TOH! ANCHE LA LEGA SI FA IL SUO DDL ZAN…

Condividi su:

 di Raffaele Amato

Dopo oltre un anno dal suo deposito, è stato incardinato in commissione Affari Costituzionali a Palazzo Madama il Ddl Antisemitismo della Lega. La base della proposta è la controversa definizione di antisemitismo, presa come oro colato, formulata dall’ Ihra, Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (qui), organizzazione intergovernativa di 35 paesi.

È un testo breve quanto inquietante e ne raccomandiamo un’attenta lettura. Abbiamo già scritto in queste pagine, quanto il termine “antisemitismo”, pur avendo precise radici storiche, sia fuorviante sia dal punto di vista antropologico che politico (qui).

Il Ddl della Lega consta di 3 articoli. Il primo riguarda la definizione di antisemitismo con rimando al testo Ihra, il secondo prospetta la creazione di banche dati sull’antisemitismo (in pratica una schedatura),  di “misure per contrastare la diffusione del linguaggio d’odio antisemita sulla rete internet…” (quindi altri generi di odio potranno tranquillamente continuare a manifestarsi sulla rete…), di linee guida destinate ai docenti (leggasi indottrinamento per le giovani generazioni), di linee guida per le forze dell’ordine, che dovranno imparare a comprendere quando l’obiettivo di un reato è un ebreo (evidentemente per attribuire maggiore gravità in caso di vittima ebrea.

Ma allora l’uguaglianza dei cittadini dove finisce?), la promozione di campagne mediatiche finalizzate alla conoscenza del fenomeno, anche nel corso delle manifestazioni sportive (quindi pure lo sport diventa occasione di propaganda scientificamente pervasiva). L’art.3 è la ciliegina sulla torta: potrà essere negata l’autorizzazione a manifestazioni in cui sussista “il grave rischio potenziale per l’utilizzo di simboli, slogan, messaggi e qualunque altro atto antisemita ai sensi della definizione operativa di antisemitismo adottata dalla presente legge”.

Romeo come Zan

Sanzionare comportamenti sulla base della definizione di antisemitismo dell’Ihra significa pregiudicare non solo il diritto di opinione e di espressione ma anche quello alla ricerca storica (punto 2) e al libero culto (punto 9). Questo sconcertante disegno di legge, con primo firmatario il senatore Massimiliano Romeo, è praticamente sovrapponibile ad un altro ddl, a cui, tra gli altri, proprio Romeo si era opposto con grande tenacia, il ddl Zan contro la cosiddetta omofobia.

Cambia la categoria da proteggere (che, anzi, con questi provvedimenti diventerebbe addirittura privilegiata!), ma lo spirito censorio e repressivo è il medesimo. Che ne è, quindi, della libertà di opinione invocata, giustamente, dai leghisti, che furono determinanti per fare naufragare la proposta Zan? Quella libertà di opinione che aveva spinto in tempi ormai lontani l’attuale Presidente della Camera, il leghista Lorenzo Fontana, a chiedere (ed era ora!) l’abrogazione della famigerata legge Mancino?

Curiose, poi, le coincidenze. Dopo circa un anno dal deposito del Ddl, Salvini riceve il premio Italia-Israele. Senza il minimo dubbio, un riconoscimento meritatissimo. Quindi, nell’imminenza dell’occupazione totale di Gaza da parte di Tel Aviv, il ddl passa in Commissione. Quasi un monito a chi vorrà esprimere il proprio sdegno per la mattanza in atto e la solidarietà ad un popolo martoriato e senza patria.

Vogliamo sperare che la proposta leghista subisca la fine che merita, bocciata al pari del ddl Zan. Ma un merito dobbiamo riconoscerglielo: aver contribuito a confermare che, per un vero patriota, non solo sia legittimo collocarsi altrove rispetto a questo centrodestra. Per un vero patriota è doveroso schierarsi contro.

 

 

Fonte: https://www.2dipicche.news/toh-anche-la-lega-si-fa-il-suo-ddl-zan/

La democratica Parigi processa un revisionista

Condividi su:

di Matteo Castagna

La rivista francese Rivarol n° 3664 del 4 giugno 2025 racconta del processo svoltosi mercoledì 28 maggio 2025 presso la diciassettesima Camera Correzionale di Parigi, Porte de Clichy, perché rimarrà, senza dubbio, negli annali del Tribunale. In Italia non c’è traccia della notizia, ma forse scriveranno qualcosa dopo l’11 luglio, e capirete perché, continuando la lettura.

Vincent Reynouard è perseguito per «contestazione di crimini contro l’umanità» in relazione a uno dei suoi video del 7 ottobre 2019, che presentava il suo libro “Perché Hitler era antisemita?”

Di fronte a lui, tre avvocati hanno discusso a nome di quattro associazioni costituitesi parti civili: la LICRA, l’Observatoire Juif de France (OJDF), l’Organisation Juive Européenne (OJE) e il Bureau National de Vigilance contre l’antisémitisme (BNVCA). Vincent Reynouard era già stato condannato a sei mesi di carcere per aver contestato crimini contro l’umanità per questo testo il 22 gennaio 2021 dalla 17a Camera Penale del Tribunale Giudiziario di Parigi, ma poiché era stato processato in contumacia (era allora in esilio in Gran Bretagna), ha potuto presentare ricorso contro la sentenza.

“Da qui il nuovo processo, in primo grado, il 28 maggio 2025. Il suo interrogatorio ha messo in completa confusione gli accusatori.

Reynouard ha risposto a tutte le domande con franchezza e immediatezza, con cortesia, senza provocare o apparire sprezzante, ma senza nemmeno eludere le domande, e ha reagito a tutte le accuse con un aplomb ferreo” – racconta Rivarol.

Quando, ad esempio, il presidente del tribunale ha affermato che la legge Gayssot proibisce le dichiarazioni revisioniste, l’imputato ha risposto:

«la legge non proibisce nulla, avverte che se fai queste dichiarazioni, sarai punito. Lo accetto. Mi assumo la piena responsabilità, sto violando la legge Gayssot, ne sono consapevole e non chiedo alcuna clemenza al tribunale».

«Quindi lei è recidivo?», ha replicato il presidente. Vincent Reynouard ha presentato quindi un manuale scolastico, utilizzato durante la Terza Repubblica [1]: «A quel tempo», ha detto, «agli studenti veniva insegnato questo: “Quanto più una verità ci sembra fondamentale e importante per la condotta della vita, tanto più dobbiamo cercare di diffonderla, con l’insegnamento, con la scrittura, con la dimostrazione, mai con la forza. La libera discussione è assolutamente necessaria nell’ordine delle prese di posizione, che vengono dimostrate e discusse”. Credo che sarebbe bene tornare a questo sano principio. Ecco perché chiedo un dibattito. Finché non mi verrà concesso, sarò recidivo».

Il giudice ha, quindi, risposto che il dibattito si era svolto durante i processi di Norimberga. Conoscendo l’argomento, Vincent Reynouard non ha avuto difficoltà a rispondere: «ho letto tutti i 21 volumi dei dibattiti. Per organizzare questo processo, i vincitori avevano sequestrato gli archivi dei vinti. Selezionarono i documenti ritenuti più compromettenti, senza dare alla difesa il diritto di estrarre, a sua volta, documenti per replicare. La sentenza sarebbe stata definitiva: non sarebbe stata soggetta ad appello o revisione [2]. Il 26 luglio 1946, il procuratore capo, il procuratore statunitense Jackson, rivelò la vera natura del processo. Dichiarò [3]: “gli Alleati sono ancora tecnicamente in guerra con la Germania […] Come tribunale militare, stiamo continuando lo sforzo bellico delle nazioni alleate”. No, signor Presidente, a Norimberga non ci fu alcun dibattito. Fu un linciaggio giudiziario».

Il pubblico ministero ha chiesto all’imputato: «Perché è così interessato a questo periodo?».

“L’obiettivo era chiaro – scrive Rivarol: far sì che Vincent Reynouard dichiarasse di essere interessato alla questione per accusare gli ebrei di mentire. Ma la manovra è fallita per due motivi”. Inizialmente, l’imputato ha sottolineato che il suo principale contributo all’edificio revisionista era il suo lavoro sull’affare di Oradour-sur-Glane”.

«Indago su questa tragedia da oltre vent’anni. Eppure, gli ebrei non vi hanno alcun ruolo. È una tragedia franco-tedesca. È la prova che non sono ossessionato dagli ebrei».

Poi ha aggiunto: «Perché mi interessa questo periodo? Semplicemente perché sono un attivista politico nel campo nazionalista. Tuttavia, i miei avversari si affidano alla storia scritta dai vincitori del 1945 per contrastare la destra nazionale.

Prosegue Rivarol: “Questo uso politico della storia è evidente. Apra il rapporto della Conferenza sulla lotta contro l’antisemitismo del 28 aprile 2025. Recita: “L’introduzione della Storia nel curriculum scolastico […] alla fine degli anni ’80 era dotata di una forte dimensione civica e politica: la conoscenza e la memoria del genocidio degli ebrei avevano lo scopo di contrastare […] l’ascesa elettorale dell’estrema destra”. È chiaro! I miei avversari hanno scelto il terreno della storia per la lotta politica. Non ho fatto altro che seguirli, scendendo su questo terreno»”.

Uno degli avvocati delle parti civili ha chiesto all’imputato se ha una formazione da storico: «Nessuna», ha risposto. «Come formazione, sono un ingegnere chimico, laureato presso l’Istituto superiore della materia e delle radiazioni». «Eppure», ha ribattuto il presidente, «sul suo sito web si presenta come uno storico». «Faccio ricerche storiche, ma il mio sito web sottolinea che lo faccio per riabilitare il nazionalsocialismo. È quindi chiaro che agisco come un attivista politico».

Ma dov’è l’odio e il rifiuto di ogni dibattito? Vincent Reynouard è stato parimenti interrogato sui suoi guadagni. Ha spiegato di vivere di lezioni private, che gli fruttano qualche centinaio di euro al mese, il che gli basta, visto che alloggia gratuitamente presso Jérôme Bourbon, che chi scrive ha conosciuto personalmente nel 2010, a Parigi, a partire dalla sua estradizione in Francia, il 2 febbraio 2024.

