Magistrati amici e nemici. Ecco il vero scandalo Lucano

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Dietro il processo all'”intoccabile” ci sono gli scontri fra toghe di vari gruppi. Ma quasi tutte vicine a Palamara

di Luca Fazzo

La disperazione di un uomo che si sente tradito: c’è questo, nel day after di Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace condannato a tredici anni per l’allegra gestione dell’accoglienza ai migranti. Lucano si sente abbandonato da due poteri da cui, a torto a ragione, si credeva tutelato: la politica e la giustizia. E nel suo sfogo di ieri al Corriere contro le «ombre poco chiare» e «un magistrato molto importante e un politico di razza» che starebbero dietro la sua condanna si coglie tutta l’amarezza di un ex intoccabile. Chi avrebbe mai osato scalfire un simbolo mondiale dell’Italia migliore, un candidato al Nobel per la pace?

Invece è accaduto, per mano della magistratura e senza che la politica facesse nulla (proclami di solidarietà a parte) per salvare l’ex sindaco. Su Lucano cade la condanna per reati pesanti come il peculato e la truffa allo Stato, resi ancora più gravi dalla legge «spazzacorrotti». Ma anche tra le toghe intorno al «caso Lucano» ci sono posizioni assai diverse: d’altronde se a contribuire alla incriminazione e alla condanna del sindaco hanno contribuito magistrati di tutte le correnti – sinistra, centro, destra – è anche vero che in aiuto all’indagato eccellente qualche «manina» in toga è intervenuta, con la benedizione del Consiglio superiore della magistratura. Ed anche il fatto che un ex giudice importante come Luigi de Magistris abbia accolto nelle sue file l’ex sindaco qualcosa vuole dire.

La «manina» che venne in aiuto a Lucano ha un nome e un cognome: Emilio Sirianni, esponente di Magistratura democratica, che venne intercettato dalla Guardia di finanza mentre dava istruzioni a Lucano su come difendersi, compreso il consiglio di non parlare troppo al telefono. L’allora ministro Bonafede mise Sirianni sotto procedimento disciplinare: il Csm lo salvò con una sentenza secondo cui dare consigli a un indagato rientrava tra i diritti del magistrato. Difficile immaginare il Csm decidere ugualmente se a ricevere consigli fosse stato un indagato di altra risma.

Ma con chi ce l’ha, adesso, Lucano? Se il «politico di razza» cui accenna potrebbe essere Marco Minniti, il «magistrato importante» è meno facile da identificare. Anche perché l’inchiesta su Riace ha finito con l’accavallarsi e in parte intrecciarsi col terremoto scaturito all’interno della magistratura dal «caso Palamara», nelle cui chat compaiono alcuni dei magistrati che si sono occupati di Lucano. A partire dal grande accusatore del candidato al Nobel, l’allora procuratore di Locri Luigi D’Alessio. D’Alessio è considerato anche lui una «toga rossa», fa parte di Magistratura democratica. Però parte ugualmente a testa bassa contro il sindaco-icona della sinistra. Ma il posto di procuratore a Locri a D’Alessio va stretto, punta a Potenza: a sponsorizzarlo con Palamara è però una toga di centro, il futuro capo delle carceri Francesco Basentini. Niente da fare. Altro nome importante nella vicenda di Riace è quello di Tommasina Cotroneo, presidente del tribunale di Reggio Calabria. È la Cotroneo, nel maggio 2019, a respingere il ricorso di Lucano contro il divieto di dimora a Riace: è uno snodo cruciale della vicenda, perché è la prima volta in cui le tesi della Procura vengono confermate, la Cotroneo dice che Lucano «si muove ed agisce nel Comune di Riace con disinvoltura e abilità sorprendenti, raggiungendo scopi che persegue in spregio assoluto della legge». E anche la Cotroneo finirà sotto procedimento disciplinare per avere chiesto sponda a Palamara («aiutami, stratega!») contro colleghi con cui era in lizza.

