“Corpi trascinati coi cavi”: i 12 dubbi su Bucha

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di Toni Capuozzo

Fonte: Toni Capuozzo

Luigi Di Maio: “Chi nega Bucha alimenta la propaganda russa che provoca morte”. Nel suo italiano stentato il ministro degli Esteri vuole essere definitivo. Avrei qualche domanda per lui, come per Giletti, per la veterinaria di “Open” e tanti altri.

Cosa vuol dire negare? Non c’è dubbio alcuno che i russi abbiano commesso crimini durante l’occupazione di Bucha. A testimoniarlo ci sono le fosse comuni scavate dietro alla chiesa. I 350 corpi che contengono raccontano quello che è successo. Le mie perplessità riguardano i morti che dal 3 aprile vengono ritrovati per strada, in quella ormai tristemente famosa via Jablonskaja, la via del Melo. Il mio dubbio è che quei cadaveri non appartenessero all’orrendo capitolo precedente (i russi se n’erano andati il 30 marzo) ma fossero il risultato di un’operazione di un corpo speciale della polizia ucraina (ho riportato l’articolo della stampa ucraina che annunciava la caccia a Bucha di sabotatori e collaborazionisti). Oppure che fossero vittime dei russi recuperati dalle cantine e dai cortili e disposte sulla strada a beneficio delle televisioni. Come ricorderete, a smentire questa ipotesi apparvero subito foto da satellitari e da droni che retrodatavano la presenza di quegli stessi corpi almeno al 19 marzo.

1. Come si sono conservati i corpi nelle strade per due settimane, in un clima freddo ma umido, con animali randagi e selvatici?

2. Come mai molte vittime avevano i fazzoletti bianchi al braccio?

3. Come mai alcune vittime avevano accanto a sé razioni dell’esercito russo?

4. Come mai non c’è quasi mai sangue e mai un solo bossolo accanto ai corpi?

5. Come mai ci sono immagini che ritraggono militari ucraini che trascinano i corpi con cavi, andando oltre la semplice precauzione di spostarli di mezzo metro, rivoltandoli, così da appurare che non siano minati?

6. Come mai un video apparso su Telegram di un certo Boatman, il 1° aprile da Bucha, non dice nulla sui morti per strada. Unico fatto di rilievo l’incontro con un parlamentare del partito di Zelensky (Boatman lo descrive come “scuro di pelle”, nota inevitabile per un suprematista bianco come lui. Russo, Boatman è al secolo Sergey Korotkikh, ricercato per l’omicidio di due immigrati davanti a una bandiera nazista. Ripara in Ucraina e nel ’14 partecipa alla guerra civile antirussa, ricevendo il passaporto ucraino, e la nomina a capo di una squadra speciale della polizia).

7. Come mai in un altro video si vede la squadra di Boatman apprestarsi a operare e uno di loro chiede cosa si debba fare di persone incontrate senza il bracciale blu degli ucraini. “Sparagli, cazzo” è la risposta di Boatman.
8. Come mai si continua caparbiamente a ignorare l’operazione dei corpi speciali della polizia, iniziata il 1° aprile – i russi si sono ritirati il 30 marzo – di bonifica da esplosivi, sabotatori e collaborazionisti? Ne dà notizia, quel giorno, la stampa ucraina. E poi non si sa come si a andata, se abbiano trovato collaborazionisti o meno.

9. Come mai sono apparse su Telegram conversazioni che maledicono Boatman per aver rovinato tutto con i suoi video? “Eravamo d’accordo – lo era, non lo era – gonfiamo per il bene di un pubblico europeo impressionabile, finalmente ci passano armi pesanti e difesa aerea. Cioè, i nostri “alleati” sono tali che non gli bastano gli attacchi missilistici sulle città, per loro. Ok, stiamo lavorando. L’informazione principale è andata, lo straniero l’ha raccolta… e poi la Guardia Nazionale e il Nostromo sono usciti dalla tabacchiera come un coglione con i loro video divertenti sulla pulizia di Bucha…”.

10. Perché, intervistato dalla stampa italiana, al becchino di Bucha non viene fatta la più semplice delle domande: come mai ha rischiato la vita per inumare i morti nella Bucha occupata dai russi e, quando i russi se ne sono andati, li ha lasciati invece per strada?

