Cattolicesimo, Massoneria e Metafisica del Caos (critica a una parte della filosofia di Dugin)

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QUINTA COLONNA

EDITORIALE

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/11/26/cattolicesimo-massoneria-e-metafisica-del-caos/

Il Canone 2335 del Codice di Diritto Canonico del 1917 si esprimeva così: “Tutti coloro i quali danno il proprio nome alla setta massonica o ad altre associazioni dello stesso genere, che complottano contro la Chiesa e contro i legittimi poteri civili, incorrono ipso facto nella scomunica riservata simpliciter alla Sede Apostolica”. Quindi, se qualcuno, all’interno dei Sacri Palazzi, era massone, allo stesso tempo era immediatamente scomunicato.
La Chiesa Cattolica non ha condannato la Massoneria solo per una evidente attività, volta a sovvertire i suoi insegnamenti, ma nell’Enciclica Humanum Genus di Papa Leone XIII del 20/04/1884 ha esplicitamente rigettato le idee filosofiche e morali contrarie all’Ordine naturale e divino. Lo stesso Pontefice scrisse una lettera al popolo italiano, datata 8/12/1882, denominata “Custodi”, in cui scrisse: “Ricordiamoci che il cristianesimo e la massoneria sono essenzialmente inconciliabili, così che iscriversi all’una significa separarsi dall’altra”. La condanna leonina si basava soprattutto sulla condanna del liberalismo, di cui, invece, le logge hanno sempre fatto il loro vanto.
Ne deriva che il cattolico non può rapportarsi con Dio in un’ottica esterna di tipo “umanitario” e aconfessionale, a fronte di una dimensione interna, autenticamente cattolica. Cristo è Re dell’universo perché Creatore, che ha dato all’uomo il comandamento della carità. Il vero bene del prossimo, dunque, non è una filantropia fine a se stessa o meramente terrena, ma predisposta a trovare la luce per vivere secondo le leggi di Dio. Purtroppo, nell’epoca della secolarizzazione, la massoneria è riuscita a vincere nella civiltà occidentale, perché, in ogni ambito, è riuscita a creare una mentalità massonica di massa.
Quasi tutti, oggi, sono soggettivisti, nichilisti, agnostici e ritengono che l’umanesimo integrale sia l’elemento fondamentale per la felicità e che la fratellanza sia sinonimo di “persona giusta”. Il giusto – come ha rilevato acutamente S. Tommaso d’Aquino – è colui che sa scindere il bene dal male attraverso un’adesione dell’intelletto e della volontà alla realtà, nella maniera in cui solo Dio la desidera. Non può prescindere da Lui. Il Figlio di Dio, per natura, è Dio. Solo chi condivide l’annuncio della salvezza può diventare figlio di Dio, “per adozione”. Pertanto, o si ritorna al realismo aristotelico-tomista, all’armonia e alla collaborazione fra potere temporale e spirituale, oppure si cade inesorabilmente nella “metafisica del caos”, ove tutto affonda e niente si salva.
Paolo Maria Siano, nato nel 1972, appartenente all’ordine dei francescani dell’Immacolata è, certamente, uno dei massimi studiosi della Massoneria; ha attribuito questa deriva, propria delle idee massoniche, al pensiero filosofico del russo Alexander Dugin, il quale teorizza una necessità irreversibile di caduta nell’abisso del male e rivaluta il Caos come principio primordiale ed eterno dell’universo.“Dobbiamo imparare a pensare con il caos e dentro il caos” – scrive Dugin ne “La quarta teoria politica” (pag. 238) –  mentre noi cristiani opponiamo l’unica Verità di Colui che ha dato la Sua luce alle tenebre e il Suo ordine al caos (Genesi 1, 4-5), rifiutando qualsiasi forma di relativismo e nichilismo, assieme a simbolismi legati all’occulto, all’esoterismo, alla magia o peggio, come ha osservato giustamente il Prof. Roberto De Mattei su “Corrispondenza Romana” del 9/06/2021.
Se, dunque, su questioni di natura meramente politico-economica e di morale tradizionale, ossia rispettosa del diritto naturale, è possibile e, probabilmente auspicabile un mondo multipolare, l’orizzonte soprannaturale rappresentato da Dugin è, almeno per il momento, motivo di completa divergenza con il pensiero cattolico romano e dovrebbe diventare spunto di riflessione per tutti coloro che, troppo frettolosamente, abbracciano in toto le teorie di uomini carismatici ma, in parte, ancora sconosciuti e in parte nel buio dell’errore dottrinale. 

Russia-Ucraina: è il momento di negoziare

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L’EDITORIALE 

di Matteo Castagna – ripreso dal sito www.marcotosatti.it Stilum Curiae del vaticanista Marco Tosatti, che ringraziamo per la stima: https://www.marcotosatti.com/2023/11/25/russia-ucraina-e-il-momento-di-negoziare-con-putin-matteo-castagna/

L’informazione mainstream ci ha abituato all’utilizzo di notizie ripetute fino alla nausea, per un certo lasso temporale, al fine di distrarre l’opinione pubblica da altre questioni importanti, che vuole far passare in sordina. E’ il caso drammatico dell’assassinio della povera Giulia? Forse. Molti vorrebbero che prevalesse il silenzio, almeno fino agli esiti del processo nei confronti di Turetta, momentaneamente in galera a Verona, in attesa di un carcere che abbia una “sezione protetti”…
Lasciando che le indagini e la giustizia facciano il loro corso, augurandoci il massimo dell’equità, osserviamo che gli equilibri mondiali, in progressivo mutamento, sono determinati da fatti che l’opinione pubblica dovrebbe ben conoscere, perché i cambiamenti epocali non cadano addosso alle persone come fossero macigni, provocando disagio e disorientamento, più di quanto vi sia già, a causa dell’imposizione da parte del Sistema globale di ideologie sovversive dell’ordine naturale.
Il Ministero degli Esteri cinese ha annunciato, nell’ultima puntata di Osservatorio sui Mondi, a Pechino, che i Paesi Arabi e musulmani chiedono la fine delle ostilità a Gaza Il capo della diplomazia cinese, Wang Yi, ha avuto un colloquio con la delegazione congiunta dei ministri degli Esteri dei paesi arabi e musulmani, che hanno scelto la Cina come prima prima tappa del loro tour di mediazione internazionale sulla questione palestinese. Durante l’incontro, hanno chiesto un immediato cessate il fuoco a Gaza, sottolineando l’importanza di consentire l’accesso degli aiuti umanitari nell’enclave palestinese devastata. Inoltre, il capo della diplomazia cinese Wang Li ha sottolineato che qualsiasi accordo sul futuro e il destino della Palestina deve derivare dal consenso del popolo palestinese. Nonostante qualche intoppo, la mediazione cinese sta funzionando, nel senso che è in corso un breve periodo di tregua, con rilascio degli ostaggi.

Sul fronte russo, il Presidente Vladimir Putin ha partecipato al vertice di Minsk, in Bielorussia, del CSTO, che è un’ alleanza militare difensiva, composta da Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan. Lo zar ha detto che la Russia rigetta ogni forma di terrorismo, che l’Organizzazione dei Paesi membri CSTO si sta ampliando e che ha stipulato importanti accordi  commerciali e sulle imprese militari. Infine, il dato maggiormente significativo è la costituzione, nell’ambito del CSTO, di un Consiglio di coordinamento per la Sicurezza biologica. Un atto preventivo, che, seppur in un’ottica difensiva, riesce a tenere col fiato sospeso tutto il mondo.

Il New York Times del 23 novembre ha titolato: “Al vertice BRICS, i paesi divergono leggermente su Israele e sulla guerra a Gaza”. Non si capisce dove si trovi questa piccola divergenza, dato che l’articolo stesso riporta la notizia di una dichiarazione congiunta firmata dai BRICS martedì 21 Novembre che include, tra le richieste: “il rilascio di tutti i civili tenuti prigionieri illegalmente, nonché una tregua umanitaria che porterebbe alla cessazione delle ostilità”. Sempre il NYT precisava che, nel testo condiviso dai Paesi membri BRICS c’è scritto: “abbiamo condannato qualsiasi tipo di trasferimento e deportazione individuale o di massa dei palestinesi dalla propria terra”. Poiché nella dichiarazione vi è anche scritto che i BRICS (alleanza politico-strategica e commerciale tra Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e altri Paesi, cosiddetti in “via di sviluppo”) “condannano gli atti di brutalità contro i palestinesi e israeliani”, osserviamo come la diplomazia degli Stati non atlantisti stia lavorando separatamente, ma nella medesima direzione, rivolta a cercare percorsi adeguati per giungere alla pace, nei conflitti in corso, sia in Ucraina, che in Medio Oriente.
Ne consegue che l’Occidente, a trazione anglo-americana, rimane alquanto isolato nella volontà di proseguire con le guerre, per il mantenimento di un potere unipolare che non è più possibile conservare. Clamorosa, al riguardo, la dichiarazione all’agenzia Strana.ua del 24.11.23 di David Arakhamia, leader parlamentare ucraino del partito “Servitore del popolo” del Presidente Zelensky: “La guerra sarebbe potuta finire nella primavera del 2022, ma la Gran Bretagna ha imposto di proseguire a combattere”, perché l’accordo avrebbe previsto, per parte ucraina, l’accettazione della neutralità e la rinuncia all’ingresso della NATO.
La Russia avrebbe ritirato il proprio esercito ed il Donbass avrebbe dovuto ottenere ampie autonomie all’interno dell’Ucraina. Ciò era stato confermato anche dall’ex cancelliere tedesco Schroeder, il quale aveva partecipato ai negoziati (secondo lui, falliti a causa delle pressioni USA).
Ma poi – ha concluso Arakhamia – «Boris Johnson è arrivato a Kiev dicendo che non voleva firmare nulla con i russi e di continuare semplicemente a combattere».
Ora, il partito di Zelensky vede un’unica via d’uscita nell’apertura di negoziati con la Russia, perché la guerra è praticamente persa e la situazione generale del Paese è disastrosa. L’ex comico, però, non si rassegna e, da un’emittente televisiva ucraina, chiede 50 miliardi di dollari all’Occidente, per continuare il conflitto…
Sullo sfondo, gli Stati Uniti apprendono che l’Iran sta considerando di vendere missili balistici a corto raggio alla Russia. Lo ha annunciato il Rappresentante Ufficiale del Pentagono, Contrammiraglio della Marina John Kirby. Il tono molto preoccupato dell’ufficiale americano è più che giustificabile, dato che già l’anno scorso, al fronte, sono stati fotografati degli eccellenti PTRK iraniani, che sono le repliche dei russi Kornet, e militari russi che indossavano corazze iraniane.
La Russia, come gli Stati Uniti, è firmataria del “Trattato INF”, che vieta lo sviluppo di missili a corto raggio, in grado di viaggiare oltre i 500 chilometri. L’Iran non è tra i firmatari del Trattato. Perciò dispone di missili che potrebbero essere molto utili alla causa russa: Fateh-110 e Zolfaghar. Il raggio d’azione dei primi è di 300 chilometri (addirittura inferiore a quello dei missili Iskander 9M723), mentre i secondi hanno una gittata di 700 chilometri.
Nel settembre 2022, l’Iran ha mostrato i missili balistici Rezvan, a testata staccabile, con una gittata di 1.400 chilometri. Questo è già sufficiente per bombardare l’Ucraina, non solo da nord a sud, ma anche da ovest a est. Perciò, sarebbe da irresponsabili insistere nel rifiutare i negoziati con Putin, anche perché egli dispone di un alleato come l’Iran, che è molto forte e che potrebbe innescare, col suo intervento bellico, un’escalation che con gran facilità potrebbe velocemente proporsi anche in Medio Oriente.

Cina, non basta la politica dei crediti esteri per diventare grande potenza

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EDITORIALE DI MATTEO CASTAGNA 

Ripreso da: www.affaritaliani.itwww.marcotosatti.it www.informazionecattolica.it www.2dipicche.news.it 

La Cina non è ancora pronta a dominare il mondo
Non basta la politica dei crediti esteri manca una mentalità da “grande potenza”

di Matteo Castagna

La Cina e i nuovi equilibri geopolitici

Gli Stati Uniti hanno invitato tutti i membri della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC), compresa la Russia, al vertice di San Francisco, in California, tra l’11 e il 17 novembre, dal titolo “Costruire un futuro di sostenibilità e resilienza per tutti” – ha dichiarato Matt Murray, funzionario senior dell’APEC.”.