Interrogato sui libri che vende tramite il suo blog, ha sottolineato che i proventi di questa attività vanno interamente al gestore del blog, di cui non ha voluto rivelare l’identità. “Chi conosce Vincent Reynouard sa che le sue risposte su questo argomento riflettono la verità. Privo di qualsiasi appetito per il commercio, interamente dedito alla causa che difende e agli studenti che sostiene, ha come uniche distrazioni il ciclismo e gli acquerelli. L’attivista revisionista è di alimentazione moderata e vive in modo molto modesto” – continua l’articolo della rivista francese.

L’udienza è proseguita con le tre requisitorie degli avvocati.

Tutti si sono offesi nel vedere Vincent Reynouard «utilizzare il tribunale come una tribuna», in presenza del suo «fan club». Il loro attacco si articolava essenzialmente su tre fronti: incolpare l’imputato dell’ascesa dell’antisemitismo, negargli qualsiasi competenza in materia storica e accusarlo di agire per “odio”.

Sottolineando l’esplosione dell’antisemitismo negli ultimi due anni, un avvocato ha invocato la «tossicità del signor Reynouard» e lo ha accusato di rappresentare «un pericolo pubblico». L’avvocato Oudy Bloch dell’OIE ha rincarato la dose. Dopo aver presentato Vincent Reynouard come un «insegnante di matematica caduto in disgrazia» che «vomita odio contro gli ebrei tutto il giorno», ha affermato che il revisionismo è «un’intrapresa di menzogne» e che, negando un genocidio rivendicato o ammesso dai nazisti, l’imputato si è rivelato «più nazista dei nazisti».

La sua collega dell’accusa ha aggiunto che Vincent Reynouard non è uno storico, ma «si è solo laureato in fisica… a quanto dice». Pertanto, non si può assolutamente concedergli il dibattito da lui richiesto. Ella ha precisato: «Questa pagina di storia non può essere riletta o rivisitata. Questa pagina di storia è la Storia!».

A seguito di ciò, il pubblico ministero ha dichiarato che, in quanto ingegnere chimico di formazione, l’imputato non ha alcuna legittimità accademica per scrivere libri di storia. Poi ha dichiarato: «questo periodo è oggetto di studio, non di dibattito o discussione».

Nulla, quindi, è cambiato dalla dichiarazione dei 34 storici che, nel febbraio 1979, risposero al professor Robert Faurisson [4] che chi scrive intervistò ed ebbe modo di consultare buona parte del suo enorme archivio nel seminterrato della sua dimora di Vichy, nel 2010: «Non dobbiamo chiederci come, tecnicamente, un simile omicidio di massa sia stato possibile. Era tecnicamente possibile, dal momento che è avvenuto. Questo è il punto di partenza necessario per qualsiasi indagine storica su questo argomento. Stava a noi semplicemente ricordare questa verità: non c’è, non può esserci alcun dibattito sull’esistenza delle camere a gas».

La domanda che, infatti, poneva continuamente il Prof. Faurisson della Sorbona di Parigi, anche dopo aver subito 12 attentati, era: «fornitemi una sola prova di un solo morto di Zyklon B nella baracca di Auschwitz, ed io vi crederò». Tale insetticida cianogenetico fu sviluppato negli anni venti da Fritz Haber, un ebreo tedesco, vincitore del premio Nobel per la chimica nel 1918, impiegato della Bayer. Lo Zyklon B si presentava in forma di granuli composti di polpa di legno o terra diatomacea.

Tali granuli, di colore bluastro, erano impregnati di acido cianidrico, di uno stabilizzatore e di gas lacrimogeno o irritante che aveva lo scopo di segnalare la presenza del gas prima della sua evaporazione. Una volta estratto dai suoi contenitori ermetici, l’acido cianidrico contenuto nei granuli evaporava a una temperatura di 26 gradi Celsius. Secondo il Prof. Robert Faurisson la potenza di tale composto gassoso sarebbe stata tale, che se utilizzato, avrebbe provocato la morte di chiunque vi entrasse a contatto, osservando, anche, la tenuta molto poco ermetica delle fessurazioni di quelle baracche di legno. In sede giudiziaria e storica, queste affermazioni sono state rigettate.

“Per giustificare la violazione della libertà di ricerca, espressione e pubblicazione – sostiene Rivarol – i censori giungono dunque all’ odio, che animerebbe la persona che vogliono condannare. L’avvocato della LICRA ha definito l’imputato un «negoziante dell’odio». Il pubblico ministero, da parte sua, ha preferito l’espressione «fomentatore d’odio professionista» e ha aggiunto: «Il signor Reynouard fa dell’odio il suo mestiere». Da qui le richieste di pena detentiva. L’avvocato Bloch ha espresso la speranza che il tribunale punisca Vincent Reynouard con la pena massima: una multa di 45.000 euro e un anno di carcere. La sua collega ha aggiunto cinicamente: «Almeno dietro le sbarre, non potrà fare opera di propaganda»”.

Il pubblico ministero ha chiesto otto mesi di carcere.

A questo si aggiungono le sanzioni pecuniarie. Per gli avvocati delle parti civili, non c’è dubbio: Vincent Reynouard vive lautamente dei profitti del revisionismo. La prova? Interrogate, le autorità fiscali francesi hanno risposto di aver perso le tracce dell’imputato nel 2015. Questo equivale a dimenticare che in quel periodo Vincent Reynouard andò in esilio in Inghilterra (il 16 giugno 2015), dove creò un’attività individuale di tutoraggio privato, per la quale pagava le tasse ogni anno.

Ma cosa importa agli avvocati?

“L’imputato è un «negoziante dell’odio» che si arricchisce con proventi clandestini. Da qui la necessità di colpire «dove fa male», ovvero nel portafoglio. Ogni associazione ha chiesto diverse migliaia di euro di danni, oltre alle spese legali. La LICRA si è distinta chiedendo di più.

La motivazione addotta era che l’aumento dell’odio aveva costretto l’associazione ad assumere più personale, che doveva essere retribuito. L’avvocato che rappresentava l’associazione ha chiesto 10.000 euro di danni e 3.000 euro di spese legali” – continua il pezzo della rivista francese.

Da parte sua, il pubblico ministero ha chiesto una multa di 5.000 euro (la pena massima era di 45.000 euro) e una «pena aggiuntiva per informare il pubblico della sua condanna durante questo processo». Questa pena consisterebbe nel finanziamento, a sue spese, della pubblicazione su tre importanti quotidiani nazionali di un inserto per informare il pubblico della sua condanna. Ciò ammonterebbe a ulteriori 15.000 euro, con un costo di circa 5.000 euro per ogni inserto.

Si pensava che l’udienza fosse terminata. Ma il giudice che presiedeva il processo ha invitato l’imputato a riassumere, sul banco degli imputati, la memoria difensiva depositata all’inizio dell’udienza. In circa venti minuti, con una presentazione chiara, precisa e concisa, Vincent Reynouard ha affrontato una per una le accuse delle parti civili.

Alle accuse di usare il tribunale come una tribuna, ha risposto: «Non ho mai chiesto di comparire qui. Sono queste associazioni che continuano a trascinarmi qui. Se vado in esilio per sfuggire alla giustizia, mi chiamano codardo; se mi presento, mi accusano di difendermi. Quale impudenza!». Alle accuse di avere dei fondi segreti, Vincent Reynouard non ha avuto nessuna difficoltà a dimostrare il suo tenore di vita semplice: «non ho né domicilio, né automobile, né beni di valore. Sono un morto-vivente sociale che non ha nemmeno la tessera sanitaria. Reynouard ricco? Altri lo sono…».

Al rimprovero di non essere uno storico di formazione, Vincent Reynouard ha portato l’esempio di Jean-Claude Pressac, elogiato fino alle stelle nel 1993 da tutta la stampa per la sua opera “Les crématoires d’Auschwitz”, che avrebbe dovuto «mettere a tacere i revisionisti» fornendo la «prova definitiva» dell’esistenza delle camere a gas omicide. «Ebbene!», ha detto, «Jean-Claude Pressac non era uno storico, ma un farmacista».

In risposta alle accuse di antisemitismo, l’imputato ha citato diversi estratti di video pubblicati a partire dal 2015, nei quali spiega la sua “giudeo-indifferenza”, di cui è l’unico responsabile.

Ha aggiunto: «D’altra parte, sono accusato di spiegare l’emergere del mito delle camere a gas con un complotto ebraico. Al contrario, ho sempre spiegato che, in questa vicenda, gli ebrei hanno avuto un ruolo secondario. La responsabilità degli Alleati è stata schiacciante. Sono stati loro che hanno sfruttato dei rumori per giustificare la loro crociata di annientamento del Terzo Reich e per nascondere i loro crimini di guerra. I sionisti hanno solo sfruttato una situazione che non hanno creato.

Ma è un fatto: dal 1944, hanno usato la propaganda alleata per giustificare la creazione e il mantenimento di Israele». Vincent Reynouard ha poi citato autori sionisti, tra cui lo stesso Chaïm Weizmann. Ha concluso: «Non credo che un complotto ebraico o di altro tipo governerebbe il mondo. Il mondo è troppo complesso per questo…».

“Infine – afferma Rivarol – in risposta alle accuse di contribuire all’aumento degli atti antisemiti, Vincent Reynouard, anche se purtroppo bisogna deplorare la sua evoluzione sul piano filosofico-religioso, con la sua adesione al buddismo, ha dato il colpo di grazia, ristabilendo due fatti ampiamente passati sotto silenzio dall’accusa:

Dopo trent’anni che egli diffonde il revisionismo, non è stato possibile attribuirgli, direttamente o no, nessun atto giudicato antisemita.

La crescita dell’antisemitismo in Francia si spiega con gli avvenimenti nel Vicino Oriente, ben più efficaci dei suoi video o dei suoi articoli per generare degli atti o delle affermazioni ostili agli ebrei”.

