahu non hanno mai fatto mistero delle loro intenzioni, ovvero conquistare Gaza ed annettere la Cisgiordania. Con questo programma nel 2022 sono stati vinti i 14 seggi che consentono alla maggioranza di governare, ma che hanno anche fatto sì che per la prima volta nella storia di Israele, molti paesi occidentali si schierassero apertamente contro le politiche israeliane. Una situazione difficile soprattutto per chi verrà dopo, per le nuove generazioni che si troveranno ad affrontare un’eventuale difficilissima convivenza con i sopravvisuti palestinesi oppure l’onta di aver allontanato un intero popolo dalle proprie terre.

Tuttavia, negli ultimi giorni, resistenze esplicite sono emerse ai vertici delle IDF. Il capo di stato maggiore, generale Eyal Zamir, ha definito l’occupazione una possibile “trappola strategica” che costringerebbe Israele a gestire due milioni di persone, affrontare una guerriglia urbana prolungata e rischiare la vita degli ostaggi ancora prigionieri. Ex vertici militari e dell’intelligence hanno avvertito che, anche distruggendo Hamas, si rischia di produrre una “Hamas 2.0” più piccola ma più fanatica, capace di attrarre nuove generazioni di militanti.

La storia recente suggerisce prudenza. L’occupazione israeliana di Gaza, terminata nel 2005, non portò alla pacificazione: al contrario, contribuì a rafforzare Hamas. Esperienze simili — dall’Iraq all’Afghanistan — mostrano che eliminare un’organizzazione armata non significa estirpare la sua ideologia: il nemico si frammenta, si adatta, si radicalizza, e a pagarne le spese potrebbero essere le popolazioni civili di paesi lontani dalle zone di conflitto, dove sono presenti comunità non ancora integrate e quindi più facilmente inclini a processi di radicalizzazione.

La recente dichiarazione del premier Israeliano

non li stiamo cacciando, stiamo permettendo loro di andarsene… date loro l’opportunità di lasciare, prima dalle zone di combattimento e, se vogliono, anche la Striscia

appare più un’operazione “hasbara” che un’autentica intenzione di ridurre le perdite civili durante l’operazione militare annunciata.

La narrativa del Governo Israeliano stride con quanto avviene sul terreno e con le dichiarazioni dei propri membri oltre ad i pronunciamenti “tecnici” degli stessi apparati di Intelligence Israelani l’obiettivo sembra essere sempre più quello di rimuovere con ogni mezzo la popolazione palestinese da Gaza, al fine di annettere definitivamente e prima che a settembre molti paesi occidentali riconoscano la Palestina come Stato.

La statualità palestinese è già stata riconosciuta da circa 150 dei 193 membri delle Nazioni Unite, la maggior parte dei quali lo ha fatto decenni fa ma la continua sfida del governo Netanyahu al diritto internazionale ha smosso qualcosa sopratutto in occidente portando paesi come l’Australia,Francia, Gran Bretagna e Canada ha dichiarare la propria decisione di riconoscere lo Stato palestinese, riconoscimento che verrà formalizzato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre portando ad oltre ¾ , il numero dei membri ONU favorevoli alla soluzione di due popoli e due Stati.

Quando il 13 ottobre del 2023, a soli sei giorni dal brutale attacco di Hamas, il Ministero dell’Intelligence Israeliano avanzò la proposta di trasferire 2,3 milioni di abitanti della Striscia di Gaza in Sinai, Benjamin Netanyahu minimizzò il rapporto dell’intelligence, definendo la proposta come un “concept paper”.

La soluzione alla problematica Israelo Palestinese sembra volgere sempre più ad una soluzione formale, anche grazie alle pressioni internazionali, pressioni che in passato non hanno impedito ad Israele di portare avanti le proprie politiche incurante delle risoluzioni Internazionali, anche grazie all’esplicito silenzio assenso dei propri alleati occidentali.

Ora qualcosa è cambiato, ma per rendere stabile il cambiamento occorre un cambio anche all’interno della politica Israeliana, i segnali ci sono:

Nel sondaggio di Maariv (2-3 luglio 2025) si è registrato un calo dei consensi verso il partito del Likud che otterrebbe 27 seggi, in calo rispetto alle elezioni del 2022, rimanendo il primo partito. Tuttavia la sua coalizione alla Knesset non raggiungerebbe la maggioranza di 51 seggi. Le proteste inoltre iniziano a diventare sempre più frequenti e numerose, l’ultima manifestazione a Tel Aviv (9 agosto 2025) ha visto la partecipazione di oltre 100.000 israeliani contrari alle decisioni del governo, chiedendo il cessate il fuoco. Un rilevamento del febbraio del 2025 del Israel Democracy Institute – Israeli Voice Index, riporta che 72,5 % degli israeliani ritiene che Netanyahu debba assumersi la responsabilità per gli eventi del 7 ottobre 2023 e dimettersi (48 % subito, 24,5 % dopo la guerra). Allo stesso tempo però va registrato un’altro dato durante la guerra con l’Iran (giugno 2025), Netanyahu ha ricevuto un’inaspettata spinta, accordando sostegno anche da parte di figure critiche come Gantz e Lieberman: l’offensiva è stata sostenuta dall’83 % della popolazione ebraica.

