Artigiani in fuga: il Progetto Auri come risposta concreta alla crisi del lavoro autonomo

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di Nicola Arena, vicepresidente dell’associazione “I SENTIERI DI GRIMOALDO”, attiva da anni nella promozione di comunità solidali e modelli economici locali ispirati a giustizia, reciprocità e partecipazione. (e-mail info@isentieridigrimoaldo.it sito web dell’associazione: www.isentieridigrimoaldo.it )

 

Negli ultimi 10 anni il numero degli artigiani presenti nel Bel Paese ha subìto un crollo verticale: ben 400mila unità in meno. Se nel 2014 se ne contavano circa 1,77 milioni, nel 2024 la platea è scesa a 1,37 milioni.
Significa che, in soli dieci anni, quasi un artigiano su quattro ha chiuso bottega. Le cause? Principalmente il sistema in cui la moneta nasce come debito e non come strumento di proprietà condivisa dei cittadini. Un altro fattore determinante è conseguenziale al sistema del debito è la crescente pressione fiscale, aumento dei costi fissi, burocrazia opprimente, calo del potere d’acquisto dei consumatori e un mercato sempre più spietato dominato da multinazionali e colossi del web.

In un simile scenario, la frammentazione sociale e l’isolamento economico diventano la norma. Per questo serve un’inversione di rotta: un ritorno alla dimensione comunitaria, al legame tra persone, alla fiducia reciproca. È qui che interviene il nostro impegno concreto, radicato nei territori e fondato su valori umani profondi e di giustizia sociale.

L’associazione I SENTIERI DI GRIMOALDO promuove comunità solidali ispirate alla Dottrina Sociale della Chiesa.
Vuol dire dare vita a realtà fondate sulla dignità della persona, la giustizia, la solidarietà e il bene comune. Significa riscoprire il valore della reciprocità, del lavoro onesto e del rispetto per ogni essere umano. Questo progetto è aperto a tutti, credenti e non credenti, perché i suoi principi parlano al cuore della coscienza umana. Chiunque desideri una società più giusta e umana può partecipare. Insieme, possiamo ridare forza alle nostre comunità e dignità al lavoro.
Siamo attivi in tutta Italia con sette realtà territoriali impegnate nel rilancio dell’economia locale.
Agiamo in trasparenza, legalità e spirito volontario, senza fini di lucro.
Promuoviamo un modello basato sulla proprietà diffusa, sull’aiuto reciproco e sul riconoscimento della dignità di ogni persona.
A tal proposito ricordiamo che nel nostro Statuto è citata espressamente la Rerum Novarum, la quale afferma il diritto naturale di ogni persona ad accedere alla proprietà, come strumento di dignità e libertà.
Un principio rafforzato anche dall’articolo 42 della Costituzione italiana, che riconosce la funzione sociale della proprietà e ne promuove la più ampia diffusione.
Da oltre cinque anni, l’associazione I Sentieri di Grimoaldo opera con dedizione e trasparenza in diverse regioni d’Italia. Le sette realtà territoriali attive, da Trento a Brescia, Bologna, Fermo, Aprilia e Piana del Tauro, testimoniano la solidità e l’efficacia del progetto. Non cerchiamo interessi personali né profitti speculativi, ma perseguiamo un autentico impegno per la giustizia sociale e la solidarietà tra famiglie, lavoratori, imprese e istituzioni locali. Vogliamo essere un punto di riferimento per le comunità, promuovendo unità e benessere collettivo in tempi di grande sfida.
Il Progetto Auri si inserisce perfettamente in questa visione, restituendo al popolo la proprietà del valore monetario attraverso un bene patrimoniale: gli Auri.
Si tratta di un’iniziativa concreta per invertire la rotta, aiutando artigiani, commercianti, piccoli produttori e tutta l’economia locale a risollevarsi grazie a strumenti semplici, legittimi e radicati nella comunità.
