Pillole di dottrina cattolica tra Cristianesimo e Giudaismo

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di Matteo Castagna

Qual è la dottrina cattolica di fronte al problema ebraico? Cos’è il Giudaismo? Gli ebrei sono deicidi? Il primato salvifico del popolo ebraico, dopo il rifiuto e la crocefissione di N. S. Gesù Cristo, diviene primato di condanna? La posizione di predilezione degli ebrei è uguale prima e dopo il Calvario?

Ci sono verità supreme su questo problema, sulle quali è assurdo sorvolare. E’ crudeltà nasconderle!
L’ insigne biblista Mons. Francesco Spadafora (1913-1997) affronta il tema nel libro “Cristianesimo e Giudaismo” (Ed. Amicizia Cristiana, Chieti, 2012, eu. 11,00)  senza complessi e timori di essere controcorrente, ma avendo come obiettivo la verità. Si tratta di un’opera di grande valore dottrinale e fondata su un’enorme documentazione, che affronta il cuore del problema.

Premetto che, per il cattolicesimo non esiste alcuna pregiudiziale etnica nell’opposizione al giudaismo, che rientra in ottiche antisemite condannate dalla Chiesa, come ogni forma di razzismo biologico.

Mons. Spadafora suddivide l’opera in due capitoli: l’esegesi dei testi, cristianesimo e giudaismo in San Paolo. L’incipit è il Vangelo di San Matteo 11,27: “Ogni cosa a me fu data dal Padre mio, e nessuno conosce il Figliuolo, se non il Padre; né alcuno conosce il Padre, se non il Figliuolo, e colui al quale il Figliuolo voglia rivelarlo”.

“Così l’eretico che nega il Figlio non ha alcuna comunione con il Padre, sebbene lo pretenda. Colui che possiede il Padre ed è in vera comunione con lui è unicamente il fedele che confessa il Figlio” – scrive Mons, Spadafora e continua: “Lo stesso afferma San Paolo dei Giudei persecutori dei cristiani, essi “non conoscono Iddio e non obbediscono all’Evangelo del Signore Nostro Gesù”. (2 Tess. 1,5-8)

Gesù nostro Signore realizza il piano divino di salvezza, preannunziato e preparato da tutto il Vecchio Testamento; compie l’alleanza di Dio con Israele, l’antica alleanza, inaugurando la nuova “nel suo sangue” (1 Cor. 11-25), secondo il vaticinio di Geremia (31,31-33): “Verranno giorni, nei quali stringerò con Israele e Giuda un’alleanza nuova – dice il Signore – . Non come il patto che ho stretto con i loro padri, quando li trassi dall’Egitto, patto da essi violato. Ma, nel nuovo, porrò la mia legge nei loro cuori e nelle loro menti…E tutti, piccoli e grandi mi riconosceranno. Perdonerò la loro niquizia ” (cf. Hebr. 8,6-13).

Ben sintetizza l’esegeta J. Behm: “Nei Sinottici la massima importanza spetta alle parole pronunciate da Gesù nell’ultima cena: Mc. 14,24; Mt. 26,28; che in Paolo (1 Cor. 11,25) suonano “questo calice è la nuova diatéche (alleanza) nel mio sangue” (da cui dipende, Lc. 22,20). (Cfr. Th.W. zNT, alla voce Diatéche, II col. 132s.; nella tras. it. vol. 2, fasc. 4, coll. 1080 ss.) Il sangue, cioè la morte di Gesù instaura la nuova diatéche. La vecchia alleanza è, pertanto, la legge mosaica che è abrogata in conseguenza della ineluttabilità delle sue disposizioni transitorie, sostituita e superata dalla nuova, alla quale è concessa una gloria sovreminente.