Il conflitto nel dominio cognitivo e tecnologico

Un’ultima riflessione sulla guerra israelo-palestinese combattuta simultaneamente sul piano cinetico, dell’intelligence e del dominio cognitivo. Questa guerra dopo quella in Ucraina a seguito dell’aggressione Russa, ha ampliato e costretto alla revisione nelle operazioni cinetiche e cyber nel ruolo dell’intelligence e dell’importanza del dominio cognitivo. Se pure L’azione militare resta centrale: l’aviazione, le forze di terra e le operazioni di occupazione in corso, con piani e attacchi su Gaza City mirati a sconfiggere Hamas, l’intelligence apparentemente dormiente pre 7 ottobre ha dimostrato il proprio ruolo chiave.

L’unità Gospel (Habsora), un sistema AI sviluppato dall’Unità 8200, si è occupata di generare decine di obiettivi di attacco ogni giorno in base a dati automatizzati. L’Unità 8200 ha addestrato anche un modello di linguaggio in arabo, simile a ChatGPT, con un ampio dataset di comunicazioni palestinesi intercettate per scopi operativi, inoltre, l’impiego di AI da parte dell’IDF — come “Lavender” e “Gospel” — ha ampliato la capacità di identificare obiettivi, alzando il livello tecnologico dei processi decisionali a livelli mai raggiunti prima.

Per quanto concerne invece il dominio cognitivo israele ha attivato una robusta campagna informativa globale (hasbara), mobilitando decine di dipartimenti governativi, coi media internazionali, influencer e campagne sui social per contrastare disinformazione e plasmare l’opinione pubblica a proprio favore, con la creazione di vere e proprie “bolle narrative”: es. incidenti come quello all’ospedale al-Ahli sono diventati terreno di guerra delle narrative, in cui ogni fatto è stato contro-interpretato. Il governo israeliano ha inoltre finanziato campagne tramite AI e “bot farms” per diffondere messaggi pro-Israele, anche influenzando membri del Congresso USA; ciò ha coinvolto account fasulli e chat GPT-like per generare contenuti. Nelle PsyOps militari si è fatto ricorso all’ invio di SMS e volantini per avvisare civili di evacuazioni, con l’obiettivo di limitare vittime ma anche di minare la capacità operativa di Hamas. Le unità dedicate come la Information Operations Branch o Malat hanno operato ed operano come vere e proprie “agenzie pubblicitarie” interne all’IDF, impiegando copywriter, psicologi e creativi per manipolare percezioni e condurre campagne cognitive mirate, ma le operazioni non si sono rivolte esclusivamente verso l’esterno degno di nota è anche il fronte interno con campagne nazionali per rinforzare la resilienza della popolazione israeliana contro il terrorismo e la disinformazione, con supporto mentale, messaggi di solidarietà e rafforzamento dell’ossatura morale dello Stato.

La lezione da imparare dal conflitto Israelo Palestinese e Russo Ucraino è che la dimensione bellica odierna ha attraversato una metamorfosi profonda che ridefinisce i parametri stessi dell’analisi strategica. Non parliamo più di teatri operativi circoscritti geograficamente, bensì di uno spazio conflittuale permeabile che si estende attraverso molteplici domini interconnessi.

Le manifestazioni ostili contemporanee penetrano con crescente sofisticazione negli interstizi dei sistemi sociali, economici e informativi delle società democratiche. Questa evoluzione richiede una rilettura completa delle categorie interpretative tradizionali: il conflitto non si limita più alla dimensione cinetica convenzionale, ma si articola in strategie di erosione sistemica che colpiscono i fondamenti stessi della coesione sociale.

Le democrazie occidentali si trovano esposte a forme inedite di destabilizzazione che sfruttano paradossalmente i principi di apertura e pluralismo che ne costituiscono il DNA. Gli attori ostili hanno sviluppato metodologie raffinate per infiltrare il dibattito pubblico, manipolare le percezioni collettive e amplificare le fratture interne preesistenti.

Questa vulnerabilità strutturale richiede una risposta altrettanto articolata: l’integrazione tra capacità di intelligence, innovazione tecnologica e protezione dello spazio cognitivo emerge come imperativo strategico inderogabile. Non si tratta semplicemente di potenziare singoli strumenti, ma di costruire un ecosistema difensivo capace di operare simultaneamente su più livelli.