In questo momento storico, particolarmente tumultuoso, e di posizionamenti mirati a nuovi equilibri geopolitici, sembrerebbe la prima volta che gli Stati Uniti diano un segnale di apertura nei confronti della Russia di Putin e dei Paesi più importanti dell’Eurasia. Da un lato, è un atto strategico. Negli States si è compreso che sono emerse delle superpotenze nuove, con le quali è più conveniente, almeno per il momento, cercare diplomaticamente una forma di cooperazione, rispetto al braccio di ferro bellico. Dall’altro, alla luce del comportamento tradizionale degli Stati Uniti, potrebbe apparire il primo, grande segnale di debolezza sul piano globale, dalla nascita delle Nazioni Unite.

L’ex premier italiano Mario Draghi, ad un recente evento del Financial Time, dà conferma di quanto poc’anzi asserito, cogliendone i fatti principali: “…una lunga serie di arretramenti sui nostri valori fondamentali [il globalismo liberale unipolare, n.d.r.]: l’ammissione della Russia al G8, nonostante il mancato riconoscimento della sovranità ucraina, la promessa mancata di un intervento in Siria nel caso in cui Assad avesse usato il gas come arma, la Crimea, il ritiro dall’Afghanistan” sono stati indicazioni di profonda debolezza.

Draghi ha continuato, dicendo: “La lezione che se ne può trarre è che non dobbiamo mai scendere a compromessi sui nostri valori fondamentali su cui è stata costruita l’UE…” . Draghi afferma con decisione: “Dobbiamo combattere, ciascuno nella propria sfera personale ma anche collettivamente, per fare in modo che la negazione dei nostri valori [quelli delle democrazie liberal-capitaliste, n.d.r.] non prevalga”.

Nella grande scacchiera internazionale, l’economia, che da almeno due secoli ha, gradualmente, sostituito la politica, gioca un ruolo primario. I big della Terra dividono il mondo in due categorie: Paesi creditori netti e Paesi debitori netti, come base di partenza per creare, successivamente, le strategie di potere e muoversi nella difficile sfera geopolitica post-moderna.

Un rapporto pubblicato da AidData ci informa del fatto che la Cina è il maggior creditore dei confronti degli altri paesi della Terra, per un valore complessivo di 1.300 miliardi di dollari. Gli 8 principali Paesi debitori sono gli stessi da molti anni, ma l’ammontare del debito è in aumento: 63mila miliardi di dollari totali, per ora. I primi 8 grandi debitori sono: Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Paesi Bassi, Francia, Irlanda, Italia e Germania. Questi dati sono importantissimi perché non è possibile non tenerne conto nella strategia e nell’asset degli equilibri globali.

Se si vuole evitare un conflitto armato che potrebbe assumere connotazioni mondiali, serve riconoscere che la Cina è una grande e compatta Nazione, con una connotazione identitaria profonda, che sul piano finanziario è creditrice di tutte le altre potenze. Si aggiunga, però, che la sua aspirazione a dominare il mondo non è alla sua portata, perché non è pronta per svolgere tale ruolo. La fonte che dichiara questo è cinese ed autorevole: il Prof. Liang Xiaojun, docente alla China Foreign Affairs University di Pechino sostiene, già in un articolo su “East Asia Forum” del 13 settembre 2016, che alla Cina manca una mentalità da “grande potenza”, in grado di candidarsi a dominare il mondo. Il regime comunista è, spesso, chiuso e distaccato dal sentire comune e dalle necessità di una popolazione enorme. Inoltre, rimane ancora in ballo, la delicata questione Taiwan.

La logica multipolare non è ancora realmente dominante in Cina, perché la politica dei crediti esteri, di cui sopra, si basa esclusivamente su un rapporto “do ut des” di benefici reciproci, e, molte volte, questa politica produce enormi e gravissime opposizioni interne. Infine, la sempre maggiore comunità del web è divenuta molto più nazionalista e identitaria, quindi protesa a mantenere alta la tensione nei confronti di un rigido regime, che rischia di autoisolarsi, proprio per questa sua durezza e questo suo inquadramento ideologico, considerato, oramai, superato e da sostituire con maggiore libertà all’interno del ritorno di una forte nostalgia per il passato imperiale. Tutto ciò non pone Xi Jinping nelle condizioni di proporsi al resto del mondo come leader sufficientemente affidabile, credibile, che sia in grado di garantire stabilità e fiducia, prosperità, pace e tranquillità.

Fonte:https://www.affaritaliani.it/esteri/cina-non-basta-la-politica-dei-crediti-esteri-per-diventare-grande-potenza-886161.html 

LA SINERGIA TRA LE FORZE DEL MULTIPOLARISMO

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Discorso alla 1° Conferenza europea sul multipolarismo del 4 settembre 2023

La transizione dall’amministrazione di Donald Trump a quella guidata da Joe Biden ha portato a un significativo cambiamento della politica estera statunitense.

Il miliardario newyorkese è stato formalmente issato alla Casa Bianca per soddisfare le richieste della classe media americana impoverita e delusa dall’eccessiva esposizione militare degli Stati Uniti nel mondo, sfruttando un sentimento di frustrazione che, non a caso, era già stato evidenziato da uno dei massimi analisti dei circoli di potere a stelle e strisce, Samuel Huntington.

In realtà, si è trattato dell’ennesimo “bait and switch” della geopolitica statunitense; Trump – il candidato ideale per raccogliere le proteste di questa componente risentita della società americana – è stato utilizzato per cercare di bloccare l’ascesa pacifica della Repubblica Popolare Cinese e soprattutto il suo progetto di Nuova Via della Seta terrestre e marittima che stava trasformando il processo di globalizzazione da unipolare a multipolare (facendo perdere agli Stati Uniti il loro dominio universale). Da qui la retorica della Casa Bianca sull’America First, sul protezionismo e sulle tariffe commerciali, metodi che si sono però rivelati inefficaci vista la stretta interconnessione tra le prime due economie del mondo.

Al protagonismo di Pechino, basato sui principi BRICS di non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani, di rispetto delle differenze culturali-religiose dei singoli Paesi (anche per quanto riguarda il modello di sviluppo) e di sostegno all’economia reale ma non speculativa, si è ovviamente unita anche Mosca, soprattutto dopo le sanzioni euro-atlantiche del 2014 per la questione della Crimea; il Cremlino ha reagito ad esse con un più intenso riavvicinamento economico alla Cina e con un intervento militare in Siria che ha sconvolto i piani statunitensi per il “Grande Medio Oriente”, secondo una logica che si potrebbe definire di “divisione internazionale del lavoro eurasiatico”. (La Russia usa lo strumento militare, la Cina quello economico). Fallito il tentativo trumpiano di staccare la Russia dalla Cina, con il pretesto della pandemia si è via via riproposto il vecchio schema della “guerra fredda”, della divisione del mondo in blocchi, dello scontro anche ideologico tra “autocrazie” e “democrazie”. A quel punto, il candidato naturale per l’establishment statunitense è diventato Joe Biden, il presidente che più probabilmente recupererà l’Europa all’interno del blocco guidato da Washington attraverso la NATO dopo le tribolazioni dell’era Trump.

Prima di insediare la Cina – considerata dagli Stati Uniti il vero rivale strategico per la governance mondiale – Washington cerca di sbarazzarsi del principale alleato di Xi Jinping, ovvero Vladimir Putin, per sostituirlo con un “fantoccio” disposto ad accettare il ruolo marginale di Mosca all’interno dell’ordine unipolare statunitense e la frammentazione della Federazione Russa.

A questo punto è necessario un ulteriore chiarimento. Molti parlano già di multipolarismo come di un processo pienamente avviato, in realtà siamo ancora in una fase di transizione che la diplomatica russa Marija Chodynskaja Goleniščeva ha brillantemente definito qualche anno fa come “dualismo policentrico”: “L’unipolarismo e l’unipolarismo pluralista (quello che gli americani chiamano multilateralismo), modelli tipici degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, cominciano a cedere il passo all’ordine mondiale policentrico. Questo processo, difficile e irregolare, incontra la resistenza di Stati abituati a dominare la scena mondiale e che hanno perso la capacità di negoziare per raggiungere compromessi che tengano conto degli interessi delle altre parti e presuppongano la disponibilità a fare concessioni. D’altra parte, la crescita del peso politico specifico degli “attori non convenzionali” (in primo luogo dei Paesi della regione) sulla scena internazionale, il loro desiderio di partecipare più attivamente al processo decisionale su questioni mondiali fondamentali porta a un profondo coinvolgimento di questi Stati nei conflitti che riguardano i loro interessi nazionali. Tutto ciò rende la situazione imprevedibile, porta alla “frammentazione” dei conflitti in aree di intersezione degli interessi degli attori politici globali e regionali e rende la risoluzione delle crisi mutevole in assenza di una metodologia adeguata alla realtà odierna.

Il filosofo geopolitico eurasiatico Aleksandr Dugin ha giustamente separato e distinto il concetto di multilateralismo – una comoda situazione di facciata che serve solo a distinguere la disuguaglianza tra l’egemone (gli USA) e i suoi vassalli (le nazioni dell’Alleanza Atlantica) – da quello di multipolarità, concetto caro a chi non accetta l’egemonia unipolare statunitense sul pianeta. Non ci possono essere compromessi tra i sostenitori dei due campi, tanto più che l’enunciazione di principi guida da parte di Putin e la sistematizzazione di strumenti militari ed economici alternativi (CSTO, Banca dei BRICS, OCS…) ha ulteriormente ampliato il divario tra le rispettive parti. Tornando a Dugin, egli sostiene che “un mondo multipolare non è un mondo bipolare perché nel mondo di oggi non c’è nessuna potenza che possa resistere con le proprie forze al potere strategico degli Stati Uniti e dei Paesi della NATO, e inoltre non c’è nessuna ideologia generale e coerente in grado di unire gran parte dell’umanità in chiara opposizione ideologica all’ideologia della democrazia liberale, del capitalismo e dei diritti umani, su cui gli Stati Uniti fondano ora una nuova, unica ideologia. Né la Russia moderna, la Cina, l’India o qualsiasi altro Stato possono pretendere di essere un secondo polo in queste condizioni. Il ripristino del bipolarismo è impossibile per ragioni ideologiche e tecnico-militari…”. In realtà, proprio il rispetto da parte dei BRICS e dei loro alleati dei principi condivisi di non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani, unito all’affermazione delle specificità culturali, dei modelli economici specifici (produttivi contro finanziari) e delle diverse visioni del mondo (basti pensare al concetto di “famiglia”), ha già diviso lo scacchiere geopolitico tra due poli in costante competizione tra loro in tutte le aree del pianeta. L’accelerazione della competizione tra i due campi negli ultimi anni ha infatti costretto in un modo o nell’altro tutti gli Stati nazionali a schierarsi da una parte o dall’altra. In conclusione, se è vero che attualmente non viviamo ancora in un sistema geopolitico multipolare, è altrettanto vero che la conditio sine qua non del suo completamento è il passaggio a una nuova fase bipolare che, pur non basandosi più sulla storica contrapposizione ideologica tra capitalismo e marxismo, conserva comunque differenze epocali di visione del mondo. Non si tratta quindi solo di proporre una riorganizzazione delle relazioni internazionali o di interpretare l’attuale fase storica come il passaggio dalla competizione geopolitica a quella geoeconomica, ma di approfondire ulteriormente la sinergia già esistente tra le forze che tendono a favorire il multipolarismo per far capire che l’attuale precario equilibrio bipolare può essere rotto solo con il ridimensionamento strategico degli Stati Uniti d’America. Solo quando Washington accetterà o sarà costretta a rinunciare al suo tentativo di egemonia mondiale, di fronte all’evidenza della sua incapacità di guidare il pianeta, si realizzerà l’agognato sistema multipolare; nel frattempo, la fase intermedia non potrà che essere sempre più bipolare, come gli ultimi avvenimenti stanno evidenziando: il trinceramento del mondo atlantico, Europa compresa, a difesa della supremazia del dollaro statunitense.

Allo stesso tempo, la fine dell’eurocentrismo richiede una nuova idea-forza da parte dei sostenitori del mondo multipolare che imponga la fine dell’assunto di occidentalizzazione-modernizzazione-liberismo-democrazia-diritti umani/individuali come unico progresso possibile dell’umanità. Un processo di cambiamento culturale che dovrebbe essere coordinato con i Paesi BRICS, ai quali potrebbero presto aggiungersi almeno altre 20 nazioni di varie parti del globo.

