VITTORIA E GIUSTIZIA: I PRINCIPI

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di Alexandr Dugin

Nella nostra società sono urgenti cambiamenti assolutamente necessari. Solo questi possono portarci alla Vittoria, e senza la Vittoria non ci sarà la Russia. Oggi tutti lo capiscono. Per salvare il popolo e lo Stato, dobbiamo cambiare e farlo in modo radicale e urgente.

La nostra società manca fatalmente di giustizia. Diamo una risposta chiara: cos’è la giustizia e come raggiungerla.

Idea russa

Abbiamo bisogno di un’ideologia patriottica chiara e accessibile a tutti. L’intera società deve capire chiaramente chi siamo come popolo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Smettere di avere paura del russo. Dobbiamo essere orgogliosi di essere russi. L’amore per la Madrepatria non deve farci vergognare. Occorre innalzare l’Idea Russa sul piedistallo e metterla al centro della politica, della cultura, dell’industria – al centro dell’esistenza sociale.

È sulla base dell’Idea russa che vanno costruite le politiche educative, sociali, culturali, l’educazione, il codice di comportamento di tutti gli strati della società, a partire dai vertici del Paese.

Non c’è valore più alto che dare la vita in nome della Patria. Non c’è peccato più terribile e crimine più efferato del tradimento della Madrepatria, la Russia.

L’Idea Russa deve sostituire completamente quella importata dall’Occidente egoista, il liberalismo, idea che è di fatto russofoba e sovversiva del nostro sistema di valori; deve essere eliminata una volta per tutte, porta automaticamente all’atomizzazione, all’alienazione e alla distruzione dell’unità nazionale; inoltre, sotto lo slogan della libertà, i liberali generano nuovi modelli di schiavitù e controllo universale. Questa è la cultura dell’annullamento.

O noi, dai funzionari ai cittadini comuni, giuriamo immediatamente all’Idea russa, o ci aspetta una catastrofe ancora più terribile di quella che abbiamo affrontato di recente.

Ortodossia

Dopo essersi allontanata da Dio, l’umanità ha rifiutato se stessa. L’Occidente moderno lo dimostra con tutto il suo candore. La fede è sconfitta, non ci sono più santuari, ma è con questa che siamo in conflitto mortale. La civiltà atea e materialista combatte contro di noi, ben sapendo che la Russia, anche nella sua forma attuale indebolita e ridotta, rimane l’ultima isola della società tradizionale, una roccaforte dei valori spirituali e, in fondo, della Fede, che le varie ideologie politiche – dal comunismo al liberalismo – non sono riuscite a sradicare dal nostro popolo nel corso dell’ultimo secolo. L’uomo russo rimane un uomo di fede, anche se non se ne rende ancora pienamente conto.

Dio non è, però, nella gerarchia ecclesiastica, non è in un’istituzione. È nella fede, nella tradizione, nei sacramenti della Chiesa, e la Chiesa non è un’istituzione, è il nostro cuore, donato nel rito del Santo Battesimo alla Divinità luminosa e buona, che a sua volta ha dato la vita per la nostra salvezza. La religione è un dono per il Dono e se c’è un Dono, c’è anche Colui che dona.

Dio è il fondamento di tutto, l’inizio e la fine. Egli crea il mondo e lo giudicherà alla fine. Se l’uomo si allontana da Dio, anche Dio può allontanarsi da lui e allora niente potrà salvarci e noi siamo sull’orlo dell’abisso. Non a caso si sentono sempre più spesso le parole minacciose “Apocalisse”, “Armageddon”, ecc.

Basta con le mezze misure. I russi devono tornare al loro Padre celeste. Dopo tutto, stiamo combattendo la Sua guerra, nel Suo nome e per la Sua gloria.

O torniamo immediatamente alla nostra Madre Chiesa, o ci aspetta una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente. [il punto è che la Russia dovrebbe tornare alla Santa Madre Chiesa di Roma, sciogliendo le riserve sul “Filioque” e riconoscendo il Primato di Pietro nella città eterna. Oggi non lo può fare realmente perché la Sede è occupata dai modernisti, ma lo può fare almeno idealmente, n.d.r.]

Impero

Il tipo di governo politico più giusto e armonioso è l’Impero. Una parte significativa della nostra storia l’abbiamo vissuta nell’Impero, e fu agli zar russi che passò la corona imperiale di Bisanzio. L’Impero è più di un semplice Stato, è una grande potenza dotata di una missione sacra, un impero non si limita a governare su vasti territori e numerosi popoli; l’impero conduce l’umanità alla meta più alta, alla salvezza e all’unità.

La Russia come impero comprende diversi popoli, culture e confessioni, mentre i russi, gli ortodossi, erano e restano il suo nucleo centrale. Ciò non significa che gli altri popoli siano subordinati. L’Impero apre la strada al governo a tutti coloro che hanno dimostrato con atti, imprese, capacità e lealtà di essere suoi degni figli.

La democrazia liberale, impostaci dall’Occidente, è disastrosa per il Paese, in quanto atomizza la società, lo atomizza, mina la solidarietà e l’unità.

Abbiamo bisogno di un Impero che garantisca la giustizia sociale. Un impero del popolo, libero dall’onnipotenza di oligarchi e rampanti che traggono profitto dalla miseria della gente. Forse non ci sono mai stati imperi ideali nella storia… allora costruiamone uno! L’impero non riguarda il passato, ma il futuro.

Solo un aperto appello all’Impero e alla sua eredità ci darà il diritto ultimo di combattere e vincere la guerra che stiamo combattendo. Nessun piccolo nazionalismo aggressivo può reggere il confronto con la potenza imperiale; di più, per coloro che in Ucraina non hanno ancora perso completamente la testa, un posto nell’Impero e la fedeltà all’Impero possono essere un motivo serio per passare dalla nostra parte.

Altrimenti, potrebbe sembrare che due Stati liberal-democratici siano in guerra tra loro. Entrambi si considerano parte del mondo occidentale e cercano di integrarsi al più presto, scegliendo percorsi e mappe stradali diverse e questo svaluta le gesta eroiche dei nostri eroi e priva la guerra della sua dimensione sacra. In guerra, non vince solo il più forte in termini di tecnologia e forza materiale, ma quello il cui ideale è più grande, più alto. Dopo tutto, le idee sono potere. E non c’è idea più potente di quella dell’Impero.

O iniziamo subito a costruire l’Impero, o andremo incontro a una catastrofe ancora più terribile di quella che abbiamo affrontato di recente.

Fermare l’estinzione del popolo russo

Ci stiamo estinguendo, ogni anno ci sono sempre meno russi, se non invertiamo immediatamente questa tendenza catastrofica, il nostro popolo scomparirà dalla faccia della terra nel corso di questo secolo o si trasformerà in una minuscola minoranza. Come salvare la nazione?

Riportare anzitutto immediatamente i valori tradizionali: spirito, moralità, famiglia forte – come indispensabili. Solo le società tradizionali possono vantare una crescita demografica. Più la modernizzazione e il liberalismo sono estesi, meno persone ci sono. Pertanto, tutte le tendenze che vanno contro la Tradizione, la cultura religiosa spirituale russa, dovrebbero essere legalmente proibite.

La pratica di sostituire i russi che stanno scomparendo con immigrati importati – con un’identità aliena e in nessun modo intenzionati a diventare parte del nostro popolo – è criminale e deve essere fermata immediatamente.

Il fatto sociologico e statistico inconfutabile è che nelle condizioni delle città moderne, sempre e in tutti i Paesi e le civiltà, c’è un declino e una degenerazione demografica. Le grandi città sono assassine di famiglie forti con molti figli, fonte di impurità morale, dissolutezza e perversione. È urgente avviare la disaggregazione delle megalopoli, fornire a tutti i russi la terra e la possibilità di viverci, di prendersi cura dei parenti e di possedere un’eredità inalienabile – un nido familiare.

È necessario dare finalmente al popolo russo la terra. In diverse fasi della nostra storia, l’una o l’altra forza ha proposto questo giusto slogan, ma ogni volta i russi sono stati nuovamente ingannati, sia dai proprietari terrieri, sia dai bolscevichi, sia dai liberali degli anni Novanta. Solo la terra che fa nascere il pane, il capofamiglia, è in grado di dare un impulso all’aumento del tasso di natalità.

O invertiamo immediatamente la situazione demografica, o andremo incontro a una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente.

Vietare l’usura

Gli alti tassi di interesse e la completa dipendenza dell’economia russa dall’inserimento nel sistema del capitalismo finanziario globale portano all’eccessiva ricchezza dell’élite finanziaria e all’impossibilità per la maggioranza della popolazione di sfuggire alla povertà. L’oligarchia finanziaria, che ha schiavizzato quasi tutta la società russa con i prestiti, trae profitto dall’applicazione di alti tassi di interesse bancari e dai mutui.

Questo sistema deve essere radicalmente ristrutturato. Invece del credito commerciale, è necessario passare al credito sociale – con tassi di interesse pari a zero o addirittura negativi, che aumenterà drasticamente la ricchezza totale del popolo, espressa in case costruite, beni creati, produzione consolidata, e non in astratti indicatori macroeconomici.

Lo Stato dovrebbe distribuire equamente le opportunità finanziarie tra tutta la popolazione, ponendo fine all’onnipotenza dell’oligarchia e dell’ufficialità corrotta.

Questo modello economico, di fatto coloniale, si è formato in Russia negli anni ’90 del secolo scorso e oggi impedisce lo sviluppo armonioso e progressivo del potenziale creativo del Paese ed è enorme e solo artificialmente frenato dalla politica monetarista delle autorità.

O cambiamo immediatamente il vettore economico da liberale-oligarchico e monetarista a uno socialmente orientato, o andremo incontro a una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente.

Vincere la guerra con l’Occidente

In Ucraina siamo impegnati in una guerra feroce non tanto con il regime neonazista e russofobo di Kiev, quanto con l’Occidente collettivo. Non si tratta solo di un conflitto regionale o della risoluzione di questioni controverse di geopolitica, economia e strategia militare. Si tratta di una guerra di civiltà. L’Occidente moderno ha gettato le sue maschere e si presenta apertamente nella sua vera forma: da tempo ha dichiarato guerra a Dio, alla Chiesa e alle basi politiche e culturali della società tradizionale, e oggi sfida direttamente l’uomo stesso. La civiltà occidentale moderna sta distruggendo le famiglie, legalizzando e persino imponendo in modo aggressivo la perversione, la riassegnazione del sesso, la chirurgia transgender, e persino i bambini ne diventano vittime.

Gli estremisti ambientalisti chiedono di salvare il pianeta dall’uomo. I pionieri dell’ingegneria genetica stanno già conducendo esperimenti sull’incrocio di persone con macchine, con altre specie animali, sperimentando sul genoma, promettendo di dare agli organismi umani l’eternità o una sua parvenza (sotto forma di memoria e sentimenti immagazzinati su server). L’intrusione nel mistero del portare in grembo un feto minaccia una nuova segregazione, perché è già stato lanciato un progetto per allevare una razza superiore, il cui genotipo sarà corretto artificialmente e migliorato al massimo.

La guerra con l’Occidente in Ucraina è una battaglia della civiltà dei popoli, che è rappresentata dalla Russia, che oggi guida il confronto della maggioranza mondiale contro l’egemonia dell’Occidente, con la civiltà che è sulla via della distruzione o della mutazione irreversibile dell’uomo. Tale civiltà è satanica.

Per vincere questa guerra di civiltà, è necessario risvegliare tutta la nostra società, far conoscere a ciascuno dei suoi membri – fino ai bambini – il significato, gli obiettivi e le finalità di questa grande e sacra guerra di popolo. Non è solo la difesa della Madrepatria, è una guerra per la giustizia, che stiamo combattendo non per la vita, ma per la morte. E poiché siamo dalla parte della Luce, la società deve essere purificata, nobilitata ed elevata. La vittoria in una battaglia così decisiva per tutta la storia dell’umanità è un pegno di conservazione dell’uomo come specie. Ancora una volta i russi si sono assunti la missione di salvare il mondo. E oggi tutto dipende da noi.

In questa situazione siamo obbligati a trasmettere a tutti la struggente verità sul significato di questa guerra.