La preservazione delle istituzioni democratiche passa necessariamente attraverso la capacità di anticipare, identificare e neutralizzare minacce che si manifestano in forme sempre più ibride e sofisticate. Questo richiede un salto qualitativo nella concezione stessa della sicurezza nazionale: da approccio reattivo a strategia proattiva, da difesa settoriale a protezione sistemica. L’obiettivo diviene dunque la costruzione di una resilienza che non si limiti a resistere agli attacchi, ma che sia capace di adattarsi dinamicamente alle trasformazioni del panorama minaccioso, preservando al contempo i valori fondamentali su cui si reggono le nostre società.

 

Fonte: https://www.difesaonline.it/2025/08/13/la-lezione-da-apprendere-dallo-scontro-israelo-palestinese/

2025 PMI alberghiere Italiane nella tempesta perfetta della cybersecurity

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di Claudio Verzola

In questa torrida estate del 2025 le problematiche legate al turismo non sono solo quelle dell’aumento delle tariffe (l’aumento dei costi si attesterebbe su un + 2,3% rispetto al 2024 che si aggiunge al +9% dell’aumento registrato tra il 2024 e il 2023) (Sole24Ore), ma anche quello legato alla Cyber Sicurezza che minaccia le fondamenta stesse del turismo nazionale. L’80% delle strutture ricettive italiane – prevalentemente PMI familiari – opera con vulnerabilità critiche mentre gli attacchi ransomware sono aumentati del 67% nel 2023, con costi medi per breach che raggiungono i 3,86 milioni di dollari. 

La combinazione di normative stringenti (GDPR e TULPS), investimenti inadeguati (solo il 3% del budget IT destinato alla sicurezza) e un mercato nero fiorente dove i passaporti italiani valgono fino a €4.000 SafetyDetectives crea condizioni perfette per una catastrofe annunciata.

Nonostante l’Italia mantenga la leadership nel turismo digitale europeo, Travel And Tour World le 32.000 strutture alberghiere nazionali – concentrate in destinazioni premium come Venezia, Ischia e la Costiera Amalfitana – rischiano di compromettere decenni di reputazione costruita sul “Made in Italy” turistico. Global Market Insights La soluzione esiste: tecnologie accessibili da €1-3 al mese per dispositivo e €2,4 miliardi di fondi PNRR disponibili, Hotel Tech Report ma richiede un cambio di paradigma culturale e organizzativo immediato. 

Il quadro normativo italiano presenta una stratificazione unica che complica drammaticamente la compliance per le piccole strutture ricettive. L’intersezione tra il GDPR europeo, il Codice Privacy italiano e l’articolo 109 del TULPS crea obblighi spesso contraddittori. Le strutture devono verificare “de visu” l’identità degli ospiti per legge di pubblica sicurezza, ma il Garante Privacy vieta la fotocopia dei documenti, richiedendo la cancellazione immediata dei dati dopo la trasmissione alle questure tramite il portale AlloggiatiWeb.

Le sanzioni del Garante mostrano un’escalation preoccupante: NH Italia ha ricevuto una multa di €200.000 nel 2023 per violazioni multiple del GDPR, Garante Privacy mentre anche piccoli hotel come quello di Bellaria-Igea Marina hanno subito sanzioni di €3.000-5.000 per errori nella videosorveglianza. Garante Privacy L’obbligo di notifica dei data breach entro 72 ore DLA Piper aggiunge ulteriore pressione su strutture che spesso non hanno personale IT dedicato.

La pandemia ha accelerato la digitalizzazione normativa senza fornire adeguato supporto alle PMI. Il Decreto Semplificazioni del 2020 spinge verso il check-in digitale, ma la Circolare del Ministero dell’Interno di novembre 2024 conferma l’obbligo della verifica fisica, creando confusione operativa. Solo una recente sentenza del TAR Lazio di maggio 2025 ha parzialmente chiarito la legittimità del check-in remoto con verifica successiva, Lodgify dimostrando come il sistema normativo sia in costante evoluzione e difficile da seguire per piccoli operatori.

Ed ecco individuata la prima vulnerabilità sistemica del tessuto imprenditoriale del settore

L’analisi della struttura del settore alberghiero italiano rivela vulnerabilità sistemiche profonde. Su 32.000 strutture ricettive totali, l’80% sono hotel indipendenti a gestione prevalentemente familiare, mentre le catene internazionali rappresentano solo il 20,1% del mercato con 2.200 hotel. (https://www.thrends-italy.com/chains-monitor-italy-h2-2023-by-thrends/)

Questa frammentazione, se da un lato costituisce la ricchezza del turismo italiano, dall’altro crea una debolezza strutturale di fronte alle minacce cyber.