Dovrebbero poi riconoscere il ruolo della Russia come Piemonte d’Europa e cercare di coagulare tutte quelle forze genuinamente antiamericane presenti all’interno del Vecchio Continente (tenendo presente la subordinazione e la complicità dell’Unione Europea con l’imperialismo statunitense).

Una transizione pacifica dall’unipolarismo al multipolarismo potrebbe essere più conveniente per tutti. Il mondo sarebbe diviso in zone d’influenza in cui le potenze regionali e vicine si attivano per risolvere eventualmente le varie questioni in modo pacifico: è il modello che ho definito globalizzazione multipolare, perché si basa su diversi attori-civiltà e sulla composizione possibilmente win-win degli interessi. Ma la vittoria militare russa in Ucraina e il completamento del processo di dedollarizzazione già in atto costituiscono le premesse indispensabili.

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/la-sinergia-tra-le-forze-del-multipolarismo

“Their”: è iniziata la strategia di uscita dalla guerra in Ucraina

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di Francesco Dall’Aglio

Fonte: Francesco Dall’Aglio tramite Arianna Editrice

Che questa guerra non sarebbe finita in tre giorni o tre settimane, e nemmeno in tre mesi, era abbastanza chiaro quasi da subito a chiunque fosse dotato di un minimo di senno (inclusi quelli che fanno finta di non averne, molti dei quali prendo in giro qui, bonariamente o meno). Ed era conseguentemente chiaro che si sarebbe dovuta prima o poi trovare una soluzione nella quale nessuno dei contendenti (tranne l’Ucraina, della quale è sempre bene ricordarsi che non importa niente a nessuno) venisse sconfitto, perché solo i bambini molto piccoli possono credere che due potenze possano scontrarsi, direttamente o indirettamente, nel giardino di casa di una delle due, e una delle due possa accettare di essere sconfitta e tornarsene a casa zitta e col conto da pagare; ancora meglio, che si sarebbe dovuta trovare una soluzione in cui ognuno (tranne sempre l’Ucraina, per il motivo di cui sopra) potesse dichiarare di aver vinto, almeno al mercato interno, per così dire, e gli altri dicessero quello che volevano. Certo la prima fase della propaganda è stata dichiarare sostegno incondizionato ed eterno, gettare il cuore (altrui) oltre l’ostacolo, punire e umiliare i malvagi, inviare le superarmi del grande padrone bianco che avrebbero fatto vincere i buoni perché si sa che i buoni vincono sempre (la prima fase della propaganda è stata mirata, appunto, ai bambini molto piccoli), e cambiare registro non è facilissimo. Ma c’è gente molto in gamba che ci sta lavorando, come ad esempio Sean Bell che scrive per SkyNews. In passato, Bell ci ha deliziato con capolavori del giornalismo quali “Vladimir Putin’s attacks on Kyiv show his emotions are overriding military strategy” il 3 giugno 2023 (https://news.sky.com/…/vladimir-putins-attacks-on-kyiv…),

“Putin is becoming the problem that Russia needs to solve” del 29 luglio (https://news.sky.com/…/putin-is-becoming-the-problem…) o il fantastico “The battle of Bakhmut is not about seizing vital ground – it is about maximising enemy casualties”, nel senso che secondo lui Bahmut è stata una battaglia di attrito GESTITA E VINTA DALL’UCRAINA, il 3 maggio 2023 (https://news.sky.com/…/ukraine-war-the-battle-of…). A onor del vero ha scritto anche roba più bilanciata, ma il senso era sempre quello: l’invasione è un disastro, l’Ucraina alla fine vincerà – propaganda magari non proprio per bambini molto piccoli, diciamo per preadolescenti. E invece il 9 settembre se ne esce con un articolo clamoroso: “The West remains committed to Ukraine’s counteroffensive – but there’s scepticism over Zelenskyy’s ultimate objectives(https://news.sky.com/…/the-west-remains-committed-to…), nel quale si gettano non solo le fondamenta del cambio di strategia di cui sopra, ma anche il pianterreno e buona parte del primo piano. Che ci racconta Bell? Sintetizzando: l’Occidente ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina, che ha ricevuto aiuti militari senza precedenti “nonostante non sia un membro della NATO” (cosa sottolineata all’inizio del secondo capoverso, in caso a qualcuno fosse sfuggito). Ma ora che la guerra è in una fase di stagnazione, gli obiettivi strategici dell’Occidente e dell’Ucraina sono ancora allineati? Perché continuare a sostenere una “nazione non-NATO” dopo una pandemia e col costo della vita che aumenta? la risposta è semplice, ci spiega pazientemente Bell che appunto ci tratta da preadolescenti: la Russia è stata da tempo identificata come una potenziale minaccia per gli interessi occidentali; dopo l’umiliante dissoluzione dell’Unione Sovietica Putin aspirava a “make Russia great again”, a farla diventare una superpotenza e il contraltare a una NATo in espansione, grazie alle ricchezze naturali della Russia (e si sa che quando la Gran Bretagna vede ricchezze da qualche parte…) e alla dipendenza energetica dell’Occidente.

Nessuno si aspettava un’invasione russa (Putin lo aveva detto, letteralmente. Dal 2007, più o meno in continuazione) ma la resistenza ucraina è stata “determinata, valorosa ed efficace” (vero). Fin qua ci siamo. Ora c’è il plot twist. “Avendo bloccato l’avanzata russa, l’Occidente ha considerato le opzioni a sua disposizione”. L’Ucraina non è un membro della NATO (è la TERZA VOLTA che Bell ripete questa cosa) e l’Occidente non intende confrontarsi direttamente con la Russia. Però l’aggressione russa è una minaccia diretta all’Europa, e se cade l’Ucraina cosa succederà poi (torna la propaganda per bambini molto piccoli: prima l’Ucraina, poi il baltico, poi la Polonia, poi il Portogallo e poi finalmente imperatore dell’universo). Quindi si è deciso di aiutare Kiev, dice Bell. L’Occidente voleva far cessare la minaccia all’Europa e l’Ucraina liberare il suo territorio, obiettivi diversi (ma cosa diversi? Ma non era la lotta contro il male assoluto, contro gli orchi di Mordor? Cosa diversi???) ma sufficienti a creare un fronte comune. In questa guerra, ci spiega sempre Bell, l’esercito russo è stato massacrato e le sue debolezze portate alla luce, e ci vorranno dieci anni perché possa equipaggiarsi di nuovo. Le sanzioni hanno distrutto l’economia russa e la Russia è diventata un paria sulla scena internazionale (a proposito di paria, allego la foto di Modi e Lavrov che si sganasciano dalle risate al G20 a Nuova Dehli, tre giorni fa). Putin, addirittura, è costretto “a rapporti commerciali sgradevoli con l’Iran e la Corea del Nord”, e la NATO si è ulteriormente allargata. E come se non bastasse, Putin ha dovuto affrontare la più grande minaccia alla sua autorità, la ribellione di Prigožin (che quest’ultimo sia morto e Putin sia al momento a Valdivostok non pare interessare Bell. Se qualcuno ti sfida hai perso, punto).
Conclusione: “la Russia non pone più una minaccia credibile all’Europa. L’obiettivo occidentale per questo conflitto è stato raggiunto”. Converrete che è un capolavoro: abbiamo vinto la guerra, ce ne possiamo anche tornare a casa. Certo c’è il dettaglio che l’Ucraina NON ha raggiunto il suo obiettivo. E in realtà, afferma mestamente Bell, non si sa se la cosa è fattibile. Zelensky è stato un grande leader in guerra, ma ora ci vuole l’abilità di un grande statista “per creare le condizioni per un’Ucraina prospera, sicura e libera”. Molti ucraini vorranno continuare a combattere per cacciare i russi: magnanimamente, Bell considera che “questo è un diritto dell’Ucraina, la loro lotta, il loro futuro, e il loro sacrificio”.

La loro lotta. Il loro sacrificio. Chiaro?
Bell non è il solo, ovviamente. Richard Kemp, anche lui in passato autore di capolavori tipo “Putin is terrified of Ukraine’s counteroffensive (https://www.telegraph.co.uk/…/putin-is-terrified-of…/) o del meraviglioso “A total Russian collapse is surprisingly close” (https://www.telegraph.co.uk/…/total-russian-collapse…/) ma anche lui a volte capace di analisi molto sobrie, scrive ieri sul Telegraph che “L’Occidente deve prepararsi all’umiliazione” (https://www.telegraph.co.uk/…/ukraines…/), mentre secondo il generale Mark “Kiev cadrà in 72 ore” Millay, anche se non si può ancora stabilire se l’offensiva ucraina sia fallita o meno, all’Ucraina restano 30-45 giorni e poi arriveranno le piogge, il fango, e insomma vedremo come si metterà. L’intervista alla BBC la trovate qui: https://www.bbc.com/news/world-europe-66763868. Vi avverto che è parecchio imbarazzante, soprattutto la conclusione affidata non a Milley ma all’ammiraglio e capo di Stato Maggiore britannico Sir Tony Radakin, che quasi pestando i piedi strilla “Ukraine is winning and Russia is losing” mentre Milley vorrebbe chiaramente essere altrove. Vorrebbe, forse, essere altrove anche Zelensky, che sta accorgendosi che il sostegno occidentale non è così scontato. Stando a quanto dichiarato ieri in un’intervista all’Economist (https://www.economist.com/…/donald-trump-will-never…), gli sembra che, quando legge, ascolta o guarda negli occhi chi gli dice che “saremo sempre con lui”, vede in realtà che lui, o lei, “non sono qui, non sono con noi”. E perché dovrebbero? Lo ha spiegato così bene Bell: la guerra noi l’abbiamo vinta. Il resto è “their fight, their future, and their sacrifice”. Their.”

Escatologie del mondo multipolare

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di Alexandr Dugin

BRICS: La creazione del multipolarismo. Il XV Vertice dei BRICS: La creazione di un mondo multipolare

Il XV vertice dei BRICS ha preso la storica decisione di ammettere altri 6 Paesi nell’organizzazione: Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. In questo modo è stata completata la formazione del nucleo di un mondo multipolare.

Sebbene i BRICS, ex BRIC, fossero un’associazione condizionata di Paesi semiperiferici (secondo Wallerstein) o del “secondo mondo”, il dialogo tra questi Paesi, che non fanno parte della struttura dell’Occidente collettivo (NATO e altre organizzazioni rigidamente unipolari dominate dagli Stati Uniti), ha gradualmente delineato i contorni di un ordine mondiale alternativo. Se la civiltà occidentale si considera l’unica, e questa è l’essenza del globalismo e dell’unipolarismo, i Paesi BRICS rappresentano civiltà sovrane e indipendenti, diverse dall’Occidente, con una lunga storia e un sistema di valori tradizionali del tutto originale.

Inizialmente l’associazione BRIC, creata nel 2006 su iniziativa del presidente russo Vladimir Putin, comprendeva quattro Paesi: Brasile, Russia, India e Cina. Il Brasile, la più grande potenza del Sudamerica, rappresentava il continente latinoamericano. La Russia, la Cina e l’India sono di per sé di dimensioni sufficienti per essere considerate civiltà a tutto tondo. Sono più che semplici Stati-nazione.

La Russia è l’avanguardia dell’Eurasia, il “Grande Spazio” eurasiatico.

La Cina è responsabile di un’area significativa delle potenze vicine dell’Indocina e di molte altre (il progetto One Belt One Road è il modo concreto per stabilire questo “Grande Spazio” cinese basato sulla cooperazione pacifica).

L’India estende la sua influenza anche al di là dei suoi confini, almeno fino al Bangladesh e al Nepal.

Quando nel 2011 il Sudafrica si è unito ai Paesi BRIC (da cui l’acronimo BRICS – la “C” alla fine di Sudafrica), simbolicamente era rappresentato anche il più grande Paese africano.

7 civiltà (1 contro 6)

Ma al XV vertice, tenutosi dal 22 al 24 agosto 2023 a Johannesburg, ha avuto luogo la formazione definitiva del club multipolare. L’ingresso di tre potenze islamiche – l’Iran sciita e l’Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sunniti – è stato fondamentale. In questo modo, è stata assicurata la partecipazione diretta al mondo multipolare dell’intera civiltà islamica, rappresentata da entrambi i rami – sunnismo e sciismo -.