È stato criminale lasciare immutata la cultura dell’intrattenimento che si è sviluppata negli ultimi 30 anni, basata sulla volgarità, sul cinismo, sul ridicolo di tutto ciò che è alto e puro, sull’imitazione di tutti i lati più ripugnanti dell’Occidente. Inoltre, molti personaggi della cultura hanno mostrato il loro coraggio di traditori nelle condizioni della SWO, disertando direttamente dalla parte dei nemici della Russia. Le grida di buffoni, blasfemi e pervertiti posseduti dal demonio minano la fiducia nella nostra vittoria e provocano l’indignazione degli eroi in prima linea e di coloro che hanno già capito quanto sia alta la posta in gioco nel conflitto di civiltà.

Abbiamo bisogno di una cultura completamente diversa che sia all’altezza delle sfide della guerra. La cultura esistente non è affatto una cultura. Non solo non dobbiamo far rientrare i traditori che si sono ravveduti, ma dobbiamo anche allontanare coloro che sono rimasti, conservando il loro stile, il loro snobismo, il loro disprezzo quasi invisibile per il popolo russo e i suoi ideali, le sue linee guida, la sua natura morale.

O ricostruiamo immediatamente la nostra intera società su base militare, o ci aspetta una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

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Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/vittoria-e-giustizia-i-principi

La Cina e la globalizzazione, la leadership statunitense e l’Europa vassalla

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l’EDITORIALE DEL LUNEDI (articolo pubblicato anche su www.2dipicche.news www.info.hispania.it e www.vocesdelperiodista.it (in Spagna e America Latina)

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/07/31/la-cina-e-la-globalizzazione-la-leadership-statunitense-e-leuropa-vassalla/

QUALCHE RIFLESSIONE SULLA VIA DELLA SETA

Uno degli argomenti principali più attuali del momento, è il dibattito sulla cosiddetta Via della Seta. Come sostiene il Prof. Fabio Massimo Parenti (docente all’Istituto Lorenzo de’ Medici di Firenze) sulla rivista Eurasia (3/2023), essa è, “in estrema sintesi, una proposta cinese di cooperazione internazionale, incentrata sull’aumento della della connettività terrestre, marittima ed aerea a livello intercontinentale”.

E’ più che legittimo interpretare questo enorme piano di investimenti come una nuova opportunità per affrontare i problemi globali, potenziando il multilateralismo e migliorando la cooperazione mondiale sul piano della governance, delle modalità per affrontare la povertà, lo sviluppo ineguale, le guerre, il degrado ambientale.

Il progetto cinese parla di trilioni di dollari ed è aperto a tutti i paesi del mondo. Continua il Prof. Parenti: “[…] Così come definito nel XIX Congresso nazionale del 2017, il Partito Comunista Cinese si è posto due macro-obiettivi: primo, costruire nuove forme di relazioni internazionali, incentrate sulla cooperazione vantaggiosa per tutti ed il rispetto reciproco, e, secondo, creare una comunità dal futuro condiviso per tutta l’umanità”.

Questo modello andrebbe, a tutti gli effetti, a sostituire la globalizzazione con leadership statunitense ed Europa vassalla. Per questo, negli ultimi anni, l’Occidente ha demonizzato il progetto cinese, accusandolo di tutto e di più, soprattutto delle nefandezze predatorie compiute nei confronti del “Sud del mondo”, che, in realtà, sono state perpetuate per gli interessi degli USA e dei suoi alleati. In particolare, la Cina viene accusata di voler intrappolare i paesi in via di sviluppo in una rete di debiti, che costoro hanno contratto, però, nel predominio finanziario del blocco occidentale, tanto che “secondo Zhao Lijan, portavoce del Ministero degli Affari Esteri, sarebbe un ennesimo esempio “della diplomazia delle menzogne in stile americano” “.

Nel recentissimo viaggio a Washington, il premier italiano Giorgia Meloni ha incontrato il Presidente Joe Biden e parlato anche della Via della Seta. Già in Senato Meloni ha detto che “la questione va maneggiata con delicatezza, cura e rispetto, coinvolgendo anche il Parlamento”. Nonostante i mugugni di Pechino che hanno preceduto la visita negli States del Presidente del Consiglio italiano, in ballo c’è stata la discussione con gli USA sul rinnovo del memorandum d’intesa sulla Via della Seta, che Roma aveva siglato con la Cina nel 2019, durante il governo gialloverde. Seppur non ufficialmente, il governo Meloni pare aver preso la decisione fortemente voluta da Biden, ovvero non rinnovare l’accordo. Ma Meloni ha annunciato anche un prossimo viaggio a Pechino per incontrare Xi Jinping, e, probabilmente comunicargli la decisione, pur mantenendo un ottimo rapporto commerciale, sulla scia di Germania, Francia e Regno Unito, che hanno rapporti economici ingenti con Pechino, senza rientrare nel memorandum della Via della Seta.

Il Presidente dell’Aspen Institute Italia Prof. Giulio Tremonti, di cui è socia anche Giorgia Meloni, scrive, nel suo libro “Globalizzazione, le piaghe e la cura possibile” (Ed. Solferino, 2022): “appena trent’anni fa gli “illuminati” ci hanno graziosamente comunicato il passaggio dalla vecchia triade Liberté, Egalité, Fraternité, alla loro nuova triade: Globalité, Marché, Monnaie (Globalità, Mercato, Moneta). Saremmo entrati nell’ “età dell’oro” attraverso l’utopia della globalizzazione. E, guarda caso, utopia vuol dire assenza di luogo – ou-topos, in greco “non luogo” – e dunque è proprio questa l’essenza della globalizzazione!” Sempre Tremonti dedica un capitolo molto interessante alla Cina (pp. 82-89) ricordando che “la “modernizzazione” della Cina è iniziata solo negli anni Ottanta del secolo scorso, ma si è in effetti concretizzata con la globalizzazione, prima sfruttando di fatto le prime aperture del WTO (1994) e poi con il suo formale ingresso nell’organizzazione (2001).Quando esplode la grande crisi del 2008 la Cina è già una grande potenza, ma solo a livello mercantile e perciò con una politica ancora totalmente allineata al comune sentire dell’Occidente”. Poi, tutto è cambiato. Le vie della Seta sono state introdotte nello Statuto del Partito e nella Costituzione a indicare una proiezione geopolitica diretta a dimensioni globali, verso Occidente e verso l’Artico.

“L’ 11 marzo 2021 la Cina ha aperto all’ipotesi di sviluppo, a fianco del mercato esterno, del suo mercato interno. Ed è così che si è formato il progetto della cosiddetta “doppia circolazione”, inserita nel XV Piano quinquennale (2021-2025). Il problema più grande della Cina è dovuto alla mancanza di risorse naturali, quindi diviene esistenziale il bisogno di nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale, con la quale può acquisire i dati degli altri. All’orizzonte, molti osservatori ed esperti vedono, dunque, la possibilità di una guerra tra l’Occidente e la Cina. Si chiede il Prof. Tremonti: “chi vince?” […]”la forza di attrazione e non tanto e non solo la forza militare. La Cina fa paura all’Occidente, è considerata lontana e pericolosa, dagli usi e costumi troppo diversi perché come nel secolo americano tutti avrebbero voluto essere americani per mille motivi, soprattutto la ricchezza ed il potere, nessuno oggi desidererebbe essere cinese.
E’ vero che la Cina dispone della bomba atomica dal 1964, il suo primo satellite lanciato nello spazio è stato nel 1970 e il primo astronauta in orbita nel 2003, ma non è certo priva di problemi: dalla questione Taiwan alla moneta alternativa che sta preparando con la Russia e che sconvolgerebbe certamente l’asse mondiale dei commerci e dei mercati. Inoltre vanno contate le sue fragilità interne dovute alle rivolte popolari, alla scarsità sanitaria e alle crisi finanziarie, come ad esempio il fallimento del colosso immobiliare Evergrande.

Lo stallo e la transizione con incertezze enormi sui cambiamenti globali regnano in questo momento storico nella decadenza di ogni cosa, dall’arte alla morale, dalle idee alla comune mentalità. Nella multipolarità economica e geopolitica vi potrebbe essere uno spiraglio di luce, che crei un minimo di entusiasmo in questa società sciatta, grigia e nichilista. Il prezzo da pagare per un cambiamento sistemico globale di simile portata sarà altissimo, nonostante il popolo anestetizzato pensi solo ai social network, attendendo con ansia la prossima edizione del Grande Fratello.

Il complesso di superiorità

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di Gianni Petrosillo

Dobbiamo dare pienamente ragione a Orsini benché noi stiamo dicendo le stesse cose da mesi o anni. L’Occidente è in preda ad un delirio di onnipotenza in cui il delirio è molto e l’onnipotenza ormai poca. La battaglia contro la realtà del circo mediatico nostrano ha superato qualsiasi narrazione distopica e non si discosta mai dai dalla versione del potere ufficiale nonostante le evidenti bugie con gambe sempre più corte e il naso chilometrico.
La Russia doveva essere sconfitta in poco tempo ma Putin non doveva essere umiliato perché il suo paese è pur sempre una forza nucleare. Si continua a ripetere queste sciocchezze benché i fatti si siano già incaricati di rovesciare le finte convinzioni che girano dalle nostre parti. Mosca non è stata sottomessa e l’onore di Putin non è mai stato così saldo, almeno in confronto alla reputazione dei suoi omologhi anglofoni ed europei. Aspettiamo con ansia il colpo di grazia all’Ucraina per vedere cos’altro si inventeranno per non farsi abbassare un’autostima smisurata ma senza alcun fondamento.
“I russi perderanno la guerra in pochi giorni perché non hanno voglia di combattere”. E poi i russi hanno vinto, con smodata determinazione, la battaglia di Bakhmut, il corpo a corpo più brutale della guerra. Ecco un ulteriore esempio del complesso di superiorità dell’Europa: “L’esercito russo è tecnologicamente arretrato mentre quello occidentale è avanzatissimo”. Però il blocco occidentale invia armi vetuste all’Ucraina. La superiorità tecnologica dell’Occidente in Ucraina? Non pervenuta.
Nel lungo periodo, i complessi di superiorità distorcono i fatti fino al capovolgimento della realtà.
Per esercitare il ragionamento critico contro le manipolazioni dei media dominanti, individuo periodicamente sul mio canale YouTube quella che chiamo “l’idea più cretina sulla guerra in Ucraina”. Questo mese il podio è di Richard Moore, capo dell’MI6, i servizi segreti esteri britannici. La sua frase, enfaticamente rilanciata dal Corriere della Sera, recita così: “Stiamo attenti a non umiliare Putin”. Le parole di Moore sono un esempio di capovolgimento della realtà causato dai complessi di superiorità dell’Inghilterra nei confronti della Russia. Putin rade al suolo Mariupol, Bakhmut, Severodonetsk, Lysychansk, Kherson, Rubizhne? Epperò! Il blocco occidentale smetta di umiliare Putin! Secondo i media dominanti, Putin distrugge perché è umiliato. Il ragionamento critico impone la seguente domanda: “Se chi distrugge è umiliato, quant’è umiliato chi è distrutto?”. Ecco la mia conclusione contro le manipolazioni dei media: i veri umiliati sono gli occidentali che non riescono a proteggere l’Ucraina dal fuoco russo.

Il falò delle vanità

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di Alastair Crooke*

Fonte: Come Don Chisciotte

L’arroganza consiste nel credere che una narrazione artificiosa possa, di per sé, portare alla vittoria. È una fantasia che ha attraversato tutto l’Occidente, soprattutto a partire dal XVII secolo. Recentemente, il Daily Telegraph ha pubblicato un ridicolo video di nove minuti in cui si sostiene che “le narrazioni vincono le guerre” e che le battute d’arresto in uno scenario bellico sono un fatto accidentale: ciò che conta è avere un filo narrativo unitario articolato, sia verticalmente che orizzontalmente, lungo tutto lo spettro – dal soldato delle forze speciali sul campo fino all’apice del vertice politico.

Il succo è che “noi” (l’Occidente) abbiamo una narrativa irresistibile, mentre quella della Russia è “goffa”, quindi, è inevitabile che gli Stati Uniti vincano.