Inoltre, aderire al Progetto Auri significa ottenere maggiore visibilità, attrarre nuovi clienti e beneficiare di un importante ritorno d’immagine. Quando il tessuto sociale si riduce, aumentano l’isolamento, la sfiducia e la frammentazione, mentre la solidarietà tra le persone si affievolisce.

Testate giornalistiche, TV locali e social media stanno iniziando a raccontare questa umana economia solidale, che non crea competizione sleale, ma ricuce legami e ricostruisce il tessuto sociale.

Il sistema monetario attuale, basato sull’emissione a debito e sul corso forzoso, contribuisce proprio a questo processo di disgregazione.
Il Progetto Auri nasce in risposta a questa deriva: non è uno strumento speculativo, non arricchisce pochi a danno di molti, ma restituisce alla comunità il valore che essa stessa genera. Così rafforza i legami sociali, la fiducia reciproca e la collaborazione, alimentando una crescita condivisa e radicata nel territorio.
La situazione socio-economica in Italia e nel mondo sta rapidamente deteriorandosi: chiusure di attività, abbandono dei borghi, giovani costretti a cercare futuro altrove e famiglie senza certezze.
Se non si agisce con urgenza, il rischio è quello di un declino irreversibile.
Serve un’organizzazione sana, fondata su valori autentici, giustizia sociale e strumenti legittimi, che rimettano al centro le persone e le comunità.
Il Progetto Auri è una risposta concreta: un modello che unisce, rilancia l’economia locale e restituisce speranza. Ripartire non solo è possibile, ma diventa una scelta obbligata.
Gli Auri non sono una moneta alternativa, ma beni patrimoniali di proprietà del portatore, garantiti da un fondo reale in euro di proprietà collettiva di tutti i soci. Ogni Auri speso attiva valore reale, rafforza i legami comunitari, promuove il lavoro locale e sostiene l’identità culturale ed economica del territorio.
Il Progetto Auri è già una realtà concreta: sette associazioni territoriali attive (Trento, Brescia, Bologna 1 e 2, Fermo, Aprilia, Piana del Tauro) operano in Italia, sostenute da cittadini onesti, responsabili e competenti e che credono nella giustizia. Tutto si svolge nel pieno rispetto della legge, con l’obiettivo di costruire reti solidali, circolari e durature.
Tutto il sistema Auri è costruito nel pieno rispetto della normativa vigente: ogni transazione è tracciabile, documentata e fiscalmente regolare. Gli Auri non essendo moneta e non avendone le caratteristiche di generalità, universalità e obbligatorietà di accettazione – non hanno spendibilità generalizzata in quanto la circolazione avviene all’interno di un sistema predeterminato e predefinito. Trattasi, pertanto, di fattispecie negoziale riconducibile al contratto per adesione come tale aperto alla futura accettazione di successivi aderenti. Nessuna evasione, nessun escamotage: solo trasparenza, serietà e piena conformità alla legge.
Le attività economiche che aderiscono restano perfettamente in regola con le normative fiscali, possono emettere regolare scontrino o fattura con sconto applicato e, in caso di necessità, convertire gli Auri in euro in modo chiaro e responsabile. L’associazione supporta ogni passaggio con consulenti competenti, disponibili a chiarire ogni dubbio e fornire assistenza continua.
Uno degli aspetti più concreti e vantaggiosi del Progetto Auri riguarda chi accetta i pagamenti in Auri. Facciamo un esempio semplice: un prodotto che normalmente costa 100 euro viene venduto a 90 Auri. Il cliente risparmia subito il 10%. Il commerciante emette regolare scontrino o fattura da 90 euro, pagando meno tasse in modo del tutto legale, con un risparmio fiscale stimabile attorno al 10%.