I dati sulla digitalizzazione sono allarmanti: mentre l’88% delle strutture utilizza almeno uno strumento digitale, prevalentemente per la distribuzione online, solo il 63% ha implementato un Property Management System completo. Ma il dato più preoccupante riguarda gli investimenti in sicurezza: le PMI italiane investono il 50% in meno delle controparti americane, destinando appena il 3% del budget IT alla cybersecurity e un misero 2% alla formazione del personale.

Il gap di competenze è drammatico: il 43% delle PMI non ha un responsabile della sicurezza informatica, il 72,7% non ha mai implementato formazione sulla cybersecurity e il 73,3% non conosce nemmeno cosa sia un attacco ransomware. Questa situazione è aggravata dalla forte dipendenza da fornitori esterni per la gestione IT, che se da un lato offre accesso a competenze specializzate, dall’altro riduce il controllo diretto sulla sicurezza dei dati. Albergo Magazine

I sistemi di gestione più diffusi – Zucchetti Scrigno per le PMI di fascia alta e Oracle OPERA per le catene – presentano vulnerabilità intrinseche dovute alle multiple integrazioni con channel manager, booking engine e sistemi di pagamento. Gli aggiornamenti di sicurezza vengono spesso posticipati per non interrompere l’operatività durante l’alta stagione, creando finestre di vulnerabilità che i criminali sfruttano sistematicamente.

L’evoluzione delle minacce segue il calendario turistico

Il panorama delle minacce cyber nel settore hospitality mostra un’evoluzione sofisticata e mirata. MDPI I dati del 2024-2025 rivelano un aumento del 53% degli eventi cyber nel primo semestre 2025, con 1.549 eventi registrati e un incremento del 98% degli incidenti con impatto confermato. Le PMI rappresentano l’80% delle vittime di attacchi ransomware, AcropoliumTechMagic confermando come i criminali abbiano spostato il focus dalle grandi catene alle strutture più vulnerabili. 

Gli attacchi seguono pattern stagionali precisi: il 66% dei dirigenti IT si aspetta picchi durante l’estate 2025, quando le strutture operano a piena capacità con personale stagionale meno formato. Il caso MGM Resorts del 2023 è paradigmatico: un attacco iniziato con una telefonata di 10 minuti ha causato perdite superiori ai 100 milioni di dollari e 10 giorni di downtime durante la stagione di punta. Daily Security Review. Il mercato nero dei documenti d’identità rappresenta una minaccia specifica per il settore. I passaporti italiani valgono €200-300 per scansioni digitali e fino a €4.000 per documenti presumibilmente autentici. I documenti di clienti alto-spendenti delle destinazioni luxury italiane sono particolarmente ricercati, con passaporti diplomatici che raggiungono i €70.000. Keesing Platform Questi dati vengono utilizzati per frodi finanziarie complesse, apertura di conti bancari e bypass dei sistemi di autenticazione a due fattori. MDPI

Le tecniche di attacco si sono evolute drammaticamente con l’introduzione dell’intelligenza artificiale. Gli attacchi deepfake sono aumentati del 442% nel 2024, The Hacker News con criminali che utilizzano video e voice cloning per impersonare dirigenti e autorizzare trasferimenti fraudolenti. Il 32,5% dei dipendenti italiani apre email di phishing, il 24,6% interagisce con link malevoli e il 19,6% inserisce credenziali in form predisposti dagli hacker, numeri che dimostrano l’efficacia devastante del social engineering potenziato dall’AI.

L’analisi dell’impatto economico dei data breach rivela conseguenze potenzialmente fatali per le PMI turistiche italiane. LinkedIn

I costi diretti variano da €200.000 a oltre €2 milioni per incidente, includendo incident response, sanzioni GDPR, spese legali e notifiche agli interessati. Per strutture con fatturati medi di pochi milioni di euro, questi costi possono significare il fallimento immediato.

Ma sono i costi indiretti a rivelarsi più devastanti nel lungo termine. Le strutture colpite registrano un calo delle prenotazioni del 15-25% nel primo anno post-breach, con tempi di recupero reputazionale che si estendono a 24-36 mesi. Il 31% dei clienti interrompe definitivamente la relazione commerciale dopo un breach, Cybermagazine mentre il 60% considera seriamente di cambiare fornitore.

L’impatto sulla reputazione online è particolarmente critico in un settore dove l’86% dei turisti legge recensioni prima di prenotare. Legal for Digital Un data breach genera mediamente un aumento del 20-30% delle recensioni negative, con effetti amplificati per le strutture di lusso che subiscono cali di occupancy fino al 30%. Il caso Marriott, con 339 milioni di record compromessi e costi legali di 52 milioni di dollari solo negli USA, DigitalDefynd dimostra come anche i giganti del settore fatichino a recuperare.