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/politica/magistrati-amici-e-nemici-ecco-vero-scandalo-lucano-1979109.html

Qualche spunto per un “grande reset” identitario

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Matteo Castagna per Informazione Cattolica

DALLA MORTE DELLA BALENA BIANCA ALLA PEGGIOR SINISTRA, TUTTA GENDER E CAPITALE

‘La Democrazia Cristiana è contagiosa: il fascismo fu virile, la DC è virale’. Fu la sorella bigotta della fratellanza comunista. Il suo massimo ideologo fu Orietta Berti che teorizzò: Finché la barca va, lasciala andare“. Con queste frasi impietose quanto sarcastiche, Marcello Veneziani definisce la Balena Bianca, poi morta sotto la mannaia di Tangentopoli, fuori dal Parlamento e dagli strali politici della Lega Nord di Bossi, che ne erose il consenso e mise in guardia dalla peggior mala gestio.

Con il 1993 arrivò la cosiddetta Seconda Repubblica, ovvero un rimescolamento degli equilibri, che diede la parvenza di un cambiamento, in cui marchette e clientele, collusioni ed affarismo venivano messe al bando in favore di onestà e trasparenza, competenza e abbattimento della burocrazia.

Ma la DC non morì davvero, perché la “mens democristiana”, figlia del modernismo teologico e dell’italica ipocrisia di quegli odiosi baciapile arraffoni, alleati di chiunque sia speculare al mantenimento del potere fine a se stesso, si incistò in tutti i partiti.

Il maggioritario fu farlocco perché più si “divide” e più si “impera”, mentre due sole coalizioni avrebbero bloccato il sistema di spartizione ed il “magna magna” avrebbe subito un arresto per troppi soggetti.

Poi arrivò il grillismo a dare il colpo di grazia, perché, anziché aprire il Parlamento come una scatola di tonno, ha fatto la fine della rana bollita ed è stato risucchiato come garante del Sistema delle poltrone, dell’incompetenza come prassi di governo e di opposizione, della trasformazione dell’abbattimento degli sprechi con il qualunquismo dell’antipolitica, che ha abbattuto persino il nobile aristotelico concetto di Politica, per favorire il primato dell’economia global su di essa, soprattutto quella con gli occhi a mandorla. Alleato naturale è divenuta la peggior sinistra, tutta gender e capitale.

La seconda Repubblica è la dimostrazione pratica, riconoscibile in ogni ambito pubblico, della peggior “DC virale”. Un’opposizione a questi modelli c’è e si richiama ai movimenti o partiti identitari, che sono però in difficoltà, perché il Sistema è un moloch che si trascina ed un carrozzone che si autoricicla, che infiltra e seduce, che costringe ad accettare coperchi ideologici globalisti, che ricatta e pone veti incrociati, utilizzando, anche, una fetta di Magistratura: quella che leggiamo nel bel libro di Sallusti su Palamara.

 

Ma, allora, questa Seconda Repubblica è stata all’altezza delle aspettative del popolo o ne ha tradito le aspirazioni divenendo peggiore della Prima? Se guardiamo al livello medio, senza generalizzare troppo, mantenendo il giusto equilibrio tomista, sembrerebbe che nei Palazzi romani vi fossero colonie di personaggi in cerca d’autore, in mano ai burocrati, camerieri dei banchieri privi di idee e identità politica propria, che vivono di slogan perché i partiti mancano di una vera classe dirigente, preparata e attenta alla “civitas”, che faccia proposte realizzabili e concrete, in almeno due visioni antropologiche diverse, con culture politiche, etiche e socio-economiche definite e alternative, con alleanze internazionali definite ed alternative, ma in un contesto di pari legittimazione.

La guerra è finita da un pezzo e non possiamo continuare coi preconcetti e gli schemi degli anni di piombo, altrimenti saremo sempre impreparati di fronte al mondo che cambia. La gestione dell’emergenza Covid dovrebbe aver insegnato qualcosa… Va bene lasciare il “grande reset” della seconda repubblica ai globalisti? Oppure sarebbe ora di costruire la proposta della terza repubblica, osservando il tradimento delle élite, la collaborazione coi nemici storici della nostra identità occidentale, l’impunità e la promozione dell’anticattolicesimo, la sovversione della civiltà classico-cristiana, l’invasione dei “nuovi schiavi” della globalizzazione, il ceto medio in ginocchio, l’umiliazione della Chiesa e dei suoi bimillenari principi?

