La diffusione globale e mediatica del Covid-19 ha resuscitato i miti eterni di untori da processare e baluardi da elevare a scudo della salvezza comunitaria. Un immaginario che fotografando le paure collettive ha riproposto, seppur in chiave rivisitata, la strutturale contrapposizione Noi/Loro proposta tempo addietro dal filosofo del linguaggio Van Dijk per studiare la costruzione sociale del pregiudizio ed in seguito utilizzata per l’analisi politica contemporanea. Questa schematizzazione cognitiva si presta bene ad interpretare l’esperienza pandemica che stiamo vivendo caratterizzata continuamente dalla distinzione tra un Noi, relativo a chi è del gruppo e un Loro, relativo a chi non lo è.
Il tutto è iniziato nel gennaio del 2020 con il dilagarsi nel nostro paese di un costante sentimento sinofobico (anticinese) sfociato in insulti, divieti ed episodi di discriminazione nei confronti della popolazione asiatica; tra i fatti più eclatanti il cartello choc all’ingresso di un negozio di Roma che recitava: “A tutte le persone provenienti dalla Cina non è permesso di entrare in questo posto”. Nell’esperienza traumatica del primo lockdown occidentale tutto italiano, l’attenzione si è spostata ai nostri vicini di casa. La “delazione da coronavirus” diviene ben presto il passatempo quotidiano di un numero sempre maggiore di persone. Segnalazioni continue da parte di cittadini che accusano il proprio vicino di essere andato a fare una passeggiata di troppo col cane, di tenere una festa in casa o di esser stato visto più volte in un giorno al supermercato. Il tutto immancabilmente registrato sui profili social.
Insomma il fenomeno è ben noto: la sindrome, presa in prestito dai Malavoglia, della Zuppidda (persone che fanno le spie) che coinvolge ben presto anche i vertici istituzionali. Come non ricordare il montaggio degli amministratori italiani che danno di matto con chi esce di casa che ha fatto il giro del mondo, per tutti il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, doppiato persino in giapponese.
La pandemia si combatte certamente con i vaccini, ma prima e dopo è ancor più utile saper gestire le relazioni comunicative che evitano la diffusione di tutti i tipi di virus, non solo quelli sanitari, ma anche quelli ideologici e culturali che non sanno confrontarsi con la realtà delle relazioni sociali, e quindi generano sempre nuove pandemie. Le persone hanno bisogno di relazioni come dell’aria e del pane e devono essere seguite per imparare a distinguere le loro differenti qualità in rapporto ai poteri causali che le condizionano.
Come ne usciremo? Quando la crisi ci avrà abbandonato saremo capaci di condividere un identico “principio di umanità”? Non lo sappiamo. Il rischio terribile è che le tensioni tra le persone esplodano. È per questo che accanto al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza andrebbe pensato anche un grande Piano Nazionale di Educazione e Solidarietà volto alla costruzione di un nuovo patto generazionale fondato su valori culturali condivisi dove l’ascolto e il dialogo prevalgano sulla contrapposizione tra il Noi ed il Loro. Ai posteri l’ardua sentenza!
DA