11. Come mai quelle vittime sono state lasciate per settimane, secondo la foto satellitare, senza un solo gesto di pietà, come se fossero morti altrui, da schivare e basta?

12. Come mai la Croce Rossa Internazionale non è stata convocata subito sul luogo del massacro?

Non devo ripetere a ogni passo che non sono filoputin, né filorusso. Sono solo convinto per esperienza che purtroppo la guerra è il regno dell’odio, delle vendette, delle manipolazioni. In guerra puoi essere disciplinato, se la combatti o te ne fai travolgere. Se sei giornalista, anche quando hai chiaro dove risieda la ragione e dove il torto, dove l’aggressore e dove l’aggredito, sai che le linee nette del Bene e del Male vengono scavalcate con facilità, e resta il dovere di ragionare sui fatti, anche quando non coincidono con la tua visione delle cose, e specie quando fanno fare alla guerra un salto di qualità, come una chiamata alle armi.

GEORGE SOROS: IL VERO BURATTINAIO DI VOLODYMYR ZELENSKY?

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Segnalazione di Federico Prati

20 maggio 2019. Volodymir Zelensky trionfa alle elezioni presidenziali in Ucraina, sbaragliando il rivale Petro Poroshenko con uno stratosferico 73 per cento di voti.

23 maggio 2019. Sono passati appena tre giorni dal trionfo e un fitto gruppo di associazioni, enti e organizzazioni inviano al neo presidente un memorandum. Non si tratta di suggerimenti o consigli, ma divere e proprie ‘direttive’, di ordini tassativi, che nel lungo documento inviato a Zelensky, in tono perentorio, definiscono delle precise “LINEE ROSSE” da non oltrepassare mai.

Guarda caso, si tratta proprio di quanto ha messo e sta   mettendo in campo l’obbediente comico-presidente: le vere linee, che cerca di difendere a spada tratta.

Ma di chi era la regia di tutta l’operazione finalizzata a dirigere Zelensky come un perfetto pupazzo? Il regista ha un nome e un cognome ben preciso: si tratta di George Soros, supportato da tutta una serie di sigle che fanno capo alla sua corazzata ‘umanitaria’, la tentacolare ‘OPEN SOCIETY FOUNDATIONS’.

Passiamo ora in rassegna tutti i tasselli del mosaico, per entrare in una story davvero ai confini della realtà.

VE LO DA’ SOROS IL ‘RINASCIMENTO

La tessera da cui partire si chiama ‘International Renaissance Foundation’ (IRF), una ONG fondata da ‘Open’ 32 anni fa esatti.  Dettaglia Wikipedia: “l’IRF è una delle più grandi organizzazioni di beneficenza dell’Ucraina. Il suo obiettivo è fornire assistenza finanziaria e operativa allo sviluppo di una società aperta e democratica in Ucraina, sostenendo iniziative civiche chiave in questo settore. Nel periodo dal 1990 al 2010, la IRF ha sostenuto numerose organizzazioni non governative ucraine, gruppi comunitari, istituzioni accademiche e culturali, case editrici etc. Per un importo di oltre 100 milioni di dollari”.

Tutto rose e fiori. Come precisa ancor meglio mamma ‘Open’.

“La IRF, una parte delle ‘Open Society Foundations’, è stata fondata a Kiev nell’aprile 1990. All’epoca, l’Ucraina faceva ancora ancora parte dell’Unione Sovietica in rapido crollo, ponendo la nuova fondazione in prima linea nello sforzo di George Soros, il fondatore e presidente delle ‘Open Society Foundations’, per usare la sua fortuna per assistere gli ex stati comunisti dell’Europa centrale e orientale. Nel 1994 l’IRF era il più grande donatore internazionale del paese, con un budget annuale di circa 12 milioni di dollari”.

E ancora: “All’inizio degli anni 2000, la fondazione si è orientata sull’integrazione europea, mobilitando al tempo stesso risorse per aiutare le persone colpite dal conflitto dopo l’invasione russa e l’annessione illegale della Crimea nel 2014”.

Molto incisivo l’impegno di IRF sul terreno dell’informazione e della comunicazione. La fondazione – come mamma ‘Open’ descrive – “ha finanziato progetti di giornalismo investigativo come ‘Our Money’ e gruppi come ‘Transparency International Ukraine’, ‘State Watch’, ‘Center Eidos’ e l’‘Anti-Corruption Action Center’”. Inoltre, “la fondazione ha sostenuto la creazione di ‘Stop Fake’, un’iniziativa guidata da due professori universitari dedita a smascherare bugie e miti sull’Ucraina’. ‘Stop Fake’ ora produce i propri programmi TV, radio e materiale online in diverse lingue”.