Per il turismo italiano di qualità, il rischio è sistemico. Nonostante l’Italia mantenga il primo posto nell’European Tourism Reputation Index 2024 con 115,5 punti, la vulnerabilità delle PMI che costituiscono l’ossatura del settore minaccia questa leadership. Destinazioni premium come Venezia, la Costiera Amalfitana e Ischia, dove si concentra il turismo alto-spendente internazionale, Economia Italia sono particolarmente esposte al rischio reputazionale di breach multipli che potrebbero compromettere l’immagine del “Made in Italy” turistico.

Soluzioni accessibili esistono ma richiedono un cambio culturale

Contrariamente alla percezione diffusa, esistono soluzioni di cybersecurity accessibili e scalabili per le PMI turistiche italiane. Le tecnologie di base partono da €1-3 al mese per dispositivo, con soluzioni entry-level come Bitdefender Ultimate a €359,99/anno per 10 utenti o F-Secure a €119,99/anno per 10 dispositivi. Vendor italiani specializzati come TeamSystem, Cyber4you e Swascan offrono pacchetti specifici per l’hospitality con supporto in italiano e prezzi competitivi.

Il panorama dei finanziamenti è particolarmente favorevole: il PNRR destina €2,4 miliardi alla digitalizzazione del settore turistico, con il Fondo di Garanzia PMI che mette a disposizione €358 milioni specificamente per il turismo.

Il credito d’imposta raggiunge l’80% per la digitalizzazione delle strutture ricettive, mentre sono disponibili contributi a fondo perduto fino a €100.000. PMI.it

Federalberghi ha attivato una rete di partner qualificati attraverso accordi quadro che garantiscono tariffe agevolate per i soci.

Esistono inoltre soluzioni “pubbliche” che aiutano le piccole imprese del mezzogiorno non soltanto ad individuare le vulnerabilità e porvi rimedio, ma anche a finanziare gli interventi con finanziamenti attivabili tramite il Microcredito, è il caso del progetto MicroCyber che si propone come una risposta strategica e strutturata per supportare la digitalizzazione e la protezione delle infrastrutture informatiche delle micro, piccole e medie imprese (MPMI), nonché delle Pubbliche Amministrazioni (PA), con un’attenzione particolare rivolta al Mezzogiorno d’Italia.

I modelli di Managed Security Service Provider (MSSP) permettono di accedere a competenze specializzate con costi mensili prevedibili da €50-200 per PMI di 5-50 dipendenti, includendo monitoraggio H24, backup automatizzati e compliance GDPR. 

La roadmap pratica per le PMI prevede interventi immediati a basso costo: password manager aziendali (€3-5/utente/mese), autenticazione multifattore sui sistemi critici, backup cloud automatizzati (€10-50/mese) e una giornata di formazione base per il personale. Questi “quick wins” possono ridurre dell’80% i rischi legati alle password e del 90% l’efficacia degli attacchi phishing.

L’evoluzione tecnologica promette ulteriori semplificazioni: l’intelligenza artificiale sta rendendo la cybersecurity più accessibile con sistemi di detection automatica delle anomalie, anti-phishing intelligente e chatbot per la formazione continua del personale. SiteMinder Entro il 2027, il modello “Everything-as-a-Service” renderà la protezione cyber completamente gestita e invisibile all’utente finale. Global Market Insights

Metodologie di attacco e tattiche dei threat actor

L’evoluzione delle tattiche di attacco nel 2025 mostra un chiaro shift dal ransomware tradizionale verso il data theft mirato, con particolare focus sui documenti di identità piuttosto che sui dati delle carte di credito. Questo cambiamento strategico riflette il maggior valore a lungo termine dell’identity theft rispetto al fraud finanziario immediato. I passaporti di alta qualità, specialmente quelli di cittadini statunitensi, tedeschi e israeliani, raggiungono valori tra 800 e 20.000 euro sui mercati underground, significativamente superiori ai dati finanziari tradizionali. 

Le tecniche di social engineering dominano il panorama degli attacchi, con un incremento del 442% negli attacchi di vishing potenziati dall’intelligenza artificiale.

Il caso emblematico di MGM Resorts, dove Scattered Spider è riuscito a compromettere l’intera infrastruttura attraverso una singola chiamata all’helpdesk, ReversingLabs dimostra l’efficacia devastante di queste tecniche. Asimily

Il breakout time medio nel 2025 è sceso a soli 48 minuti, con il caso più veloce documentato in appena 51 secondi dalla compromissione iniziale al movimento laterale nella rete.(CrowdStrike)

L’esfiltrazione di grandi volumi di dati, come i 38.000+ file di immagini menzionati negli scenari di attacco, segue pattern tecnici precisi. Gli attaccanti utilizzano script automatizzati per il recursive directory traversal, implementano batch processing per evitare i threshold di detection, e sfruttano servizi cloud legittimi come Amazon S3, Google Drive e Dropbox per mascherare il traffico malevolo. La compressione dei dati avviene tramite archivi RAR o 7ZIP protetti da password e suddivisi in volumi più piccoli per evitare il rilevamento basato sulle dimensioni. Le tecniche anti-forensics includono il timestomping per modificare i tempi di creazione e modifica dei file, la cancellazione dei log tramite comandi wevtutil, e l’eliminazione delle Volume Shadow Copy per impedire il recovery. 

