I Giudei non piacciono a Dio

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Scritto e segnalato da don Curzio Nitoglia

Introduzione

Non è una frase di Rosenberg, né di Hitler e neppure di Goebbels, ma è stata scritta da San Paolo (1Tess., II, 15-16) e quindi è divinamente rivelata, ispirata e infallibilmente vera.

Il testo di S. Paolo

La frase intera, in due versetti, suona così: “I quali [Giudei] hanno perfino messo a morte il Signore Gesù [“Dominum occiderunt Jesum”] e i Profeti ed hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio [“Deo non placent”] e sono nemici di tutti gli uomini [“omnibus hominibus adversantur”], impedendo a noi di predicare ai Pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano la misura dei loro peccati! Ma oramai l’ira di Dio è arrivata al colmo sul loro capo [“pervenit enim ira Dei super illos uque in finem”]”.

Il Commento di S. Tommaso d’Aquino

Vediamo il commento che ne fa S. Tommaso d’Aquino: «Non importa se furono i Romani ad ucciderlo, perché furono gli stessi Giudei che con le loro grida chiesero a Pilato di crocifiggerlo. […]. Poi l’Apostolo parla dei Profeti dell’Antico Testamento dei quali pure sta scritto negli Atti degli Apostoli (VII, 52): “Quale dei Profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta di Cristo, del quale ora voi siete divenuti traditori e uccisori [“proditores et homicidae”]”. Perciò essi non piacciono a Dio [“Deo non placent”] perché non operano con una fede retta e “senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Ebr., XI, 6). Infine S. Paolo mostra che i Giudei “sono nemici di tutti gli uomini [“omnibus hominibus adversantur”]”. Infatti sono nemici perché vietano e impediscono a noi Apostoli del Nuovo Testamento di predicare a tutti gli uomini e così ostacolano la loro conversione. […]. Così essi vivono sino a quando giungeranno al punto in cui Dio permette. Infatti Dio, dopo la passione di Cristo, concesse ai Giudei uno spazio di 40 anni per la penitenza, però essi non solo non si convertirono, ma aggiunsero peccati a peccati. E Dio non lo tollerò più. […]. Tuttavia non pensare che quest’ira divina duri per 100 anni, bensì durerà “sino alla fine” del mondo [“usque in finem” mundi], allorché la totalità dei Pagani avrà abbracciato la fede in Cristo» (Thomas AquinatisExpositio et lectura super Epistolas Pauli Apostoli. Super Primam Epistolam ad Thessalonicenses Lectura, Lectio II, caput 2, versiculi 15-16). Continua a leggere

Siamo rassegnati a non contare nulla: il vuoto elettorale e le guerre in Medio Oriente

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di Alberto Negri

Siamo rassegnati a non contare nulla: il vuoto elettorale e le guerre in Medio Oriente

Fonte: Alberto Negri

Comprendere il groviglio di interessi delle potenze in conflitto Medio Oriente e lungo l’arco della crisi che arriva fino all’Asia è un’impresa perché gli stati e gli attori coinvolti sono avviluppati in alleanze contradditorie: la stessa fondamentale relazione amico-nemico è diventata mutevole e in certi casi quasi indistinguibile. Sembrano cose lontane ma se seguiamo il filo rosso degli eventi vediamo come queste vicende ci coinvolgano direttamente, anche qui in Italia, dove ci si accoltella, in senso vero o figurato, per vicende elettorali prive di qualunque interesse tattico e strategico. Come se fossimo rassegnati a non contare nulla e invece portiamo anche noi pesanti responsabilità.

La lotta al terrorismo, sbandierata per anni, si rivela, ogni giorno di più, una tragica presa in giro. Arabia Saudita, Turchia e Cina, in questi giorni stanno tentando di fermare l’iniziativa americana di mettere il Pakistan sulla lista dei Paesi finanziatori del terrorismo dopo che Washington ha congelato gli aiuti Usa a Islamabad. I pakistani stanno inviando nel Golfo un migliaio di soldati per appoggiare i sauditi nell’interminabile guerra in Yemen contro i ribelli sciiti Houthi, la Cina ha un contingente in Pakistan di 12mila uomini a protezione dei suoi porti mentre la Turchia è storicamente legata a Islamabad da rapporti economici e militari.