Inoltre, insieme al Brasile di lingua portoghese, l’Argentina di lingua spagnola, altra potenza forte e indipendente, si è unita ai BRICS. Già a metà del XX secolo, i teorici dell’unificazione sudamericana in un “Grande Spazio” consolidato – in primis il generale argentino Juan Perón e il presidente brasiliano Getúlio Vargas – consideravano un decisivo avvicinamento tra Brasile e Argentina come il primo principio di questo processo. Se questo si realizzerà, il processo di integrazione dell’ecumene latinoamericano (termine di A. Buela) sarà irreversibile. Ed è proprio quello che sta accadendo ora nel contesto dell’adesione delle due maggiori potenze del Sud America, Brasile e Argentina, al club multipolare.

Anche l’ammissione dell’Etiopia è altamente simbolica. È l’unico Paese africano che è rimasto indipendente per tutta l’epoca coloniale, preservando la sua sovranità, la sua indipendenza e la sua cultura unica (gli etiopi sono il più antico popolo cristiano). Insieme al Sudafrica, l’Etiopia rafforza con la sua presenza nel club multipolare il continente africano nel suo complesso.

In effetti, la nuova composizione dei BRICS ci offre un modello completo di unione di tutti i poli – civiltà, “Spazi Maggiori”, con l’eccezione dell’Occidente, che cerca disperatamente di preservare la sua egemonia e la sua struttura unipolare. Ma ora non si trova di fronte a Paesi disparati e frammentati, pieni di contraddizioni interne ed esterne, bensì a una forza unita della maggioranza dell’umanità, determinata a costruire un mondo multipolare.

Questo mondo multipolare è costituito dalle seguenti civiltà:

  1. L’Occidente (USA+UE e i loro vassalli, tra cui, ahimè, il Giappone, un tempo fiero e sovrano, ora degradato a fantoccio passivo dei conquistatori occidentali);
  2. La Cina (+Taiwan) con i suoi satelliti;
  3. Russia (come integratore dell’intero spazio eurasiatico);
  4. L’India e la sua zona di influenza;
  5. America Latina (con il nucleo di Brasile+Argentina);
  6. Africa (Sudafrica+Etiopia, con Mali, Burkina Faso, Niger, ecc. liberati dall’influenza coloniale francese).
  7. Mondo islamico (in entrambe le versioni – Iran sciita, Arabia Saudita sunnita ed Emirati Arabi Uniti).

Allo stesso tempo, una civiltà – quella occidentale – rivendica l’egemonia, mentre le altre sei la negano, accettando solo un sistema multipolare e riconoscendo l’Occidente come solo una delle civiltà, insieme ad altre. Forse ancora più forte (relativamente e non troppo a lungo), ma non unica.

Così la giustezza di Samuel Huntington, che vedeva il futuro nel ritorno della civiltà, è stata confermata nella pratica, mentre è diventata evidente la fallacia della tesi di Fukuyama, che credeva che l’egemonia globale dell’Occidente liberale (la fine della storia) fosse già stata raggiunta. A Fukuyama non resta quindi che fare la morale ai neonazisti ucraini, l’ultima speranza dei globalisti di fermare l’insorgere del multipolarismo, per il quale la Russia in Ucraina si batte oggi.

L’agosto 2023 può essere considerato il compleanno del mondo multipolare.

Il multipolarismo è stabilito e in qualche modo istituzionalizzato. È ora di guardare più da vicino a come gli stessi poli civili interpretano la situazione in cui si trovano. E qui dobbiamo tenere conto del fatto che praticamente ogni civiltà sovrana ha una propria idea della struttura della storia, della natura del tempo storico, della sua direzione, della meta e del fine. Contrariamente a Fukuyama, che ha ambiziosamente proclamato un’unica fine della storia (nella sua versione liberale), ogni civiltà sovrana opera con una propria comprensione, interpretazione e descrizione della fine della storia. Esaminiamo brevemente questa situazione.

Ogni civiltà ha la propria idea della fine del mondo

Ogni polo del mondo multipolare, cioè ogni civiltà, ha la sua versione dell’escatologia, in parte più e in parte meno esplicita.

L’escatologia è la dottrina della fine del mondo o della fine della storia. Le escatologie costituiscono una parte essenziale delle dottrine religiose, ma hanno anche versioni laiche. Qualsiasi idea sulla direzione lineare del processo storico e sulla sua presunta finalità può essere considerata “escatologia.

Il mondo multipolare è costituito da diverse civiltà o “Spazi Maggiori”, con un sistema di valori tradizionali del tutto unico e originale. Questo è il polo (non il singolo Stato). Un polo è appunto una civiltà. Ogni civiltà ha una propria idea della natura del processo storico, della sua direzione e del suo obiettivo, e quindi una propria escatologia.

In alcuni “Grandi Spazi” esistono addirittura diverse versioni di escatologia, e alcune formazioni politiche relativamente piccole, che non possono in alcun modo pretendere di essere un polo, hanno tuttavia talvolta un’escatologia speciale e persino sviluppata.

Vediamo di delineare i diversi tipi in termini più generali.

Escatologie dell’Occidente: l’escatologia nel cristianesimo occidentale

Il cristianesimo occidentale aveva originariamente la stessa dottrina escatologica del cristianesimo orientale, essendo un’unica civiltà. Nel cristianesimo – sia nel cattolicesimo che nell’ortodossia (e anche nel protestantesimo) – la fine del mondo è considerata inevitabile, poiché il mondo e la sua storia sono finiti e Dio è infinito. Dopo la venuta di Cristo, il mondo si avvia verso la sua fine e il ritorno di Cristo stesso è visto come se avvenisse “negli ultimi giorni”. L’intera storia della Chiesa cristiana è una preparazione ai tempi finali, al Giudizio Universale e alla Seconda Venuta di Cristo. Il cristianesimo insegna che prima della Seconda Venuta ci sarà un’apostasia generale dell’umanità, le nazioni si allontaneranno da Cristo e dalla sua Chiesa e si affideranno solo alle proprie forze (umanesimo). In seguito l’umanità degenererà completamente e l’Anticristo, il messaggero del diavolo, il “figlio della perdizione”, prenderà il potere.

L’Anticristo governerà per un breve periodo (3,5 anni, “un tempo, due tempi e mezzo”), i santi e i profeti Elia ed Enoch, che torneranno sulla terra, lo denunceranno, e poi avverrà la Seconda Venuta, la resurrezione dei morti e il Giudizio Universale. Questo è ciò in cui ogni cristiano è obbligato a credere.

Allo stesso tempo, il cattolicesimo, che si è gradualmente separato dal tronco ortodosso unito, credeva che la roccaforte dei cristiani dovesse essere la Chiesa cattolica sotto il Papa, la “Città di Dio”, e che la ritirata avrebbe riguardato solo le entità politiche terrene, la “Città della Terra”.

C’è una battaglia spirituale tra la politica celeste del Vaticano e quella terrena dei monarchi secolari. Nell’Ortodossia, a differenza del Cattolicesimo, il principale ostacolo sul cammino dell’Anticristo è il Sacro Impero, l’eterna Roma.

L’escatologia cristiana tradizionale ed esattamente questa visione – in parte pessimistica – del vettore della storia hanno prevalso in Europa fino all’inizio della Modernità. È così che i veri cattolici tradizionali, non influenzati dallo spirito illuminista, sempre meno numerosi in Occidente, continuano a pensare alla fine del mondo.

Le escatologie protestanti sono più bizzarre. Negli anabattisti di Münster o negli hussiti cechi, la Seconda Venuta era preceduta dall’instaurazione dell’uguaglianza universale (comunismo escatologico), dall’abolizione delle gerarchie di classe e della proprietà privata.

Recentemente, sotto l’influenza della modernizzazione e del politicamente corretto, molte denominazioni protestanti e la Chiesa anglicana hanno rivisto la loro visione dell’escatologia, rompendo definitivamente con l’antica tradizione cristiana.

Escatologia massonica: la teoria del progresso

Alle origini della civiltà europea occidentale della Modernità c’è la Massoneria europea, in mezzo alla quale è nata l’idea bizzarra e incoerente del “progresso sociale”. L’idea di progresso è la diretta antitesi della comprensione cristiana della storia. Essa rifiuta l’apostasia, l’Anticristo, il Giudizio Universale, la resurrezione dei morti e l’esistenza stessa dell’anima.

I massoni ritenevano che l’umanità si sviluppasse progressivamente: all’inizio la barbarie (non il paradiso terrestre), poi la barbarie (non la società tradizionale), quindi la civiltà (che culmina nella Modernità europea e nell’Illuminismo, ossia società laiche atee basate su una visione del mondo scientifica materialista). La “civiltà” (al singolare!) nella sua formazione passa attraverso una serie di fasi che vanno dalle confessioni tradizionali al culto umanistico del Grande Architetto dell’Universo e poi alla democrazia liberale, dove scienza, ateismo e materialismo trionfano pienamente. La Massoneria conservatrice (Rito Scozzese) si ferma di solito al culto del Grande Architetto dell’Universo (cioè al deismo – il riconoscimento di un “dio” indefinito e non confessionale), mentre le Logge più rivoluzionarie del “Grande Oriente” chiedono di andare oltre – fino alla completa abolizione della religione e della gerarchia sociale. Il Rito Scozzese è sinonimo di liberalismo classico (grande capitale), il Grande Oriente e le altre logge rivoluzionarie sono sinonimo di democrazia liberale (crescita intensiva della classe media e ridistribuzione del capitale dalla grande borghesia alla media e piccola borghesia).

Ma nella Massoneria, in entrambe le versioni, vediamo un vettore chiaramente diretto alla fine della storia, cioè alla costruzione della moderna civiltà globale progressista. Questa è l’ideologia del globalismo in due versioni: conservatrice (graduale) e offensiva (rivoluzionaria-democratica).

Inghilterra: la quinta monarchia

Durante la Rivoluzione inglese di Cromwell, la teoria della Quinta Monarchia si sviluppò negli ambienti protestanti sotto l’influenza dei circoli ebraici e del sabbatismo (in particolare del rabbino olandese Manasseh ben-Israel). La dottrina dei quattro regni mondiali (babilonese, persiano, greco e romano), tradizionale per il cristianesimo, fu dichiarata insufficiente e dopo la caduta di Roma (che per i protestanti significava il rifiuto di riconoscere l’autorità del Papa e il rovesciamento della monarchia, il regicidio) sarebbe arrivato il quinto regno.

In precedenza, un’idea simile era emersa in Portogallo in relazione all’impero marittimo portoghese e alla missione speciale del “re scomparso” Sebastiano. La versione portoghese e portoghese-centrica (mistico-monarchica) fu trasmessa agli ebrei portoghesi convertiti (marrani) e agli ebrei esiliati in Olanda e Brasile. Uno di loro era Manasseh ben-Israel, dal quale questa teoria passò ai protestanti inglesi e alla cerchia ristretta di Cromwell (T. Harisson).

I sostenitori di questa teoria consideravano Cromwell stesso come il futuro monarca mondiale del Quinto Impero. La Quinta Monarchia sarebbe stata caratterizzata dall’abolizione del cattolicesimo, del potere monarchico ereditario, degli Estati e avrebbe rappresentato il trionfo della democrazia borghese e del capitalismo.

Questo fu continuato dalla corrente dell'”israelismo britannico” (British Israelism), che dichiarò che gli inglesi erano “le dieci tribù perdute di Israele” e diffuse la convinzione dell’imminente dominio mondiale dell’Inghilterra e della razza anglosassone. Il dominio mondiale dei “Nuovi Israeliti” (anglosassoni) era visto al di là dei Quattro Regni e rompeva con l’escatologia cristiana tradizionale, poiché la Quinta Monarchia significava la distruzione dei regni cristiani tradizionali e il dominio del “popolo eletto” (questa volta non gli ebrei, ma gli inglesi).

Dall’Inghilterra, le sette protestanti estreme trasferirono queste idee negli Stati Uniti, che furono creati come incarnazione storica della Quinta Monarchia. Da qui l’escatologia americana nelle mitologie di W. Blake (in “The Prophecy of America” gli USA sono rappresentati dal gigante Orcus che si libera dalle catene del “vecchio dio”), che era anche un aderente alla teoria dell'”israelismo britannico”. Blake incarnò queste idee nella sua poesia “Jerusalem”, che divenne l’inno non ufficiale dell’Inghilterra.