Le Sacre Scritture, quindi, ci parlano chiaramente di due “alleanze”: una nel Vecchio Testamento con popolo di Israele, una nel Nuovo, con tutti coloro che riconoscono Cristo come il Messia e rispettano i Suoi precetti, ebrei sinceramente convertiti inclusi. Uno dei più bei miracoli di conversione da parte di un israelita fu quella di Alphonse Marie Ratisbonne (1814-1884).

Il Giudaismo credeva che il libro di Daniele (cc. 2.7-9.12) confermasse il suo sogno di impero, assimilando in tutto il regno “dei santi” agli imperi che nella visione lo precedevano. Il Messia, quale nuovo Alessandro, avrebbe sconfitto, in una grande battaglia, i Romani e avrebbe dato l’impero ai Giudei. Il Messia venne considerato un re guerriero e conquistatore. Furono affatto ignorati il perdono dei peccati, la redenzione e negati in modo deciso i patimenti del Messia (cf. Giov. 6,15 – 18,34 ss.).

“L’interpretazione giudaica non poteva allontanarsi in maniera più stridente – prosegue Mons. Spadafora – dall’opera redentrice del Messia, venuto “non ad essere servito, ma per servire, e a dare la Sua vita in riscatto per tutti gli uomini” (Mt. 20,08). Era invalsa tra i giudei la persuasione che la loro comune credenza sulla venuta di un personaggio straordinario della loro stirpe, che sarebbe intervenuto per conquistare a Iahweh il mondo e reggerlo in Suo nome, derivasse fin dal tempo dei più antichi profeti.

“La rivelazione sul Messia e la sua opera era ricca di vari elementi, non facilmente armonizzabili, per una esegesi non illuminata dalla luce della realizzazione in Gesù Nostro Signore” – rileva p. M. J. Lagrange nella conclusione del suo prezioso volume, “Le Judaïsme ayant Jésus-Christ” (Paris 3, 1931), pp. 587-591. Lo stesso rilevò San Paolo, per esperienza personale (2 Cor. 3,6-18).
E il teologo Karl Prumm in “Diakonìa Pnéumatos”, II Teil (Roma, 1960)  aggiunse: “Ogni nostra capacità viene da Dio. E’ Lui che ci ha resi capaci di essere ministri del Nuovo Testamento (cainé diatéche – nuova alleanza, nuovo patto), non della lettera materiale, ma dello spirito; ché la lettera uccide, lo spirito invece dà vita”.

Eppure, l’opera sublime della Redenzione, il dramma attestato dall’Evangelo, era stato preannunciato dal più grande dei profeti nei suoi Carmi del “Servo di Iahweh”: Isaia 42,1-7; 49,1-8; 50,4-9; 52,16-53,12. Basta leggerli integralmente per dare ragione al grande esegeta M.J. Lagrange, op. cit. pp. 368-381: “E’ talmente impossibile contestare la rassomiglianza tra la profezia e la realizzazione in Gesù Cristo Nostro Signore, che per negare il carattere profetico dell’antico scritto, bisognerebbe poter trovare che la realtà è stata inventata secondo l’abbozzo antico!”

Questa bimillenaria teologia iniziò a cambiare tramite la S. Congregazione dei Riti, cui Roncalli/Giovanni XXIII fece mutare l’Orazione “per la conversione dei Giudei”. Infatti sino a Pio XII (1939-1958) l’Orazione del Venerdì Santo suonava così: “Preghiamo anche per i [perfidi / infedeli, increduli, tolto da Giovanni XXIII, ndr] Giudei, affinché il Signore tolga il velo dai loro cuori ed anch’essi riconoscano Gesù Cristo, Signore nostro. […]. Dio onnipotente, […] esaudisci le preghiere che Ti rivolgiamo per questo popolo accecato, affinché riconoscendo la luce della tua verità, che è Cristo, siano strappati alle loro tenebre. Per lo stesso nostro Signore Gesù Cristo”.