Ma oltre a questi evidenti interessi c’è ben altro. L’Arabia Saudita ha finanziato per anni i gruppi jihadisti in funzione anti-iraniana, è coinvolta più o meno direttamente nell’11 settembre, mentre la Turchia di Erdogan manovra migliaia di jihadisti nella guerra anti-Assad. Il Pakistan è stato per un decennio insieme ai sauditi l’alleato chiave degli Usa nella guerra contro l’Urss in Afghanistan ma è anche il Paese che ha ospitato la latitanza di Osama bin Laden e sostiene i gruppi talebani e jihadisti in Afghanistan contro la coalizione a guida americana. Continua a leggere

Erdogan re del Mediterraneo. Eni costretta a lasciare Cipro

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di Gian Micalessin

Erdogan re del Mediterraneo. Eni costretta a lasciare Cipro

Fonte: Il Giornale

Sconfitti e umiliati. A far girare il bollettino della disfatta italiana ci pensa il governo di Nicosia annunciando che Saipem 12000, la nave da ricerca dell’Eni bloccata dalla marina militare turca al largo di Cipro è «costretta a tornare indietro».
Un eufemismo dietro il quale si nasconde la triste realtà di un Mediterraneo assoggettato alla volontà del sultano Erdogan. Un sultano che ci ha imposto con prepotenza politica e tracotanza militare l’abbandono di quel blocco 3 della zona economica esclusiva di Cipro dove l’Eni era impegnata a cercare nuovi pozzi di gas su mandato di Nicosia. Un sultano contro il quale non hanno trovato il coraggio di alzare la voce né l’Italia, né l’Europa, né l’Onu. Ma partiamo dall’Eni. Prenderla a esempio della debolezza dell’Italia è fuori luogo.

L’Eni è sicuramente lo scrigno di molti e importanti interessi nazionali. E le sue prospezioni e le sue ricerche contribuiscono a garantire il fabbisogno energetico nazionale. Ma l’Eni è soprattutto un’azienda e deve render conto in primis ai suoi azionisti. Il piratesco arrembaggio di una Turchia pronta a muovere le sue fregate e a decretare un blocco navale mascherato da esercitazione militare costava all’Eni circa 600mila dollari al giorno. Proseguire in questa situazione in assenza di assicurazioni politico-diplomatiche da Roma – e soprattutto da Bruxelles e dall’Onu – veri garanti della legittimità della Zona Economica Esclusiva di Cipro – era impossibile. Più i giorni passavano e più i costi diventavano insostenibili. Continua a leggere

Fake News, intervista a Enrica Perucchietti: “Sempre più vicini allo psicoreato”

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di Enrica Perucchietti

Fake News, intervista a Enrica Perucchietti: "Sempre più vicini allo psicoreato"

Fonte: Redazione Web Macro

L’ultimo libro di Enrica Perucchietti può essere considerato un vero e proprio grido d’allarme. Parliamo di Fake News (Arianna Editrice), che si avvale della prefazione di Marcello Foa. La battaglia in corso contro le cosiddette fake news è, in realtà, per Perucchietti un ulteriore grande passo verso una forma moderna di psicoreato, voluta da forze governative che non accettano il pensiero controcorrente.

Un tema super-bollente soprattutto in questi tempi dove il termine fake news è diventato quasi di moda ma dietro ci sono realtà e nuovi rischi non sempre di facile interpretazione. Il libro intende essere una bussola proprio per capire meglio “chi e cosa c’è dietro”, come testimonia l’intervista che abbiamo fatto all’autrice.

Perché questo libro? Come autrice affermata, quali sono le esigenze che l’hanno portata a scrivere questo nuovo saggio critico?

Negli ultimi anni ho approfondito sempre di più il tema della manipolazione e del controllo sociale. L’attuale battaglia globale contro le fake news si inserisce in questo ambito: ritengo infatti che sia una forma di strumentalizzazione per convincere l’opinione pubblica a introdurre il reato d’opinione e soprattutto censurare l’informazione alternativa che si svolge soprattutto sul web. Il potere oggi, come il Grande Fratello orwelliano, sottomette le menti dei cittadini tramite il “controllo della realtà” e niente deve sfuggire alle maglie del suo dominio onnipervasivo. Il potere, cioè svuota le menti dei cittadini per riempirle con i propri contenuti: chi si oppone, chi dissente viene accusato di “psicoreato”. Nel libro, mostro come molte tematiche affrontate da Orwell in 1984 si sono o si stanno concretizzando.