USA: dispensazionalismo

Negli Stati Uniti, le idee dell'”Israelismo britannico” e della Quinta Monarchia furono sviluppate in alcune denominazioni protestanti e divennero la base di una particolare corrente di dispensazionalismo basata sulle idee dei Fratelli di Plymouth (predicatore John Darby) e sull’edizione Scofield della Bibbia di riferimento, dove l’interpretazione escatologica in chiave dispensazionalista è incorporata nel testo biblico in modo tale che alla gente comune sembra un’unica narrazione.

Il dispensazionalismo considera gli anglosassoni e i protestanti (“nati di nuovo”) come il popolo eletto e applica a loro tutte le profezie sugli ebrei. Secondo questa dottrina, l’umanità vive alla fine dell’ultima “dispensazione” del ciclo, e la seconda venuta di Cristo avrà presto luogo, e tutti i fedeli saranno portati in cielo (rapimento). Ma questo sarà preceduto da una battaglia finale (Armageddon) con il “re di Rosh, Meshech e Tubal”, con cui si intende la Russia dal XIX secolo a oggi. Prima di ciò, la Russia deve invadere la Palestina e lì combattere i “nati di nuovo” (anglosassoni) per poi essere sconfitta da loro. Dopodiché, ci dovrebbe essere una conversione di massa degli ebrei al protestantesimo e un’ascesa al cielo (tramite miracoli o navicelle spaziali).

Negli ultimi decenni, questa corrente si è fusa con il sionismo politico ed è diventata la base dell’ideologia e della geopolitica dei neocons americani.

Francia: il Grande Monarca

In Francia, già nel tardo Medioevo e agli albori dell’Età Moderna, si è sviluppata la teoria escatologica del Grande Monarca, secondo la quale alla fine dei tempi sarebbe apparso un re francese segreto, scelto da Dio, che avrebbe salvato l’umanità dalla decadenza, dal protestantesimo e dal materialismo. Questa versione dell’escatologia è francocentrica e conservatrice e circolava negli ambienti mistici dell’aristocrazia. Si differenzia dall’escatologia cattolica tradizionale per il fatto che è il re francese, e non la sede vaticana, a fare da barriera all’Anticristo.

La versione geopolitica laica e semplificata dell’escatologia del Grande Monarca è considerata da alcuni ricercatori come gollismo. Il generale De Gaulle era favorevole all’unione dei popoli europei (soprattutto francesi, tedeschi e russi) e contrario alla NATO e all’egemonia anglosassone. Lo scrittore francese J. Parvulesco (seguendo R. Abellio) l’ha definita “la dimensione mistica del gollismo”.

Ma la stragrande maggioranza della classe dirigente francese è dominata dall’escatologia massonica – con un significato esattamente opposto.

Italia: i Ghibellini e il Mastino

Nel Medioevo, il confronto tra il trono romano e il potere imperiale – dopo che Carlo Magno si è proclamato “imperatore” – è stato a volte estremamente aggravato. Questo portò alla creazione di due partiti: i Guelfi, sostenitori del Papa, e i Ghibellini, sostenitori dell’Imperatore. Questi ultimi erano maggiormente diffusi in Italia, il cui possesso costituiva la base per il riconoscimento dei re tedeschi come imperatori dell’Impero Romano (d’Occidente) dopo l’incoronazione a Roma.

Il poeta Dante fu un sostenitore dei ghibellini e codificò nel suo poema “La Divina Commedia” l’insegnamento escatologico dei ghibellini secondo cui, dopo il temporaneo dominio dei guelfi e la completa degradazione della Chiesa cattolica, sarebbe giunto in Europa un vero monarca ghibellino che avrebbe fatto rinascere la morale e la spiritualità della civiltà occidentale. Egli è simbolicamente rappresentato nella figura del mastino (il Veltro) e nel numero mistico DXV (515), che dà, dopo aver riordinato le lettere/digitali, la parola DVX, “condottiero”. Dante espone le idee della Monarchia mondiale in un trattato a parte. Anche in questo caso, il tema escatologico è legato al potere monarchico – e in misura maggiore rispetto alla Chiesa cattolica. Per Dante, la monarchia francese era vista dalla parte dell’Anticristo, così come il trono romano che si era sollevato contro l’Imperatore.

Germania: Hegel e la fine della Storia

La versione originale dell’escatologia si trova nella filosofia di Hegel. Egli vede la storia come un processo dialettico di dispersione dello Spirito attraverso la Natura, per poi riunire nuovamente le particelle dello Spirito in una società illuminata. Il culmine di questo processo, secondo Hegel, dovrebbe essere la creazione di uno Stato tedesco unificato sulla base della monarchia prussiana (che durante la sua vita non esisteva). In questa monarchia illuminata si sarebbe completato il ciclo della storia dello Spirito. Queste idee influenzarono il Secondo Reich e Bismarck, e più tardi, in forma distorta, il Terzo Reich di Hitler. Fu Hegel a proporre la tesi della “fine della storia” in un contesto filosofico, combinando in modo peculiare l’escatologia cristiana (compresa la figura del sovrano cristiano) e una particolare interpretazione mistico-monarchica del progresso sociale (come fase preliminare alla creazione dell’impero mondiale dei filosofi).

Il filosofo tedesco (cattolico) Carl Schmitt ha messo in relazione l’idea del Reich con la funzione del katehon, il guardiano, il custode, che era il significato del potere imperiale a Bisanzio e che fu usurpato (secondo la Chiesa ortodossa) nell’VIII secolo dall’imperatore franco Carlo Magno. Questa linea era in parte in linea con la tradizione ghibellina.

L’ebreo tedesco Karl Marx costruì una teoria del comunismo (la fine della storia) su una versione materialista rovesciata dell’hegelismo, e il filosofo russo Alexander Kojev cercò di identificare la fine della storia con il globalismo e il trionfo planetario del liberalismo. Ma è significativo che Hegel stesso, a differenza dei suoi interpreti settari, fosse un monarchico escatologico germanocentrico.

Iberia: gli Asburgo e l’evangelizzazione planetaria

L’escatologia nella versione spagnola era legata alla colonizzazione delle Americhe e alla missione di Carlo V Asburgo e dei suoi successori dinastici. Poiché nelle profezie sulla fine del mondo (Sal. Metodio di Patara), il segno della fine del mondo era la diffusione del Vangelo a tutta l’umanità e l’instaurazione di un impero cristiano mondiale sotto un re mondiale cattolico, le scoperte geografiche e la creazione di vaste colonie da parte della Spagna davano motivo di considerare gli Asburgo spagnoli – soprattutto Carlo V e Filippo II – come contendenti al ruolo di monarca mondiale. Questa versione cattolico-monarchica, in parte consonante con quella francese, ma in contrasto con gli imperatori austriaci, tradizionali avversari della dinastia francese. Cristoforo Colombo fu un sostenitore di un Impero mondiale escatologico durante il regno dei re cattolici Isabella e Ferdinando e rifletté le sue opinioni escatologiche nel Libro delle Profezie, compilato alla vigilia del suo quarto viaggio nelle Americhe e completato subito dopo il suo ritorno.

Dopo il regno dei Borbone in Spagna, questa linea escatologica si affievolì. In parte i suoi echi si ritrovano negli ambienti cattolici dell’America Latina e soprattutto nei gesuiti.

Il Quinto Impero nella versione portoghese e la sua propaggine brasiliana sono generalmente vicini a questa versione dell’escatologia.

Israele: il territorio del Mashiach

Lo Stato di Israele è stato fondato nel 1948 in Palestina come realizzazione delle aspirazioni escatologiche della diaspora ebraica, che da due millenni attendeva il ritorno alla Terra Promessa. L’escatologia ebraica si basa sulla convinzione dell’elezione degli ebrei e del loro ruolo speciale nei tempi finali, quando arriverà il Mashiach ebraico e gli ebrei governeranno il mondo. È la versione più studiata dell’escatologia. Per molti versi, è l’escatologia ebraica ad aver plasmato i principali scenari delle visioni della fine del mondo nelle tradizioni monoteiste.

L’Israele moderno è stato creato come Stato preparato alla venuta del Mashiach e, se questa funzione viene messa tra parentesi, la sua stessa esistenza perderà completamente di significato – prima di tutto agli occhi degli stessi ebrei.

Dal punto di vista geopolitico, Israele non può pretendere di essere una civiltà indipendente, un Impero, le cui dimensioni sono necessarie per una piena partecipazione ai processi escatologici globali. Tuttavia, se teniamo conto dell’avvicinamento dei sionisti politici negli Stati Uniti ai neocon e ai dispensazionalisti protestanti, del ruolo degli ebrei nel secolo scorso nelle logge massoniche, dell’influenza della diaspora nelle élite dirigenti e soprattutto economiche dell’Occidente, l’intero quadro cambia e per i gravi eventi escatologici la base risulta essere significativa.

L’interpretazione cabalistica del percorso migratorio della maggior parte dell’iaspora ebraica lo descrive come un movimento che segue la Shekhina (Presenza di Dio) in esilio (secondo Rabbi Alon Anava).

All’inizio della galut (dispersione), la massa principale di ebrei era concentrata in Medio Oriente (Mizrahi). Poi cominciò a spostarsi verso il nord e il Caucaso (khazar kaganato). Da lì il percorso della Shekhina portò alla Russia occidentale, ai Baltici e all’Europa orientale (Ashkenazi). Poi il movimento ashkenazita iniziò ad addentrarsi nell’Europa occidentale e i sefarditi della penisola iberica si spostarono in Olanda e nelle colonie americane. Infine, il grosso degli ebrei si concentrò negli Stati Uniti, dove ancora oggi rappresentano la maggioranza rispetto alle comunità ebraiche di altri Paesi. La Shekhina rimane quindi negli Stati Uniti. La seconda comunità di ebrei è quella di Israele. Quando le proporzioni cambieranno a favore di Israele, significherà che la Shekhina, dopo un cerchio di duemila anni, è tornata in Palestina.

Allora dovremo aspettarci la costruzione del Terzo Tempio e la venuta del Mashiach. Questa è la logica dell’escatologia ebraica, chiaramente rintracciabile nei processi politici che si stanno svolgendo intorno a Israele. A questa idea aderisce la maggioranza dei sionisti religiosi, che costituiscono una percentuale significativa di ebrei sia in Israele che nella diaspora. Ma ogni ebreo, ovunque si trovi e qualunque ideologia condivida, non può non essere consapevole della natura escatologica del moderno Stato di Israele e, di conseguenza, degli obiettivi di vasta portata del suo governo.

Escatologia ortodossa: i Greci, l’imperatore di marmo

Nella popolazione ortodossa della Grecia, dopo la caduta di Bisanzio e la presa di potere da parte degli Ottomani, si sviluppò una teoria escatologica sulla venuta di un re liberatore ortodosso, l’Imperatore di Marmo. La sua figura è stata talvolta interpretata come il ritorno di Costantino XII Paleologo, che secondo la leggenda non morì quando i Turchi presero Costantinopoli, ma fu portato da un angelo alla Porta di Marmo e lì attende la sua ora per liberare gli ortodossi (greci) dall’oppressione degli stranieri.

In alcune versioni della leggenda escatologica questa missione era affidata al “re dai capelli rossi del nord”, con cui nel XVIII secolo molti monaci athoniti intendevano l’imperatore russo.

Si tratta di echi della dottrina bizantina classica del katehon, il guardiano, il custode, destinato a diventare il principale ostacolo sulla strada del “figlio della perdizione” (Seconda Lettera dell’Apostolo Paolo ai Tessalonicesi) e del Re-Salvatore del libro di San Metodio di Patara. Il pensiero politico-religioso greco ha mantenuto questa componente escatologica durante il periodo ottomano, anche se, dopo la liberazione dai Turchi, lo Stato greco ha iniziato a essere costruito su stampi liberal-democratici massonici (nonostante il breve periodo di governo di alcune dinastie europee), rompendo completamente con l’eredità bizantina.

Russia: Re della Terza Roma, Salvatore delle sette, Comunismo

In Russia, l’escatologia assunse una forma stabile alla fine del XV secolo, che si rifletteva nella teoria di Mosca-Terza Roma. Essa affermava che la missione del katehon, il servo, dopo la caduta di Costantinopoli passò alla Russia moscovita, che divenne il nucleo dell’unico Impero ortodosso – cioè Roma. Il Granduca di Mosca cambiò lo status e divenne Zar, Basileus, Imperatore, katehon.