Pattern geografici e targeting strategico del turismo luxury

L’Italia rappresenta un target premium nel panorama globale degli attacchi al settore hospitality, con caratteristiche distintive che la rendono particolarmente attraente per i cybercriminali. Il turismo luxury genera 9 miliardi di euro annui, rappresentando il 3% del PIL nazionale, con una crescita del 9,2% annua rispetto al 5,2% del turismo generale. (QuiFinanza) Il 25% della spesa turistica luxury è internazionale, pari a 25 miliardi di euro annui, con clienti provenienti da USA, Germania, Regno Unito e Svizzera che rappresentano il 65% delle presenze nel segmento alto di gamma.

La frammentazione del mercato alberghiero italiano, dominato da hotel boutique e strutture indipendenti piuttosto che da grandi catene internazionali, crea vulnerabilità sistemiche.

Le PMI del settore, che rappresentano la maggioranza degli hotel di lusso italiani, vengono colpite quattro volte più frequentemente delle grandi organizzazioni secondo il Verizon DBIR 2025. Questi hotel boutique operano tipicamente con budget di cybersecurity limitati, sistemi legacy non aggiornati e servizi IT in outsourcing che introducono ulteriori rischi nella supply chain.

Il timing degli attacchi mostra una correlazione diretta con i periodi di alta stagione e gli eventi premium. Gli attaccanti sincronizzano le loro operazioni con Fashion Week, festival cinematografici e altri eventi che attraggono clientela VIP, massimizzando sia il volume di dati disponibili che il loro valore potenziale. Venezia durante la Biennale, Milano durante le settimane della moda, e le destinazioni esclusive come Ischia e la Costa Smeralda durante l’estate rappresentano target privilegiati per questa tipologia di attacchi mirati.

Implicazioni per la sicurezza nazionale e intelligence

I data breach nel settore alberghiero di lusso sollevano questioni critiche di sicurezza nazionale che vanno ben oltre le perdite economiche immediate. Gli hotel di fascia alta ospitano regolarmente diplomatici, funzionari governativi e business leader internazionali, rendendo i loro dati di valore strategico per operazioni di intelligence. Nei primi mesi del 2025 campagne russe che utilizzano ISP compromessi per spiare diplomatici, e i documenti rubati dagli hotel potrebbero facilitare operazioni di spionaggio attraverso l’assunzione di identità false o il social engineering avanzato. (The RegisterBank)

Il sistema AlloggiatiWeb, progettato come strumento di sicurezza nazionale per il tracciamento dei movimenti sospetti e la prevenzione del terrorismo, diventa paradossalmente un punto di vulnerabilità Garante Privacy quando compromesso. 

La vendita di 90.000 documenti autentici sui mercati underground Zerozone non solo facilita il furto d’identità su larga scala, ma mina anche l’integrità dei controlli antiterrorismo e immigrazione.

documenti di alta qualità scannerizzati negli hotel possono essere utilizzati per creare falsificazioni sofisticate, bypassare i controlli KYC negli exchange di criptovalute, o facilitare il movimento di individui attraverso i confini Schengen.

L’analisi dei pattern di targeting suggerisce possibili coinvolgimenti di attori stato-nazione. La sofisticazione degli attacchi, il targeting selettivo di hotel che ospitano specifiche nazionalità, e le tempistiche coordinate su multiple strutture sono indicatori coerenti con campagne di intelligence piuttosto che con criminalità comune. Gruppi APT come Secret Blizzard (Russia) e Salt Typhoon (Cina) hanno dimostrato interesse particolare per i dati di cittadini americani, diplomatici britannici post-Brexit, e funzionari israeliani, tutti regolarmente ospiti degli hotel di lusso italiani. The Register BankInfoSecurity

Confronto con il panorama internazionale degli attacchi

Il confronto con i breach internazionali nel settore hospitality rivela sia pattern comuni che peculiarità italiane. I casi di MGM Resorts e Caesars Entertainment negli Stati Uniti, entrambi compromessi dal gruppo Scattered Spider attraverso tecniche di social engineering, hanno causato danni rispettivamente di 100 milioni e 15 milioni di dollari. Marriott International ha subito breach multipli tra il 2014 e il 2022, con 500 milioni di record compromessi nel caso Starwood, risultando in settlement da 52 milioni di dollari negli USA e multe GDPR da 23,8 milioni di sterline nel Regno Unito.

L’Europa mostra pattern di attacco differenti, con maggiore focus su supply chain attacks e database exposure. Il breach di Otelier nel 2024, che ha compromesso 7,8TB di dati e 437.000 account email affecting Marriott, Hilton e Hyatt, esemplifica la vulnerabilità delle piattaforme di gestione centralizzate. 