Oggi chi non si allinea al pensiero unico e al politicamente corretto viene infatti perseguitato, rischia la censura e in futuro, grazie alle proposte politiche di cui parlo ampiamente nel libro, verrà punito con sanzioni se non addirittura con l’arresto. Continua a leggere

I violenti e le parole ambigue

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Segnalazione Arianna Editrice

di Ernesto Galli Della Loggia – 25/02/2018

I violenti e le parole ambigue

Fonte: Corriere della Sera

«Noi condanniamo qualsiasi violenza e da qualsiasi provenienza. Però non possiamo fare a meno di ricordare che l’Italia è una Repubblica fondata sull’antifascismo, che la nostra Costituzione è antifascista». Queste a un dipresso le parole di tanti esponenti dello schieramento di sinistra a commento dei gravissimi incidenti di Torino e in genere di quanto sta succedendo in molti luoghi d’Italia. Parole che per l’appunto ruotano intorno a una formula in questi giorni sentita e risentita: la nostra è una Costituzione antifascista.

Sta bene. Si dà il caso però che la storia — la storia ripeto e non già le nostre opinioni personali — dovrebbe farci chiedere: antifascista sì, ma di quale antifascismo? Come infatti sa chi ha letto qualche libro, la storia registra molti avvenimenti che non possono non porre qualche problema di contenuto quando si adopera il termine antifascismo. Erano certamente antifascisti, ad esempio, quelli che in Spagna incendiavano le chiese e passavano per le armi preti, anarchici e trotzkisti. Erano antifascisti quelli che nel 1939 pensavano che l’Unione sovietica avesse fatto benissimo ad annettersi i Paesi baltici e mezza Polonia dopo essersi messa d’accordo con Hitler, così come lo erano quelli che sul nostro confine orientale dal ’43 al ’45 gettarono qualche migliaia di italiani nelle foibe.

Antifascisti e per di più partigiani erano pure quelli dalla cui associazione (l’Anpi), non condividendone le idee di fondo, si staccarono i partigiani cattolici prima e poi quelli azionisti guidati da Parri nel 1948-49. Ancora: antifascisti a diciotto carati erano pure quelli che negli anni ‘50 non esitavano a definire «nazisti» gli Stati Uniti mentre non riservavano una sola parola di solidarietà, neppure una, agli antifascisti cecoslovacchi o ungheresi, solo pochi anni prima loro compagni nella Resistenza e ora mandati sulla forca con le accuse più inverosimili e infamanti dai regimi comunisti stabilitisi nei loro Paesi. E non si sono sempre proclamati antifascisti — a loro dire anzi del più «coerente» antifascismo — i terroristi delle Brigate rosse e di altre organizzazioni consimili? Continua a leggere

I bambini si possono vivisezionare, congelare e uccidere, ma le aragoste no!

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

I figli si possono uccidere prima della nascita per mancanza di nutrimento (RU 486) o anche smembrati pezzo a pezzo (aborto chirurgico), ma le aragoste (poverine!) non si possono bollire e se vengono commerciate, devono viaggiare in acqua salata, a pena di multa (anch’essa salata!)
da Notizie Provita

(LETTURA AUTOMATICA)
I bambini si possono uccidere prima della nascita con l’aborto. Spesso in modo crudele, smembrati pezzo a pezzo. Con l’aborto in pillole (RU 486) i bambini muoiono per mancanza di nutrimento nel seno materno. I bambini allo stato embrionale si possono montare e smontare, congelare scongelare, e vivisezionare…ma le aragoste, no: non si possono bollire. E se vengono commerciate, devono viaggiare in acqua salata – a pena di multa, anch’essa salata.
Lo racconta Wesley J. Smith, sul suo blog Human Exeptionalism. Accade in Svizzera, che ha seguito la Nuova Zelanda e alcuni altri Paesi nel mettere fuori legge le aragoste in bellavista. Il motivo? Le povere aragoste possono provare dolore, quando vengono gettate vive nell’acqua bollente (anche se i bravi crostacei non hanno un cervello che gli consenta di elaborare gli stimoli).
La Svizzera tempo fa ha modificato la propria costituzione per riconoscere la dignità individuale delle piante. Non degli ecosistemi. Dignità individuale delle piante. Un comitato di bioetica, incaricato di spiegare le ragioni della cosa, ha dichiarato che poiché le piante condividono con noi umani dei tratti biochimici a livello cellulare, è immorale “decapitare” un fiore di campo. Continua a leggere

Il criterio della morte cerebrale è ormai completamente delegittimato

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Alfredo de Matteo

Quest’anno ricorrono i cinquant’anni (1968) della prima definizione del criterio di morte cerebrale, ad opera di una commissione medica creata ad hoc dall’università di Harvard per giustificare eticamente i primi trapianti d’organi vitali. Sull’Avvenire del 4 febbraio è uscita un’interessante intervista, a firma di Lucia Bellaspiga, alla ricercatrice del Centro neurolesi di Messina, Silvia Marino.