Ha poi citato un recente sondaggio dell’IFOP, che ha interrogato i membri della comunità ebraica sulle cause dell’aumento dell’antisemitismo: «I risultati sono eloquenti», ha detto. «Il 73% degli ebrei interpellati pensano che l’aumento dell’antisemitismo sia dovuto al rifiuto, all’odio verso Israele; il 56% alle “idee islamiste”, il 42% alle “idee di estrema sinistra” e solo il 10% a quelle dell’estrema destra. Questa è la prova che Vincent Reynouard non esercita nessun ruolo nell’aumento dell’antisemitismo. D’altronde, le parti civili mi accusano senza nessuna prova».

Vincent Reynouard ha così concluso: «Io chiedo un dibattito. Per questo dibattito, ci si recherà a Birkenau, sul tetto della “camera a gas” del crematorio 2, e si osserverà se ci sono dei fori, mediante i quali le SS avrebbero versato lo Zyklon B». Mentre l’imputato tornava tranquillamente al suo posto, il Presidente del Tribunale ha annunciato che la sentenza verrà pronunciata il venerdì 11 luglio 2025 alle ore 13 e 30. Sarà memorabile.

[1] Henri Marion, Leçons de Morale, Paris, Armand Colin, 1882, p. 240.

[2] Articolo 26 dello statuto del Tribunale militare internazionale.

[3] TMI, serie blu, vol. XIX, p. 415.

[4] Le Monde, 21 febbraio 1979, p. 23.

 

 

Fonte: https://www.2dipicche.news/la-democratica-parigi-processa-un-revisionista/

L’attentato mancato che avrebbe potuto cambiare la storia italiana

Condividi su:

di Angelo Paratico

Nell’autunno del 1944 qualcuno architettò un attentato che avrebbe potuto decapitare il governo italiano, mutando radicalmente la storia della nostra repubblica. Questa notizia non era mai uscita sui giornali ed era stata dimenticata dai pochi che ne vennero a conoscenza e, se non fosse stato per un rapporto dei servizi segreti britannici in Italia, il SOE (Special Operations Executive), non ne sapremmo nulla.

Questa vecchia pratica è stata ritrovata da due infaticabili esploratori degli archivi di guerra britannici, Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella. Una volta lette quelle carte ingiallite, ne hanno pubblicato un sunto nel loro ultimo libro intitolato La Maledizione Italiana. La guerra di Churchill contro De Gasperi, le trame per il controllo del Medio Oriente e del Canale di Suez, la lunga storia di una rivoluzione stroncataFuori Scena edizioni, 2025. Tutte le informazioni contenute nel loro libro, che è stato distribuito il mese scorso in accoppiata con il Corriere della Sera, sono davvero strabilianti, proprio perché basate su documenti.

 

Il governo di Ivanoe Bonomi, denominato Bonomi II (essendo già stato Primo ministro prima dell’arrivo di Benito Mussolini) s’insediò il 18 giugno 1944 e rimase al suo posto sino al 19 giugno 1945, nonostante Re Vittorio Emanuele III non lo avesse in simpatia. La sua nomina era stata promossa dal generale inglese Noel Mason Macfarlane, che prima forzò il Re, assai recalcitrante, a farsi da parte, nominando suo figlio Umberto come proprio Luogotenente e poi Badoglio a dimettersi, nonostante godesse del favore di Winston Churchill. Questi grossi contrasti con Churchill lo portarono poi alla sua destituzione.

La storia del mancato attentato sepolta negli archivi del War Office

Il 5 ottobre 1944 giunse al Presidente del Consiglio, Ivanoe Bonomi, un avvertimento secondo il quale in alcune ambienti stessero tramando per mettergli una bomba. Lui avvisò i carabinieri che svolsero delle ricerche ma non trovarono nulla. Bonomi, una vecchia volpe, non si fidò, forse perché la sua fonte era molto credibile e allora chiese al capo della polizia, Luigi Ferrari, di fare una discreta ricerca e, quindici giorni dopo, trovò la bomba.

Stava al Viminale in un armadio proprio dietro al tavolo dove si riuniva il governo. La scoperta venne fatta poche ore prima di una riunione ministeriale. Era una bomba notevole, ben sessanta chili di tritolo che avrebbe polverizzato tutti: Bonomi, Togliatti, De Gasperi, Sforza, Saragat, Croce, Gronchi e Mancini.

Non si è mai saputo chi pose tutto quell’esplosivo ma un maggiore italo-americano fu incaricato di indagare. Si chiamava Mario Emanuel Brod e operò nel più assoluto riserbo, giungendo alla conclusione che i possibili colpevoli potevano essere tre: filonazisti, l’estrema sinistra contraria alla collaborazione di Togliatti con le forze democratiche e, infine, l’estrema destra monarchica, con una collaborazione del SOE.

Questi ultimi, secondo Brod erano i responsabili, ma la sua indagine fu improvvisamente bloccata da James Jesus Angleton (1917-1987), responsabile della sezione Z della contro-intelligenza e il fascicolo venne chiuso in fretta e furia con la denominazione Top Secret e mandato a Londra, dove è rimasto per oltre 50 anni presso agli archivi del War Office. Angleton rimane una figura oscura, nel dopoguerra fu molto vicino al Mossad ma prese grossi granchi con il KGB, che lo surclassò.

Fonte:https://www.giornaleadige.it/2025/06/18/attentato-mancato-storia-italiana/

Destra, quella cultura che legge il tempo in profondità

Condividi su:

di Fabrizio Fratus

In un’epoca in cui l’informazione si consuma in tempo reale e il pensiero si misura in caratteri, esiste una corrente culturale che va in controtendenza. Non urla, non rincorre la novità, non cerca like: è la cultura di destra, intesa non come semplice posizione politica, ma come visione del mondo capace di guardare oltre l’apparenza e cogliere le radici profonde della crisi del nostro tempo. È una cultura che, da sempre, diffida dei facili entusiasmi del progresso a ogni costo. Non perché sia nostalgica, ma perché conosce il prezzo della disumanizzazione. Antimoderna? Sì, ma non passatista. La destra autentica non sogna un ritorno al passato, ma difende ciò che di umano rischia di andare perduto: il senso del limite, il rispetto dell’ordine naturale, l’appartenenza a una storia, a una terra, a una civiltà.

Da decenni – con un certo isolamento intellettuale – questa visione ha messo in guardia contro i pericoli dell’omologazione culturale, della dissoluzione dell’identità, del dominio della tecnica sulla politica. E oggi, di fronte al delirio del “postumano” – che promette l’uomo potenziato, l’intelligenza artificiale sovrana, la scomparsa del corpo e del confine – proprio questa cultura si mostra tra le poche ad avere gli strumenti per una vera resistenza antropologica. La destra pensa l’uomo non come un pezzo da aggiornare, ma come essere incarnato, finito, spirituale. In un mondo che confonde la libertà con l’abolizione dei limiti, ricorda che la dignità umana nasce anche dall’imperfezione, dall’eredità, dal radicamento.

Certo, non si tratta della destra dei talk show o delle ricette prêt-à-porter per l’emergenza del giorno. Ma di una destra profonda, profetica, non sempre comoda, che non si accontenta di gestire l’esistente, ma si interroga sulle sue fondamenta. Una cultura che parla di ordine, comunità, identità, sacro, parole oggi spesso fraintese o derise, ma forse proprio per questo urgenti. Per questa visione, il futuro non è una corsa cieca verso il nuovo, ma un ritorno consapevole a ciò che conta. È l’idea che senza radici non ci sia libertà, senza forma non ci sia bellezza, senza verità non ci sia politica. Una voce scomoda, sì. Ma, in tempi di pensiero debole, forse proprio per questo necessaria.

Fonte: https://iltalebano.com/2025/06/09/destra-quella-cultura-che-legge-il-tempo-in-profondita/

E l’inventore dei computer scoprì la coscienza

Condividi su:

di Marcello Veneziani

Che dire di uno scienziato che dopo aver passato una vita a studiare la fisica e a inventare formidabili macchine e congegni che tutti usiamo, arriva a fare la scoperta delle scoperte: non siamo solo materia ma spirito e coscienza, il mondo è irriducibile a una macchina o un computer, a un algoritmo o all’intelligenza artificiale? Che vorrebbero dichiararlo insano di mente, se non fosse che quella stessa mente, ora rivolta all’amore come energia universale e alla coscienza come motore di ogni processo, è la stessa che ha inventato il micro-processore e il touchscreen, solo per dire un paio di cose preziose di cui dobbiamo essergli grati. E allora puoi dare tre diverse spiegazioni: la prima, che era lucido e poi è impazzito e da scienziato è diventato un po’ santone; la seconda, che solo un pazzo può fare invenzioni geniali che cambiano il corso del mondo, e se vuoi le une, devi rispettare le altre; la terza, che non sia pazzo ma la sua intelligenza lo ha condotto dopo le sue invenzioni a trovare il punto di fusione tra la ricerca scientifica e la ricerca spirituale.

Sto parlando di Federico Faggin, vicentino, vivente, fisico e metafisico, ormai. E ve ne parlo non da oggi, ma da qualche anno e da qualche libro. È uscito un documentario della Rai, ora visibile su RaiPlay, a cura di Marcello Foa e di altri suoi collaboratori, L’uomo che vide il futuro, che ne ricostruisce puntualmente la storia, la vita e raccoglie le parole del suo straordinario cammino. Vi sto parlando di uno scienziato che ha rivoluzionato Silicon Valley: senza di lui – ha detto Bill Gates – sarebbe solo una Valley: è lui che ha compiuto la rivoluzione del silicio. Una rivoluzione che lo pone sulla scia di Marconi e di Fermi, tra i grandi inventori italiani che hanno fatto nascere il mondo nuovo.