Ma il vantaggio non finisce qui: i 90 Auri ricevuti restano un credito d’acquisto nel circuito e permettono al commerciante di ottenere beni o servizi del valore reale di 100 euro. In pratica, il commerciante beneficia sia di un vantaggio fiscale, sia di un incremento del potere d’acquisto. Il risultato? Un guadagno netto del 20%, in piena trasparenza e legalità.
Aderire al Progetto Auri significa molto più che partecipare a un semplice circuito di scambio: vuol dire diventare parte attiva di una rete comunitaria che rimette al centro la persona, il lavoro, la fiducia e la solidarietà. Significa comprendere che l’economia non è solo questione di numeri, ma nasce dalle relazioni, dai volti, dalle famiglie, dalle piccole scelte quotidiane che possono trasformare il presente e gettare le basi per un futuro più giusto, stabile e umano.
Ogni associazione territoriale della comunità I SENTIERI DI GRIMOALDO che adotta il Progetto Auri organizza incontri pubblici, percorsi di formazione, supporto legale e contabile, coinvolgendo cittadini, commercianti, artigiani, liberi professionisti, amministratori locali e giovani. L’obiettivo è costruire comunità vive, solidali e operative, capaci di riconoscere e “monetizzare” il valore umano, sociale e professionale che troppo spesso il mercato tradizionale ignora o svaluta.
Aderire è semplice, gratuito e perfettamente legale. Non si tratta di evadere o di eludere le regole, ma di esercitare consapevolmente il diritto alla proprietà del valore, come affermato dalla Dottrina Sociale della Chiesa e da studiosi come il professor Giacinto Auriti. È infatti l’accettazione convenzionale da parte della comunità che conferisce valore al simbolo monetario: se viene riconosciuto e utilizzato, quel valore diventa reale, concreto, misurabile e utile alla vita quotidiana.
Il Progetto Auri non fa promesse miracolose né propone facili guadagni o investimenti rischiosi. Offre invece una via concreta, fondata sulla responsabilità reciproca, sulla trasparenza e sul buon senso. È un patto etico tra chi compra e chi vende, tra chi produce e chi consuma, tra chi sceglie di restare e chi vuole costruire, passo dopo passo, una società più giusta, coesa e a misura d’uomo.
In un’Italia sempre più disgregata, dove le piccole attività chiudono e le periferie si svuotano, gli Auri rappresentano una possibilità concreta di rinascita: uno strumento per restituire dignità economica, relazioni autentiche e speranza. Una via alternativa che non si basa su finanziamenti esterni o debiti imposti, ma sulla responsabilità condivisa, sulla fiducia tra le persone e sul valore reale creato dalla comunità stessa.
Non possiamo più attendere che altri decidano per noi. Il Progetto Auri si compone di due strumenti distinti ma complementari: il Progetto Auri Comunale, rivolto alle amministrazioni pubbliche, e il Progetto Associativo Territoriale, attivabile direttamente dai cittadini. Entrambe le vie offrono soluzioni pratiche, legali e trasparenti.
Ora la scelta è nelle mani delle persone e dei loro rappresentanti locali: possiamo restare fermi ad aspettare che la crisi peggiori, oppure possiamo iniziare subito a costruire un’alternativa concreta, fondata su fiducia, collaborazione e responsabilità.
Se la politica non vuole – o non può – intervenire, tocca ai cittadini unirsi per proteggere il proprio futuro e quello delle comunità locali.
«Unendo le nostre forze e radicandoci nei valori cristiani che ci guidano con fermezza, possiamo insieme scrivere una nuova pagina di storia, fatta di solidarietà vera, speranza concreta e un futuro migliore per tutti.»

Nicola Arena 24 agosto 2025.

