“Io, tradizionalista, dico che sulla messa in latino Bergoglio ha ragione”

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Il Circolo Christus Rex si riconosce perfettamente nelle parole di questo articolo dell’amico Mattia Rossi. Bergoglio cerca di troncare con l’ambiguità dei predecessori e di stabilire che la lex orandi della lex credendi prodotta dal Concilio Vaticano II (1962-1965) è espressa nel Novus Ordo e non nella Messa tridentina. I fautori della “terza via” clerical-democristiana, in ambito conservatore e tradizionalista sono disperati per qualcosa che ci auguriamo riescano a comprendere grazie alla coerenza di Francesco, anche se costerà qualcosa in termini di comodità: niente più chiese, altari maestosi, basiliche. Niente più inciuci coi conciliari. Ora la prova è nella sostanza, ovvero nella Fede autentica. Noi ci auguriamo che abbiano, nell’abbracciare la Tradizione cattolica senza compromessi, la coerenza di Bergoglio e il coraggio di Mons. De Castro Mayer. (n.d.r.)

di Mattia Rossi

Al direttore – È curioso doverlo ammettere  – dal momento che, chi scrive, è da annoverarsi nella schiera di quanti vengono, più o meno propriamente, definiti “tradizionalisti” – ma Bergoglio, con Traditionis custodes, ha agito bene. La posizione del Summorum pontificum ratzingeriano del vetus e novus ordo quali “due usi dell’unico rito” era palesemente ossimorica: le due ecclesiologie che soggiacciono alle due messe sono antitetiche e incompatibili. L’ecclesiologia comunitaria veicolata dal Vaticano II, ponendo a fondamento la categoria di “popolo di Dio” e, dunque, esigendo le dimensioni collegiali ed ecumeniche, è chiaramente differente da quella precedente, ovvero di una chiesa nella quale l’autorità viene prima della comunità e la conversione prima del dialogo. E allora, se con la riforma liturgica di Paolo VI la chiesa si è data una nuova lex orandi per una nuova lex credendi, è impossibile che due lex orandi differenti possano rispecchiare un’unica lex credendi. Ecco perché, nel chiedere espressamente ai fedeli che intendano celebrare vetus ordo la chiara accettazione del Concilio, Traditionis custodes, dal suo punto di vista, ne ha pienamente diritto.

Ma le restrizioni per l’uso del vetus ordo all’interno della chiesa postconciliare sono ovvie anche perché se si ritiene che Paolo VI avesse autorità (e io non sono tra quelli) occorre riconoscere che con la costituzione apostolica Missale Romanum ebbe la netta intenzione di abrogare la Quo primum di Pio V: “Quanto abbiamo qui stabilito e ordinato vogliamo che rimanga valido ed efficace, ora e in futuro, nonostante quanto vi possa essere in contrario nelle costituzioni e negli ordinamenti dei Nostri Predecessori”. E nel concistoro del 24 maggio 1976, Montini precisò: “Il nuovo ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio tridentino”. Perché ciò che vale per un papa del ’500 non può valere, se se ne riconosce l’autorità, per un suo successore del ’900? E infatti il Codice di diritto canonico, sia nell’edizione del 1917 che in quella riformata del 1983, precisa che “la legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella, oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente”.

E ancora, per quale motivo Wojtyla, nel concedere limitatamente l’uso del messale del ’62, utilizzò lo strumento dell’indulto, che giuridicamente è l’esenzione dalla potenziale pena? Significa, evidentemente, che il messale precedente non era più “legale”. Quando Bergoglio pone restrizioni sulla “messa in latino” lo fa con coerenza e incarnando l’ecclesiologia del Vaticano II dalla quale, seppur dissimulando, neppure Ratzinger, riconoscendo il “valore e la santità” del nuovo rito, ovviamente mai si distaccò salvo promulgare un motu proprio illusorio. Con Francesco è tutto più chiaro: o di qua o di là senza un piede nel vetus e uno nel novus.