Ma raccontiamo in breve la sua storia. Figlio di uno studioso di filosofia antica e platonica, Giuseppe Faggin, curatore delle opere di Plotino, Federico decide di “tradire” gli studi di suo padre, e diventa perito industriale. Vuole occuparsi di aeronautica, è la sua passione, ma un incidente produrrà il distacco della retina e gli impedirà di realizzare il suo sogno di volare: una disgrazia che col tempo si rivelerà una grazia, una “provvida sventura”. Perché i suoi studi prendono una via fruttuosa. A diciannove anni, alla fine degli anni cinquanta, fabbrica il primo, rudimentale computer; un enorme bestione ingombrante. Viene assunto dalla Olivetti, dove mette a fuoco le sue prime scoperte. Si laurea in Fisica a Padova; poi, come è accaduto a tanti, a troppi, il suo talento è costretto a emigrare negli States: l’Italia sforna ingegni ma non offre poi loro il contesto favorevole per mettere a frutto le loro opere, devi andartene oltreoceano. Comunque sarà lì che la scoperta si farà realtà. Meucci, Marconi, Fermi… È dai tempi di Cristoforo Colombo che le imprese dei nostri scopritori poi le mettono in pratica in America…

Faggin mette a punto un piccolo calcolatore elettronico, poi lavora sui transistor, li rende più efficienti e più veloci, quindi li applica a nuovi dispositivi, sposa il computer al telefono (ma nel frattempo sposa anche sua moglie, che le è ancora a fianco). L’anno chiave è il ’68: mentre da noi in Europa nasce la rivoluzione delle parole, dei cortei, delle occupazioni, delle barricate e poi della violenza, il ’68 di Faggin compie la rivoluzione del silicio che cambierà sul serio la nostra vita. Inventa il microprocessore, rende parlante il pc, antesignano dell’i-phone. Quindi, inventa il touchscreen, prima per gioco, poi preziosa scoperta di utilità universale. Faggin non è solo inventore ma anche imprenditore delle sue scoperte, con un suo gruppo di ingegneri. Successivamente decide di dedicarsi alle reti neuronali e quindi alle “macchine pensanti”, madri dell’intelligenza artificiale. Si inoltra in studi biologici e neurologici e si rende conto che i segnali elettrici non riescono da soli a produrre sensazioni, occorre qualcosa che non è riconducibile ai corpi, alla fisica, alla materia, che fa da supervisore alle reti neurali, dà un’impulso, una direzione, una consapevolezza: è la coscienza. Così Faggin tenta l’impresa ardita di programmare un Pc cosciente, davvero intelligente: ma si accorge che è impossibile. Anche in questo caso la sconfitta è la premessa alla sua nuova scoperta: dopo un periodo di insoddisfazione, avvenne l’illuminazione e la svolta. Una notte prenatalizia, sul lago Tahoe, Faggin avvertì “una fortissima energia irradiarsi dal suo petto” e da allora intraprese un cammino spirituale di conoscenza e di autoconoscenza, intrecciandolo alla ricerca scientifica. Voleva dimostrare che il mondo non è frutto del caos, del caso, degli atomi e di un “orologiaio cieco” ma di “enti coscienti che esistono da sempre” e sono tra loro connessi. Dopo anni di studi in cui mise a frutto anche le scoperte della fisica quantistica, scoprì il regno della coscienza e del libero arbitrio. Più di recente, nel suo saggio Irriducibile, Faggin mostrò “la natura spirituale dell’universo”; la materia è fatta di energia vibratoria, una cellula è ben più d’un miscuglio di atomi e molecole. La fisica, osserva, si ferma allo studio della materia, non va oltre e crede di avere in pugno l’universo. L’altro giorno in una conferenza a Praga un fisico teorico italiano contestava la chiave umanistica e spirituale del mio approccio e diceva che ormai la filosofia è superata dalla fisica che può darci una visione del mondo. Ma la fisica non ti dice nulla sul bello, sul bene, sul giusto, non è suo campo l’etica, l’estetica, i sentimenti, l’ontologia, ignora la scommessa della fede… Faggin formula il postulato dell’essere e lo poggia su due gambe; l’essere è dinamico, cioè cambia di continuo, ed è olistico, cioè è in relazione a tutto, è connesso col mondo e con gli altri. Così ritrova l’antico Conosci te stesso, premessa per conoscere anche gli altri. Ritiene che esistere voglia dire conoscere (“Fatti non fummo per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”); e cooperare con gli altri è meglio sotto tutti i punti di vista che competere. Ma c’è una realtà oltre il visibile. Non siamo macchine, come pensano gli scientisti, ma scienza e spiritualità alla fine convergono e danno senso alla nostra vita. Chi nega la realtà spirituale, commette “un crimine contro l’umanità” che “porta all’eliminazione dei valori umani” e della libertà. Faggin critica il riduzionismo: ”dal più può derivare il meno, ma non viceversa”. È possibile il degrado, ma per progredire occorre un fattore superiore.

In questo cammino c’è una grande rivoluzione circolare: il destino della scienza torna alle origini del pensiero. La fisica nuova si congiunge alla filosofia, e ritrova l’umanità, la coscienza, l’identità e la libertà.

Ma oltre questo cammino prodigioso che riguarda l’umanità, Faggin compie anche un suo intimo, personale cammino: dopo aver voltato le spalle a suo padre e ai suoi studi filosofici, ritrova alla fine del suo percorso gli autori, i pensieri e le intuizioni dei filosofi cari a suo padre che combaciano con gli esiti della fisica quantica. Lo scienziato ritorna al padre, come la scienza ritorna al pensiero. ”Ricondurre il divino che è in noi al divino che è nell’universo”, ripete Faggin con suo padre, citando Plotino. Così la gratitudine per averci migliorato la vita con la tecnica, si fa radiosa per averci poi donato la fiducia nell’essere e nel futuro.

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/e-linventore-dei-computer-scopri-la-coscienza/

Dopo le polemiche sul manifesto di Ventotene. Una certa idea di Europa

Condividi su:

di Giovanni Perez

Il terreno di scontro tra la destra di governo e il fronte variegato della sinistra, si è recentemente giocato prendendo a elemento discriminante il Manifesto di Ventotene, redatto nel 1941 e firmato da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. La lettura di questo testo, dal quale estrapolare alcune frasi diventa sicuramente un’operazione a dir poco azzardata, tuttavia, conferma in estrema sintesi ciò che Giorgia Meloni ha detto in Parlamento, ossia trattarsi dell’evocazione di un’idea di Europa che non è quella della destra politica, come lo stesso Massimo Cacciari ha onestamente riconosciuto, per cui le reazioni scomposte, violente, addirittura isteriche che sono seguite a sinistra, non possono che significare quanto meno un elemento di chiarezza, storico e dottrinario.

A parte lo stesso incipit del testo, laddove si identifica troppo sbrigativamente la modernità con il principio della libertà, ciò che emerge è una radicale requisitoria nei confronti non tanto dello stato nazionale, ritenuto storicamente, almeno alle sue origini, un “potente lievito di progresso”, ma del nazionalismo, inteso come esasperazione del sano patriottismo, al quale si fanno risalire la responsabilità di aver portato alla creazione dello stato totalitario, imperialista e militarista, di aver trasformato i cittadini in sudditi, di aver consolidato il “controllo poliziesco della vita dei cittadini”. Si tratta di affermazioni, anch’esse, che andrebbero contestualizzate e che descrivono situazioni che potremmo ritrovare non solo nell’allora Russia bolscevica, ma anche, certamente in forma più attenuata, nelle stesse liberal-democrazie, come Evola stupendamente descrisse nel saggio Americanismo e bolscevismo.

Per quanto concerne poi l’interpretazione del fascismo europeo, quale braccio armato della borghesiacapitalistica, si tratta di una tesi che nemmeno ai più trinariciuti antifascisti, oggi verrebbe in mente di riproporre come la più adeguata tra le tante possibili. Peraltro, di fatto contraddicendosi, nel Manifesto si ammette che il corporativismo rappresentò una globale alternativa tanto al liberal-capitalismo, quanto al social-comunismo, anche se infine non raggiunse i risultati che si era proposti, come ebbero a riconoscere non pochi pensatori fascisti, come Ugo Spirito e Camillo Pellizzi.

Nel Manifesto trovano spazio anche un acceso, quanto coerente, anticlericalismo, prevedendo una necessaria abolizione del Concordato del 1929; un giudizio sicuramente sbagliato sulla Geopolitica, ritenuta null’altro che una pseudo-scienza; il desiderio di un’utopica realizzazione, oltre lo stesso Stato federale europeo, di un’«unità politica dell’intero globo», ossia di un «solido stato internazionale». Non solo, nel Manifesto c’è una critica radicale all’ideologia comunista, definita essenzialmente come una degenerazione del socialismo, soprattutto per una sbagliata concezione della proprietà, come le errate realizzazioni del modello di “dispotismo burocratico” proprie della Russia sovietica, ampiamente confermano. Trova poi spazio l’evocazione di un ipotetico e fantomatico Partito rivoluzionario, guidato da intellettuali «illuminati», capaci di impedire, alle incerte e deboli democrazie, di non essere in grado di far fronte ai tentativi, dei soliti ceti parassitari, di riciclarsi nuovamente dopo la sicura sconfitta militare della Germania. È questo Partito rivoluzionario che dovrà realizzare una «dittatura», che, di fatto, si dovrà sostituire a quelle esistenti non si sa per quanto tempo, fino alla creazione di un «nuovo ordine», di un «nuovo stato» e di una «nuova democrazia», sulla cui fisionomia i tre «illuminati» di Ventotene nulla aggiungono come ulteriore precisazione.

il Manifesto nella tradizione di pensiero illuministica

Vi sono poi altri contenuti che situano il Manifesto nella tradizione di pensiero illuministica, laica, egualitaria, progressista, in breve, di sinistra. Ma questo in che senso? Nel senso che ho avuto modo già di evidenziare parlando dell’ultimo libro di Marcello Veneziani intitolato, Senza eredi. Mi riferisco alla concezione dell’uomo che è implicita al Manifesto e che rimanda all’idea di «uomo astratto», la cui definizione fa astrazione, ossia prescinde da ogni riferimento alla dimensione storica in cui si esprime nella sua concretezza l’umanità, così come l’esperienza vissuta di ogni singola persona. Si tratta di un’idea di uomo stabilita dalla sola ragione, trasformando e confondendo la dimensione del desiderio, di un ideale e ipotetico dover essere, inspiegabilmente a priori ritenuto essere quello migliore e giusto, con la realtà delle cose. Da qui il violento rifiuto del naturale radicamento dell’umanità in una patria, in una nazione, in una tradizione, perché tutto ciò spinge verso una dimensione dove contano le identità, le tante comunità tra loro differenti, che il Manifesto reputa necessariamente foriere di pulsioni fratricide e guerrafondaie.