(Citazioni: http://www.ansa.it/veneto/notizie/2025/08/16/crolla-lartigianato-in-italia-400mila-unita-in-10-anni_85e67056-d2b7-41eb-ba05-983e0edb89b6.html)

IL SACCHEGGIO DI UNA NAZIONE: LA STORIA DELLE PRIVATIZZAZIONI

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di Nico Arena e Matteo Castagna

MC – La politica era la passione della mia famiglia, sia per parte paterna che materna. Entrambi ferventi cattolici, impegnati nel sociale, mi crebbero a pane, religione e politica. Nel 1989, quando avevo solo 13 anni, la scuola, i media e, ovviamente mamma, papà e loro amici, discutevano del crollo del Muro di Berlino. Era caduto il comunismo. In una famiglia in cui mio nonno materno veniva minacciato dagli ex partigiani rossi di impiccagione ad un pilone elettrico in Piazza del Popolo a San Michele Extra, quartiere di Verona, mentre i miei genitori si distinguevano assieme a molti altri per il loro viscerale anticomunismo accanto alla mia pro-zia che fece il Consigliere Comunale in città, era praticamente naturale che io seguissi giovanissimo quella strada, mai abbandonata. Nel 1990 mi avvicinavo alla Liga Veneta di Franco Rocchetta, leggevo ogni giornalino ed opuscolo. Ero affascinato da quel mondo, che non era mai appartenuto alla mia famiglia, ma si poneva come una novità politica che mi attraeva sui temi del federalismo e per la storia della Serenissima Repubblica di Venezia: 1.100 anni di vita, che a scuola si liquidava in quattro righe. D’altro canto, il pensiero al nonno paterno, aviatore durante la R.S.I. tornato a casa, nel 1950, dopo 5 anni di deportazione in Russia, quando era già stato seppellito tra i dispersi, mi fece approfondire un ambiente che già frequentavo per motivi di tifo calcistico, che era il M.S.I. ed in particolare alcuni esponenti dell’epoca del Fronte della Gioventù. A loro devo letture importanti che mi hanno formato (Evola, Romualdi, Rauti, Pound ecc.) e l’esempio militante per un ideale mai morto, seppur sconfitto. C’era fermento negli anni di Tangentopoli. Per un sedicenne come me era, assieme agli amici di allora, era un grande momento di ricostruzione nazionale, in cui vedevamo molti aspetti compatibili tra la Lega Nord di Bossi e il M.S.I. di Pino Rauti. Poi arrivarono le liti e il M.S.I. veniva smantellato a Fiuggi da Gianfranco Fini, mentre a Verona nasceva la federazione della Fiamma Tricolore in cui confluirono tutti i miei amici e conoscenti di allora. Nel 1993 avevo fatto la mia scelta: portare nella Lega Nord quanto potevo di un’Idea immortale, adeguandola ai tempi con un federalismo che non dispiaceva nell’ambiente missino scaligero. Ricordo che tutti eravamo dei gran forcaioli nei confronti di quelli che consideravamo dei “ladroni”, in particolare la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista. All’epoca delle monetine a Bettino Craxi fuori dall’Hotel Excelsior tifavamo per i sampietrini. Ma la storia non è mai quella che sembra. Tutto va approfondito e colto in un’analisi razionale non passionale come quella di un manipolo di giovanissimi incendiari.

di Nico Arena col contributo di Matteo Castagna

I veri responsabili della distruzione del sistema economico italiano.
Lo scempio delle privatizzazioni in Italia 
Dopo la seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica, i maggiori partiti italiani dell’epoca, la DC e la sinistra facente capo al PCI, si trovarono a decidere insieme quale struttura economica dare al ri-nascente Stato italiano. Vennero rifiutati entrambi i sistemi dominanti dell’epoca, cioè il liberismo statunitense e il collettivismo sovietico; la nuova forma economica che prese vita fu quella dello stato imprenditore. Con questo modello il potere economico statale si trovava a competere con le leggi del mercato, in concorrenza con i privati, con lo scopo di incoraggiare, anche con l’ausilio privato, l’economia del paese. Questo è il sistema della cosiddetta “terza via”, che aiuterà l’Italia a crescere dal dopoguerra in avanti.