Fonte: https://www.ilfoglio.it/chiesa/2021/10/02/news/-io-tradizionalista-dico-che-sulla-messa-in-latino-papa-francesco-ha-ragione–3063112/

Il discorso della giudice Barret, nominata da Trump alla Corte suprema

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Lei si dichiara cattolica, tradizionalista, è pro-life, ostile all’ideologia gender, ha 7 figli e perfino una bella presenza. Quindi è già bocciata dai soloni del politicamente corretto. Per loro è già cattivissima. (n.d.r.)

Donald Trump ha nominato Amy Coney Barrett come candidata a prendere il posto alla Corte Suprema lasciato libero dalla morte di Ruth Bader Ginsburg. La nomina, la terza di questo tipo in appena quattro anni di mandato per Trump, era attesa (e aveva già sollevato il solito tristo coro contrario) ed è stata ufficializzata dal presidente americano alle 17 di sabato a Washington.

La Barrett, cattolica e pro-life, ha contro tutto il bel mondo abortista e liberal, perché nel 2020 puoi avere tutte le idee e i valori che vuoi, tranne alcuni.

Ora la sua candidatura dovrà passare al vaglio di un’apposita commissione, il Senate Committee on the Judiciary, comunemente chiamato “Senate Judiciary Committee”, che, con audizioni e disamine, deciderà se inviare lei, come fa con qualsiasi federale, al voto finale dell’intero Senato con parere positivo, negativo o neutrale, 100 seggi che si esprimeranno, come è oramai prassi, a maggioranza semplice.

Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione di lavoro del discorso che la Barret ha tenuto alla Casa Bianca in occasione della sua nomina.

Di Amy Coney Barret*

Molte grazie, signor presidente. Sono profondamente onorata della fiducia che avete riposto in me. Sono molto grata a voi e alla First Lady, al Vice Presidente e alla Second Lady e a tanti altri qui per la vostra gentilezza in questa occasione piuttosto travolgente.

Capisco perfettamente che questa è una decisione importante per un presidente. E se il Senato mi farà l’onore di confermarmi, mi impegno ad adempiere alle responsabilità di questo incarico al meglio delle mie capacità. Amo gli Stati Uniti e amo la Costituzione degli Stati Uniti.

Sono veramente onorata dalla prospettiva di prestare servizio alla Corte Suprema, se dovessi essere confermata. Mi ricorderò di chi è venuto prima di me. La bandiera degli Stati Uniti sventola ancora a mezz’asta in memoria del giudice Ruth Bader Ginsburg per ricordare la fine di una grande vita americana. Il giudice Ginsburg ha iniziato la sua carriera in un momento in cui le donne non erano le benvenute nella professione legale. Ma non solo ha rotto queste barriere, le ha frantumate. Per questo ha conquistato l’ammirazione delle donne in tutto il paese e anche in tutto il mondo.

Era una donna di enormi talenti e successi, e la sua vita di servizio pubblico è un esempio per tutti noi. Particolarmente toccante per me è stata la sua lunga e profonda amicizia con il giudice Antonin Scalia, il mio mentore. I giudici Scalia e Ginsburg dissentirono ferocemente sulla stampa senza rancori personali. La loro capacità di mantenere un’amicizia calda e ricca, nonostante le loro differenze, ha persino ispirato un’opera. Questi due grandi americani hanno dimostrato che gli argomenti, anche su questioni di grande importanza, non devono necessariamente distruggere l’affetto. Sia nei miei rapporti personali che professionali, mi sforzo di soddisfare questo standard.

