Mettere l’anno nuovo nelle mani di Maria Ausiliatrice

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Seguendo l’esempio di san Giovanni Bosco, che metteva sempre le più importanti  intenzioni nelle mani di Maria Ausiliatrice, affidiamo alla Madonna l’anno nuovo per i bisogni nostri, per quelli della Chiesa e per quelli della società civile. Auxilium Christianorum, ora pro nobis.
 
160 anni fa don Bosco a Oropa
Don Bosco salì ad Oropa nel momento di una decisione importantissima e fu veramente colpito dalla bellezza del luogo e dalla devozione dei pellegrini e della gente del posto, come scriverà nella lettera inviata ai suoi ragazzi a Valdocco.
Il santuario di Oropa si trova tra le Alpi Biellesi a 1176 m ed è luogo di fortissima devozione alla Vergine, con testimonianze che risalirebbero addirittura a sant’Eusebio, primo vescovo di Vercelli (secolo iii). Mèta di continui pellegrinaggi, è uno dei più grandi Santuari mariani d’Italia. Don Bosco vi salì come devoto pellegrino nell’estate del 1863, per chiedere una grazia speciale a Maria.
Qualche mese prima aveva espresso ai suoi più diretti collaboratori il progetto di questo pellegrinaggio, dopo i suoi esercizi spirituali a Sant’Ignazio, sopra Lanzo Torinese: voleva “fare la scelta delle persone da mandarsi nel collegio di Mirabello” (Ms vol. VII, p. 482). L’apertura di questa nuova opera, la prima fuori Torino, era molto importante: si trattava veramente di capire come se la sarebbero cavata i suoi figli lontani da lui; ci voleva proprio una protezione speciale di Maria, allora don Bosco scelse il santuario di Oropa, molto vicino alla città di Biella, dove era vescovo monsignor Losana, suo carissimo sostenitore e amico. Vi si recò quindi ai primi di agosto e fu veramente colpito dalla bellezza del luogo e dalla devozione dei pellegrini e della gente del posto, come scriverà nella lettera inviata ai suoi ragazzi a Valdocco. Furono giornate di paradiso, così come descrivono i suoi cronisti e il suo biografo don Lemoyne: “Ivi, dinnanzi a quell’effigie taumaturga, celebrava la Santa Messa e pregava lungamente” (MB vol. VII p. 497). Poi il pensiero corse ai suoi ragazzi e ai giovanissimi primi salesiani di Valdocco: li avrebbe voluti tutti con sé per vivere le sue stesse emozioni e il suo amore alla Vergine. E scrisse una delle sue più belle lettere:
Se voi, o miei cari figliuoli, vi trovaste sopra questo monte ne sareste certamente commossi. Un grande edifizio, nel cui centro havvi una divota chiesa, forma quello che comunemente si appella Santuario d’Oropa. Qui havvi un continuo andirivieni di gente. Chi ringrazia la Santa Vergine per grazie da lei ottenute, chi dimanda di essere liberato da un male spirituale o temporale, chi prega la Santa Vergine che l’aiuti a perseverare nel bene, chi a fare una santa morte. Giovani e vecchi, ricchi e poveri, contadini e signori, cavalieri, conti, marchesi, artigiani, mercanti, uomini, donne, vaccari, studenti d’ogni condizione si vedono continuamente in gran numero accostarsi ai Santi Sacramenti della confessione e comunione e andare di poi ai pie’ d’una stupenda sta-tua di Maria SS. per implorare il celeste di lei aiuto. Ma in mezzo a tanta gente il mia cuore provava un vivo rincrescimento. Perché? Non vedeva i miei cari giovani studenti. Ah! Perché non posso avere i miei figli qui, condurli tutti ai pie’ di Maria, offerirli a Lei, metterli tutti sotto alla potente di Lei protezione, farli tutti come Savio Domenico o altrettanti San Luigi? Per trovare un conforto al mio cuore sono andato dinanzi al prodigioso altare di Lei e le ho promesso che, giunto a Torino, avrei fatto quanto avrei potuto per insinuare nei vostri cuori la divozione a Maria. E raccomandandomi a Lei ho dimandato queste grazie speciali per voi. ‘Maria, le dissi, benedite tutta la nostra casa, allontanate dal cuore dei nostri giovani fin l’ombra del peccato; siate la guida degli studenti, siate per loro la sede della vera Sapienza. Siano tutti vostri, sempre vostri, e abbiateli sempre per vostri figliuoli e conservateli sempre fra i vostri divoti’. Credo che la Santa Vergine mi aver esaudito e spero che voi mi darete mano, affinché possiamo corrispondere alla voce di Maria, alla grazia del Signore. La Santa Vergine Maria benedica me, benedica tutti i sacerdoti e chierici e tutti quelli che impiegano le loro fatiche per la nostra casa; benedica tutti voi, Ella dal cielo ci aiuti, e noi faremo ogni sforzo per meritarci la sua santa protezione in vita ed in morte. Così sia”.
Dal Santuario d’Oropa, 6 Agosto 1863 
La Madonna gli ispirò criteri e nomi per la scelta dei salesiani da mandare a Mirabello; a capo di questa missione, la prima in ordine assoluto per Salesiani, fu posto il giovanissimo direttore don Michele Rua. Non poteva fare scelta migliore. Trentacinque anni dopo, il 9 novembre del 1898, don Rua mandava a Biella il primo salesiano, don Luigi Billieni, per fondare l’oratorio di San Cassia-no nel popolare quartiere di Riva. Cento anni dopo il pellegrinaggio di don Bosco, ne11963 l’allora Rettor Maggiore, don Renato Ziggiotti, saliva anche lui come pellegrino al Santuario per ricordare don Bosco e la fondazione della prima opera fuori Torino. Questo evento è testimoniato dal bellissimo quadro del Crida che si trova nella chiesa di San Cassiano e che rappresenta don Bosco a Oropa (unico nel suo genere) con una giovane famiglia della parrocchia di quel 1963.