D’ora in poi, la missione della Russia e del popolo russo fu quella di rallentare la venuta del “figlio della perdizione”, l’Anticristo, e di resistergli in ogni modo possibile. Questo costituiva il nucleo dell’escatologia russa e formalizzava lo status del popolo russo come “portatore di Dio”.

Dimenticata all’epoca delle riforme occidentali di Pietro e dei suoi seguaci, l’idea di Mosca come Terza Roma rivive nel XIX secolo sotto l’influenza degli slavofili, per poi diventare un tema centrale nella Chiesa ortodossa russa in emigrazione.

Dopo lo scisma, l’escatologia si diffuse tra i Vecchi Credenti e i settari. I Vecchi Credenti ritenevano generalmente che la caduta della Terza Roma fosse già avvenuta in modo irreversibile, mentre i settari (khlysty o skopcy, castrati), al contrario, credevano nell’imminente venuta del “Cristo russo”.

La versione laica dell’escatologia settaria “ottimista” fu ripresa dai bolscevichi, nascondendola sotto la versione marxista della fine della storia di Hegel. Nell’ultimo periodo dell’URSS, la fede escatologica nel comunismo svanì e il regime e il Paese crollarono.

Il tema dell’escatologia russa è tornato d’attualità in Russia dopo l’inizio della SWO, quando il tema del confronto con la civiltà massonico-liberale e materialista-atea dell’Occidente è diventato estremamente acuto. Logicamente, man mano che la Russia si affermerà come civiltà a sé stante, il ruolo dell’escatologia e la centralità della funzione del catecumeno non potranno che aumentare.

Mondo islamico: sunnismo, il Mahdi sunnita

Nel sunnismo, la fine del mondo non è descritta nei dettagli e le visioni del leader della comunità islamica che verrà, il Mahdi, impallidiscono di fronte alla descrizione del Giudizio Universale che Dio (Allah) amministrerà alla fine dei tempi. Tuttavia, questa figura è presente ed è descritta in modo dettagliato negli hadith. Si tratta dell’emergere di un leader militare e politico del mondo islamico che ripristinerà la giustizia, l’ordine e la pietà che erano caduti in rovina alla fine dei tempi.

L’autorevole sufi Ibn Arabi specifica che il Mahdi sarà assistito nel governare da “visir”, che costituiranno la base del governo escatologico; secondo lui, tutti i visir di questo “governo metafisico”, in quanto assistenti e proiezioni del polo unificato (qutb), proverranno da comunità islamiche non arabe.

Il Mahdi sconfiggerà il Dajjal (il Bugiardo) e stabilirà il governo islamico. Una versione particolare dell’escatologia islamica è professata anche dai sostenitori dell’ISIS.

Diverse figure dell’Islam hanno rivendicato il ruolo del Mahdi. Di recente, il capo del PMC turco SADAT Adnan Tanriverdi ha proclamato Erdogan il Mahdi.

Iran: il 12° Imam

Nello sciismo, il tema del Mahdi è molto più sviluppato e l’escatologia è alla base degli stessi insegnamenti politico-religiosi degli sciiti. Gli sciiti considerano solo i seguaci di Ali, gli Imam, come i legittimi governanti della comunità islamica. Credono che l’ultimo 12° Imam non sia morto, ma si sia nascosto. Apparirà di nuovo alla gente alla fine dei tempi. Questo sarà l’inizio dell’ascesa del mondo sciita.

Poi apparirà Cristo, che insieme al Mahdi combatterà con Dajjal e lo sconfiggerà, stabilendo un giusto ordine spirituale per un breve periodo di tempo – poco prima della fine del mondo.

Probabilmente è stata l’antica dottrina iraniana della lotta tra la luce (Ormuzd) e le tenebre (Ahriman) che ha iniziato la storia come chiave di lettura del suo significato e della vittoria finale dei guerrieri della luce che è diventata la base della parte escatologica degli insegnamenti monoteistici. Ma in ogni caso l’influenza dello zoroastrismo sullo sciismo è evidente, ed è questo che dà all’escatologia iraniana una tale pregnanza e una chiara espressione politica.

Questa è la visione della maggioranza degli sciiti e in Iran è l’ideologia ufficiale che determina in larga misura l’intera strategia politica del Paese.

L’escatologia sciita continua per molti aspetti la tradizione iraniana pre-islamica dello zoroastrismo, che aveva una teoria sviluppata del cambiamento dei cicli e del loro culmine nella Grande Restaurazione (frashokart). L’immagine dell’imminente Re-Salvatore – Saoshyant, destinato a nascere magicamente da una Vergine pura e a sconfiggere l’esercito del principio oscuro (Ahriman) nell’ultima battaglia, vi svolge un ruolo importante.

Asia sud-orientale: India e Kalki

Nell’Induismo, la fine del mondo ha poco significato, anche se alcuni testi sacri associati al ciclo di Kalachakra raccontano di re della terra mistica di Shambhala, dove prevalgono ancora le condizioni di un’età dell’oro. Nel momento finale della storia, uno di questi re, Kalki, ritenuto il decimo avatar di Vishnu, apparirà nel mondo umano e combatterà il demone Kali-yuga. La vittoria di Kalki porrà fine all’era oscura e segnerà un nuovo inizio (Satya-yuga).

Il Kali-yuga è descritto come un’epoca di declino della morale, dei valori tradizionali e delle basi spirituali della civiltà indiana. Sebbene la tradizione indiana sia piuttosto distaccata dalla storia e dai suoi cicli, ritenendo che la realizzazione spirituale possa essere raggiunta in qualsiasi condizione, i motivi escatologici sono piuttosto presenti nella cultura e nella politica.

Nell’India contemporanea, il popolare politico conservatore e primo ministro Narendra Modi è riconosciuto da alcuni circoli tradizionalisti come un avatar divino – di Kalki stesso o del suo messaggero.

Buddismo: il Buddha dei tempi a venire

Anche nella tradizione buddista si sviluppano motivi escatologici. La fine dei tempi è vista come l’arrivo del Buddha futuro, Maitreya. La sua missione è quella di rinnovare la vita spirituale del sangha, la comunità buddista, e di indirizzare l’umanità verso il cammino salvifico del risveglio.

Sul buddismo si sono basati alcuni sistemi politici dei Paesi del Sud-Est asiatico: il Giappone, unito al culto autoctono dello shintoismo, al centro del quale si trova la figura dell’imperatore divino, alcuni Stati dell’Indocina. In alcuni casi, l’appello alla figura del Buddha Maitreya in arrivo è diventato la base di movimenti politici e rivolte popolari.

Talvolta il buddismo escatologico ha trovato sostegno nell’ideologia comunista, dando origine a forme sincretiche – Cambogia, Vietnam, ecc.

Cina: il mandato celeste

L’escatologia è praticamente assente nel confucianesimo, che è la corrente etico-politica dominante della tradizione cinese. Ma allo stesso tempo è sviluppata in modo piuttosto dettagliato nella religione dei taoisti cinesi e nelle correnti sincretistiche taoiste-buddiste. Secondo le idee taoiste sui cicli, la storia del mondo si riflette nel cambiamento delle dinastie al potere in Cina. Questo cambiamento è il risultato della perdita di quello che i taoisti chiamano il “Mandato del Cielo”, che ogni legittimo sovrano della Cina è obbligato a ricevere e conservare. Quando questo Mandato si esaurisce, la Cina è in subbuglio, con guerre civili e disordini. La situazione si salva solo con l’ottenimento di un nuovo Mandato del Cielo e l’intronizzazione di una nuova dinastia.

L’Impero di Mezzo cinese è percepito dai cinesi stessi come un’immagine della gerarchia cosmica, come l’Universo. Nell’Impero, cultura e natura si fondono fino a diventare indistinguibili. Per questo i cicli dinastici sono cicli cosmici con cui si misurano le epoche.

La tradizione cinese non conosce la fine assoluta del mondo, ma ritiene che ogni deviazione dell’ordine mondiale in qualsiasi direzione richieda un ripristino simmetrico. Questa teoria ha implicitamente contribuito alla rivoluzione cinese e mantiene il suo significato fino ai giorni nostri.

Infatti, la figura dell’attuale presidente del Comitato Centrale del PCC, Xing Jinping, è vista come una nuova apparizione di un imperatore legittimo che ha ricevuto un mandato celeste.

L’Africa: Garvey e la Massoneria nera

Uno dei fondatori del movimento per restituire dignità ai popoli africani fu il massone di origine giamaicana Marcus Garvey, che applicò il progressismo massonico ai neri e invitò alla ribellione contro i bianchi.

Garvey intraprese una serie di azioni per riportare i neri americani nel continente africano, continuando un processo iniziato nel 1820 con la creazione di uno Stato artificiale sulla costa occidentale dell’Africa, la Liberia. Il governo della Liberia copiava quello degli Stati Uniti e anch’esso era composto prevalentemente da massoni.

Garvey interpretò la lotta per i diritti dei neri non solo come un mezzo per ottenere l’uguaglianza, ma promosse attivamente la teoria dell’elezione degli africani a popolo speciale, che dopo secoli di schiavitù era chiamato a stabilire il proprio dominio – almeno nello spazio del continente africano, ma anche a rivendicare i diritti al potere negli Stati Uniti e in altri Paesi coloniali. Al centro di questo movimento mondiale dovevano esserci le logge massoniche, dove erano ammessi solo i neri.

I rappresentanti estremi di questa corrente furono le organizzazioni Black Power, Black Panthers e più tardi BLM.

La grande Etiopia

In Africa, tra la popolazione melanodermica (nera) si sono sviluppate versioni originali dell’escatologia. Tutte (come l’escatologia di Garvey) considerano i popoli africani come dotati di una speciale missione storica (neri = Nuovo Israele) e predicono la rinascita di loro stessi e del continente africano nel suo complesso. Lo schema generale dell’escatologia africana considera l’epoca della colonizzazione e della schiavitù come una grande prova spirituale per la razza nera, cui seguirà un periodo di ricompensa, una nuova età dell’oro.

In una versione di questa escatologia, il nucleo dell’identità africana è l’Etiopia. La sua popolazione (kushiti e semiti dalla pelle scura) è vista come il paradigma della civiltà africana – l’Etiopia è l’unica entità politica africana che non è stata colonizzata, né dalle potenze europee né dai musulmani.

In questa versione, tutti i popoli africani sono considerati imparentati con gli etiopi e il monarca etiope – il Negus – è percepito come il prototipo del sovrano del grande impero africano. Questa linea è stata alla base del rastafarianesimo, che è diventato popolare tra i neri della Giamaica e si è poi diffuso tra la popolazione nera dell’Africa e dell’America.

Questa versione è predominante per le nazioni cristiane e cristianizzate. La stessa escatologia cristiana degli etiopi (monofisiti) acquisisce caratteristiche originali associate alla missione speciale dell’Etiopia, considerata il Paese e il popolo eletto (da qui le leggende secondo cui l’antenato degli etiopi sarebbe il biblico Melchisedek, il Re della Pace). Nel rastafarianesimo, questa escatologia etiopica acquisisce ulteriori caratteristiche, a volte piuttosto grottesche.

Islam nero

Un’altra versione dell’escatologia africana è quella dei “musulmani neri” (Nation of Islam), sorta negli Stati Uniti. Questa dottrina sostiene che sia Mosè che Maometto erano neri e che Dio si incarna in leader politico-religiosi neri di ciclo in ciclo. Il fondatore di questa corrente, Wali Fard Muhammad, si considerava un’incarnazione di questo tipo (in linea con la setta russa dei khlysty). Dopo la morte di Wali Fard Mohammed i credenti si aspettano il suo ritorno su un’astronave.

Parallelamente, proclama la necessità per i neri di lottare negli Stati Uniti e in tutto il mondo, non solo per i loro diritti, ma per il riconoscimento della loro leadership spirituale e razziale nella civiltà.

Sotto il leader contemporaneo della Nation of Islam, Louis Farrakhan, questa corrente ha raggiunto una grande influenza negli Stati Uniti e ha avuto un impatto significativo sulla formazione ideologica dei musulmani neri in Africa.

Egitto nero

Un’altra versione dell’escatologia politica africana è la corrente del KMT (dall’antico nome egiziano dell’Egitto stesso), che ha sviluppato le idee del filosofo africano Sheikh Anta Diop. Lui e i suoi seguaci hanno sviluppato la teoria che l’antico Egitto fosse uno Stato di neri, come si evince dal nome “KMT”, che in lingua egizia significa “Terra Nera” o “Terra dei Neri”. Anta Diop ritiene che tutti i sistemi religiosi africani siano eco della religione egizia, che deve essere ricostruita nella sua interezza.