È facile deriderla, ma possiamo comunque riconoscere in essa una certa sostanza (anche se questa sostanza è un’invenzione). La narrazione è ormai il modo in cui le élite occidentali immaginano il mondo. Che si tratti dell’emergenza pandemica, del clima o dell’Ucraina, tutte le “emergenze” sono ridefinite come “guerre”. E tutte sono”guerre” che devono essere combattute con una narrazione unitaria e obbligatoria di “vittoria”, contro la quale è vietata ogni opinione contraria.

L’ovvio difetto di questa arroganza è che richiede di essere in guerra con la realtà. All’inizio il pubblico è confuso, ma, man mano che le menzogne proliferano e si stratificano, la narrazione si separa sempre di più dalla realtà, anche se le nebbie della disonestà continuano ad avvolgerla. Lo scetticismo del pubblico si fa strada. Le narrazioni sul “perché” dell’inflazione, sul fatto che l’economia sia o no sana, o sul perché dobbiamo entrare in guerra con la Russia, iniziano a perdere colpi.

Le élite occidentali hanno scommesso tutto sul massimo controllo delle “piattaforme mediatiche”, sull’assoluto conformismo dei messaggi e sulla spietata repressione delle proteste come loro progetto per continuare a mantenere il potere.

Eppure, contro ogni previsione, i media mainstream stanno perdendo la loro presa sul pubblico statunitense. I sondaggi mostrano una crescente sfiducia nei confronti dei media statunitensi. Quando è apparso il primo show “anti-messaggio” di Tucker Carlson su Twitter, il rumore delle placche tettoniche che si scontravano è stato imperdibile, mentre più di 100 milioni di americani (uno su tre) ascoltavano l’iconoclastia.

Il punto debole di questo nuovo autoritarismo “liberale” è che i suoi miti narrativi chiave possono essere infranti. Basta poco; lentamente, la gente inizia a parlare della realtà.

Ucraina: come si vince una guerra che non si può vincere? La risposta dell’élite è stata la narrazione. Insistendo, contro la realtà dei fatti, che l’Ucraina sta vincendo e la Russia sta “cedendo”. Ma questa arroganza alla fine viene smontata dai fatti sul campo. Anche le classi dirigenti occidentali si rendono conto che la loro richiesta di un’offensiva ucraina di successo è fallita. Alla fine, i risultati militari sono più potenti delle chiacchiere politiche: Uno schieramento è distrutto, i suoi molti morti diventano la tragica “forza” per rovesciare il dogma.

Saremo in grado di estendere all’Ucraina l’invito ad aderire all’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte… [tuttavia] a meno che l’Ucraina non vinca questa guerra, non c’è alcun problema di adesione da discutere” – ha dichiarato Jens Stoltenberg a Vilnius. Così, dopo aver esortato Kiev a gettare altre (centinaia di migliaia) di uomini nelle fauci della morte per giustificare l’adesione alla NATO, quest’ultima volta le spalle alla sua protetta. Dopotutto, si trattava di una guerra non vincibile fin dall’inizio.

L’arroganza, ad un certo livello, risiede nel fatto che la NATO contrappone la sua presunta “superiorità” in termini di dottrina militare e di armamenti alla deprecata rigidità – e “incompetenza” – militare russa di stampo sovietico.

Ma le operazioni militari sul campo hanno rivelato la dottrina occidentale per quel che è – arroganza – con le forze ucraine decimate e le armi della NATO ridotte a carcasse fumanti. È stata la NATO ad insistere sulla rievocazione della Battaglia del 73 Est (nel deserto iracheno, ma ora trasportata in Ucraina).

In Iraq, il “pugno corazzato” aveva facilmente perforato le formazioni di carri armati iracheni: si trattava infatti di un “cazzottone” che aveva messo al tappeto l’opposizione irachena. Ma, come ammette francamente il comandante statunitense di quella battaglia di carri armati (il colonnello Macgregor), il suo risultato contro un’opposizione demotivata era stato in gran parte fortuito.

Tuttavia, il “73 Easting” è un mito della NATO, trasformato in dottrina generale per le forze ucraine – una dottrina strutturata sulla circostanza unica dell’Iraq.

L’arroganza – in linea con il video del Daily Telegraph – sale tuttavia in verticale per imporre la narrazione unitaria di una prossima “vittoria” occidentale anche sulla sfera politica russa. È una vecchia storia che la Russia sia militarmente debole, politicamente fragile e incline alle spaccature. Conor Gallagher ha dimostrato con ampie citazioni che era stata esattamente la stessa storia anche nella Seconda Guerra Mondiale, si trattava di un’analoga sottovalutazione della Russia da parte dell’Occidente – combinata con una grossolana sopravvalutazione delle proprie capacità.

Il problema fondamentale del delirio è che l’uscirne (se mai succede) avviene ad un ritmo molto più lento degli eventi. Questo disallineamento può definire gli esiti futuri.

Potrebbe essere nell’interesse del Team Biden supervisionare un ritiro ordinato della NATO dall’Ucraina, in modo da evitare che diventi un’altra debacle in stile Kabul.

Perché ciò avvenga, il Team Biden ha bisogno che la Russia accetti un cessate il fuoco. E qui sta il difetto (ampiamente trascurato) di questa strategia: semplicemente, non è nell’interesse della Russia “congelare” la situazione. Ancora una volta, l’ipotesi che Putin “prenderebbe al volo” l’offerta occidentale di un cessate il fuoco è un modo di pensare arrogante: i due avversari non sono congelati nel senso basilare del termine – come in un conflitto in cui nessuna delle due parti è riuscita a prevalere sull’altra e sono bloccate.

In parole povere, mentre l’Ucraina è strutturalmente sull’orlo dell’implosione, la Russia, al contrario, è del tutto plenipotente: Dispone di forze ingenti e fresche, domina lo spazio aereo e ha quasi il dominio dello spazio elettromagnetico. Ma l’obiezione fondamentale ad un cessate il fuoco è che Mosca vuole che l’attuale collettivo di Kiev se ne vada e che le armi della NATO siano fuori dal campo di battaglia.

Quindi, ecco il problema: Biden ha un’elezione, e quindi sarebbe adatto alle esigenze della campagna democratica avere un “disimpegno ordinato”. La guerra in Ucraina ha messo in luce troppe carenze logistiche americane. Ma anche la Russia ha i suoi interessi.

L’Europa è la parte più intrappolata dall’”allucinazione”, fin dal momento in cui si è gettata senza riserve nel “campo” di Biden. La narrazione dell’Ucraina si è interrotta a Vilnius. Ma l’amour propre di alcuni leader dell’UE li mette in conflitto con la realtà. Vogliono continuare ad alimentare il tritacarne ucraino, a persistere nella fantasia di una “vittoria totale”: “non c’è altro modo che una vittoria totale – e sbarazzarsi di Putin… Dobbiamo correre tutti i rischi per questo. Nessun compromesso è possibile, nessun compromesso“.

La classe politica dell’UE ha preso così tante decisioni disastrose in ossequio alla strategia statunitense – decisioni che vanno direttamente contro gli interessi economici e di sicurezza degli europei – che ha molta paura.

Se la reazione di alcuni di questi leader sembra sproporzionata e irrealistica (“Non c’è altro modo che una vittoria totale – e sbarazzarsi di Putin”) – è perché questa “guerra” tocca motivazioni più profonde. Riflette il timore esistenziale di un disfacimento della meta-narrazione occidentale che farà crollare la sua egemonia e, con essa, la struttura finanziaria occidentale.

La meta-narrazione occidentale “da Platone alla NATO, è quella di idee e pratiche superiori le cui origini risalgono all’antica Grecia e che, da allora, sono state raffinate, estese e trasmesse nel corso dei secoli (attraverso il Rinascimento, la rivoluzione scientifica e altri sviluppi presumibilmente unicamente occidentali), cosicché oggi noi occidentali siamo i fortunati eredi di un DNA culturale superiore“.

Questo è ciò che probabilmente avevano in mente gli autori del video del Daily Telegraph quando avevano insistito sul fatto che “la nostra narrativa vince le guerre”. La loro arroganza risiede nella presunzione implicita che l’Occidente, in qualche modo, vince sempre – è destinato a prevalere – perché è il destinatario di questa genealogia privilegiata.

Naturalmente, al di fuori della comprensione generale, è accettato che la nozione di “Occidente coerente” sia stata inventata, riproposta e utilizzata in tempi e luoghi diversi. Nel suo nuovo libro, The West, l’archeologa classica Naoíse Mac Sweeney contesta il “mito del padrone”, sottolineando che era stato solo “con l’espansione dell’imperialismo europeo d’oltremare nel XVII secolo che aveva iniziato ad emergere un’idea più coerente di Occidente, utilizzata come strumento concettuale per tracciare la distinzione tra il tipo di persone che potevano essere legittimamente colonizzate e quelli che potevano essere legittimamente i colonizzatori”.

Con questa invenzione dell’Occidente era arrivata anche l’invenzione della storia occidentale, un lignaggio elevato ed esclusivo che ha fornito una giustificazione storica per la dominazione occidentale. Secondo il giurista e filosofo inglese Francis Bacon, nella storia dell’umanità ci sono stati solo tre periodi di apprendimento e civiltà: “uno tra i Greci, il secondo tra i Romani e l’ultimo tra noi, cioè le nazioni dell’Europa occidentale“.

Il timore più profondo dei leader politici occidentali – complice la consapevolezza che la “Narrazione” è una finzione che raccontiamo a noi stessi, pur sapendola essere di fatto falsa – è che la nostra epoca sia stata resa sempre più e pericolosamente dipendente da questo meta-mito.

Se la fanno sotto non solo a causa di una “Russia potente”, ma piuttosto per la prospettiva che il nuovo ordine multipolare guidato da Putin e Xi, che si sta diffondendo in tutto il mondo, faccia crollare il mito della civiltà occidentale.

Fonte: www.strategic-culture.org
Link: https://strategic-culture.org/news/2023/07/17/a-bonfire-of-the-vanities/

Scelto e tradotto da Markus per www.comedonchisciotte.org

*Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

Perché Kiev si rifiuta di indagare sul massacro di Maidan 2014?

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Fonte: Come Don Chisciotte

di Christina Sizova, reporter moscovita che si occupa di politica, sociologia e relazioni internazionali.

La fase attiva delle ostilità in Ucraina dura da più di 500 giorni. Durante questo periodo, sono morte decine, forse centinaia di migliaia di persone.

Nel frattempo, i governi occidentali hanno speso miliardi per sostenere la guerra e in Russia è iniziata una discussione concreta sulla possibilità di utilizzare armi nucleari.

Ivan Katchanovski, un ricercatore canadese di origine ucraina, ritiene che la prima tessera del domino sia caduta quasi dieci anni fa, quando le proteste di massa – oggi note come “EuroMaidan” – scoppiarono nella capitale ucraina.

In un giorno, a Kiev rimasero uccise più di 100 persone, tra manifestanti e polizia. La leadership ucraina, i politici occidentali e i media incolparono la forze speciali di polizia Berkut, ma molti fatti suggeriscono che i manifestanti potrebbero essere stati uccisi da altri “compagni oppositori”.

Nel suo articolo ‘Il processo e le rivelazioni dell’inchiesta sul massacro di Maidan: implicazioni per la guerra e le relazioni tra Ucraina e Russia‘, Katchanovski mostra come l’incapacità di indagare correttamente su crimini decennali abbia contribuito a portare le relazioni internazionali allo stato attuale.

Il massacro di Maidan: i risultati dell’indagine

Gli eventi in questione iniziarono il 21 novembre 2013, quando il governo ucraino sospese i preparativi per la conclusione di un accordo di associazione con l’Unione Europea. Intorno alle 22 dello stesso giorno, le prime proteste – sostenute dai principali leader dell’opposizione dell’epoca – scoppiarono nella piazza principale di Kiev.

Inizialmente, il raduno non attirò molte persone. Nel primo giorno, parteciparono tra i 1.000 e i 1.500 attivisti. Tuttavia, dopo alcuni giorni, quelli più estremisti  eressero una tendopoli in piazza Maidan. Alla fine si impadroniranno di diversi edifici amministrativi,  formato “forze di autodifesa” armate e sarebbero poi entrati in conflitto diretto con le forze dell’ordine.