Pertanto, come già aveva postulato Kant nel saggio, del lontano 1795, Per la pace perpetua, nella futura Europa non ci potrà essere alcuno spazio per gli Stati nazionali, per il nazionalismo e tutte le tradizioni che distinguono le comunità (a sinistra si usa invece la parola collettività), che andranno azzerate in un solo agglomerato di individui-atomi, indistinto e «fluido», come oggi si direbbe. Si tratta dell’Europa che oggi stanno realizzando, purtroppo, le false élites dell’Unione Europea, che hanno perciò accontentato, almeno in questo, gli estensori del Manifesto, salvo rendendo inutile, almeno per il momento, la creazione di una Federazione europea, con una sola Costituzione. Del resto, si è proceduto all’eliminazione per altre vie della sovranità politica, legislativa e monetaria degli stati membri, creando un mostrum burocratico di cui siamo divenuti sudditi, al servizio di occulte lobbies, non solo finanziarie, di cui è evidente da tempo la volontà di distruggere le identità etniche degli europei, attraverso dissennate politiche immigrazionistiche.

Nella misura in cui questa Europa ha realizzato il Manifesto di Ventotene, essa non può certo essere l’Europa delle Patrie, delle Identità nazionali, delle Tradizioni, degli uomini concreti definiti dalla ragione storica, che sta dentro il DNA della vera Destra. Chi volesse approfondire la questione, può riferirsi all’ancor splendido volume di Carlo Curcio, Europa storia di un’idea, da leggere insieme a quell’altro di Federico Chabod, Storia dell’idea d’Europa. Ma, a dimostrazione del fatto che, ben prima del Manifesto, si sviluppò nel corso degli anni Trenta una notevole attenzione verso l’idea di Europa, si deve almeno ricordare agli smemorati della sinistra, che nel 1932 si svolse a Roma, indetto dalla Regia Accademia d’Italia e organizzato dalla «Fondazione Volta», un celebre Convegno intitolato: «Unità dell’Europa in relazione alla crisi mondiale», cui parteciparono decine di politici di varie tendenze, storici, geografi, studiosi della politica e del diritto, i cui Atti furono poi raccolti in un grosso volume, oggi sepolto nella polvere delle biblioteche, di fronte al quale gli Autori del Manifesto non meritano davvero, salvo che per ragioni di mera polemica politica, che ne offende peraltro la memoria, l’esagerata attenzione e l’apologia oggi a loro riservata.

Fonte: https://www.giornaleadige.it/2025/03/24/manifesto-ventotene-idea-di-europa/

Clotilde Bersone: confessioni di una ex sacerdotessa della massoneria

Condividi su:

di Cesare Sacchetti

Il suo nome evoca un viaggio oscuro che alcuni, quali l”esperto” di religioni Massimo Introvigne, hanno provato a liquidare come una storia del tutto falsa, frutto della fervida fantasia di qualche mente letteraria.

E invece la storia è terribilmente vera tanto che la Chiesa se ne interessò molto da vicino dopo l’uscita in francese dell’opera nel 1885 e incaricò monsignor Augusto Moglioni di scrivere una traduzione di questo libro.

Si tratta del libro rivelazione di Clotilde Bersone, una donna che sembrava essere predestinata ad essere una eletta delle logge massoniche sin dai primi anni della sua vita.

Suo padre, massone di alto livello e membro della loggia degli Illuminati a Costantinopoli, aveva abbandonato Clotilde quando questa era ancora una bimba per andarsene altrove e inseguire i suoi sogni di potere nel seno delle massonerie più importanti del pianeta.

La giovane si ricongiungerà al padre proprio nella antica capitale dell’impero romano d’Oriente a 18 anni, nel 1874, e iniziò a frequentare le logge massoniche dal per restarne poi profondamente disgustata.

Clotilde nel suo libro riconosce subito che non aveva alcuna protezione o vero insegnamento per comprendere cosa aveva di fronte.

La sua educazione era stata di stampo prettamente secolare. In quel periodo, ad unità d’Italia già avvenuta, dopo il 1871, si stava diffondendo un nuovo pensiero nelle scuole di natura esclusivamente scientista, laico, e soprattutto profondamente anticattolico.

Clotilde era stata educata a coltivare il libero pensiero sulla scia dei pensatori illuministi quali Rousseau e Voltaire che ancora oggi sono i capisaldi di tutta la presente scuola post-sessantottina europea modellata sulle idee del secolo dei lumi.

Non si studia più la Bibbia e non si insegna più che l’uomo è una creatura di Dio, ma si è fatta largo la teoria del massone Darwin che affermava che l’uomo derivava dalla scimmia – forse nel suo caso era vero – e che aveva anche uno stretto rapporto con Karl Marx, al secolo Mordechai Levy, altro massone di origini ebraiche.

Talmente alta era la stima tra i due che il “fondatore” del comunismo aveva mandato al padre dell’evoluzionismo una copia del suo “Il Capitale” nel quale c’erano delle idee prese in larga parte da altri filosofi collettivisti del secolo precedente, su tutti, Adam Weishaupt, il fondatore della loggia massonica degli Illuminati.

La Bersone piomba in questo mondo senza la corazza della fede e inizia ad avvicinarsi alla massoneria animata forse più che altro da uno spirito di curiosità e di sfida nei confronti di quegli uomini che sedevano ai gradini più alti di questa setta.

Il padre voleva portarla con sé, per iniziarla ai riti massonici e servirsi di lei probabilmente per ascendere ancora di più i gradini delle logge.

L’ingresso nell’alta massoneria della Bersone

Il primo impatto con gli arredi della loggia massonica nella quale Clotilde entra a Costantinopoli è senz’altro traumatico.

La donna si trova circondata da arredi a dir poco inquietanti e chiaramente di natura occulta e satanica.

Lei stessa descrive così quello che vide in quell’occasione.

“In mezzo alla Loggia, d’improvviso mi arrestai, sorpresa; quantunque mio padre si sforzasse di distogliermene, rimasi come bloccata dinanzi ad una bestia strana, di marmo bianco, distesa su un piedistallo, in un’attitudine minacciosa. Uno scettro e una corona spezzati sotto le sue zampe anteriori, e una tiara sotto le zampe posteriori: con sette teste, a volto quasi umano; alcune sembravano di leone senza però rassomigliarvi; altre con delle corna. Una vita strana, indefinibile, emanava da quel mostro, il cui multiplo sguardo sembrava essersi avvinto al mio e mi affascinava… “E’ il Dragone – disse mio padre con voce sorda – qui, lo chiamano Idra, l’Idra della cabala e degli Illuminati.”

Questa scena è straordinariamente simile a quella di fronte alla quale si trovarono i servitori della nobile famiglia romana dei Borghese.

A raccontare questo aneddoto è stato un altro pentito della massoneria, Domenico Margiotta, che ha lasciato una ricca, e ben nascosta dalla storiografia liberale, raccolta di opere nelle quali denuncia tutti gli intrighi della massoneria al tempo del Risorgimento e come solo e soltanto la forza della libera muratoria, assieme all’appoggio della famigerata famiglia di banchieri Rothschild, permise di uccidere diversi monarchi degli Stati pre-unitari e di togliere allo Stato pontificio i suoi possedimenti.

Il massone pentito Domenico Margiotta

I risorgimentali non erano certo animati da nobili intenti “patriottici” come volevano far credere ma erano piuttosto tutti mossi dal comune odio contro la Chiesa Cattolica, quella istituzione che ai loro occhi rappresentava il sommo ostacolo verso la cosiddetta Repubblica universale.

Margiotta scrive quando accadde dentro il palazzo Borghese che era stato dato in uso ad Adriano Lemmi, un altro famigerato personaggio del quale si è parlato in diverse occasioni.

Lemmi era il protetto del massone Giuseppe Mazzini, e dopo la morte di quest’ultimo nel 1872, il suo potere all’interno della massoneria italiana e internazionale crescerà a dismisura tanto da diventare egli stesso il capo supremo della massoneria mondiale in virtù della sua segreta adesione al rito palladiano, una sorta di superloggia alla quale appartengono soltanto pochissimi iniziati, le vere menti della massoneria.

Nell’opera di Margiotta intitolata “Le palladisme” si legge che la famiglia Borghese voleva tornare nuovamente in possesso del suo palazzo, ma gli uomini di Lemmi erano restii a lasciar entrare i servitori della nobile casata in una stanza che era chiusa.

I servitori del capo della massoneria alla fine dovettero cedere e lasciarono entrare gli uomini dei Borghese che si trovarono di fronte una scena raccapricciante.

La stanza era adornata alle pareti da drappi rossi e neri. In fondo ad essa, c’era una raffigurazione nientemeno che di Satana, e sotto questa c’era un altare sopra il quale si praticavano i vari sacrileghi riti seguiti dai massoni, specialmente quelli di grado più alto.

La verità che trapela da questa rivelazione è inequivocabile.

La massoneria ai vari iniziati di rango inferiore non rivela mai apertamente cosa essa davvero adora.

Preferisce trincerarsi dietro la criptica espressione del “Grande Architetto dell’Universo”, una entità misterica dietro la quale in realtà non si cela altro che Lucifero, l’angelo caduto.

Ai vari aspiranti massoni non viene mai detta subito tale verità nel timore di poterli spaventare e far rivelare al mondo esterno l’inconfessabile segreto della libera muratoria.