Il caso di Motel One, vittima di AlphV/BlackCat con 24 milioni di file e 6TB di dati esfiltrati, Asimily rappresenta l’escalation delle capacità di esfiltrazione dei ransomware groups moderni.

L’Italia si distingue per la combinazione unica di fattori di rischio: l’alta concentrazione di clientela luxury internazionale, la frammentazione del mercato dominato da strutture indipendenti, l’integrazione obbligatoria con sistemi governativi legacy, e la posizione strategica nel Mediterraneo che attrae sia turismo VIP che interesse di intelligence straniera. Questa convergenza di fattori rende il settore alberghiero italiano un laboratorio naturale per l’evoluzione delle tecniche di attacco nel settore hospitality globale.

Il panorama delle minacce cyber per il settore alberghiero italiano di lusso nel 2025 presenta una complessità senza precedenti che richiede una risposta coordinata e multidimensionale. L’assenza di evidenze pubbliche per i casi specifici di Hotel Ca’ dei Conti, Casa Dorita e Hotel Regina Isabella non diminuisce la gravità delle vulnerabilità sistemiche identificate, che espongono l’intero comparto a rischi esistenziali per la sua sostenibilità e credibilità internazionale.

Le raccomandazioni immediate includono il patching critico della CVE-2023-21932 su tutti i sistemi Oracle Opera, l’implementazione di autenticazione multi-fattore FIDO2-compliant resistente al phishing, la segregazione completa delle reti PMS dall’infrastruttura guest e internet, e l’adozione di backup immutabili con copie offline. 

Il costo stimato dell’impatto dei cyberattacchi sull’economia italiana nel 2025 raggiunge i 66 miliardi di euro, pari al 3,5% del PIL,  rendendo questi investimenti in sicurezza non solo necessari ma economicamente indispensabili.

La sfida per il settore alberghiero italiano è trasformare questa crisi in opportunità, posizionandosi come leader globale negli standard di cybersecurity per l’hospitality di lusso. 

Solo attraverso un approccio che integri tecnologia avanzata, formazione continua del personale, cooperazione con le autorità di sicurezza nazionale, e trasparenza con i partner internazionali, l’Italia potrà preservare e rafforzare la sua posizione privilegiata nel turismo luxury globale, garantendo al contempo la sicurezza dei dati sensibili che le vengono affidati da ospiti di alto profilo provenienti da tutto il mondo.

Intervenire con urgenza per salvare l’eccellenza turistica italiana

Il settore hospitality italiano si trova di fronte a una scelta esistenziale. La combinazione di vulnerabilità strutturali delle PMI, evoluzione delle minacce cyber e stringenza normativa crea una tempesta perfetta che minaccia le fondamenta stesse del turismo nazionale.(LinkedIn)

Non agire significa accettare che il 60% delle PMI colpite da un attacco grave chiuda entro sei mesi, (Agenda Digitale) compromettendo un tessuto imprenditoriale che rappresenta l’essenza stessa dell’ospitalità italiana.

La buona notizia è che le soluzioni esistono e sono accessibili.

Con investimenti minimi e l’utilizzo intelligente dei fondi disponibili, anche la più piccola struttura ricettiva può raggiungere livelli di protezione adeguati. Ma questo richiede un cambio di paradigma culturale: la cybersecurity non è più un optional tecnologico ma un requisito fondamentale per la sopravvivenza nel mercato digitale contemporaneo.

Il futuro del turismo italiano dipende dalla capacità delle sue 32.000 strutture ricettive di evolversi rapidamente. Le associazioni di categoria, le istituzioni e i vendor tecnologici devono collaborare per creare un ecosistema di supporto che renda la sicurezza informatica accessibile, comprensibile e sostenibile per tutti. Solo così l’Italia potrà mantenere la sua leadership nel turismo europeo, (Travel And Tour World) proteggendo al contempo il patrimonio di dati e la fiducia dei milioni di ospiti che ogni anno scelgono il Bel Paese per le loro vacanze.

Fonte: https://www.difesaonline.it/2025/08/11/2025-pmi-alberghiere-italiane-nella-tempesta-perfetta-della-cybersecurity/

DeepSeek R1: L’avanzata strategica cinese nell’IA open source e le implicazioni per l’equilibrio tecnologico globale

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di Claudio Verzola

In un contesto geopolitico caratterizzato da crescenti tensioni tecnologiche tra Oriente e Occidente, la Cina con Liang Wenfeng ha lanciato DeepSeek R1, un modello di intelligenza artificiale open source sviluppato con risorse limitate ma in grado di rivaleggiare con i sistemi proprietari di OpenAI, Google e Meta. Questo traguardo, raggiunto in soli due mesi e con investimenti ridotti rispetto agli standard occidentali, non rappresenta solo un progresso tecnico, ma un’abile mossa strategica per ridisegnare i rapporti di forza nel settore critico dell’IA.