Sul testo più letto al mondo, che rimane la Bibbia, si può trovare la storia di Giuda Maccabeo, che ha saputo opporsi alle forze che minacciavano l’identità del suo popolo. Julien Langella osserva, giustamente, che “la prima cosa che ci colpisce tra i maccabei è la loro viva pietà (che andrebbe recuperata da moltissimi dei “nostri”, n.d.r.) e la buona conoscenza del loro Paese (anche in fatto di cultura, infatti, a partire dalla scuola, ma anche sulla lettura e sui media si potrebbe fare un salto di qualità, n.d.r.). Quei ribelli ci hanno dimostrato che non c’è riconquista senza radicamento geografico, senza riappropriarsi del territorio. Di fronte al Ball mondialista e a tutti i tentativi di appiattimento generale, l’unica risposta efficace consiste nel riappropriarsi della propria lingua (valorizzando ogni peculiarità locale, n.d.r.) delle tradizioni, dei paesaggi, della gastronomia“, del turismo, delle politiche demografiche, delle abitudini, del ritorno alla terra, del rispetto della natura e del senso comunitario perduto dalla vita frenetica.

Contro l’onda di questa subcultura da discount, scialba e incolore o, forse, per qualcuno, mono-subcultura arcobaleno, dobbiamo innalzare la diga identitaria. L’amore della piccola Patria non è d’ostacolo alla grande. Felix Gras, compagno di strada di Mistral, diceva: “amo il mio villaggio più del tuo villaggio, la mia Provenza più della tua provincia e la Francia più di tutto”. Dunque: io amo la mia Valpolicella più della tua Val Brembana, la mia Verona più della tua Vicenza e l’Italia più di tutto.

Le nostre appartenenze devono accumularsi l’una sull’altra in modo complementare e armonioso sotto il “giogo soave” del Regno sociale di Cristo Re delle cose visibili e invisibili. Farà il bene anche di chi non crede, poiché si fonda sull’Amore della Verità che rende liberi – come dice San Paolo – ed il rigetto dell’errore nichilista e relativista, che porta alla disperazione. E poi, perché abbiamo già provato e abbiamo sotto gli occhi cosa sia la “civiltà laicista”, ossia quella dell’odio verso Dio ed il Creato, la dittatura dei desideri sovversivi del diritto naturale, in un contesto di amebe prive di capacità critiche ed appiattite su mode irragionevoli, nel dominio dell’ignoranza e del brutto.

Come diceva Maurras: “lavorando alla ricostruzione della città o della provincia, si lavora a ricostruire la Nazione“, perché l’Italia integrale non può non dirsi cristiana – come sosteneva il miscredente Benedetto Croce – ed è l’Italia federale, dei campanili, delle arti e dei mestieri, degli operai e della piccola/media impresa che l’hanno resa una potenza invidiata da tutto il mondo.

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/2021/05/31/qualche-spunto-per-un-grande-reset-identitario/

Palamara inizia a fare i nomi: ecco chi sono i 133 testimoni chiamati

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Il sempre ben informato D’Agostino ci fornisce degli elementi sul “caso Palamara”, che non deve andare nel dimenticatoio dei professionisti della distrazione di massa…(N.d.R.)

 

1 – DA ORLANDO A CAROFIGLIO, 133 TESTI CHIESTI DA PALAMARA A DISCIPLINARE CSM

Da www.adnkronos.com

Dall’ex ministro della Giustizia e vicesegretario del Pd Andrea Orlando, al magistrato e scrittore Gianrico Carofiglio, ai presidenti emeriti della Consulta, Cesare Mirabelli e Giovanni Maria Flick.

E’ lungo l’elenco dei testimoni per i quali la difesa di Luca Palamara, l’avvocato Stefano Giaime Guizzi, ha chiesto alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistraturala la citazione, in vista dell’udienza prevista il prossimo 21 luglio.

GIOVANNI LEGNINI LUCA PALAMARAGIOVANNI LEGNINI LUCA PALAMARA

L’elenco, che conta 133 nomi, comprende tra gli altri l’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti, l’ex senatrice Anna Finocchiaro, l’attuale vicepresidente di Palazzo dei Marescialli David Ermini e gli ex Michele Vietti e Giovanni Legnini, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho, i pm romani Domenico Ielo, Sergio Colaiocco Luca Tescaroli, l’ex presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri.

ECCO I SUPER TESTIMONI CHE FANNO TREMARE I PALAZZI DEL POTERE

Giacomo Amadori e Fabio Amendolara per “la Verità” Continua a leggere