Soltanto dopo un attento processo di “valutazione” interna da parte dei capi della massoneria si giudica il candidato più adatto per salire i gradini dei 33 gradi, e anche oltre, che portano alla rivelazione suprema e ultima della natura luciferiana e anticristiana di questa organizzazione.

Il grado superiore segreto della massoneria

Clotilde Bersone ebbe questo “privilegio”.

I vari capi degli Illuminati fondati nel 1776 dal citato Weishaupt avevano chiesto a suo padre di portare la giovane in loggia perché la si voleva iniziare ai misteri più nascosti dell’alta massoneria e la si voleva usare meglio per gli scopi dell’organizzazione.

Una volta superato lo choc di vedere che ai gradi più alti della massoneria si venera apertamente il dragone, ovvero Satana, Clotilde entra in un’altra stanza nella quale trova il quadro di un personaggio citato poco fa, ovvero Giuseppe Mazzini.

La Bersone narra così quello che vide.

Era il ritratto di Giuseppe Mazzini, capo supremo dell’Antica Carboneria, poi del Consiglio dei Maestri Perfetti da dove si era originata questa nuova sètta di Illuminai Superiori che presiedeva, a sua volta, su tutti  i massoni dei gradi inferiori. Mazzini, ritto, s’appoggiava a un Dragone come quello della sala. Teneva in mano una corona reale, da cui sembrava strapparne ad un ad una le gemme, con un ghigno sarcastico e crudele. Ai sui piedi il suolo era cosparso di crani e ancora coperti o di mitra o di diadema. dietro il tribuno, si ergeva una donna, fluida e bianca, che con una mano porge a a Mazzini una coppa piena di sangue fino all’orlo, e nell’altra teneva un globo terrestre, al piede s’avvinghiava un serpente, Mazzini indossava un magnifico costume che, poi, ho veduto essere quello del Grand’Oriente delle Grandi Logge degli Illuminati.”

La testimonianza dell’aspirante massona acquista ancora più credibilità perché essa coincide perfettamente con quanto rivelato da Domenico Margiotta nella sua produzione saggistica sulla massoneria di alto livello.

Giuseppe Mazzini fino agli ultimi anni della sua vita era appunto parte di quel circolo segreto, il cosiddetto  e già citato rito palladiano, del quale facevano parte anche personaggi come Albert Pike che fino alla sua morte è stato il leader universale della massoneria prima di lasciare il testimone ad Adriano Lemmi, discepolo dello stesso Mazzini.

La Bersone era entrata, per così dire, nel “sancta sanctorum” della massoneria più alta, il livello superiore che governava ogni singola loggia del mondo e del quale soltanto pochissimi eletti sono a conoscenza.

La massoneria, come si vede, fa credere al pubblico esterno che i suoi capi siano i cosiddetti Gran maestri del 33° grado, ma al di sopra di essi ci sono i veri burattinai delle logge che impartiscono nel segreto più assoluto a tutti le varie direttive da eseguire.

Tempo addietro qualche magistrato, come Agostino Cordova, si stava avvicinando al piano più elevato delle logge massoniche prima appunto di essere fermato da altri magistrati come la moglie di Bruno Vespa, Augusta Iannini, che gli sfilarono e l’archiviarono in quel porto delle nebbie che è la procura di Roma.

Una volta entrata a contatto con quel mondo orribile, Clotilde sembra voler iniziare a scalare il potere di quelle logge segrete per vedere fino a dove esso si spinge e mentre lo fa sembra coltivare al tempo stesso il segreto intento di uno spirito di rivalsa nei confronti di quegli uomini che disprezzava.

I riti satanici dei leader della libera muratoria

Iniziano così i riti più abominevoli che si possano immaginare.

La donna dopo essere stata marchiata a fuoco dal suo amante e massone di altissimo grado, il futuro presidente degli Stati Uniti, James Garfield, e dopo aver eseguito un omicidio rituale è costretta ad eseguire gli ordini dei suoi superiori senza discutere.

E’ così che viene chiamata un giorno a procurarsi delle ostie durante la settimana Santa per mettere in atto una serie di riti dissacratori così tanto amati dai massoni.

Clotilde riluttante esegue e narra quello che viene fatto con queste ostie durante il giorno della Passione di Cristo.

Confondendomi deliberatamente all’afflusso degli Affiliati, che in silenzio si recavano al piano superiore, mi trovai nella Camera Verde, ove aspettammo gli Iniziati e gli Adepti. Appena giunti, si iniziò, se così si può osar dire, la festa, con una cerimonia comune. Al muro della sala, dal lato del Posto di vigilanza, era addossato un altare di marmo bianco, il cui centro portava un incavo. Al di sopra, giaceva un agnello, anch’esso di marmo; la sua testa era coronata di spine e le zampe trafitte da chiodi, il cuore trapassato da una lancia. Non c’era bisogno di spiegare questo simbolismo. Il Dragone e l’Agnello; il Cristo e l’Anticristo: tutto il vero segreto della Massoneria universale era là, schiacciando i miei occhi che non volevano vedere. Ed é per questo che questa festa della crocifissione è la Pasqua trionfale delle Logge; per questo tutte le Logge, in luogo della domenica dei cristiani, sognano, un po’ dappertutto sulla terra, di fare del venerdì il loro giorno di riposo e di baldoria per commemorare la loro vittoria. Quando furono tutti riuniti e disposti dinanzi questo apparato, un Fratello postulante, salendo l’altare, afferrò un agnello vivo, lo scannò e, metodicamente, lo trafisse con tutti gli strumenti della Passione, come nell’Agnello di marmo. Ne distaccò poi la testa, i piedi e il cuore, cinicamente e sapientemente seviziati dalle sue mani, e questi pezzi gettò, come per purificar tutto col fuoco, nel braciere di bronzo, dove fu immerso nella coppa di marmo, come per purificare tutto con l’acqua. Il sacrificatore, allora, si lavò le mani nel sangue che riempiva la cavità in mezzo all’altare; afferrò il ciborio, ne consumò l’Ostia consacrata, stritolò e insozzò a suo piacimento le altre ostie, recitando in ebraico la parodia di un testo sacro: “Non sei più tu che vivi, ma io che vivo in te, e t’immolo con le tue stesse mani”!

I signori che governano la massoneria, come si vede, sono gli uomini più degenerati e corrotti che il genere umano abbia mai visto.

Il Venerdì Santo che per i cristiani e i cattolici è un giorno di penitenza e di ringraziamento per il sacrificio offerto da Gesù sulla croce, per i liberi muratori è un giorno da oltraggiare con un sacrificio blasfemo di un agnello, parodia del Cristo agli occhi dei massoni, seguito poi da una dissacrazione dell’ostia consacrata che rappresenta il corpo di Cristo.

Nelle pagine di Pasque di Sangue, il libro “proibito” di Ariel Toaff, si narra di sacrifici simili da parte delle comunità ebraiche nei secoli passati che utilizzavano sacrificare alcuni bambini, come riferisce tra gli altri il pittore ebreo Israel Wolfgang, per dissanguarli e oltraggiare ancora una volta la morte di Cristo sulla croce.

Tolto ogni orpello misterico ed esoterico, la massoneria si rivela per essere null’altro che una espressione del satanismo più sfrenato e sacrilego praticato dalle varie “elite” che governano questa setta satanica.

La Bersone dopo aver assistito a questo ripugnante atto partecipa all’atto successivo che vede un altro bestiale omicidio rituale di un malcapitato portato nella stanza del sacrificio, seguito poi da un’altra profanazione delle ostie e del crocefisso spezzato e gettato sulla tavola imbandita nella quale i vari appartenenti a questo grado più elevato della massoneria brindavano alla morte del papa e alla morte della Chiesa Cattolica.

Se c’era un massimo livello di degradazione morale e spirituale, quello era il quale era arrivata la giovane donna piombata nelle viscere della più spinta depravazione satanica.

Qualcosa però inizia a cambiare nell’animo di Clotilde. Dopo aver invocato più volte Satana, si rende conto che questi non è altro che un falso dio e che invece è Cristo il vero Dio al quale l’angelo caduto deve soggiacere.

La sua ribellione viene notata dagli altri massoni e viene allontanata e rinchiusa in una casa di tolleranza per punizione nella quale rimane incinta, ma ormai la conversione della donna è inarrestabile.

Risoluta nel non voler consegnare il suo bambino al Moloch, e la donne cita esplicitamente la divinità ebraico-babilonese alla quale si sacrificavano gli infanti, la Bersone decide di prendere i voti, diviene suora, e rivela quanto da lei testimoniato nelle sue memorie consegnate agli uomini di Chiesa che le tradussero e le hanno fatte arrivare oggi a noi.

Gli altri membri degli Illuminati vengono informati da lei stessa di quanto fatto da lei, e così Clotilde va incontro al suo martirio quando viene uccisa e crocefissa nella loggia di Parigi dove un tempo lei stessa partecipava alla varie profanazioni massoniche.

La storia di questa donna, dimenticata e conosciuta da pochi, è ancora oggi una lezione fondamentale sulla vera natura della massoneria ma soprattutto è una lezione sulla straordinaria unicità della religione cattolica.

Anche il più dannato può redimersi se riscopre la fede.

Nessuna loggia massonica potrà mai fare nulla contro la verità e la forza del cristianesimo.

 

Fonte: https://www.lacrunadellago.net/clotilde-bersone-confessioni-di-una-ex-sacerdotessa-della-massoneria/

Trump, la Dottrina Monroe e le Sfide dell’Unione Europea.

Condividi su:
di Matteo Castagna

E’ necessario fornire un’analisi sull’insediamento di Donald Trump che vada oltre la retorica propagandistica e le opposte tifoserie. E’ un’operazione che non si fa mai a caldo, ma dopo aver riflettuto ed aver osservato le reazioni. Contrappesi, contingenze, contesti possono essere determinanti, in politica, fino a bloccare il potere esecutivo di qualsiasi inquilino della Casa Bianca. L’abbiamo visto con la denuncia degli Stati in mano ai Democratici, che hanno bloccato l’ordine esecutivo contro lo ius soli, portando la questione in tribunale.