Alla base dello stato imprenditore vi era l’IRI, nato nel 1933 come ente di “salvataggio”, che dopo il 1948 divenne il vero e proprio regolatore dei rapporti statali nel mondo industriale ed economico. Dagli anni cinquanta in poi fu il vero strumento di ammodernamento del paese; il suo campo d’azione era vastissimo. E’ giusto ricordare agli odiatori di professione che l’IRI fu una creatura del Fascismo, così ben riuscita da far da asse per tutto ciò che vedremo dopo, in particolare la sua svendita. E smantellarlo gradualmente, non fu un bene per l’Italia. Probabilmente lo direbbe Mussolini, l’ha detto Bettino Craxi ad Hammamet.
Esso comprendeva: acciaierie, autostrade, telecomunicazioni, settore finanziario, settore alimentare, trasporti, ecc. Sostanzialmente l’IRI fu una delle strutture produttive nazionali complesse, capace di misurarsi e competere con i settori di alta tecnologia e alta produttività sorti nel resto d’Europa. Un altro ente importante per comprendere al meglio la presenza dello stato nell’economia era l’ENI, impegnato nel settore degli idrocarburi. Ente Pubblico Economico nel 1953, sotto la direzione di Enrico Mattei, fascista per la CIA, che fu presidente fino alla sua morte nel 1962 Esso gestiva le partecipazioni statali nel settore dell’industria petrolifera e nei settori della petrolchimica, e fu all’avanguardia nella ricerca, lo sfruttamento e il trasporto degli idrocarburi. Da menzionare per la loro relativa importanza nel campo dell’intervento statale, l’EFIM (ente finanziamento industria meccanica) e l’EGAM (ente gestione aziende minerarie). Al fine di coordinare al meglio lo Stato imprenditore, nel 1956 fu istituito il “ministero delle partecipazioni statali”, che si basava sull’idea dell’azienda pubblica come motore di sviluppo economico e strumento di politiche sociali ed occupazionali.
Fin qui la storia sembrerà sicuramente didascalica e scolastica, però tutto ciò è necessario conoscerlo, per affrontare la parte interessante e “sconvolgente” di questa narrazione avendo acquisito una buona dose di concetti base.
Entriamo finalmente nel vivo, e arriviamo alle avvisaglie di quello sarà poi il grande saccheggio della nostra Nazione.
Anni ’80: qui incontriamo i primi due personaggi chiave: Romano Prodi e Carlo De Benedetti. Il primo venne nominato presidente dell’IRI nel 1982, il secondo, invece, era ed è il proprietario del gruppo Repubblica/Espresso. Prodi, nei 7 anni che sarà alla guida dell’IRI, darà prova di grande ambiguità e scaltrezza, infatti, in qualità di presidente concederà alla società di consulenze finanziarie “Nomisma”, della quale è dirigente, incarichi miliardari (alla faccia del conflitto di interesse). Il primo grande colpo di Prodi alla presidenza dell’IRI fu la vendita dell’Alfa Romeo alla FIAT, dalla quale la sua Nomisma prese grosse somme in tangenti, per soli 1000 miliardi a rate, mentre la FORD offriva 2000 miliardi in contanti (il fiuto per gli “affari” è sicuramente innato!).[3] E’ nel 1986 che Carlo De Benedetti sale in cattedra. Infatti, un anno prima, il governo presieduto da Bettino Craxi decise di privatizzare il comparto agro‐alimentare dell’IRI, la SME, che presentava bilanci in deficit. Il consiglio di amministrazione dell’IRI fu incaricato dell’operazione, anche se la decisione finale spettava al governo.[4] Il buon Romano Prodi si mise subito all’opera. Con accordi privati con la Buitoni (presieduta da De Benedetti), svende il 64,36% della SME a soli 393 miliardi, quando il valore complessivo di mercato era di circa 3.100 miliardi.