L’occasione è un meeeting internazionale che si è svolto a Milano il 2 febbraio scorso sui disordini della coscienza, organizzato dalla Fondazione Irccs Istituto Neurologico Carlo Besta.

La neurologa Marino si occupa da diversi anni di scandagliare i residui più nascosti della coscienza attraverso le tecniche di neuroimaging e di studiare le reazioni del cervello stimolato da suoni, odori ed immagini. Ai pazienti apparentemente privi di contatto con il mondo esterno e immobili da mesi o anni nel loro letto, spiega nell’intervista la ricercatrice, somministriamo stimoli di ogni genere, soprattutto grazie alla fondamentale collaborazione dei familiari. Mentre ciò avviene, attraverso la risonanza magnetica funzionale possiamo vedere se si attivano le aree del cervello del paziente.

Abbiamo così studiato 27 persone con diagnosi di minima coscienza e 23 in stato vegetativo, e tra questi ultimi ben 10 sono passati ad uno stato di minima coscienza. Pertanto, ribadisce la neurologa, la parola irreversibile applicata ai disturbi della coscienza, stato vegetativo compreso, non è più utilizzabile. Continua a leggere

Spagna: l’ideologia gender divide la galassia protestante

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Segnalazione Corrispondenza Romana

Protestanti divisi in Spagna sull’ideologia Lgbt: da una parte i fautori della linea «inclusiva», dall’altra quelli della linea «biblica».

Tra i primi si collocano gli evangelici, che sono un po’ i “decani” del protestantesimo iberico, essendo stati fondati nella seconda metà del XIX secolo, e che rappresentano l’unione di gruppi storici come quelli di presbiteriani, metodisti, luterani e congregazionalisti. Hanno accolto con grande entusiasmo l’ideologia gender ed altri principi cardine del modernismo spinto.

Contro tale presa di posizione si pongono battisti, pentecostali, carismatici e avventisti, che insieme rappresentano poi il contesto più numeroso, in stretti legami con Stati Uniti e America Latina: loro sono decisamente contro l’ideologia gender in nome della dottrina biblica, che condanna con grande chiarezza gli atti omosessuali tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento. Per questo vengono bollati di «fondamentalismo» e di «conservatorismo retrogrado» dagli evangelici.

Lo scontro divenne evidente nel 2014, quando il Consiglio Evangelico di Madrid avviò le procedure per espellere quanti fossero pro-Lgbt, come gli evangelici, pur figurando loro tra i fondatori di tale organismo. In un’intervista concessa al blog Homoprotestantes (un nome che è tutto un programma, è il caso di dirlo), la “pastora” Esther Ruiz accusò il Consiglio Evangelico di «inquisizione» e di discriminazione verso una «chiesa plurale», quale quella da loro promossa col sostegno anche degli anglicani spagnoli, che si opposero all’espulsione degli evangelici, atto che, secondo loro, avrebbe scordato il «pluralismo proprio del protestantesimo e delle chiese della Riforma». Continua a leggere

LA RISPOSTA di Mosca ALLA STRAGE DEI RUSSI IN SIRIA

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di Maurizio Blondet

LA RISPOSTA di Mosca ALLA STRAGE DEI RUSSI IN SIRIA

Almeno due Su-57 (l’aereo di quinta generazione, l’F-35 russo, con una differenza: che funziona) sono apparsi sulla pista di Hmeinim da mercoledì.  Insieme a:  quattro Su-25 da appoggio tattico ravvicinato, quattro Su-35 d’interdizione aerea, e un a-50U di  sorveglianza e controllo dello spazio aereo.

Istruttive le reazioni Usa alla comparsa – dovremmo dire all’apparizione – del Su-57  nel teatro operativo. Il Pentagono: “La Russia non sta rispettando l’annunciato ritiro delle sue forze”  (sic), ma beninteso il Su-25  non…CONTINUA SU: https://www.maurizioblondet.it/la-risposta-mosca-alla-strage-dei-russi-siria/

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