Lo vedremo, se il Congresso darà sempre l’assenso, a maggioranza, ai provvedimenti, perché il Presidente non può fare tutto ciò che vuole, in quanto dispone di vincoli costituzionalmente garantiti. Un altro esempio concreto è rappresentato dall’ordine di sospendere i finanziamenti all’estero per 90 giorni, che, però, a quanto sembra dalle fonti documentali e personali del Financial Times, escluderebbe l’Ucraina.

Anche lo sfegatato “no vax” Robert Kennedy jr., nominato ministro della Sanità americana, ha già tirato il freno a mano rispetto alla campagna elettorale, dicendo di non voler più gettare i vaccini nella pattumiera, ma soltanto di dare loro maggiore trasparenza.

Ciononostante, la narrativa del presidente nel suo discorso di insediamento del 20 gennaio 2025 ha davvero rivelato molto, sia della volontà, sia della sua impostazione mentale, sia della visione d’insieme, che sarà attribuita alle scelte della nuova amministrazione.

Ciò che ha fatto impazzire molti progressisti è stata la presenza alla cerimonia dei grandi magnati del tecno-capitalismo americano: Mark Zuckerberg (Meta),  Sundar Pichai (Google), Jeff Bezos (Amazon) e Elon Musk (X, SpaceX, Tesla). E’ una dimostrazione di forza di chi promette di rendere il Paese “più grande, più forte, molto più eccezionale” di prima. “Da oggi, il declino dell’America è finito”, ha specificato The Donald.

Brucia ai globalisti che nessuno di questi uomini più potenti della terra fosse presente all’insediamento di Joe Biden, nel 2020, quando l’ospite più importante fu Lady Gaga. Quattro anni fa, non ci furono esponenti politici stranieri. Stavolta, invece, non è passata certo inosservata la presenza, assai eloquente, di Giorgia Meloni per l’Europa e del presidente argentino Javier Milei per l’America Latina.

Il codazzo di pubbliche rosicate si è letto solo da esponenti di centro-sinistra nostrani, che non perdono mai l’occasione di dimostrare totale mancanza di senso delle Istituzioni e invidie personali, ossia di gran provincialismo, il quale è sempre oggetto di scherno, Oltreoceano.

Per non parlare, poi, della ridicola levata di scudi dei soloni del nostro politicamente corretto per il saluto di Musk, così grave da aver meritato la risata dell’autore, l’indifferenza dei media e dei politici americani e, addirittura, parole ampiamente distensive da parte del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che conosce come un po’ eccentrico il miliardario di origine sudafricana, ma non certo come un nazista antisemita. Queste accuse hanno prodotto fiumi d’inchiostro inutile solo qui e perdite di tempo sui social. Un antico proverbio dice che “con l’inchiostro, una mano può innalzare un furfante ed abbassare un galantuomo”, sembrando descrivere alla lettera il modello comunicativo di certa stampa sinistra occidentale.

Sul piano economico, da tempo l’immagine prevalente nei discorsi dei nuovi presidenti è quella di un Paese che deve risollevarsi da una crisi non grave, ma capitale. Lo disse Obama nel 2009, Trump nel 2017, Biden nel 2021, e di nuovo Trump stavolta. Da questo punto di vista, la novità è il tono particolarmente religioso usato da Donald Trump, che assume direttamente su di sé, la capacità di assicurare “il ritorno dell’età dell’oro”. Un po’ come faceva Silvio Berlusconi, quando si riteneva l’ unto dal Signore, in grado di liberare l’Italia dall’egemonia comunista.

“Il proiettile di un assassino mi ha strappato l’orecchio – ha ricordato riferendosi all’attentato subito a Butler, Pennsylvania il 13 luglio durante un comizio – ma Dio mi ha tenuto in vita per riportare l’America alla sua grandezza”. Trump ha, spesso, espresso in passato questo concetto, ma l’ufficialità del discorso d’insediamento ci porta a constatare che il nuovo presidente riconosce il divino come fonte di legittimazione del proprio potere.

Lo stesso George Washington, nel suo discorso di insediamento, nel 1789, davanti al Congresso, parlò di una repubblica che “per meritare il sorriso benevolo del Cielo” avrebbe dovuto seguire “le regole eterne dell’ordine e della legge”. Non il contrario. Ed è in questo solco che si possono mettere gli ordini esecutivi relativi all’etica, ossia l’abrogazione dei “generi” provenienti dall’ideologia gender e woke, per il ritorno agli unici sessi “maschio e femmina”, come Dio li creò.

Nell’ottica di una dimensione religiosa va vista anche la volontà di iniziare le cerimonie d’insediamento in chiesa, sebbene la “vescovessa” evangelica si sia lasciata trasportare in un patetico sermone sui presunti bambini gay e trangender da tutelare. Potrebbe essere motivo di riflessione, da approfondire con il suo amico e collaboratore Mel Gibson, cattolico tradizionalista, per l’inizio di un processo di conversione, a Dio piacendo.

La Costituzione, che spesso è il cuore dei discorsi di inaugurazione dei presidenti, è stata quasi del tutto ignorata da Trump, così come il Congresso (questo, ignorato del tutto). Il presidente ha immediatamente firmato circa cento ordini esecutivi, cioè dei decreti, nonostante disponga della maggioranza sia alla Camera che al Senato, per dimostrare, subito, come un vulcano, che lui è l’uomo del fare, al contrario del predecessore.

Tra di essi, fondamentale perché gli effetti si ripercuoteranno anche in Europa, è la chiusura dei rubinetti all’Organizzazione Mondiale della Sanità e un segnale politico importante è l’uscita dagli Accordi di Parigi sulla lotta al cosiddetto riscaldamento globale, cui Trump non crede. Il concetto è stato ribadito a Davos, al meeting del World Economic Forum, che ha fatto del green Deal la sua bandiera, ma che il tycoon ha subito ammainato, con parole severe e tranchant.

Il Presidente, come altro pilastro della sua legittimazione, ha sottolineato l’ampiezza della sua vittoria elettorale, con un’America “che si unisce sul mio programma”: “abbiamo vinto tutti gli swing States”, “abbiamo guadagnato consensi in tutte le categorie”, “abbiamo vinto il voto popolare di milioni di voti”.

Il 5 novembre Trump si è imposto con il 49,8% e 77 milioni di voti, contro il 48,3% di Kamala Harris e 75 milioni di voti. La vittoria c’è tutta ed è stata riconosciuta dagli avversari, ma i numeri dicono che l’America non è propriamente unita sul suo programma.

Su questo, il neo-eletto presidente dovrà prestare particolare attenzione perché, se da un lato la polarizzazione del voto è una caratteristica che include anche il terzo polo, formato dall’ astensionismo, determinati errori potrebbero essergli fatali per il futuro.

Non perderà consensi sul pugno di ferro verso l’immigrazione clandestina, che vede nei sondaggi un ampio consenso, allargato a moltissimi elettori democratici, ma dovrà tenere presente quanto gli statunitensi desiderino la pace e la tranquillità economica, in un ordinato sistema sociale, che sappia anche creare welfare e andare incontro alle fasce più deboli della popolazione.

Anche individuare una specifica urgenza nazionale è stato tipico degli ultimi discorsi di insediamento. Per Obama fu come far funzionare il mercato e lo stato in maniera più giusta per tutti (si era poco dopo lo scoppio della crisi del 2008), per il Trump del primo mandato fu “restituire il potere al popolo”, per Biden fu la difesa della democrazia (si era poco dopo l’assalto a Capitol Hill).

Trump ha trasformato l’urgenza in “emergenza”: l’immigrazione clandestina, contro la quale verranno utilizzati tutti i mezzi a disposizione, compreso l’abolizione del diritto alla cittadinanza americana per i bambini che nascono da persone che si trovano negli USA irregolarmente. “Milioni di stranieri criminali saranno rimpatriati”, garantisce il Presidente.

Ma c’è una seconda “emergenza nazionale”: quella energetica. Da quasi dieci anni gli Stati Uniti hanno raggiunto l’indipendenza energetica, ossia vendono all’estero molta più energia (gas e petrolio) di quanta ne comprino. Ma con l’espressione Drill, baby, drill (“trivella, baby, trivella”) il nuovo presidente promuove un ulteriore aumento della produzione nazionale di idrocarburi, con l’obiettivo, dice, di abbassare i prezzi. Prezzi che al momento sono determinati dall’intesa sostanziale tra Arabia Saudita e Russia. Presto ci sarà un incontro con Putin, in cui saranno vari i dossier aperti, mentre quello dell’Ucraina di Zelensky non sembrerebbe preoccupare più di tanto. Per alcuni analisti sarebbe forte la tentazione di Trump di lasciare la patata bollente alla UE.

Al contrario di molti altri predecessori, compreso l’ultimo repubblicano, George W. Bush, che nel 2001 si era mantenuto su temi di principio, come la responsabilità individuale e la partecipazione civica, da stimolare durante il suo mandato (sarebbe poi stato ricordato per aver lanciato le disastrose guerre di Afghanistan e Iraq), Trump è sceso molto nel dettaglio. In particolare, ha garantito che l’America ricostruirà la sua potenza industriale, che oggi è doppiata dalla Cina, partendo dalla produzione di automobili, vecchia gloria nazionale, ormai sbiadita.

Per fare questo, gli Stati Uniti “si dis-impegneranno dalle aree di conflitto nel globo”, per concentrarsi sulle proprie esigenze locali. Qui arriva il riferimento a Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e alleato di Trump, capace di costruire egemonia attraverso i suoi canali comunicativi. Musk “porterà l’America su Marte”. E Musk sarà il titolare del nuovo “ministero dell’Efficienza”, che si occuperà di tagliare la spesa pubblica, con l’obiettivo ideale di diminuirla del 75%.

A questo punto, pare che Trump voglia riprendere ed attualizzare la cosiddetta “dottrina Monroe”, che indica un messaggio ideologico del Presidente degli Stati Uniti James Monroe, contenuto nel discorso sullo stato dell’Unione, pronunciato innanzi al Congresso, il 2 dicembre 1823, che esprime l’idea della supremazia degli States nel continente americano. Monroe affermò, in quel discorso, che qualsiasi intromissione di potenze straniere negli affari politici del continente americano, sarebbe stata considerata ostile.