Naturalmente, secondo chissà quale visione economica naif, Prodi non prende neanche in esame le offerte maggiori degli altri acquirenti interessati alla SME. Alla fine, comunque, a rompere le uova nel paniere al duo De Benedetti‐Prodi è Bettino Craxi, il quale non diede autorizzazione di vendita e ritenne di mantenere la SME nell’ambito pubblico.[6] Queste sono solo le prime avvisaglie di un “colpo grosso”, che porterà allo smantellamento completo dell’assetto economico italiano.
Anni ’90: si aprirono subito con grandi sconvolgimenti e grandi temi da affrontare: iniziò la stagione di “mani pulite”, furono assassinati i giudici antimafia Falcone e Borsellino, il debito pubblico arrivò ai massimi storici e vi fu un attacco speculativo alla lira e alle altre valute europee, da parte del finanziere George Soros, che portò alla distruzione del “sistema monetario europeo”.
Andiamo con ordine, è il 2 giugno 1992, sul panfilo “BRITANNIA” di sua Maestà la Regina Elisabetta, ci fu un incontro più o meno riservato tra top manager italiani e britannici. Erano presenti i presidenti di ENI, INA, AGIP, SNAM, ALENIA e Banco Ambrosiano, oltre all’ex ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e al direttore generale del Tesoro “Mario DRAGHI”. La discussione fu incentrata sul tema delle “privatizzazioni” del comparto pubblico italiano, e la discussione si basò soprattutto su una critica al sistema italiano, reo di essere “lontano da un vero processo di privatizzazioni per ragioni culturali, di sistema politico e di specificità delle aziende da cedere”, come ebbe a dire sullo “yacht reale” il presidente dell’INA Lorenzo Pallesi.[8] Ad inasprire il dibattito ci pensò il consigliere di Confindustria Mario Baldassarri, che incalzò:” Per privatizzare servono 4 condizioni: una forte volontà politica; un contesto sociale favorevole; un quadro legislativo chiaro; un ufficio centrale del governo che coordini tutto il processo di privatizzazioni. Da noi oggi non se ne verifica nemmeno una”.[9]
Quindi, se in quell’Italia la volontà politica non era propensa alle privatizzazioni, i vari manager pubblici e persone del calibro di Draghi, uomo della finanza internazionale, erano già catapultati verso il nuovo indirizzo economico, e la loro volontà veniva incontro agli interessi degli “amici” britannici, che avevano fretta nel spartirsi una bella torta dal valore di circa 100 mila miliardi di lire.
Torniamo indietro di 5 mesi, andiamo al 17 febbraio 1992, data dell’arresto di Mario Chiesa, che darà avvio alla stagione di “mani pulite”. Da lì a pochi mesi un’intera classe politica sarà spazzata via dalle inchieste di Di Pietro & co. I partiti letteralmente distrutti da questa stagione giudiziaria furono la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, i quali avevano una caratteristica comune: erano fortemente intrisi di “statalismo”, cioè erano fortemente inseriti nella concezione delle partecipazioni statali, e non avevano scrupoli ad offrire prebende ed elargizioni di Stato per comprare il consenso dei cittadini. Sicuramente, questo era un sistema lontano anni luce da quello degli affaristi della “city” di Londra e dei nuovi liberal/liberisti italiani. Da qui inizia la fase dei cosiddetti “governi tecnici” e nel 1993 il Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi e il suo governo istituiscono il “Comitato Permanente di Consulenza Globale e Garanzia per le Privatizzazioni”, con presidente Mario Draghi (vedi “Britannia”), e il ministro degli Esteri Beniamino Andreatta (vedi “Britannia”) istituirà accordi con il commissario europeo alla concorrenza Karel Van Miert, affinché le aziende di Stato possano diventare appetibili per il capitale privato.
Avete notato cosa è successo? Ricordate le 4 condizioni per le privatizzazioni del “Britannia”?