Gli eventi raggiunsero il culmine tra il 18 e il 20 febbraio 2014, quando cecchini non identificati aprirono il fuoco sulla Maidan. Di conseguenza, furono uccise più di cento persone, tra cui manifestanti e agenti della forza speciale di polizia Berkut, parte del Ministero degli Affari Interni dell’Ucraina. Secondo l’Ufficio del Procuratore Generale, 2.442 persone rimasero ferite durante l’Euromaidan. Qualcuno doveva essere ritenuto responsabile del massacro e coloro che sono saliti poi al potere a seguito del colpo di stato hanno trovato rapidamente i presunti “colpevoli”.

Fu aperto un procedimento penale contro l’ex Presidente Viktor Yanukovych, che era fuggito dal Paese. Fu accusato di omicidio di massa di civili. Anche le forze speciali di polizia Berkut furono accusate dei crimini di Maidan, tra cui l’uso di armi contro i civili.

La grande bugia dell'Ucraina: perché Kiev si rifiuta di indagare sul massacro di Maidan 2014?Le persone depongono fiori e rendono omaggio al monumento ai manifestanti antigovernativi uccisi negli scontri con la polizia in Piazza Indipendenza il 23 febbraio 2014 a Kiev, Ucraina. © Brendan Hoffman / Getty Images

I capri espiatori

A febbraio 2015, i procuratori affermarono che 25 agenti del corpo Berkut e altri individui non identificati erano stati coinvolti nell’uccisione dei manifestanti. Due anni dopo, il capo del Dipartimento di Indagini Speciali dell’Ufficio del Procuratore Generale, Sergei Gorbatyuk disse che i membri del Berkut avevano ricevuto illegalmente dei bonus tra i 3.000 e i 5.000 grivna (337 e 562 dollari, all’epoca) per aver usato la forza contro i manifestanti.

I procedimenti giudiziari contro gli ex agenti di polizia iniziarono in tutto il Paese, spingendo molti agenti del Berkut a trasferirsi in Russia. La narrativa che implica che gli omicidi di Maidan del febbraio 2014 siano stati commessi dal Berkut non è mai stata messa in discussione dai funzionari ucraini, né dai loro sponsor occidentali.

Tuttavia, l’indagine continua ancora oggi. Nel febbraio dello scorso anno, il Procuratore Generale Irina Venediktova ha dichiarato che i tribunali ucraini avevano inflitto condanne a 50 persone per reati legati agli eventi di Maidan. Ha anche notato che su 518 accusati, 248 sono stati i rinvii a giudizio, mentre 372 persone sono state giudicate colpevoli.

Molte domande, tuttavia, rimangono senza risposta. Gli omicidi dei primi ‘attivisti’ di Maidan rimangono irrisolti. Anche il già citato “caso dei cecchini” rimane aperto – coloro che hanno sparato ai manifestanti e alle forze dell’ordine non sono stati toccati. I crimini contro la polizia non sono nemmeno oggetto di indagine, anche se secondo l’Ufficio del Procuratore Generale, 721 di loro sono stati feriti durante gli eventi di Euromaidan.

“La narrazione dominante in Ucraina e in Occidente attribuisce il massacro dei manifestanti di Maidan al governo di Yanukovych e per lo più ignora le uccisioni della polizia. Con alcune eccezioni, i media occidentali e ucraini non hanno riportato le rivelazioni del processo e dell’inchiesta sul massacro di Maidan, riguardanti i cecchini negli edifici controllati da Maidan”, afferma Ivan Katchanovski.

Cosa è successo veramente?

La versione degli eventi che accusano le forze di polizia Berkut è sempre stata priva di prove a sostegno. L’avvocato Alexander Goroshinsky ha dichiarato a RIA Novosti, nel 2019, che la mattina del 20 febbraio 2014, 39 poliziotti e militari sono stati feriti e quattro sono stati uccisi. Alla sera dello stesso giorno, 63 persone erano state ferite.

“Qualcuno ha sparato metodicamente contro gli ufficiali di Berkut e i soldati e gli ufficiali delle truppe interne”, ha affermato.

Nell’aprile 2014, l’emittente statale tedesca ARD/Das Erste TV ha condotto un’indagine giornalistica e ha concluso che la narrazione approvata dalla Procura ucraina era incoerente. Il giornalista Stephan Stuchlik ha presentato le prove che i manifestanti erano stati colpiti alle spalle dai loro stessi compagni.

Rimangono aperte diverse questioni importanti. Una di queste è se, quel 20 febbraio, gli oppositori sono stati davvero colpiti alle spalle.

Questo è importante perché proprio dietro di loro si trovava l’Hotel Ukraina, controllato dall’opposizione. Ciò significa che potrebbero essere stati colpiti dalla loro stessa gente. Abbiamo parlato con testimoni oculari, esperti di tiro e specialisti di balistica a questo proposito. Sostengono che sì, sicuramente [le persone] sono state colpite alla schiena”, ha detto il giornalista.

La possibilità che il massacro sia iniziato quando i manifestanti hanno sparato alla polizia è stata sollevata anche in un’inchiesta della BBC. Un uomo di nome Sergey ha dichiarato all’emittente statale britannica che, insieme ad un altro uomo, ha sparato dei colpi contro la polizia da un edificio che era poi sotto il controllo dei manifestanti. Secondo lui, i colpi sparati contro gli agenti del Berkut hanno costretto la polizia a ritirarsi.

SITU Research ha anche osservato che “è chiaro dalle prove forensi che le persone sono state colpite alla schiena” e “qualcuno sparava dai tetti”.

Questi rapporti sono stati confermati dal militante Ivan Bubenchik. Nel 2016, parlando nel film documentario ‘Brantsi‘ (‘Prigionieri’), diretto da Vladimir Tikhy, ha ammesso di aver sparato agli agenti di polizia del Ministero degli Interni con una mitragliatrice. “Dicono che li ho uccisi colpendoli alla nuca, ed è vero. Erano in piedi con le spalle rivolte a me. Non ho avuto la possibilità di aspettare che si girassero. Ho sparato dalla finestra più lontana dal Maidan, dietro le colonne del terzo piano. Da lì, potevo vedere chiaramente la polizia con gli scudi, posizionata vicino alla Stele”, ha detto Bubenchik.

La grande bugia dell'Ucraina: perché Kiev si rifiuta di indagare sul massacro di Maidan 2014?Manifestanti antigovernativi trasportano i feriti durante i continui scontri con la polizia in Piazza dell’Indipendenza, nonostante la tregua concordata tra il Presidente ucraino e i leader dell’opposizione, il 20 febbraio 2014 a Kiev, Ucraina. © Jeff J Mitchell / Getty Images

1.000 ore di riprese video, decine di testimoni

Queste sono solo alcune delle testimonianze oculari disponibili pubblicamente nel caso degli omicidi di Maidan. Katchanovski ha basato la sua indagine su circa 1.000 ore di filmati ufficiali del processo per il massacro di Maidan, del processo per tradimento di Yanukovych e dell’indagine su questi eventi in oltre 2.500 sentenze giudiziarie disponibili nel database ufficiale online.

Katchanovski nota che il filmato che mostra le forze di polizia Berkut sparare ai manifestanti è stato presentato al processo.

Tuttavia, l’ora e la direzione degli spari nel video non coincidevano con il momento delle sparatorie a Maidan. Ritiene che i video e le altre prove presentate durante il processo abbiano confermato che tre manifestanti sono stati uccisi (in via Institutskaya) prima che la polizia arrivasse e aprisse il fuoco.

Allo stesso tempo, gli avvocati di Berkut hanno sottolineato che l’ora e la direzione del colpo sparato da un manifestante con un fucile da caccia (come si vede nel video e nella foto) coincidevano con l’ora e la direzione del colpo che ha ucciso un ufficiale delle forze speciali, come stabilito dagli esperti forensi dello Stato.

Katchanovski sostiene che il tiratore di Maidan è stato identificato ma non è stato accusato.

Al processo sono stati mostrati anche video inediti registrati dal canale televisivo belga VRT. Il filmato mostra un manifestante che avverte gli altri di non avanzare perché i cecchini posizionati all’interno dell’Hotel Ukraina stavano sparando ai manifestanti, e che aveva visto i lampi dei colpi sparati. Il video VRT mostra anche un proiettile che colpisce un albero in direzione di un gruppo di manifestanti. Questi si girano, indicano l’hotel e gridano ai cecchini, chiedendo loro di non sparare.

Circa 51 dei 72 manifestanti di Maidan feriti, che la polizia Berkut è accusata di aver attaccato il 20 febbraio, e la cui testimonianza è stata resa nota, hanno affermato durante le indagini e al processo di essere stati colpiti dai cecchini da luoghi e edifici controllati dagli attivisti di Maidan. Hanno testimoniato di aver visto personalmente i cecchini o di averne sentito parlare da altri manifestanti. Un totale di 31 manifestanti feriti hanno detto di essere stati attaccati dall’Hotel Ukraina, dalla banca Arkada, dal Palazzo Ottobre, dagli edifici di Museyny Lane e di Gorodetsky Street, tutti edifici e territori allora controllati dalle forze di opposizione.

Cecchini georgiani

Secondo una narrazione, coloro che hanno sparato ai manifestanti non erano cittadini ucraini, ma mercenari stranieri, anche dalla Georgia. Questo è stato dichiarato per la prima volta dall’ex comandante dell’unità d’élite dell’esercito georgiano “Avaza”, il generale Tristan Tsitelashvili, che ha affermato di sapere che i georgiani avevano partecipato agli eventi del Maidan.

La grande bugia dell'Ucraina: perché Kiev si rifiuta di indagare sul massacro di Maidan 2014?Manifestanti antigovernativi camminano tra detriti e fiamme vicino al perimetro di Piazza dell’Indipendenza, nota come “Piazza Maidan”, il 19 febbraio 2014 a Kiev, Ucraina. © Brendan Hoffman / Getty ImagesNel febbraio 2018, diversi cittadini georgiani hanno ammesso in un’intervista a RIA Novosti di aver sparato ai manifestanti. Koba Nergadze, un ex militare dell’esercito georgiano, ha detto che i cecchini erano venuti a Kiev con l’aiuto di Mamuka Mamulashvili, un ex consigliere dell’ex presidente georgiano Mikheil Saakashvili. Nergadze e il suo gruppo hanno ricevuto 10.000 dollari e hanno promesso altri 50.000 dollari dopo il ritorno da Kiev. Sono entrati in Ucraina con passaporti falsi. A Kiev, il gruppo aveva sede in via Ushinsky e ogni giorno partecipava agli eventi di Maidan.

Nella sua indagine, Katchanovski ha notato che, nelle interviste rilasciate ai media statunitensi, italiani, israeliani, macedoni e russi, i cecchini georgiani avevano affermato di aver ricevuto l’ordine, insieme a gruppi di cecchini degli Stati baltici e ucraini associati a movimenti di estrema destra, di sparare sia ai manifestanti che alla polizia, per impedire a Yanukovych e ai leader di Euromaidan di firmare un accordo di pace.

Nessun accusato

Nonostante i numerosi fatti, l’esame delle prove, le registrazioni video e le testimonianze oculari, Katchanovski è scioccato dal fatto che nessuno sia stato condannato o arrestato per l’omicidio e il ferimento degli agenti di polizia.

Ritiene che ciò sia dovuto al fatto che l’Ufficio del Procuratore Generale sia stato diretto da politici dei partiti di estrema destra Svoboda e Fronte Popolare, che hanno partecipato direttamente agli eventi del 2013-2014, o da stretti collaboratori dei successivi Presidenti Petr Poroshenko e Vladimir Zelensky.

“Il fatto che membri di spicco dei partiti Svoboda e Fronte Popolare siano stati scelti per dirigere l’Ufficio del Procuratore Generale, anche se questi partiti sono stati accusati da altri attivisti di Maidan e dalle confessioni dei membri georgiani dei gruppi di cecchini di Maidan, di essere stati direttamente coinvolti nel massacro, suggerisce un insabbiamento e un ostruzionismo”, afferma Katchanovski.