Il suo seguace Kemi Seba sviluppa la tesi del monoteismo africano, che è alla base di un sistema religioso-politico in cui il potere dovrebbe essere affidato a un governo metafisico che esprima la volontà di Dio (come i visir del Mahdi nella versione di Ibn Arabi). La vita dovrebbe basarsi sul principio delle comunità nere chiuse – quilombo.

In questo modo, gli africani dovrebbero tornare alle tradizioni dei loro popoli, assumere il pieno controllo del continente africano, ripristinare un colore della pelle il più scuro possibile (attraverso matrimoni orientati al melano) e realizzare una rivoluzione spirituale nel mondo.

L’unica lingua sacra panafricana dovrebbe essere l’antico egiziano restaurato (medu netjer), mentre lo swahili dovrebbe essere usato per le necessità pratiche. Secondo i sostenitori della teoria del KMT, i neri sono i portatori della sacralità, della Tradizione e il popolo dell’Età dell’Oro. La civiltà bianca è una perversione, una patologia e un’anti-civiltà in cui la materia, il denaro e il capitale sono al di sopra dello spirito.

Il principale nemico degli africani e dei neri di tutto il mondo sono i bianchi, considerati portatori di modernizzazione, colonialismo, materialismo e degenerazione spirituale. La vittoria sui bianchi è la garanzia del compimento della missione mondiale dei neri e il coronamento del processo di decolonizzazione.

America Latina:Eteno-escatologia ed indigenismo

Nei Paesi dell’America Latina, alcuni popoli amerindi aborigeni vedono la logica fine della colonizzazione nella restaurazione delle società etniche (indigenismo). Queste tendenze si sviluppano in misura diversa a seconda del Paese.

Molti considerano la ribellione di Tupac Amaru II, discendente dell’ultimo sovrano Inca, che nel 1780 guidò una rivolta indiana contro la presenza spagnola in Perù, come l’inizio simbolico della resistenza dei nativi alla colonizzazione.

In Bolivia, nel 2006, è stato eletto presidente Evo Morales, il primo rappresentante del popolo indiano Aymara. Sempre più spesso si sentono voci – soprattutto in Perù e Bolivia – a favore della dichiarazione dell’antico culto indiano della dea della terra Pachamama come religione ufficiale.

Di norma, l’escatologia etnica degli indios latinoamericani si combina con correnti socialiste o anarchiche di sinistra per creare insegnamenti sincretici.

Sebastianismo brasiliano

Una particolare versione dell’escatologia, legata alle idee portoghesi sul Quinto Impero, si è sviluppata in Brasile. Dopo che la capitale dell’Impero portoghese fu trasferita in Brasile a causa di un colpo di Stato repubblicano in Portogallo, nacque la dottrina secondo cui questo trasferimento della capitale non era casuale e che il Brasile stesso aveva una speciale missione politico-religiosa. Se il Portogallo europeo ha dimenticato la dottrina di Re Sebastiano e ha seguito la strada della democrazia borghese europea, allora il Brasile deve ora assumere questa missione e diventare il territorio in cui, nelle condizioni critiche del ciclo storico, si troverebbe il Re Sebastiano scomparso ma non morto.

Sotto la bandiera di tale dottrina si sono svolte in Brasile le rivolte conservatrici cattolico-escatologiche e imperiali contro il governo liberale massonico – Canudos, Contestado, ecc. – hanno avuto luogo in Brasile.

Mappa escatologica delle civiltà

Così, in un mondo multipolare, escatologie diverse si scontrano o si alleano tra loro.

In Occidente prevale nettamente il modello secolare (progressismo e liberalismo), con un’aggiunta significativa sotto forma di dispensazionalismo protestante estremo. Questa è la “fine della storia”, secondo Fukuyama. Se prendiamo in considerazione l’élite liberale dei Paesi europei sotto il pieno controllo americano, possiamo parlare di un’escatologia speciale che accomuna quasi tutti i Paesi della NATO. A ciò si aggiunge la teoria dell’individualismo radicale, comune ai liberali, che pretende di liberare l’uomo da ogni forma di identità collettiva – fino alla libertà dal sesso (politica di genere) e persino dall’appartenenza alla specie umana (transumanesimo, IA). Così i nuovi elementi dell’escatologia progressista massonica, insieme alla “società aperta”, sono gli imperativi del cambiamento di sesso, del sostegno ai principi LGBTQ, del postumanesimo e dell’ecologia profonda (che rifiuta la centralità dell’essere umano nel mondo su cui hanno insistito tutte le religioni e i sistemi filosofici tradizionali).

Sebbene il sionismo non sia un’estensione diretta di questa versione dell’escatologia, in alcune sue forme – in particolare attraverso l’alleanza con i neoconservatori americani – si inserisce in parte in questa strategia e, data l’influenza degli ebrei sulle élite al potere in Occidente, queste proporzioni potrebbero persino essere invertite.

Nel percorso di questa fine della storia, la Russia e la sua funzione katehonica, che combina l’escatologia della Terza Roma e l’orizzonte comunista come eredità dell’URSS, si trova più palesemente in mezzo.

In Cina, il marxismo occidentale, già rielaborato in modo sostanziale nel maoismo, si manifesta sempre più apertamente nella cultura confuciana e il capo del PCC, in qualità di imperatore tradizionale, riceve il mandato celeste di governare “tutto ciò che è sotto il cielo” (tianxia – 天下).

I sentimenti escatologici sono in costante crescita nel mondo islamico, sia nella zona sunnita che soprattutto nello sciismo (in primo luogo in Iran), ed è la moderna civiltà occidentale – la stessa che oggi combatte contro la Russia – che viene quasi unanimemente dipinta come il Dajjal per tutti i musulmani.

In India crescono progressivamente i sentimenti ispirati all’Hindutva (la dottrina dell’identità indipendente degli indù come civiltà speciale e superiore), che proclamano un ritorno alle radici della tradizione indù e ai suoi valori (che non coincidono affatto con quelli dell’Occidente), e da qui si delineano i contorni di una speciale escatologia associata al fenomeno Kalki e al superamento del Kali-yuga.

Il panafricanismo si sviluppa verso il rafforzamento di dottrine radicali sul ritorno degli africani alla loro identità e un nuovo ciclo di lotta anticoloniale contro il “mondo bianco” (inteso principalmente come Paesi coloniali appartenenti alla civiltà occidentale). Questo descrive un nuovo vettore dell’escatologia nera.

In America Latina, il desiderio di rafforzare la propria sovranità geopolitica è sostenuto sia dall’escatologia di sinistra (socialista) che dalla difesa dell’identità cattolica, particolarmente evidente in Brasile, dove sia la destra che la sinistra prendono sempre più le distanze dal globalismo e dalla politica statunitense (da qui la precoce partecipazione del Brasile al blocco BRICS). Le etno-escatologie dell’indigenismo, sebbene relativamente deboli, aggiungono generalmente una dimensione importante all’intero progetto escatologico.

Allo stesso tempo, l’escatologia aristocratica francese (e la sua proiezione secolare nel gollismo), la versione tedesca della fine della storia nella persona dell’Impero tedesco, così come la linea buddista e shintoista della missione speciale del Giappone e degli imperatori giapponesi – (almeno per ora) non giocano alcun ruolo significativo, essendo completamente eclissati dalla dominante élite globalista progressista e dalle strategie degli anglosassoni.

Abbiamo così una mappa mondiale dell’escatologia, che corrisponde ai contorni di un mondo multipolare. [E’ chiaro che per noi cattolici apostolici romani integrali il Katehon non puo’ essere in Russia, ma a Roma, n.d.r.]

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/escatologie-del-mondo-multipolare

Quo vadis Europa?

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna per https://www.2dipicche.news/quo-vadis-europa/ – https://www.informazionecattolica.it/2023/08/21/quo-vadis-europa/ e, in spagnolo sulla rivista in America Latina: https://vocesdelperiodista.mx/voces-del-periodista/internacional/quo-vadis-europa/

Quo vadis Europa? – “Henry Kissinger ha tuttora una considerevole influenza” – scrIve The Economist. L’ex Segretario di Stato americano sostiene che la ricerca contemporanea dell’ordine mondiale richiederà una strategia coerente per affermare un concetto di ordine nell’ambito delle varie regioni, e per mettere in rapporto tra loro questi ordini regionali.

Il consigliere geopolitico più ascoltato al mondo è per una revisione del concetto di equilibrio.

Il vecchio ordine è in costante mutamento, però la forma di ciò che lo sostituisce è altamente incerta. Per Kissinger serve trovare dei criteri per il superamento delle differenze. Inoltre, nelle sfide della nostra epoca, il centenario ma sempreverde stratega sostiene che l’America deve avere un ruolo primario, risoluto e significativo, sia dal punto di vista filosofico che geopolitico. “Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume” – riflette il “grande vecchio”, riprendendo una frase di James Reston sul suo Defenders of the Faith, del 2009.

La storia come mutamento

Si può, cioè, pensare alla storia come a un fiume, ma le sue acque saranno sempre in mutamento. (Henry Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori, 2023)

Il Prof. Giulio Tremonti, Presidente dell’Aspen Institute, si chiede, proprio come Kissinger: “Quo vadis Europa?”

Adenauer, nel 1957, riferendosi alla nascente Comunità Europea citò un proverbio tedesco: “gli alberi non devono impedire di vedere il bosco”.

Oggi è valido l’opposto: il bosco, troppo fitto, non deve impedire di vedere gli alberi! Significa che per diventare europei non dobbiamo dimenticare di essere italiani.

E’ ciò che Kissinger definirebbe “l’ordine nelle varie regioni”. Anziché valorizzare la sua storia e civiltà – prosegue Tremonti – l’Italia si è posta in incondizionata subordinazione dell’Europa, introducendo questa clausola in Costituzione nel 2000. E poi, ancora, quando nell’autunno del 2011 abbiamo ceduto al vizio storico della “chiamata dello straniero”.

E’ ciò che Kissinger chiamerebbe mutamento dell’equilibrio in una struttura più grande, unitaria e cooperante.

La critica di Tremonti

Tuttavia, Il Prof. Tremonti critica, con argomenti appropriati ed una significativa pars construens, questa Europa, che “fa ciò che non dovrebbe fare: infinite regole e de minimis, su tutto e per tutto, cercando di normalizzare, di standardizzare per “Direttiva” o per “Regolamento” tutte le realtà storicamente proprie dei vari Stati dell’Unione, cercando di cancellarle d’ufficio e di colpo, per sostituirle con modelli sociali nuovi universalistici, artificiali e oramai fallimentari”.

Le soluzioni proposte dall’ex Ministro dell’economia e delle finanze dei governi Berlusconi II, III, IV sono:

a) lasciare alla sovranità dei nostri Stati ciò che non è essenziale per l’Unione. L’Europa, per evitare la Brexit, propose all’Inghilterra di eliminare molte delle regole europee che considerava non necessarie all’Unione, e comunque, contrarie alle sue tradizioni. Lo ha fatto dichiarando che tale “concessione” era completamente compatibile coi vigenti trattati.

b) Fare come l’Europa, ciò che invece finora non si è fatto: concentrarsi su sicurezza, intelligence e difesa dei confini, finanziate emettendo titoli europei (Eurobond). [Giulio Tremonti, Le Tre Profezie, Ed. Solferino, 2020]

“Serve uscire dal paradigma suicida”, col coraggio e la saggezza del vero statista, “per cui un continente, più è importante nel mondo – come l’Europa – più deve essere debole!”.

I BRICS

Orgoglio nazionale, sovranità non devono rimanere slogan o parole vuote, perché negli altri continenti si sta correndo.

Il Presidente dell’Istituto Italia BRICS, già presidente della Commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli, il 18 Agosto ha precisato che il BRICS diventerà sempre più un’alleanza di Paesi uniti dall’obiettivo di liberarsi dal neocolonialismo dell’Occidente collettivo e di determinare autonomamente le politiche di cooperazione, sviluppo collettivo, equilibrato e reciprocamente vantaggioso. Anche questo proposito, in teoria, potrebbe piacere a Kissinger, ma certamente non con la marginalizzazione degli USA.

Perciò è questo il momento di un sussulto d’orgoglio “made in Italy”, svincolandosi dalla UE in tutti gli ambiti possibili e già garantiti dai trattati internazionali.