Ho avuto la fortuna di lavorare per il giudice Scalia e, data la sua incalcolabile influenza sulla mia vita, sono molto commossa all’idea di avere qui oggi membri della famiglia Scalia, inclusa la sua cara moglie Maureen. Ho lavorato per il giudice Scalia più di 20 anni fa. Ma le lezioni che ho imparato risuonano ancora. La sua filosofia giudiziaria è anche la mia. Un giudice deve applicare la legge come è scritta. I giudici non sono decisori politici e devono essere risoluti e mettere da parte le opinioni politiche che potrebbero avere. Il presidente mi ha chiesto di diventare il nono giudice e, guarda caso, sono abituato a stare in un gruppo di nove: la mia famiglia.

La nostra famiglia include me, mio ​​marito Jesse, Emma, ​​Vivian, Tess, John Peter, Liam, Juliet e Benjamin.

Vivian e John Peter, come ha detto il presidente, sono nati ad Haiti e sono venuti da noi a cinque anni di distanza quando erano molto piccoli, e il fatto più rivelatore di Benjamin, il nostro più giovane, è che i suoi fratelli e sorelle lo identificano senza riserve come loro fratello preferito. I nostri figli ovviamente rendono la nostra vita molto piena. Sebbene sia un giudice, sono meglio conosciuto a casa come rappresentante dei genitori, autista di car-pool e organizzatore di feste di compleanno. Quando le scuole sono passate alla modalità da remoto la scorsa primavera, ho provato un altro ruolo. Jesse e io siamo diventati co-presidi della Barrett E-Learning Academy. E sì, l’elenco degli studenti iscritti era molto lungo. I nostri figli sono la mia gioia più grande, anche se mi privano di ogni ragionevole quantità di sonno.

Non potrei gestire questa vita molto piena senza il sostegno incrollabile di mio marito, Jesse. All’inizio del nostro matrimonio, immaginavo che avremmo gestito la nostra famiglia come partner. Come si è scoperto, Jesse fa molto di più della sua parte di lavoro. Con mio grande dispiacere, ho appreso recentemente a cena che i miei figli lo considerano il cuoco migliore. Per 21 anni, Jesse mi ha chiesto ogni singola mattina cosa può fare per me quel giorno. E anche se dico quasi sempre “niente”, trova ancora il modo di sparecchiare. E non perché ha molto tempo libero. Ha uno studio legale molto attivo. È perché è un marito superbo e generoso e io sono molto fortunata.

Io e Jesse abbiamo una vita piena di relazioni non solo con i nostri figli, ma anche con fratelli, amici e babysitter senza paura, una delle quali è con noi oggi. Sono particolarmente grata ai miei genitori, Mike e Linda Coney. Ho trascorso la maggior parte della mia età adulta come un Midwesterner, ma sono cresciuto nella loro casa di New Orleans. E come possono testimoniare anche mio fratello e le mie sorelle, la generosità di mamma e papà si estende non solo a noi, ma a più persone di quante ne potremmo contare. Sono un’ispirazione. È importante in un momento come questo riconoscere la famiglia e gli amici. Ma questa sera voglio ringraziare anche voi, miei concittadini americani. Il presidente mi ha nominato per far parte della Corte suprema degli Stati Uniti e quell’istituzione appartiene a tutti noi.

Se confermata, non assumerei quel ruolo per il bene di chi fa parte della mia cerchia e certamente non per il mio bene.  Assumerei quel ruolo solo per servire. Adempirei al giuramento giudiziario, che mi richiede di amministrare la giustizia senza riguardi per le persone, dare lo stesso diritto ai poveri e ai ricchi e adempiere fedelmente e imparzialmente i miei doveri ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti.

Non mi illudo che la strada davanti a me sarà facile, sia a breve che a lungo termine. Non avrei mai immaginato di trovarmi in questa posizione. Ma ora che lo sono, vi assicuro che affronterò la sfida con umiltà e coraggio. Membri del Senato degli Stati Uniti, non vedo l’ora di lavorare con voi durante il processo di conferma e farò del mio meglio per dimostrare che sono degna del vostro sostegno.

Grazie.

*Giudice, candidata alla Corte Suprema degli Stati Uniti

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