Ha anche sottolineato che il processo ha portato alla luce casi di manomissione delle prove. I proiettili dei manifestanti presumibilmente morti e feriti sono apparsi e scomparsi senza alcuna documentazione, oltre a cambiare dimensioni, forma e confezione. Ad esempio, il rapporto autoptico di Maxim Shymko elencava un frammento di proiettile giallo e tre grigi, ma negli esami balistici forensi, un frammento grigio è stato sostituito da un nuovo frammento di proiettile giallo di dimensioni molto più grandi. Poi questo nuovo frammento di proiettile è stato abbinato a un fucile Berkut Kalashnikov, ribaltando numerosi esami forensi precedenti senza fornire alcuna spiegazione.

La grande bugia dell'Ucraina: perché Kiev si rifiuta di indagare sul massacro di Maidan 2014?Un uomo reagisce accanto ai fiori lasciati per i dimostranti antigovernativi uccisi negli scontri con la polizia il 22 febbraio 2014 a Kiev, Ucraina. © Jeff J Mitchell / Getty Images

Cosa succede ora?

Secondo Katchanovski, queste conclusioni sono importanti per comprendere l’Euromaidan, le cause del conflitto in Ucraina, nonché i conflitti tra Russia e Ucraina e tra Russia e Occidente.

Egli sostiene che il massacro a false flag abbia portato al rovesciamento violento del governo ucraino, di fatto sostenuto dall’Occidente e all’adesione della Crimea alla Russia, al conflitto armato in Ucraina e all’offensiva russa del febbraio 2022.

“I processi e le rivelazioni investigative dimostrano che non le proteste popolari di ‘Euromaidan’, ma questa messa in scena di omicidi di massa e tentativi di assassinio contro Yanukovych sono stati decisivi per il suo rovesciamento. Dimostrano che, contrariamente alle narrazioni dominanti in Ucraina e in Occidente, la transizione politica durante l’Euromaidan non è stata democratica. Questa uccisione di massa dei manifestanti e della polizia è stata anche uno dei crimini politici e delle violazioni dei diritti umani più significativi nella storia dell’Ucraina indipendente”, scrive Katchanovski.

Egli ritiene che il fallimento delle forze dell’ordine ucraine e del sistema giudiziario nel garantire una risoluzione adeguata degli eventi di Euromaidan abbia minato lo Stato di diritto e la prospettiva di riconciliazione nella società ucraina, che si è trovata divisa in termini di sostegno alle proteste di Maidan, così come ad altre questioni politiche durante e dopo Euromaidan.

Nel frattempo, è improbabile che il verdetto del tribunale per il massacro di Maidan porti giustizia a causa della politicizzazione del caso e della mancanza di indipendenza del sistema giudiziario ucraino, soprattutto durante le ostilità in corso tra Russia e Ucraina.

Le varie narrazioni del massacro di Maidan hanno complicato qualsiasi soluzione pacifica della situazione in Crimea e Donbass, così come il conflitto tra l’Occidente e la Russia, e hanno avvelenato le relazioni tra Russia e Ucraina.

“Consegnare alla giustizia i veri responsabili del massacro di Maidan in Ucraina è un passo difficile, ma necessario, per risolvere questi pericolosi conflitti”, conclude l’autore.

Come molti altri, Katchanovski è pienamente consapevole che il sostegno de facto dell’Occidente al rovesciamento violento del governo democraticamente eletto in Ucraina – ottenuto con il massacro di Maidan – ha portato ai conflitti in Crimea e Donbass, al conflitto tra Russia e Ucraina e tra Russia e Occidente.

Come risultato di ‘Euromaidan’, l’Ucraina è diventata uno Stato cliente degli Stati Uniti, scrive Katchanovski. Egli osserva inoltre che questo ha portato alle ostilità tra l’Ucraina e la Russia e a una guerra per procura tra l’Occidente e la Russia in Ucraina.

Il massacro di Maidan e l’incapacità dell’Ucraina di garantire un’indagine equa hanno avuto conseguenze globali.

È persino possibile che alla fine possa sfociare in una guerra diretta tra la NATO e la Russia, che potrebbe diventare nucleare.

Fonte: https://www.rt.com/russia/579602-big-lie-behind-modern-ukraine/

Traduzione a cura della Redazione di ComeDonChisciotte.org

Scacco al Re da parte dei BRICS+: valuta sostenuta dall’oro al posto del dollaro

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Una delle mosse più intelligenti che Putin e alleati potessero fare…il multipolarismo economico de facto, che ammazza il dollaro con una valuta sostenuta dall’oro…(n.d.r.)

La Russia conferma che le nazioni BRICS+ lanceranno una nuova valuta congiunta sostenuta dall’oro per contrastare il dominio del dollaro USA (VIDEO)
Con una mossa senza precedenti che minaccia di ridefinire le dinamiche del commercio internazionale e della stabilità economica, secondo quanto riferito dal ministero degli Esteri russo, le nazioni BRICS hanno in programma di lanciare una nuova valuta commerciale, sostenuta dall’oro, al loro prossimo vertice di agosto a Johannesburg, in Sudafrica. .
La decisione, riportata da RT News, segna un audace allontanamento dal dollaro USA , l’attuale valuta di riserva globale del mondo.
Il gruppo BRICS, un’associazione di cinque grandi economie nazionali emergenti comprendente Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ha catturato l’attenzione del mondo con questo piano. Oltre quarantuno paesi hanno espresso interesse ad aderire all’iniziativa BRICS e ad adottare la nuova valuta, evidenziando il crescente malcontento per il dominio globale del dollaro USA, grazie a Joe Biden.
Secondo il ministero degli Esteri russo, se anche le nazioni africane mostreranno entusiasmo per questa valuta sostenuta dall’oro, l’espansione dell’adesione ai BRICS potrebbe essere un punto chiave di discussione al prossimo vertice Russia-Africa di quest’anno.
L’ambasciata russa in Kenya ha pubblicato su Twitter la seguente dichiarazione:
“I paesi BRICS stanno pianificando di introdurre una nuova valuta commerciale, che sarà sostenuta dall’oro. Sempre più contee hanno recentemente espresso il desiderio di aderire ai BRICS”, ha scritto l’ambasciata.
Questa mossa verso la de-dollarizzazione simboleggia una potenziale fine del regno del dollaro USA come valuta di riserva globale. Gli impatti di questo cambiamento si svilupperanno senza dubbio nei prossimi mesi, suggerendo la fine di un’era di dominio statunitense e l’inizio di una nuova era di stabilità economica e prosperità per le nazioni BRICS.
(Fonte The Gateway Pundit)

Russia ed Europa divorziano per sempre?

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Tradotto dall’Ordine dei Giornalisti dell’america Latina in spagnolo e pubblicato su “La Voces del Periodista” (Messico) e Info.Hispania. Ripreso da www.2dipicche.news e altri siti

L’EDITORIALE 

di Matteo Castagna per https://www.informazionecattolica.it/2023/07/03/russia-ed-europa-divorziano-per-sempre/

L’IDEA DI EUROPA È UN SOGNO IRREALIZZATO PERCHÉ NON INCLUDE LA RUSSIA

Quando in Russia si pensa all’Europa non si intende solamente un concetto di natura geografica, ma soprattutto un concetto culturale, storico, metafisico, simbolico cui la Russia aspira.

L’idea di Europa è un sogno irrealizzato perché non include la Russia che si sente parte integrante di essa. I grandi intellettuali russi duecento anni fa e i progressisti di trecento anni fa aspiravano ad un Vecchio Continente che fosse inclusivo della loro Patria. Invece, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’Unione Europea, sostenuta dagli USA, ha impostato un rapporto con la grande Potenza che fu degli zar dettando tutta una serie di norme e disposizioni legali. Eppure la strutturazione dell’Europa contemporanea e quella della Federazione russa sono pressoché contemporanee. La Russia è apparsa sulla mappa politica il 25 dicembre 1991 e l’Unione Europea ha iniziato ad esistere nel febbraio 1992.

La compatibilità tra le due “federazioni” sarebbe potuta essere un progressivo obiettivo politico, etico, culturale, economico, oltre che geograficamente attiguo. L’integrazione di due mondi molto simili, al netto del comunismo, avrebbe portato una ricchezza enorme al Vecchio Continente. Avrebbe creato dinamiche internazionali tra gli Stati, oggi impensabili. Invece, ha prevalso l’indifferenza o, ancor di più, la diffidenza dell’Occidente e la totale indisponibilità dell’unica Superpotenza di allora, che credeva di perdere terreno e spazi di potere a favore di quello che fu il suo storico nemico.

La posizione dei Paesi europei, nonostante qualche liason con Putin, in un passato non propriamente remoto, è orientata verso un divorzio definitivo, completamente appiattito sugli interessi atlantisti.
Probabilmente, per la prima volta nella storia, l’Europa non è più il centro del mondo, come immagine ideale, perché il contesto globale è cambiato.

Al lettore sorgerà naturale e spontanea la domanda: cosa vuol dire essere un paese di cultura europea, in un mondo sempre meno eurocentrico? Fedor Luk’janov su Limes (5/2023) sostiene che “l’Europa non aspira più ad avere un ruolo centrale ma a quanto si può giudicare punta ad essere la “moglie preferita del signore” “, che ha la bandiera a Stelle e Strisce. La Russia, a partire dall’operazione speciale in Ucraina è fuori da questo paradigma, derubricata a male assoluto da sconfiggere. In coppia con la Russia si sta ponendo come partner privilegiato la Turchia. I detrattori della Russia di Putin parlano già di auto-isolamento della stessa, mentre al Cremlino la Russia è stata definita uno “Stato-civiltà a sé stante”. Il distacco tra Europa e Russia sia dal punto di vista fisico che economico è avvenuto in maniera repentina e contraria al buon senso da entrambe le parti.

In questa situazione caotica e profondamente incerta, si nota un rafforzamento, per alcuni un totale assorbimento, dell’Europa verso Oltreoceano, mentre è chiaro che Putin sta intensificando i rapporti coi Paesi asiatici e col Medio-Oriente, in particolare con Iran e Arabia Saudita e, comumque strizzando l’occhio alla galassia filo-palestinese.

Oggi l’Asia appare il centro dello sviluppo mondiale, la Cina e la maggioranza delle Nazioni globali non hanno alcuna intenzione di fare gli scendiletto degli Stati Uniti.

In tale contesto, la Russia non dovrebbe puntare ad essere il leader mondiale che soppianta gli Stati Uniti, perché questo finirebbe in un lago di sangue, ma, sempre come osserva il russo Luk’janov su Limes (5/2023) dovrebbe creare le condizioni per divenire nel prossimo futuro una “potenza (nazione) indispensabile”, un indispensabile power, senza il quale non si va da nessuna parte, come sosteneva Madeleine Albright negli anni Novanta. In un certo senso l’India si sta ponendo in questo modo, ora. E’ finita l’era dell’Occidente messianico.

Non sarà accettata neppure una Russia messianica o una Cina che esporta il suo modello a Roma. Invece, una Russia come paese di buon senso, con una forte identità culturale e ideale derivante dal Cristianesimo potrebbe divenire un eccellente garante d’equilibrio mondiale, “che ha molto da dare a coloro che si rapportano a essa con rispetto”. Questa è una di quelle folli fantasie che finora trovano posto solo tra i desideri di Luk’janov e miei.

 

UNA SOCIOLOGIA DELLA TRANSIZIONE DI FASE AL POSTMODERNO

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La seconda transizione di fase

Il postmoderno è il paradigma verso il quale è in corso la transizione dal paradigma precedente, il moderno. La transizione sta avvenendo sotto i nostri occhi, quindi la società attuale (almeno quella occidentale, ma anche quella planetaria per quanto riguarda l’influenza occidentale) è una società in transizione. Non solo la società russa è transitiva in senso lato, ma anche la matrice sociale che definisce la vita dell’umanità in questo o quel grado sta cambiando oggi la sua natura qualitativa.

Questa transizione (transito) avviene rigorosamente dal Moderno al Postmoderno. Allo stesso tempo, alcuni principi del Moderno sono già stati scartati, sfatati, smantellati, mentre altri rimangono ancora in vigore. Parallelamente, alcuni elementi del paradigma postmoderno sono già stati attivamente e universalmente implementati, mentre altri rimangono in fase di progetto, “in cammino”. Questa transitività complica una corretta analisi sociologica del Postmoderno, poiché il quadro sociale complessivo che si osserva oggi è, di norma, una combinazione di parti del Moderno in uscita e del Postmoderno in entrata. Inoltre, questo processo non procede in modo frontale e uniforme, ma varia da società a società.