Numero 1 (una forte volontà politica): dopo la scomparsa, causa Tangentopoli, dei partiti storici DC/PSI, si avvicendarono al governo vari “tecnici”, tutti fortemente propensi al nuovo corso economico; i nomi e cognomi di questi tecnici sono: Carlo Azeglio Ciampi, Giuliano Amato, Lamberto Dini, i già citati Andreatta e Draghi ed in seguito anche altri protagonisti.
Numero 2 (un contesto sociale favorevole): beh, in quegli anni di grande caos, dove l’indignazione contro una classe politica “corrotta”(e statalista) che veniva spazzata via dalle inchieste(?) era alta, e dove il debito pubblico schizzava alle stelle, anche se non era un reale problema, il contesto era sicuramente favorevole per lasciare spazio alle privatizzazioni.
Numero 3 (un quadro legislativo chiaro): il quadro normativo cominciò ad essere chiaro dal 1993, con il già citato accordo Andreatta/Van Miert, che regolava la ricapitalizzazione del settore siderurgico a patto che lo si privatizzasse e l’azzeramento del debito delle imprese statali. [12] Inoltre, con il cosiddetto “decreto Amato” si trasformarono in società per azioni l’IRI, l’ENI, l’ENEL e l’INA, e con successivi decreti verrà regolamentata la pratica delle privatizzazioni.
Numero 4 (un ufficio centrale del governo che coordini tutto il processo di privatizzazioni): ed ecco anche l’ufficio, cioè il “Comitato Permanente di Consulenza Globale e Garanzia per le Privatizzazioni”, presieduto dal tecnocrate Draghi.
Ecco, ora i tasselli del puzzle sembrano incastrarsi meglio, nel giro di pochi anni gli interessi della grande finanza sono riusciti a mettere tutte le cose in ordine, grazie a: tangentopoli (giustizia a orologeria?) e ad una classe politica completamente asservita (vedi sopra). Vediamo ora il secondo step di questo processo e cioè le privatizzazioni vere e proprie. Nel corso del 1993 ritorna in auge un personaggio che abbiamo già incontrato nella nostra storia: Romano Prodi. Ritornato alla presidenza dell’IRI, dopo esser stato consulente per la Goldman Sachs, Prodi procedette alla svendita del gruppo Cirio-Bertolli-De Rica (comparto SME), alla società Fisvi, la quale non aveva i requisiti necessari per l’acquisto. Ed ecco perché questo giochetto: la Fisvi acquista a due soldi il gruppo, e a sua volta cederà il controllo della Bertolli all’UNILEVER (multinazionale alimentare anglo-olandese). Chi era “l’advisory director” (direttore per le consulenze) dell’UNILEVER?? La risposta è semplice: l’impareggiabile Romano Prodi.[14]
Risale al 1993 anche la prima privatizzazione di una delle grandi banche pubbliche, il “Credito Italiano”. La “Merril Lynch” (banca d’affari americana), incaricata come consulente dall’IRI, valuterà il prezzo di vendita del Credito Italiano in 8/9.000 miliardi, ma alla fine verrà svenduta per 2.700 miliardi, e cioè il prezzo stabilito dalla “Goldman Sachs”(altra banca d’affari americana).
Sempre quell’anno verranno cedute anche le quote della COMIT, che assieme al Credito Italiano e alla BNL detenevano il 95% delle azioni della Banca d’Italia. Come consulenti per la cessione delle banche furono chiamati uomini come Mario Monti, Letta, Tononi e Draghi, tutti gravitanti nell’orbita “Goldman Sachs”.[16]
Nel 1994, dopo le prime elezioni post Tangentopoli, al governo andrà il centrodestra guidato dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, sul quale peserà il sospetto di eccessiva accondiscendenza ad Alleanza Nazionale, che aveva in Antonio Parlato, sottosegretario al Bilancio, e nel vicepremier Giuseppe Tatarella due posizioni fortemente contrarie alle privatizzazioni.[16] Comunque, il governo Berlusconi durò pochi mesi, e alla presidenza del consiglio fu sostituito dal “tecnico” Dini.