Con un linguaggio più moderno ciò significa che la dottrina Monroe annunciava al mondo che gli USA erano decisi a preservare la propria integrità territoriale, soprattutto contro le pretese e le rivendicazioni sulla costa nordoccidentale del Pacifico. Roosevelt adattò questa teoria alla sua politica e Trump sembrerebbe voler riprendere in mano, anche nelle questioni riguardanti il Canada e la Groenlandia, ma soprattutto nell’apparente volontà di rimanere fuori dall’interventismo in Europa, che ha caratterizzato le politiche americane dal 1945 ad oggi.

Sarà pronta l’UE a camminare con le sue gambe? Ecco la sfida che, forse, i burocrati di Bruxelles non hanno ancora colto, ma che sarebbe una grande opportunità di indipendenza e sovranità per costruire un’Europa politica forte, che sappia cooperare con tutto il resto del mondo in un sistema multipolare in cui tutti i Paesi possano fornire il meglio delle loro eccellenze.

Trump dedica la sua conclusione all’America mitica ed eccezionale “che ha superato tutte le sfide che ha incontrato”, “che ha formato i più straordinari cittadini della Terra”, “che tornerà a vincere come mai prima”, “che fermerà tutte le guerre”. Non c’è più notizia dell’impegno di chiudere la guerra in Ucraina “nel primo giorno del mio mandato”, preso in campagna elettorale. Ma c’è la rivendicazione del cessate il fuoco tra Hamas e Israele, concesso dal premier Netanyahu, tre giorni prima del discorso, poco dopo aggirato dall’esercito israeliano con una serie di attacchi micidiali in Cisgiordania.

“La nostra società sarà basata esclusivamente sul merito”, dice riferendosi all’impegno di eliminare tutte le regole in difesa di minoranze e categorie protette. “La libertà di espressione trionferà e non ci sarà più censura”, dice riferendosi alla pratica da imporre non solo sulle reti sociali, ma anche nei media tradizionali, di eliminare il fact-checking, il controllo fattuale, prima della pubblicazione di dichiarazioni pubbliche.

“Da oggi, gli Stati Uniti d’America saranno un Paese libero e indipendente”, chiude Trump. Noi ce lo auguriamo anche per l’Europa.

 

 

Fonte: https://www.marcotosatti.com/2025/01/27/trump-la-dottrina-monroe-e-le-sfide-dellunione-europea-matteo-castagna/

Morte del GEC, braccio armato della Disinformazione e Censura del Governo USA

Condividi su:

EDITORIALE

di Matteo Castagna per Stilum Curiae di Marco Tosatti https://www.marcotosatti.com/2024/12/28/morte-del-gec-braccio-armato-della-disinformazione-e-censura-del-governo-usa-matteo-castagna/

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna, a cui va il nostro grazie, offre alla vostra attenzione queste riflessioni sul panorama geopolitico. Buona lettura e condivisione.

di Matteo Castagna

The Guardian ci informa che l’ ex capo della NatoJens Stoltenberg, è stato nominato nuovo co-presidente dell’influente Club Bilderberg, uno dei think thank sovranazionali, di indirizzo globalista, più noti al mondo.

Stoltenberg assume ora la presidenza del suo principale forum di discussione: un evento di quattro giorni ferocemente privato, frequentato da primi ministri, commissari dell’UE, capi di banche, amministratori delegati di aziende, leader dell’intelligence e, pure giornalisti. La sua nomina a co-presidente del Bilderberg consolida il ruolo del gruppo, al centro della strategia transatlantica. 

Nel frattempo, in America iniziano i cambiamenti della nuova era Trump. I“Global Engagement Center” del Dipartimento di Stato, accusato di censurare gli americani, chiude i battenti“Il Dipartimento di Stato si è consultato con il Congresso in merito ai prossimi passi”, ha affermato un portavoce.

Morgan Phillips e Michael Dorgan, con la supervisione del direttore esecutivo di Fox News, Mike Benz, hanno realizzato un servizio molto importante. Il “centro di disinformazione estera” del Dipartimento di Stato, accusato dai conservatori di censurare i cittadini statunitensi, ha chiuso i battenti, questa settimana, per mancanza di finanziamenti.

Elon Musk aveva definito il Global Engagement Center (GEC), fondato nel 2016, il “peggior trasgressore della censura del governo statunitense e della manipolazione dei media”, e i suoi finanziamenti sono stati revocati, come parte del National Defense Authorization Act (NDAA), la legge politica annuale del Pentagono.

“Il Global Engagement Center cesserà per effetto di legge [entro la fine della giornata] il 23 dicembre 2024”, ha affermato un portavoce del Dipartimento di Stato in una dichiarazione.

I legislatori avevano inizialmente incluso i finanziamenti per il GEC nella sua risoluzione continua (CR), o disegno di legge per finanziare il governo oltre la scadenza di venerdì. Ma i conservatori si sono tirati indietro da quella versione del disegno di legge sui finanziamenti, che è stato riscritto senza fondi per il GEC e altri finanziamenti. L’agenzia aveva un budget di circa 61 milioni di dollari e 120 persone nello staff.

In un momento in cui avversari come l’Iran e la Russia seminano disinformazione in tutto il mondo, i repubblicani hanno visto poco valore nel lavoro dell’agenzia, sostenendo che gran parte delle sue analisi di disinformazione è già offerta dal settore privato.

Il GEC, secondo il giornalista Matt Taibbi“ha finanziato un elenco segreto di subappaltatori e ha contribuito a creare una nuova forma insidiosa e idiota di lista nera” durante la pandemia.

L’anno scorso, Taibbi ha utilizzato i file di Twitter in cui il GEC “ha segnalato account come ‘personaggi e proxy russi’ in base a criteri come ‘descrivere il Coronavirus come un’arma biologica ingegnerizzata’, incolpare ‘la ricerca condotta presso l’istituto di Wuhan’ e ‘attribuire la comparsa del virus alla CIA’”.

“Lo Stato ha anche segnalato account che hanno ritwittato la notizia che Twitter aveva bandito il popolare sito web statunitense ZeroHedge, sostenendo che ‘ha portato a un’altra raffica di narrazioni di disinformazione’“. ZeroHedge aveva fatto dei rapporti ipotizzando che il virus avesse un’origine di laboratorio.

Il GEC fa parte del Dipartimento di Stato, ma collabora anche con il Federal Bureau of Investigation, la Central Intelligence Agency, la National Security Agency, la Defense Advanced Research Projects Agency, lo Special Operations Command e il Department of Homeland Security. Il GEC finanzia anche il Digital Forensic Research Lab (DFRLab) dell’Atlantic Council.

Il direttore del DFRLab Graham Brookie ha precedentemente negato l’affermazione secondo cui utilizzano i soldi delle tasse per tracciare gli americani, affermando che le sovvenzioni del GEC hanno “un focus esclusivamente internazionale”.

Un rapporto del 2024 della Commissione per le piccole imprese della Camera guidata dai repubblicani ha criticato il GEC per aver assegnato sovvenzioni a organizzazioni il cui lavoro include il tracciamento di informazioni errate nazionali ed estere e la valutazione della credibilità degli editori con sede negli Stati Uniti, secondo il Washington Post.

La causa è stata intentata dal procuratore generale del Texas Ken Paxton, The Daily Wire e The Federalist, che hanno citato in giudizio il Dipartimento di Stato, il Segretario di Stato Antony Blinken e altri funzionari governativi all’inizio di questo mese per “aver preso parte a una cospirazione per censurare, deplatformare e demonetizzare i media americani sfavoriti dal governo federale”.

“Il Congresso ha autorizzato la creazione del Global Engagement Center espressamente per contrastare la propaganda e la disinformazione straniere”, ha affermato l’ufficio del procuratore generale del Texas in un comunicato stampa. “Invece, l’agenzia ha trasformato questa autorità in un’arma per violare il Primo Emendamento e sopprimere le opinioni degli americani garantite dalla Costituzione.

La denuncia descrive il progetto del Dipartimento di Stato come “una delle più atroci operazioni governative per censurare la stampa americana nella storia della nazione”.

La causa sostiene che The Daily Wire, The Federalist e altre organizzazioni di notizie conservatrici erano state etichettate come “inaffidabili” “rischiose” dall’agenzia, “privandole di entrate pubblicitarie e riducendo la circolazione dei loro reportage e servizi, il tutto come risultato diretto del piano di censura illegale [del Dipartimento di Stato]”.

Nel frattempo, America First Legal, guidata da Stephen Miller, la scelta del presidente eletto Trump per il ruolo di vice capo dello staff per la politica, ha rivelato che il GEC aveva utilizzato i soldi dei contribuenti per creare un videogioco chiamato “Cat Park” per “vaccinare i giovani contro la disinformazione” all’estero.

Il gioco “vaccina i giocatori … mostrando come titoli sensazionalistici, meme e media manipolati possono essere utilizzati per promuovere teorie cospirative e incitare alla violenza nel mondo reale”, secondo un promemoria ottenuto da America First Legal.

La Foundation for Freedom Online, ha affermato che il gioco era “anti-populista” e promuoveva determinate convinzioni politiche invece di proteggere gli americani dalla disinformazione straniera, secondo il Tennessee Star.

Da notare che in Italia non esiste una struttura governativa di controllo della veridicità delle notizie e contro le censure. L’Ordine dei Giornalisti dovrebbe essere titolato a questo compito, ma, spesso, lo adempie solo su segnalazione. 
Invece, sarebbe opportuno evitare la faziosità, la manipolazione delle notizie e la mancanza di controllo sui media di Stato con uno strumento legislativo simile, che dipenda dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed abbia poteri concreti, perché in un mondo ove le informazioni sono già vecchie dopo poche ore, disporre di una comunicazione pubblica corretta dovrebbe rientrare tra i diritti degli italiani.
1 2 3 4 35