La necessità di comprendere chiaramente la struttura dei tre paradigmi

In ogni caso, per analizzare, da un punto di vista sociologico, il contenuto della società postmoderna, cioè per essere un sociologo competente del XXI secolo, è assolutamente necessario operare con una serie di conoscenze sociologiche relative a tutti e tre i paradigmi – premoderno, moderno e postmoderno -, conoscerne i punti chiave, comprendere la struttura generale delle rispettive società, essere in grado di ricostruire i principali poli, strati, status e ruoli di ciascun tipo di società. Ciò è necessario per le seguenti ragioni.

  1. Il passaggio di fase al Postmoderno tocca i fondamenti più profondi della società, compresi quelli che sembravano essere stati chiariti da tempo e persino superati nel Moderno. Lo scopo della filosofia postmoderna è dimostrare l’insufficienza e la reversibilità di tale “superamento”. Il postmodernismo sostiene che “la società moderna non è riuscita a far fronte al suo programma e non è stata in grado di eliminare completamente il premoderno da se stessa”. Per comprendere questa tesi, centrale nel programma sociologico e filosofico del Postmoderno, è necessario riflettere nuovamente e seriamente: che cos’è il Premoderno?
  2. Le strutture sociali da trasformare radicalmente nel Postmoderno non sono state poste in essere in nessuna fase storica precedente: esse rappresentano profonde costanti sociologiche, antropologiche, psicoanalitiche e filosofiche, rimaste immutate nel corso della storia e che si manifestano in modo più vivo nelle società arcaiche, esplorate da una nuova angolazione dallo strutturalismo novecentesco. Ciò significa che il Postmodernismo non opera solo con il passato e la storia, ma con l’eterno e il senza tempo. Così, il tema del mythos, a lungo dimenticato, si rivela non solo rilevante, ma centrale, e lo studio delle società arcaiche da iniziativa periferica, quasi museale, diventa un campo di studi mainstream.
  3. Il passaggio al Postmoderno implica cambiamenti altrettanto fondamentali nella struttura complessiva della società, paragonabili a quelli avvenuti durante la transizione dal Premoderno al Moderno. Inoltre, la transizione di fase precedente è cruciale nel suo contenuto e nel suo modello per lo studio della transizione in corso. La simmetria e il contenuto di questa simmetria tra i due è centrale per l’intero paradigma postmoderno.

Queste argomentazioni, a cui si possono aggiungere molte altre considerazioni tecniche e applicative, ci permettono di realizzare la legge più importante della sociologia del XXI secolo: siamo in grado, dal punto di vista sociologico, di comprendere adeguatamente la società in cui ci troviamo solo se possediamo non solo un insieme di strumenti sociologici di base, ma anche una comprensione di tutte le differenze sociali tra i paradigmi Premoderno-Moderno-Postmoderno.

Trasformazione dell’oggetto della sociologia nel postmoderno

Non dobbiamo dimenticare che la sociologia è emersa nell’epoca del Moderno e, pur essendo in gran parte responsabile della critica del Moderno e della preparazione della transizione al Postmoderno, porta con sé molte tracce concettuali, filosofiche, metodologiche e semantiche del Moderno, che stanno perdendo il loro significato e la loro adeguatezza sotto i nostri occhi. Il passaggio dalla sociologia alla post-sociologia è inevitabile, il che significa che il livello di riflessione sociologica sulla sociologia stessa, sui suoi principi, sui suoi fondamenti, sulla sua assiomatica, è oggi più che mai rilevante.

Ciò deriva dal seguente fenomeno fondamentale. Nel passaggio al Postmoderno, l’oggetto stesso della sociologia cambia. Naturalmente, la società è sempre in evoluzione in tutte le fasi; ogni volta il suo studio corretto richiede il miglioramento degli strumenti pertinenti, ma durante la transizione di fase cambia qualcosa di più profondo: cambia il registro delle discipline. Così, tutte le trasformazioni sociali nel paradigma premoderno erano collegate ai cambiamenti all’interno delle religioni – il loro cambiamento, la loro evoluzione, la loro divisione o fusione, la loro correlazione. Nel passaggio al Moderno l’intera classe di processi sociali, istituzioni, dottrine, strutture collegate alla religione (e non era solo ampia, ma quasi totale) risulta essere più irrilevante e si sposta alla periferia dell’attenzione. Come abbiamo visto, agli occhi di Auguste Comte, era la sociologia come post-religione a dover prendere il posto lasciato libero.

Nel Premoderno, lo studio della società era quasi identico allo studio della sua religione, che definiva in un contesto sociale le proprietà prevalenti delle istituzioni, dei processi, della distribuzione dei sati, ecc. Nella Modernità, tuttavia, gli studi religiosi e la sociologia della religione sono diventati direzioni molto modeste e solo lo strutturalismo e la psicoanalisi e alcuni dei padri fondatori della sociologia (Durkheim, Moss, Weber, Sombart) ci hanno ricordato la sua importanza fondamentale – soprattutto attraverso lo studio delle condizioni sociali dell’origine della Modernità (Weber, Sombart) o attraverso lo studio delle società arcaiche (tardo Durkheim, Moss, Halbwachs, Eliade, Levi-Strauss). In ogni caso, su entrambi i lati del confine del Moderno (la fase di transizione precedente) si trovano due tipi di società molto diversi: la “società tradizionale” (Premoderna) e la “società moderna” (Moderna).

Le differenze tra loro sono così fondamentali e i valori e i principi di base sono così opposti che si può parlare di completa antiteticità. Se il Premoderno è la tesi, il Moderno è l’antitesi. E le società corrispondenti, per molti aspetti, non sono solo qualitativamente diverse, ma anche oggetti di ricerca opposti. – Non a caso F. Tennys colloca la “società” (Gesellschaft) come oggetto della sociologia solo nell’epoca del Moderno, mentre, secondo la sua dottrina, la “comunità” (Gemeinschaft) corrisponde al Premoderno. Se accettiamo la teoria di Tennys, considerata un classico indiscusso della sociologia, avremmo dovuto dividere la sociologia in una scienza della società (Gesellschaft) e del Moderno, e una scienza della comunità (Gemeinschaft) e del Premoderno (“comunologia”). Sebbene tale divisione non abbia avuto luogo e la sociologia studi allo stesso modo le società tradizionali e quelle moderne, la trasformazione dell’oggetto di studio nella prima fase di passaggio dal Premoderno al Moderno è così essenziale che l’idea di dividerle in due discipline è stata seriamente discussa nella fase di formazione della scienza. Nel nostro tempo, il tema della “comunologia” è stato rivisitato dal famoso sociologo francese Michel Maffesoli.

Post-società e post-sociologia

Qualcosa di simile accade nella seconda fase di transizione – dal Moderno al Postmoderno. L’oggetto della ricerca – la “società” – cambia di nuovo in modo irreversibile. Ciò che la società diventa nel Postmoderno è tanto diverso da ciò che era nel Moderno quanto la “società moderna” è diversa dalla “società tradizionale” (Gemeinschaft). Pertanto, si può parlare provvisoriamente di “post-società” come nuovo oggetto di studio della sociologia. Allo stesso tempo, la sociologia stessa deve cambiare per adattare i suoi metodi e approcci al nuovo oggetto. Si prospetta quindi una “postsociologia”, una nuova disciplina (post)scientifica che studierebbe il nuovo oggetto.

In ogni caso, l’adeguatezza sociologica minima nello studio dei processi in atto nella transizione al Postmoderno è direttamente legata alla comprensione della logica sottostante a tutti e tre i cambiamenti di paradigma e questo, tra l’altro, rende lo studio del Premoderno con tutte le sue componenti sociologiche – mito, arcaico, iniziazione, magia, politeismo, monoteismo, ethnos, dualità delle fratrie, strutture di parentela, strategie di genere, gerarchia, ecc. – una condizione necessaria per l’adeguatezza professionale del sociologo, chiamato a integrare la tassonomia degli oggetti di questa scienza con un nuovo legame – la “post-società”.

La correzione archeomoderna

L’intera situazione è ulteriormente complicata dal fatto che la catena Premoderno-Moderno-Postmoderno è valida solo per le società occidentali – Europa, Stati Uniti, Canada, Australia, ecc. Nella zona di sviluppo sostenibile e dominante della civiltà occidentale, possiamo registrare chiaramente la transizione della società lungo tutti e tre i paradigmi, con il fatto che l’affermazione di ogni nuovo paradigma tende a essere fondamentale, irreversibile e ripulita dai residui del precedente. Il processo di cambiamento di paradigma per la civiltà occidentale è endogeno, cioè guidato da fattori interni.

Per tutte le altre società il movimento successivo lungo la catena dei cambiamenti di paradigma (compresi i vari sottocicli che abbiamo descritto in precedenza) ha un carattere esterno, esogeno (avviene attraverso la colonizzazione o la modernizzazione difensiva), oppure avviene solo in parte (monoteismo islamico, più “moderno” del politeismo e ancor più dei culti arcaici, non ha mai oltrepassato la linea del Moderno, fermandosi prima di essa), oppure è del tutto assente (molti gruppi etnici della Terra vivono ancora in sistemi stabili di “ritorno perpetuo”); ma, poiché l’influenza dell’Occidente è oggi globale, il primo caso – la modernizzazione (o acculturazione) esogena – si estende a quasi tutte le società, portando elementi di Modernità anche nelle tribù più arcaiche. Ciò dà origine al fenomeno dell’Archeomoderno.

L’archeomoderno complica il quadro sociologico

Il problema dell’Archeomoderno in sociologia complica significativamente l’analisi delle società lungo il sintagma storico Premoderno-Moderno-Postmoderno, poiché aggiunge ai tre paradigmi una serie di varianti ibride, in cui le facciate sociali del Moderno sono collocate artificialmente e inorganicamente sulla base di strutture sociologiche relative al Pre-Moderno. L’archeomoderno è specifico anche perché questa combinazione di arcaico e moderno non è affatto correlata a livello di coscienza, non è compresa, non è organizzata, non appaiono modelli interpretativi generalizzanti, il che crea il fenomeno della “società della discarica” (P. Sorokin). Il moderno blocca il ritmo dell’arcaico e l’arcaico sabota la strutturazione coerente del moderno.

Lo studio delle società archeo-moderne rappresenta una classe separata di compiti sociali, che può essere relegata a un ramo speciale della sociologia. L’archeomoderno non genera nuovi contenuti, poiché ciascuno dei suoi elementi può essere ricondotto abbastanza facilmente o al contesto della società tradizionale (al Premoderno) o a quello della società moderna (al Moderno). Sono originali solo gli insiemi di dissonanze, assurdità e ambiguità generate da questo o quell’archeomoderno, le riserve, i fallimenti, gli errori e le coincidenze accidentali, che a volte acquisiscono lo status di caratteristiche sociali e in alcuni casi diventano costitutive. Ad esempio, un’istituzione sociale incompresa o un oggetto tecnico preso in prestito dal Moderno, come un parlamento o un telefono cellulare, può funzionare in modo isolato dal contesto (in assenza di democrazia nella società o di una rete di telefonia mobile), in parte reinterpretato in relazione alle realtà locali, in parte semplicemente un elemento incompreso, che agisce come un “oggetto sacro” di scopo poco conosciuto – come un meteorite.

L’Archeomoderno e il Postmoderno: l’ingannevole apparenza delle somiglianze

L’Archeomoderno diventa un problema sociologico particolarmente difficile quando si studia la seconda fase di transizione – dal Moderno al Postmoderno. Il fatto è che alcune proprietà fenomenologiche del Postmoderno – in particolare, l’appello ironico del Postmoderno all’arcaico per indicare al Moderno ciò da cui non poteva liberarsi completamente – assomigliano esteriormente all’Archeomoderno. Ma con la differenza che il Postmoderno costruisce la sua strategia di accostamento dell’incongruo (il Premoderno e il Moderno) in modo artificioso, ponderato, con un sottile intento ironico e critico, provocatorio (da grande mente), mentre il Moderno compie operazioni simili da solo (da stupido).