L’intervento di Putin ai Brics: “La guerra è colpa dell’Occidente”

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In collegamento video, per evitare il possibile arresto dopo il mandato spiccato dalla Corte dell’Aja per crimini di guerra, il leader del Cremlino ha utilizzato il suo discorso per difendere l’invasione della Russia in Ucraina

AGI – A un anno e mezzo dall’inizio della guerra in Ucraina, Vladimir Putin ha assicurato, durante il vertice del gruppo Brics a Johannesburg, che la Russia vuole porre fine a un conflitto che, secondo lui è stato “scatenato” dall’Occidente “per mantenere la propria egemonia nel mondo”.

Intervenuto in collegamento video, per evitare il possibile arresto dopo il mandato spiccato dalla Corte dell’Aja per crimini di guerra, il leader del Cremlino ha utilizzato il suo discorso per difendere la guerra della Russia in Ucraina e lodare Cina, Brasile, India e Sudafrica, che nel blocco con Mosca si presentano sempre più’ come contrappeso al dominio globale degli Stati Uniti.

Putin ha ripetuto, ancora una volta, la narrativa ufficiale russa, secondo cui l’invasione dell’Ucraina, condannata da Kiev e dall’Occidente come una mossa imperialista, è stata la risposta obbligata della Russia alle azioni ostili di Kiev e Washington e allo “sterminio” che da otto anni era in corso nelle regioni orientali del Donbass.

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© ALET PRETORIUS / POOL / AFP

Putin, intervento ai Brics

“Prima, con l’aiuto degli occidentali, in questo Paese è stato effettuato un colpo di Stato incostituzionale, e poi è stata scatenata una guerra contro quelle persone che non erano d’accordo col golpe”, ha detto riferendosi alla caduta del governo filo-russo di Viktor Yanukovich dopo la rivoluzione di Maidan del 2014. “Una guerra crudele, una guerra di sterminio da otto anni“.

Putin ha parlato ai leader di Paesi che si sono astenuti dal condannare le azioni della Russia in Ucraina. Dopo la rottura con l’Occidente sull’Ucraina, i Brics hanno assunto maggiore importanza per Mosca, interessata ad attenuare le sanzioni con l’aumento dell’interscambio aumentando con Asia, Africa e America Latina.

 

 

 

 

 

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La disperazione di Zelens’kyj

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di Fulvio Scaglione

Fonte: lettere da Mosca

Non so se si tratti di una sensazione solo mia ma nell’ultima mossa del presidente Zelens’kyj si avverte un senso di disperazione che dovrebbe preoccupare tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’Ucraina. Ricapitoliamo: Zelens’kyj ha annunciato l’intenzione di licenziare tutti i funzionari regionali preposti al reclutamento militare per sostituirli con militari veri e propri. L’accusa del Presidente è: corruzione. Un sistema di arricchimento illecito, realizzato soprattutto con la vendita di false esenzioni dalla leva, che, come dice giustamente Zelens’kyj, in un Paese in guerra “equivale al tradimento”.
Il problema, però, è che questa storia della corruzione (e del tradimento) va avanti da più di un anno, cioè da quando la struttura presidenziale ha avviato una serie di epurazioni che, nel luglio del 2022, presero il via con il licenziamento di Igor Bakanov, l’amico d’infanzia che Zelens’kyj aveva nominato capo dei servizi segreti (SBU) e di Irina Venediktova, l’ex responsabile della sua campagna elettorale nominata Procuratrice generale dell’Ucraina. Anche allora le accuse oscillavano tra corruzione e tradimento. Lo stesso Zelensk’yj disse che tra i dipendenti della Procura erano stati aperti 650 procedimenti penali. In senso politico e amministrativo, una strage.
Già allora si poteva intuire un certo tasso di disperazione: Zelens’kyj, fin dai primi giorni della sua presidenza, ha applicato uno spoil system implacabile. Che rinunciasse a due membri così importanti del suo cerchio magico, per di più distruggendoli con accuse  pesantissime, dava da pensare. Ne ho scritto e raccontato più volte per Limes, in tempi affatto sospetti, e non sto quindi a dilungarmi. Resta il fatto che da allora le purghe non si sono mai fermate e hanno investito tutti i settori decisivi: i dirigenti dell’industria della Difesa, lo stesso ministero della Difesa con lo scandalo delle forniture all’esercito a prezzi gonfiati  costato dimissioni “cosmetiche” al viceministro, gli alti gradi dell’esercito e quelli medi dei servizi segreti, i dirigenti regionali e comunali e così via. Da un certo punto in poi, all’intelligence militare diretta dall’astro nascente Kyrylo Budanov sono stati persino affidati i compiti della ollizia giudiziaria.
Per un po’, tutto è stato giustificato con le dure necessità di un Paese invaso, devastato dai bombardamenti e, di fatto, rimasto in vita per il valore dei suoi combattenti e per i massicci aiuti finanziari e militari ricevuti dall’estero.  E anche, almeno dal mio punto di vista, con il desiderio di Zelens’yj di garantirsi quadri di sua scelta e di presumibile maggiore fedeltà per qualunque evenienza futura. Non bisogna infatti dimenticare che Zelensk’yj aveva trionfato nelle presidenziali del 2019 e, nello stesso anno, aveva portato al trionfo e alla maggiora Enza assoluta dei seggi parlamentari il suo partito Servo del Popolo. Ma nelle elezioni amministrative del 2020 aveva perso ovunque: in ogni centro ucraino di un qualche importanza Servo del Popolo era stato sconfitto. Nella capitale Kiev la candidata di Zelens’kyj, l’attuale vicepremier Vershchuk, era arrivata addirittura quinta. In sostanza: Zelensk’yj aveva un dominio assoluto sul centro e poco o punto controllo sulla periferia. Logico che volesse approfittare della legge marziale per cambiare la situazione.
Adesso, però, il tasso di disperazione è salito ancora. Il licenziamento dei funzionari preposti alla mobilitazione per la leva arriva dopo mesi di voci sul siluramento del ministro della Difesa Reznikov, che avrebbe dovuto lasciare (in agguato, per sostituirlo, il solito Budanov) con il primo scandalo corruzione, e che viene dato per prossimo ambasciatore ucraino nel Regno Unito, ma che è stato salvato dalle faide interne a Servo del Popolo. E, soprattutto, arriva mentre la controffensiva ucraina sembra non produrre risultati e le truppe russe in qualche settore, per esempio quello di Kupiansk, tentano addirittura non di difendersi ma di avanzare.
In ogni caso, il provvedimento deciso da Zelensk’yj come minimo significa due cose. La prima è che, al di là di ogni retorica, il sistema ucraino di reclutamento funziona male e che i giovani cercano di sottrarsi al servizio militare al fronte. La seconda è che, a quattro anni dall’insediamento e con le leggi d’emergenza e poi la legge marziale dalla sua parte, Zelens’kyj controlla sempre meno il Paese. Ha dalla sua le forze armate e gli alti gradi dell’esercito, a partire dal comandante in capo Zaluzhny, e ancor più i servizi segreti, cosa decisiva in un Paese in guerra. Ma il resto, dopo un anno abbondante di purghe, sembra smottargli sotto i piedi. Tutto è tranne che una buona notizia. Per Zelens’kyj e per gli ucraini, ovviamente. Di sicuro per tutti gli ingenui che da due anni scrivono che basta riempire l’Ucraina di armi per risolvere il problema. Ma infine anche per tutti coloro che vogliono veder finire al più presto questa follia: per affrontare le sfide di una tregua e, si spera, di una pacificazione, l’Ucraina ha bisogno non di disperazione ma di una guida salda. Almeno quanto lo è stata quella che l’ha guidata in questo anni e mezzo di guerra.

Piano Mattei, sovranisti finti e altre prese in giro

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di Elena Basile

Fonte: Elena Basile per Arianna Editrice

La parola inglese accountability rende bene il significato di quel che è stato perso nella vita politica italiana. Potrebbe essere tradotta con una perifrasi: “assumersi la responsabilità e dare conto del proprio operato”.
Al cittadino appare chiaro che i politici, le istituzioni, persino i giornalisti e gli operatori culturali sono liberi da un tale fardello essenziale alla civiltà liberale e democratica.
Gli esempi potrebbero essere tanti. I giornalisti che avevano previsto il crollo economico della Russia e un cambio di potere a Mosca pontificano sulla probabile sconfitta militare della Russia, per nulla imbarazzati dalle loro precedenti errate previsioni. Romanzi premiati e pompati dal mercato non rispondono a volte ad alcun requisito letterario, ma le macchine della pubblicità, i critici, le case editrici e gli amichetti continuano indisturbati a distruggere la cultura. Il governo della destra “sovranista” di Meloni attua un programma in politica estera e in Europa che avrebbe potuto essere del Pd e del centrosinistra. Gli elettori restano fedeli nella sconcertante convinzione che la presidente non ha alternative se vuole restare al potere.
Le decisioni sono prese altrove. La finanza, le grandi multinazionali tirano i fili delle marionette politiche. Le indagini sociologiche serie hanno illustrato come il presidente degli Stati Uniti sia eletto grazie all’accordo di tali poteri forti.
Non c’è nulla di automatico e deterministico. L’azione umana è piena di imprevisti. Ma, come l’assenza di partecipazione alla politica se non per interessi settoriali e la stessa astensione dal voto dimostrano, si è rotto quel filo che fino agli anni 80 ha legato società civile e istituzioni.
Prendiamo la politica mediterranea. Diplomatici e nuovi pennivendoli si affannano a illustrare il cosiddetto Piano Mattei. Senza pudore si utilizza un nome mitico. Enrico Mattei si rivolta nella tomba. Il grande imprenditore, che ha pagato con la propria vita il coraggio di perseguire l’interesse nazionale contro quello delle “sette sorelle”, il fine politico che ha creduto nel bene comune di Stati mediterranei e africani, viene strappato alla memoria collettiva e strumentalizzato per le carnevalate odierne. La presidente del Consiglio (ma Draghi o altri di centrosinistra non avrebbero fatto diversamente) si genuflette alle richieste militari ed economiche statunitensi, rinuncia agli interessi commerciali italiani nei rapporti con Pechino, elemosina senza ottenere una politica del Fmi diversa nei confronti della Tunisia, e nomina senza alcun pudore Enrico Mattei per riferirsi al piano energetico tra Italia e l’Africa fornitrice di energia. Nessun giornalista o economista si dà la pena di spiegare come mai decenni di politica mediterranea europea (dal processo di Barcellona 1995 all’Upm 2008) siano falliti nonostante gli sforzi di partnership egualitaria, di codecisione, di approccio olistico e non settoriale. Qualche brillante collega addirittura sostiene che la Nato, data la menzione del Fianco Sud nel prolisso e illeggibile comunicato finale a Vilnius, aprirà le porte a una cooperazione differente con i Paesi nordafricani. Mattei, a partire dal 1958, aveva stipulato con l’Urss accordi energetici favorevoli allo sviluppo economico italiano contro l’oligopolio delle multinazionali. Il governo italiano strumentalizza il suo nome mentre si lega mani e piedi all’energia statunitense venduta a caro prezzo e a frammentate fonti di approvvigionamento con dittature di umore instabile.
Il cittadino ,nel leggere alcuni giornali, prova un terribile senso di presa in giro. Mieli realizza buoni programmi televisivi, recentemente una ricostruzione storica della rivoluzione cubana. Ci propina tuttavia articoli in cui racconta la fine dell’accordo sul grano come una decisione unilaterale del lupo cattivo. Dimentica di elencare le condizioni previste dall’accordo e non realizzate a partire dalla mancata revoca delle sanzioni sui pezzi di ricambio delle macchine agricole russe fino alla negata adesione della banca russa agricola al sistema di pagamenti Swift. Tace sulle percentuali di grano esportate (80% ai Paesi europei, 3% agli africani) che secondo l’Oxfam non risolverebbero i problemi dei Paesi emergenti, ma contribuirebbero a limitare l’inflazione di generi alimentari nei Paesi ricchi.
Quanti intellettuali e rappresentanti istituzionali si prestano a questi giochi in malafede con appelli moralistici a favore dei Paesi emergenti smarrendo la visione oggettiva di quanto accade sulla scena internazionale? La sensazione sconcertante è che le élite al potere in Europa e i loro ‘cani da guardia” abbiano venduto l’anima e che la politica come l’economia e la cultura siano soltanto tecnica. Viviamo ormai in un eterno Barbie, film di visualità sublime privo di contenuti e con uno script demenziale.

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