Quindi i Giudei che non hanno accolto e continuano e non accogliere Gesù come Messia e Redentore dell’uomo, per Roncalli, non sono “infedeli/increduli”, ossia non credenti nel vero Messia. Infatti “perfidi” viene dal latino “per / fidem”, che significa “fede falsa e deviata”. La decisione presa da Roncalli nel 1959, perciò, non solo ha cancellato una tradizione antichissima nella Chiesa, ma ha introdotto una novità che sembrerebbe contraria alla divina Rivelazione. Successivamente, ci fu la dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II.

Il Gran rabbino di Israele David Rosen, nel 1994, organizzò un incontro interreligioso a Gerusalemme. Per il Vaticano fu invitato l’allora card. Joseph Ratzinger, che tenne una conferenza dal titolo Israele, la Chiesa e il mondo. Il testo completo della conferenza si trova nel libro, scritto nel 1998 in tedesco e tradotto in italiano nel 2007, di Benedetto XVI, Molte religioni, un’unica alleanza, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007.

Ratzinger svolse il suo tema a partire dal Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) del 1992, n. 121, che a sua volta riprendeva quanto detto il 17 novembre 1980 a Mainz da Wojtyla/Giovanni Paolo II: “L’Antica Alleanza non è stata mai revocata”.

Ratzinger asserisce che “non esiste colpa collettiva dei Giudei per la condanna a morte di Gesù”. Invece i Giudei (capi e popolo) gridarono unanimemente: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (Mt., XXVII, 25), ossia “la responsabilità della sua morte è tutta nostra e dei nostri figli” (Mons. F. Spadafora, Pilato, Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche, 1973, pp. 129-130), formando essi un popolo che ha una religione, la quale dura ancor oggi e perdura nel rifiuto di Cristo, che “merita ancora la morte perché da uomo si è fatto Dio”.

Se si approfondisce questo tema ci si accorge che nel 1998 Ratzinger, nell’Introduzione al suo libro Molte religioni un’unica Alleanza. Il rapporto Ebrei Cristiani. Il dialogo delle religioni (Cinisello Balsamo, San Paolo, [1998] 2007, p. 5) scriveva: «L’altro grande tema che acquista sempre più rilievo in ambito teologico è la questione del rapporto tra Chiesa e Israele. La consapevolezza di una colpa, a lungo rimossa, che grava sulla coscienza cristiana dopo i terribili eventi dei dodici funesti anni dal 1933 al 1945, è senza dubbio una delle ragioni primarie dell’urgenza con cui tale questione è oggi sentita».

Ratzinger, invece, dopo aver citato il Vangelo secondo Giovanni (IV, 22) afferma: «Questa origine [“la salvezza viene dai Giudei”] mantiene vivo il suo valore nel presente» (ivi), anche se poi aggiunge, contraddicendosi com’è suo costume kantiano: «Non vi può essere nessun accesso a Gesù […], senza l’accettazione credente della Rivelazione di Dio […], che i Cristiani chiamano Antico Testamento» (ivi). La sua frase precedente, però, diceva che la salvezza viene ancora oggi dai Giudei, e non dall’Antico Testamento, il quale non è certamente il cuore dell’odierno Giudaismo post-biblico, poiché l’Antico Testamento è tutto relativo a Cristo e quindi al Nuovo Testamento, che i Giudei di oggi rifiutano ostinatamente come i loro antenati.

Purtroppo, tutto il pensiero di Ratzinger è una “coincidentia oppositorum”.
Nei primi mesi dell’anno 2019 è stato pubblicato il libro La Bibbia dell’Amicizia. Brani della Torah/Pentateuco commentati da Ebrei e Cristiani (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2019) con una “Prefazione” a cura di J.M. Bergoglio.

Verso la Pasqua del medesimo anno è uscito un secondo libro sullo stesso tema, titolato Ebrei e Cristiani, redatto dal “papa/emerito” Joseph Ratzinger (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2019) in collaborazione col rabbino-capo di Vienna Arie Folger.

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