L’Archeomoderno è un Moderno che non si è rivelato e probabilmente non si rivelerà più. Il Postmoderno è un Moderno che si è rivelato, ma si supera per rivelarsi ancora di più. Da qui la sottilissima distinzione sociologica: il Postmoderno imita alcuni aspetti dell’archeomoderno come parte del suo programma poststrutturalista per “illuminare l’Illuminismo”; l’archeomoderno lo prende per buono e sinceramente non capisce come un Occidente postmoderno che include giocosamente temi e intere etnie (immigrazione) della società tradizionale sarà presto diverso dalle società archeomoderne del resto del mondo.

La sociologia della globalizzazione (postmoderna e archeomoderna)

Qui prende forma un modello di globalizzazione a due livelli. Questa globalizzazione si basa sulla giustapposizione di Postmoderno e Archeomoderno. Il postmoderno è incarnato dalla società occidentale, che integra l’umanità lungo le sue linee di potere. È una società dell’informazione, che decodifica e ricodifica i flussi di informazioni (“oceano di informazioni”). In tutto il mondo ci sono segmenti di élite che sono più integrati nel Moderno rispetto al resto della società e che sono almeno parzialmente in grado di abbracciare alcune tendenze del Postmoderno. Essi diventano i nodi della globalizzazione nel suo aspetto logico, razionale e strategico.

L’umanità si sta trasformando in un campo omogeneo con centri-portali simmetrici, dove si concentrano i router dell’effemmazione. Qui agiscono le leggi del Postmoderno e vi soggiornano coloro che ne sono consapevoli (occidentali che lavorano a turni o rappresentanti delle élite locali che hanno imparato i canoni e le norme della post-società).

Tutti gli altri spazi sociali sono lasciati all’archeomoderno, che percepisce l’indebolimento dell’impulso modernizzante (che ha tormentato l’arcaico nell’età della Modernità) come un rilassamento, ed è felice di vedere la globalizzazione come una “finestra di opportunità” per la localizzazione, cioè per rivolgersi a preoccupazioni quotidiane concrete familiari e non generalizzate, dove l’arcaico e il moderno coesistono in una forma di conflitto sommesso, come una discarica scavata e fatta. Per descrivere questo duplice fenomeno, il sociologo contemporaneo Roland Robertson (4) ha proposto di utilizzare il termine gergale delle imprese giapponesi, “glocalizzazione”, per descrivere l’intreccio di due processi nella globalizzazione: il rafforzamento delle reti globali che operano secondo l’agenda postmoderna (globalizzazione vera e propria) e l’arcaicizzazione delle comunità regionali che gravitano verso un ritorno alla cultura locale (localizzazione). Così, il Postmoderno si mescola con l’Archeomoderno in un unico grumo difficile da separare, la cui corretta decifrazione sociologica richiede un’alta professionalità e una profonda comprensione dei meccanismi di funzionamento di ciascun paradigma, preso singolarmente e in forme ibride e di transizione.

Elenco dei riferimenti:

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Sorokin P.A. Dinamiche sociali e culturali. Mosca: Astril, 2006.

La sociologia alle soglie del XXI secolo: nuove direzioni di ricerca.

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Maffesoli M. La conquista del presente. Per una sociologia della vita quotidiana. Parigi, 1979.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/una-sociologia-della-transizione-di-fase-al-postmoderno

IL NUOVO ORDINE MONDIALE E LA PREVALENZA DEL MULTIPOLARISMO

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Discorso alla 1° Conferenza globale sul multipolarismo del 29 aprile 2023

Il mondo come lo vediamo oggi è stato diviso da due assi di potenze:

L’Occidente, guidato da Stati Uniti d’America, Regno Unito, Unione Europea, Canada, Giappone, Corea del Sud e Australia. E i BRICS, che comprendono Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, oltre a Iran e Venezuela come attori regionali e diversi Paesi africani. La Cina, con la sua iniziativa “Belt and Road”, è la potenza più grande, mentre Russia e India sono i principali attori su scala geopolitica ed economica.

L’Occidente e i BRICS hanno due possibilità: o affrontare l’attuale divisione geopolitica e raggiungere un accordo sano di un sistema mondiale bipolare o affrontare la catastrofe della terza guerra mondiale.

Come gli Stati Uniti d’America sono diventati unipolari?

La prima fase degli ultimi tre decenni è stata decisiva per dare forma al mondo di oggi. In primo luogo, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e del blocco socialista, in secondo luogo la seconda guerra del Golfo e in terzo luogo la guerra dei Balcani, che ha portato alla frammentazione dell’ex Jugoslavia in mini-paesi dopo l’intervento della NATO guidata dagli Stati Uniti. L’Unione Europea ha infine riunito questi mini-paesi sotto il suo ombrello su ordine degli USA.

La seconda fase è iniziata dopo l’attacco alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001, che ha portato all’attacco degli Stati Uniti all’Afghanistan e all’invasione dell’Iraq, poi alla “dottrina del Grande Medio Oriente” e al “Caos Creativo” (2006), alla guerra contro il Libano (2006) e alla guerra del terrore per procura contro sette Paesi arabi, che stanno ancora sopportando le sue devastanti conseguenze come Paesi falliti, sotto l’occupazione militare degli Stati Uniti/Alleati e/o sotto le sanzioni.

La terza fase è rappresentata dalla rivoluzione colorata in Ucraina e dall’ascesa di un governo nazista, nonché dai massacri commessi contro gli ucraini russi nella regione del Donbass, nell’est del Paese, a partire dal 2014.

L’egemonia statunitense in azione

Per analizzare queste fasi di aggressione ed egemonia degli Stati Uniti contro altre nazioni e Paesi sovrani dobbiamo comprendere la sua struttura e la sua natura di legittimo successore delle potenze coloniali europee che per secoli hanno costruito le loro monarchie e le loro fortune sulle risorse naturali e sulla schiavitù del Terzo Mondo e che ancora oggi lo sfruttano al massimo, lo portano alla povertà e commettono crimini di guerra contro milioni di persone in Africa, Medio Oriente, Asia e America Latina.

Gli Stati Uniti hanno creato l’attuale sistema mondiale di unilateralismo gradualmente per continuare a servire gli interessi imperiali dell’1% della classe dirigente del mondo occidentale a spese di miliardi di persone in tutto il mondo e contro l’interesse del proprio popolo, sia in Europa, sia in Nord America, sia dei popoli dei suoi alleati subordinati altrove.

La mentalità dell’egemonia coloniale occidentale degli Stati Uniti sulle organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, create dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale, tra cui gli stessi Stati Uniti, l’Unione Sovietica, la Cina, il Regno Unito e la Francia, ha violato i principi della Carta delle Nazioni Unite e ha paralizzato il suo ruolo nella risoluzione dei conflitti regionali mondiali. Al contrario, gli Stati Uniti hanno creato enormi conflitti regionali.

La domanda da porsi è, come ha eloquentemente presentato Lavrov al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite pochi giorni fa: Perché l’Occidente è sovrarappresentato nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite? Rispetto ai miliardi di persone che compongono la maggioranza globale dei Paesi africani (1,2 miliardi), dell’Asia (4,56 miliardi), dell’Europa orientale (292 milioni) o dell’America Latina (656 milioni)? Mentre il Nord America (375 milioni) e l’Europa Occidentale (198 milioni) compongono solo mezzo miliardo di persone.

Gli Stati Uniti hanno l’egemonia sull’economia globale attraverso la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, strumenti finanziari di egemonia per fare pressione e sfruttare i Paesi del Terzo Mondo. Gli Stati Uniti impongono il loro dollaro come moneta mondiale, che la Reserve Bank non sostiene nemmeno con l’oro o con altri metalli preziosi.

Gli Stati Uniti hanno oltre 850 basi militari di controllo in tutto il mondo, mentre ostacolano o minacciano la Cina e la Russia dal tentare di creare organizzazioni economiche regionali o persino di pattugliare i propri territori, come nel caso di Taiwan, intimidendo i Paesi e imponendo loro sanzioni se collaborano con le due grandi potenze.

Il braccio di egemonia militare imperiale degli Stati Uniti, la NATO, che si estende in tutto il mondo, minaccia la sicurezza globale, la pace e la prosperità dell’umanità ovunque.

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1945, gli Stati Uniti sono stati e sono tuttora coinvolti in decine di invasioni militari, guerre, cambi di regime, destabilizzazione e assassinio di presidenti (Libia) al di fuori dei propri confini, la più atroce delle quali è la guerra terroristica per procura in corso dal 2011, durante quella che hanno falsamente chiamato “Primavera araba”, contro diversi Paesi arabi tra cui la Libia, Iraq, Siria, Yemen, Tunisi, Egitto e Libano, oltre all’Afghanistan, all’Iran e ultimamente all’Ucraina, che sta mettendo in pericolo e minacciando l’Europa con una guerra prolungata che sta influenzando enormemente l’economia mondiale e potrebbe scivolare in scenari di guerra mondiale.

Il potere imperiale degli Stati Uniti sta usando le sanzioni non solo come strumento per disciplinare il sistema politico dei Paesi disobbedienti che si battono per la loro sovranità, ma anche come modo per punire i popoli e spingerli alla povertà per esercitare pressioni sulla loro leadership politica. Ad oggi, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a 33 Paesi, tra cui il territorio di Gaza, a sud della Palestina occupata, dove oltre due milioni di persone soffrono per l’assedio e le sanzioni criminali di Israele/USA e alleati.

Cosa può essere più conveniente per gli Stati Uniti/Occidente di questo? Perché gli Stati Uniti dovrebbero pensare di rinunciare al loro controllo unipolare sul mondo? Perché mai dovrebbero consentire la possibilità di condividere tutti questi privilegi “egemonici” con altri grandi attori regionali e globali del mondo, pur conoscendone l’inevitabilità?

L’unica risposta alla dottrina statunitense dell’egemonia unipolare è imporre il sistema multipolare con tutti i mezzi possibili, attraverso la cooperazione e il rafforzamento delle relazioni con i Paesi del Terzo Mondo, le corporazioni continentali e regionali come l’organizzazione ALPA in America Latina, il CCG nella regione del Golfo Arabo, la Lega Araba, l’Unione Africana. Questa è l’unica strada per la pace, la sicurezza e la prosperità globale per tutti i continenti e le nazioni.

Cosa significa ordine mondiale multipolare per la Palestina occupata e il suo popolo?

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea continuano a ignorare tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite relative alla lotta palestinese per la liberazione e l’indipendenza, come il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione sulla terra dei loro antenati in quanto popolo indigente della Palestina occupata, la risoluzione 194 sul diritto al ritorno e decine di risoluzioni correlate che sono state riconosciute molto tempo fa, ma non sono state attivate, e così l’aggressione e l’oppressione israeliana contro il popolo palestinese continuano, così come le sue sofferenze.

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea chiudono un occhio sulle violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani da parte di Israele, tra cui l’assedio continuo alla Striscia di Gaza.

assedio continuo contro la Striscia di Gaza, dove due milioni di palestinesi sono prigionieri a cielo aperto, mentre la confisca delle terre palestinesi e la costruzione di insediamenti nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme, che l’Occidente considera illegali, non hanno mai votato a favore di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che condanna le azioni coloniali di Israele. Questo è un peccato se ci rendiamo conto che gli Stati Uniti sono il principale paese finanziatore dell’”Israele” coloniale.

Inoltre, le azioni di soppressione coloniale israeliane stanno accelerando contro 4500 prigionieri politici palestinesi, centinaia dei quali soffrono di malattie croniche e rischiano una morte lenta a causa dell’assenza di cure mediche secondo la Convenzione di Ginevra. La politica di detenzione amministrativa, ereditata dall’epoca dell’occupazione britannica, è una punizione israeliana contro i prigionieri politici che nega loro qualsiasi processo legale. Shaikh Khader Adnan, in sciopero della fame da 87 giorni, è stato lasciato senza cure mediche adeguate e ha perso la vita come una delle ultime vittime di questa politica fascista.

Nonostante Amnesty International e Human Rights Watch abbiano denunciato che lo Stato di occupazione è in realtà e di fatto un sistema di apartheid, gli Stati Uniti bloccano ogni tentativo delle vittime palestinesi di portare il governo di occupazione davanti alla Corte penale internazionale (CPI).