Don Bosco: convertire i selvaggi alla Fede cattolica

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Segnalazione del Centro Studi Federici

San Giovanni Bosco non credeva al mito del buon selvaggio, perché conosceva le ferite che il peccato originale ha lasciato nella natura umana. Il testo che segnaliamo (che oggi sarebbe condannato dal politicamente corretto) si riferisce a un sogno che Don Bosco ebbe nel 1872, col quale veniva annunciato il futuro apostolato missionario dei salesiani. Tre anni dopo partì da Valdocco, a Torino, la prima spedizione missionaria per la Patagonia, guidata da don Giovanni Cagliero, futuro cardinale.
 
I Fioretti di Don Bosco – Il primo sogno missionario
 
Questo è il sogno che convinse don Bosco a iniziare l’apostolato missionario dei suoi figli Salesiani. Lo ebbe nel 1872 e lo raccontò per la prima volta a Pio IX nel marzo del 1876.
 
«Mi parve, disse, di trovarmi in una regione selvaggia e affatto sconosciuta. Era un’immensa pianura tutta incolta, nella quale non si scorgevano né colline né monti. Ma nelle estremità lontanissime la profilavano tutta scabrose montagne. Vidi in essa turbe di uomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di un’altezza e statura straordinaria, di un aspetto feroce, con i capelli ispidi e lunghi, di colore abbronzato, vestiti solo di pelli di animali, che loro scendevano dalle spalle. Erano armati di lunghe lance e di fionde.
 
Queste turbe di uomini, sparse qua e là, offrivano allo spettatore scene diverse: alcuni correvano dando la caccia alle fiere; altri portavano conficcati sulle punte delle lance pezzi di carne sanguinolenta. Da una parte gli uni si combattevano tra di loro, altri venivano alle mani con soldati vestiti all’europea, e il terreno era sparso di cadaveri. Io fremevo a quello spettacolo; ed ecco spuntare all’estremità della pianura molti personaggi, i quali, dal vestito e dal modo di agire, conobbi missionari di vari Ordini.
 
Costoro si avvicinavano per predicare a quei barbari la religione di Gesù Cristo. Io li fissai ben bene, ma non ne conobbi alcuno. Andarono in mezzo a quei selvaggi; ma i barbari, appena li videro, con un furore diabolico, con una gioia infernale, li assalivano, li massacravano con feroce strazio.Dopo aver osservato quegli orribili assassini, dissi tra me: «Come fare a convertire questa gente così brutale?»
 
Intanto vedo in lontananza un drappello di altri missionari che si avvicinavano ai selvaggi con volto ilare, preceduti da una schiera di giovinetti. Io tremavo pensando: «Vengono a farsi uccidere».
 
E mi avvicinai a loro: erano chierici e preti. Li fissai con attenzione e li riconobbi per nostri Salesiani. I primi mi erano noti, e sebbene non abbia potuto conoscere personalmente molti altri che seguivano i primi, mi accorsi essere anch’essi Missionari Salesiani, proprio dei nostri.
Non avrei voluto lasciarli andare avanti ed ero lì per fermarli. Mi aspettavo da un momento all’altro che incorressero la stessa sorte degli antichi Missionari. Volevo farli tornare indietro, quando vidi che il loro comparire mise in allegrezza tutte quelle turbe di barbari, le quali abbassarono le armi, deposero la loro ferocia e accolsero i nostri Missionari con ogni segno di cortesia.
 
Meravigliato di ciò, dicevo fra me: «Vediamo un po’ come va a finire!». E vidi che i nostri Missionari si avanzavano verso quelle orde di selvaggi; li istruivano ed essi ascoltavano volentieri la loro voce; insegnavano ed essi mettevano in pratica le loro ammonizioni.
 
Stetti a osservare, e mi accorsi che i Missionari recitavano il santo Rosario, mentre i selvaggi, correndo da tutte le parti, facevano ala al loro passaggio e di buon accordo rispondevano a quella preghiera. Dopo un poco i Salesiani andarono a disporsi al centro di quella folla che li circondò, e s’inginocchiarono. I selvaggi, deposte le armi per terra ai piedi dei Missionari, piegarono essi pure le ginocchia. Ed ecco uno dei Salesiani intonare: “Lodate Maria, o lingue fedeli…”, e tutte quelle turbe, a una voce, continuare il canto, così all’unisono e con tanta forza di voce, che io, quasi spaventato, mi svegliai.