L’adozione di un modello open source da parte di Pechino ribalta il tradizionale paradigma del controllo centralizzato, tipico delle corporation statunitensi. La pubblica accessibilità del codice di DeepSeek permette a Stati e organizzazioni di studiare, modificare e implementare soluzioni senza dipendere da attori esteri, un fattore cruciale per nazioni come l’Italia che mirano a rafforzare la propria autonomia digitale. In un’epoca in cui i dati sono un’arma strategica, questa apertura riduce il rischio di esposizione a monopoli tecnologici stranieri e facilita lo sviluppo di infrastrutture critiche nazionali, allineandosi agli obiettivi di sicurezza delineati dal PNRR europeo e dalla dottrina NATO sulla cyber-resilienza.

DeepSeek dimostra che l’eccellenza tecnologica non richiede necessariamente capitali illimitati. Con un addestramento ottimizzato e hardware contenuto, il modello cinese sfida la narrazione occidentale secondo cui solo investimenti miliardari garantiscono superiorità nell’IA. Questo approccio low-cost/high-yield potrebbe ispirare alleati degli Stati Uniti, come i Paesi europei, a rivedere le proprie strategie di innovazione, privilegiando efficienza e collaborazione transnazionale rispetto a modelli ipercompetitivi e frammentati.

Il lancio di DeepSeek coincide con un momento di frizione geopolitica acuta, segnato dal ritorno di politiche protezionistiche negli USA e dalle restrizioni all’export di semiconduttori avanzati verso la Cina. Pechino, tuttavia, ha aggirato queste limitazioni puntando sull’ottimizzazione algoritmica e su un ecosistema open source che mobilita risorse globali. Questo modello non solo indebolisce il vantaggio occidentale basato su tecnologie chiuse, ma trasforma l’IA in uno strumento di soft power, attirando Paesi in via di sviluppo alla ricerca di alternative accessibili ai sistemi occidentali.

Le recenti offensive informatiche contro DeepSeek, che hanno ostacolato l’accesso agli utenti occidentali, evidenziano un nuovo fronte di competizione. Sebbene non vi siano prove dirette, è plausibile che tali attacchi riflettano tentativi di sabotaggio da parte di entità legate a interessi concorrenti, in linea con le tattiche di guerra ibrida sempre più comuni nel cyberspazio. La resilienza di DeepSeek a queste minacce sarà un banco di prova per la credibilità del modello cinese come alternativa sicura e affidabile.

La rivalità tra modelli aperti e chiusi affonda le radici nella Guerra Fredda, quando il blocco sovietico e quello NATO perseguivano strategie divergenti nell’informatica. Negli anni ’80, il software libero di Richard Stallman rappresentò una risposta ideologica alla privatizzazione del codice promossa da Microsoft. Oggi, DeepSeek riattualizza questo scontro, posizionando la Cina come paladina di un’IA “democratizzata”, in contrasto con l’oligopolio occidentale. Tuttavia, dietro la retorica collaborativa, Pechino persegue obiettivi chiari: ridurre la dipendenza da tecnologie USA e consolidare la propria influenza tecnologica in aree strategiche come l’Africa e il Sudest asiatico.

Il successo di DeepSeek ha già innescato un terremoto nei mercati: il crollo delle azioni delle Big Tech occidentali riflette timori di un ridimensionamento del loro dominio. Per gli Stati Uniti e gli alleati della NATO, la sfida è duplice:

  • Preservare la leadership tecnologica senza ricadere in una corsa agli armamenti economica insostenibile.
  • Bilanciare sicurezza e apertura, evitando che il controllo sulle esportazioni di IA soffochi l’innovazione interna.

La risposta occidentale dovrà essere coordinata e multifattoriale: potenziamento dei centri di ricerca pubblici, partnership con aziende emergenti e revisione delle politiche di cybersecurity per contrastare le minacce ibride.

DeepSeek non è solo un modello algoritmico, ma un simbolo del riallineamento del potere tecnologico globale. La Cina ha dimostrato che l’open source può essere un’arma efficace per erodere il primato occidentale, combinando pragmatismo economico e visione geopolitica. Per le democrazie liberali, il rischio non è tanto la superiorità tecnica cinese, quanto l’incapacità di adattarsi a un mondo in cui l’IA è sempre più decentralizzata, accessibile e weaponizzata. La partita è aperta, ma una lezione è già chiara: nell’era dell’intelligenza artificiale, la vera potenza non risiede nei chip, ma nella capacità di plasmare gli ecosistemi che li governano.

 

Fonte: https://www.difesaonline.it/evidenza/cyber/deepseek-r1-lavanzata-strategica-cinese-nellia-open-source-e-le-implicazioni