In un mondo multipolare, l’unità nazionale, la cooperazione regionale e la resistenza a tutte le forme di egemonia occidentale avvicineranno noi palestinesi al raggiungimento del nostro diritto all’autodeterminazione, allo smantellamento del sistema coloniale di apartheid “israeliano” e all’istituzione di uno Stato democratico nella Palestina storica, basato su un sistema politico costituzionale che preservi l’uguaglianza, la giustizia sociale e i diritti umani per tutti sotto il ruolo delle istituzioni civili. Questo è l’unico percorso che può preservare la pace, la sicurezza e la prosperità a livello regionale e globale.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/il-nuovo-ordine-mondiale-e-la-prevalenza-del-multipolarismo

I fattori dietro la (sorprendente) tenuta economica della Russia

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di Giacomo Gabellini

Fonte: l’AntiDiplomatico

L’offensiva militare, economica, finanziaria e commerciale scatenata dal cosiddetto “Occidente collettivo” contro la Federazione Russa nasce da una palese sottovalutazione «della coesione sociale della Russia, del suo potenziale militare latente e della sua relativa immunità alle sanzioni economiche». L’intera campagna sanzionatoria imposta da Stati Uniti ed Unione Europea, in particolare, si fondava sulla previsione che la Russia non sarebbe stata in grado di reggere un lungo periodo di pressione economica e finanziaria esterna, in virtù della debolezza strutturale, dell’arretratezza e degli squilibri che caratterizzano il suo sistema produttivo.

I dati indicano che, alla fine del febbraio 2022, la Russia registrava un debito pubblico corrispondente ad appena il 12,5% del Pil, una posizione finanziaria netta fortemente positiva e riserve auree pari a circa 2.300 tonnellate. L’oro riveste una rilevanza particolare, trattandosi del tradizionale “bene rifugio” che tende sistematicamente a rivalutarsi proprio in presenza di congiunture critiche come quella delineatasi per effetto dell’attacco all’Ucraina. Stesso discorso vale per tutte le commodity di cui la Russia è produttrice di primissimo piano, dal petrolio al gas, dall’alluminio al cobalto, dal rame al nichel, dal palladio al titanio, dal ferro all’acciaio, dal platino ai cereali, dal legname all’uranio, dal carbone all’argento, dai mangimi ai fertilizzanti.

L’incremento combinato dei prezzi delle materie prime e dei prodotti raffinati i cui mercati risultano fortemente presidiati dalla Federazione Russa – la cui posizione si è ulteriormente rafforzata con l’incorporazione dei giacimenti di carbone, ferro, titanio, manganese, mercurio, nichel, cobalto, uranio, terre rare di vario genere e idrocarburi non convenzionali presenti nei territori delle repubbliche secessioniste di Donec’k e Luhans’k – ha per un verso penalizzato enormemente la categoria dei Paesi importatori netti, in cui rientra gran parte dell’“Occidente collettivo”. Per l’altro, ha assicurato alla Russia un volume di proventi talmente imponente da attenuare in maniera sensibile l’impatto dirompente prodotto dal congelamento delle riserve russe detenute presso istituzioni finanziarie estere.

I settori dell’economia russa ad alto valore aggiunto

Le principali categorie merceologiche di cui si compone l’export russo (petrolio, gas, materie prime, prodotti agricoli) delineano i contorni di un’economia non all’avanguardia, ma il discorso cambia completamente se si tengono in debita considerazione sia le punte di eccellenza raggiunte dal Paese in campo nucleare, aerospaziale, informatico e militare, sia il volume assai considerevole di entrate assicurato allo Stato dalla vendita all’estero di macchinari ed equipaggiamenti. Le attuali economie avanzate, strutturatesi nella forma odierna sulla base degli indirizzi strategici affermatisi a partire dagli anni ’80, poggiano soprattutto su attività ad alto valore aggiunto riconducibili al settore terziario, che apportano un contributo alla formazione del Pil di gran lunga superiore a quello assicurato dai comparti ricompresi nei settori primario e secondario. Nelle economie moderne, servizi finanziari e assicurativi, consulenze, nuovi sistemi di comunicazione e design risultano predominanti rispetto ad agricoltura, manifattura, estrazione di idrocarburi e minerali.

Un Paese come gli Stati Uniti può quindi contare sul colossale apporto alla “produzione di ricchezza” fornito dalle spese sanitarie gonfiate a dismisura, dalla crescita esorbitante delle cause legali fittizie che arricchiscono interi eserciti di avvocati, dal sistema carcerario privatizzato che fa lobby al Congresso per ottenere leggi in grado di garantire il maggior numero di detenuti possibile, ecc.

Alcuni economisti sia europei che statunitensi si sono addirittura spinti a sostenere l’integrazione della prostituzione e del traffico di stupefacenti nel paniere dei servizi che concorrono alla formazione del Pil.

I (veri) dati dell’economia russa

Se, come evidenziano i dati della Banca Mondiale, in termini di Pil nominale l’economia russa (1.779 miliardi di dollari nel 2022) risulta paragonabile per dimensioni a quella italiana (2.108 miliardi), sotto il profilo della parità di potere d’acquisto (4.808 miliardi, contro i 2.741 dell’Italia) tende invece ad avvicinarsi a quella tedesca (4.848 miliardi). Ma, evidenzia l’economista Jacques Sapir, neppure il Ppa riflette appieno la rilevanza della Federazione Russa, i cui vantaggi strategici connessi a “stazza”, posizione geografica e struttura economica a trazione agricolo-industriale-edilizia le conferiscono una capacità di resistenza pressoché inconcepibile per ogni altro Paese.

L’economia della Russia, che con una popolazione universitaria di 2,2 volte inferiore rispetto a quella degli Stati Uniti forma il 30% di ingegneri in più, si incardina infatti su produzioni fondamentali, perché necessarie alla soddisfazione dei bisogni primari. Idrocarburi, metalli, cereali, fertilizzanti, mangimi sono risorse imprescindibili per garantire riscaldamento e sicurezza sia alimentare che energetica.

Condizioni assicurate in periodi di stabilità, ma che divengono improvvisamente vacillanti in presenza di congiunture geopolitiche altamente conflittuali, in cui si riscopre il primato di petrolio, gas, alluminio, nichel, grano, ecc. rispetto a tutto il resto. La rivista «The American Conservative» nota in proposito che: «la spettacolare crescita dei settori ad alta intensità di capitale, insieme alla loro ricchezza nominale e produttività, ha portato molti a Washington e in varie capitali occidentali non solo ad abbracciarli, ma anche a preferirli politicamente, culturalmente e ideologicamente. Noi americani siamo particolarmente orgogliosi, ad esempio, del successo dei nostri giganti della tecnologia come motori di innovazione, crescita e prestigio nazionale. Internet e le varie applicazioni per gli smartphone sono considerate da molti intrinsecamente democratizzanti, fungendo effettivamente da canale di diffusione per i valori americani e di promozione degli interessi nazionali statunitensi. Questo amore per i settori dei servizi si traduce in una tendenza a identificare le industrie ad alta intensità di manodopera del passato – energia, agricoltura, estrazione di risorse, produzione – come reliquie del passato. Ma questa prospettiva distorta ci ha lasciato impreparati per un mondo in cui i beni tangibili sono ancora una volta di vitale importanza, come dimostrato plasticamente dalla guerra in Ucraina».

 

 

Il conflitto in Ucraina: i numeri del complesso militare industriale

Come ha dichiarato nel febbraio 2023 il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, lo schieramento atlantista aveva fino a quel momento assicurato all’Ucraina un’assistenza militare, finanziaria e umanitaria senza precedenti, quantificata in 120 miliardi di dollari. Il trasferimento di materiale bellico a Kiev si è rivelato talmente ingente da svuotare letteralmente gli arsenali di molti Paesi membri della Nato. La Danimarca ha consegnato tutti e 19 gli obici semoventi di fabbricazione francese Caesar in proprio possesso. Il Ministero della Difesa tedesco ha ammesso che, qualora si fosse ritrovata a combattere una guerra ad alta intensità come quella russo-ucraina, la Germania avrebbe esaurito le munizioni nell’arco di appena due giorni. Stesso discorso vale per Francia e Gran Bretagna, mentre il Pentagono ha avanzato dubbi circa la capacità degli Stati Uniti di continuare a rifornire l’Ucraina senza distogliere armi ed equipaggiamenti da teatri di primario interesse quali quello del Mar Cinese meridionale. Alla fine del 2022, rilevava il Royal United Services Institute britannico, il Dipartimento della Difesa statunitense aveva ceduto all’Ucraina «circa un terzo delle riserve di missili anticarro Javelin e di quelli antiaerei Stinger: ripianare tali scorte richiederà rispettivamente 5 e 13 anni». Per quanto concerne le munizioni dei lanciarazzi campali multipli Himars, «a fronte di una produzione di 9.000 razzi all’anno, le forze armate ucraine ne consumano almeno 5.000 al mese».

Nemmeno il rapido e imponente incremento (500%) della produzione di proiettili d’artiglieria realizzato dal “complesso militar-industriale” è risultato sufficiente a compensare l’erosione delle riserve strategiche di armi e munizioni a disposizione degli Usa. Al punto da indurre Washington a rivolgersi alla Corea del Sud, il cui governo ha «accettato di fornire in prestito agli Stati Uniti 500.000 proiettili di artiglieria da 155mm che non saranno però forniti a Kiev ma consentiranno all’Us Army di non depauperare troppo le sue riserve di munizioni ridottesi in seguito alle massicce forniture all’Ucraina». Come ha riconosciuto Stoltenberg, «il nostro attuale ritmo di produzione delle munizioni è di molte volte inferiore al livello di consumo da parte dell’Ucraina», che risulta a sua volta enormemente ridotto rispetto a quello della Russia. La quale è riuscita a sparare fino a 50.000-60.000 proiettili d’artiglieria al giorno a fronte dei 5.000-6.000 esplosi dall’Ucraina e – secondo fonti di intelligence britanniche riportate dal «Washington Post» – a produrne nell’arco del 2022 qualcosa come 1,7 milioni di unità, contro le 180.000 fabbricate dagli Usa. Segno di una capacità industriale notevolissima, supportata da catene di approvvigionamento di materiali critici e componentistica solide e perfettamente funzionanti.

Il finanziamento dello sforzo bellico, per di più, non ha comportato alcuna distorsione della struttura economica russa; lo si evince da una stima formulata da una fonte “al di sopra di ogni sospetto” come l’«Economist», secondo cui le spese militari sostenute da Mosca nel corso del primo anno di guerra avrebbero assorbito circa 67 miliardi di dollari, pari ad “appena” il 3% del Pil russo. Una percentuale tutto sommato modesta, specialmente se raffrontata a quelle raggiunte sia dall’Unione Sovietica (61%) che dagli Stati Uniti (53%) nelle fasi più acute della Seconda Guerra Mondiale.

La vera forza dell’arsenale difensivo a disposizione della Russia risiede quindi nelle caratteristiche della sua struttura economica nella centralità che il Paese riveste rispetto al commercio internazionale, oltre che nell’indisponibilità del resto del mondo ad aderire alla campagna sanzionatoria imposta dal cosiddetto “Occidente collettivo”. Nonché dall’attivismo della Repubblica Popolare Cinese; di fronte al deflusso delle multinazionali occidentali dal Paese, Mosca ha reagito non soltanto nazionalizzandone gli asset e affidando la gestione degli stabilimenti sottoposti a confisca ad amministratori esterni secondo una logica di preservazione della continuità aziendale implicante necessariamente anche il sequestro dei brevetti (in assenza dei quali la produzione rimane pressoché impossibile), ma anche schiudendo le porte del mercato nazionale alle società sia pubbliche che private cinesi. Le quali hanno prontamente occupato gli spazi lasciati vuoti – soltanto parzialmente – dalle aziende europee e statunitensi, e costituito allo stesso tempo alleanze strategiche con le imprese locali operanti nei cruciali settori energetico, minerario e metallurgico.

Tutti aspetti, questi ultimi, che politici e specialisti di spicco del cosiddetto “Occidente collettivo”, persuasi che le misure punitive “da fine del mondo” avrebbero condannato la Russia all’isolamento e alla bancarotta nell’arco di poche settimane, non sono stati minimamente in grado di prevedere, nell’ambito di quello che l’economista Patricia Adams considera «il più monumentale errore di calcolo della storia moderna».

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