Con Dini, nel 1995, cominciò la prima fase di privatizzazione dell’ENI, dove fu dismesso circa il 15% dell’intero pacchetto azionario.[18] Nel 1996, a vincere le elezioni è il centrosinistra guidato dal “santo spirito” Romano Prodi, che cede un altro 16% delle quote ENI ed inoltre privatizzò la Dalmine e la Italimpianti appartenenti al gruppo IRI. E’ nel 1997 che Prodi dà il meglio di sé, infatti, ritorna a “trattare” col suo vecchio amico l’Ingegner Carlo De Benedetti. Sugli “affari” fatti dai due, l’ex segretario del Partito Liberale ed ex ministro dell’Industria Renato Altissimo sentenziò: “Infostrada — cioè la rete telefonica delle Ferrovie dello Stato – fu ceduta all’Ingegnere per 750 miliardi di lire da pagare in comode rate.
Subito dopo De Benedetti vendette tutto per 14mila – ripeto – 14mila miliardi di lire ai tedeschi di Mannesman”.[19] Un vero e proprio regalo si direbbe! Sempre quell’anno Prodi mise sul mercato “Telecom”, con le azioni che furono vendute ad un prezzo irrisorio, infatti, appena un anno dopo le stesse azioni varranno sul mercato 5 volte di più (+ 514%).Dopo la caduta del governo Prodi nell’Ottobre 1998, a prendere il suo posto è Massimo D’Alema, uno dei tanti post-comunisti convertitisi alla causa liberista, che nel Novembre dello stesso anno privatizzerà la BNL, con la consulenza della JP Morgan (altra banca d’affari americana).[21] Nel 1999, dopo il “decreto Bersani” che liberalizzava il settore dell’energia, venne privatizzata l’ENEL e sempre quell’anno venne ceduta la società Autostrade alla famiglia Benetton (quella delle magliette). L’ultima fase di privatizzazione riguarda quel poco che era rimasto all’ENI, infatti, l’onnipresente Goldman Sachs acquisterà l’appetibile patrimonio immobiliare dell’ente per il valore di 3000 miliardi di lire. La cara Goldman farà incetta anche di altri immobili, come quelli della Fondazione Cariplo, mentre la Morgan Stanley (ennesima banca d’affari americana) si catapulterà all’acquisto dei patrimoni di Unim, Ras e Toro. Secondo studi eseguiti dal “Sole 24 ore”, i gruppi esteri oramai posseggono più patrimoni ex-pubblici di quanti ne posseggano gruppi italiani.[22] La fase delle privatizzazioni si può ritenere chiusa nel 2002, con la dismissione e la liquidazione dell’IRI.
Così, in meno di 10 anni, un intero sistema economico viene distrutto e tutto quello che ha reso l’Italia uno dei più grandi paesi a livello internazionale viene ridotto a poco più che uno spezzatino. Grazie allo scempio di queste svendite l’Italia si è giocata il 36% del suo PIL, e cioè della sua ricchezza. I maggiori artefici di questo processo predatorio dello Stato italiano sono gli stessi uomini che ci hanno consegnato nelle mani dell’Europa e nella morsa della moneta unica. Sono gli stessi che oggi vengono pontificati come profeti della buona politica, “grandi statisti”; ma prima o poi arriverà anche per loro, il giorno in cui dovranno rispondere al tribunale della storia e a tutti gli italiani per il loro alto tradimento alla patria. Per gli affaristi, che hanno svenduto l’Italia e gli italiani al peggiore offerente, quel giorno arriverà. “Ridurranno l’Italia in miseria, la venderanno, per poi umiliarla” – diceva Craxi nel lontano 1997. Ci siamo quasi?