Vuoi vedere che c’è lo zampino di ‘Stop Fake’ nel pletorico materiale video utilizzato da Zelensky per sbandierare il genocidio organizzato dal macellaio Vladimir Putin?

Ma, più probabilmente, c’è lo ‘zampone’ di un’altra sigla, ancor più ‘invasiva’, partorita dal fecondo ventre di IRF (e quindi griffata OPEN by Soros) e, guarda caso, sempre dedita allo strategico settore delle informazioni.

ECCO A VOI L’‘UKRAINE CRISIS MEDIA CENTER’

Eccoci dunque al vero cuore di tutta la story, a bordo di UCMC, acronimo di ‘Ukraine Crisis Media Center’, la poderosa Ong che – come vedremo tra poco – ha scritto l’Agenda di Zelensky,  tracciando le famose ‘LINEE ROSSE’.

Seguiamo, anche stavolta, il profilo delineato da Wikipedia: “UCMC è un’organizzazione non governativa che fornisce informazioni su eventi in Ucraina, sfide e minacce alla sicurezza nazionale, in particolare nella sfera militare, politica, economica, energetica e umanitaria. L’UCMC assiste i rappresentanti dei media che coprono l’Ucraina nei loro materiali in tutto il mondo”.

Un linguaggio non poco criptico; dal quale, comunque, fa capolino il ruolo di ‘assistenza’ mediatica, con la fornitura di ‘materiali’ informativi ad hoc: come nel caso di Bucha che sta facendo il giro del mondo?

Continua Wikipedia: “Le attività di UCMC sono abilitate con il supporto dei suoi partners: il ‘Dipartimento Affari Pubblici’ dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Kiev; la ‘International Renaissance Foundation’ (che abbiamo visto prima); ‘National Endownment for Democracy (USA); ‘Fondazione mondiale ucraina’(Canada); ‘Fondo europeo per la democrazia’; ‘Programma Matra’ (Ambasciata dei Paesi Bassi in Ucraina); ‘Agenzia Internews’; ‘Mondelez International’ e altri”.

Partners non da poco, soprattutto quelli di marca statunitense, vista la strategica presenza del Dipartimento Affari pubblici dell’Ambasciata Usa a Kiev, che per il bollente biennio 2014-2015 fu il quartier generale di Victoria Nuland, l’attuale numero due (dopo il falco Tony Blinken) al Dipartimento di Stato, in qualità di responsabile degli Affari politici.

Ed infatti, Victoria Nuland è stata un delle guest star nel corso dei briefingpromossi da UCMC, come viene puntualmente segnalato nell’excursus tracciato da Wikipedia: tra gli altri grossi calibri, per fare solo un paio di nomi, il senatore Usa John McCaine e l’ambasciatore UE in Ucraina Jan Tombinski.

Jan Tombinski

Restiamo sempre nel basilare campo mediatico. Tra i ‘gioiellini’ messi in campo da UCMC c’è il ‘Mir v Donbass’ (in inglese, ‘Peace in Donbass’), “un prodotto informativo realizzato con il supporto dell’Ufficio federale degli esteri tedesco, diffuso tra i residenti della zona vicino alla linea di contatto nelle regioni di Donetsk e Luhansk”, le aree del Donbass al centro del conflitto.

Poi spicca la nuova ‘Task force per le comunicazioni’, lanciata da UCMC “nel 2014 con il supporto della ‘International Renaissance Foundation’ come piattaforma di dialogo tra le istituzioni pubbliche, le comunità di esperti e le organizzazioni non governative. Lo scopo di questo progetto è plasmare un atteggiamento comune verso le direzioni e le strategie della riforma”.

Come, in modo spettacolare, ha fatto con la confezione delle ‘LINEE ROSSE’, l’autentico decalogo che Zelensky ha seguito, come un ottimo scolaro, per filo e per segno da quando si è seduto sulla poltrona presidenziale.

E allora, finalmente, esaminiamole più da vicino, queste linee strategiche di demarcazione, e di percorso politico obbligato.

QUELLE “LINEE ROSSE” DA NON VARCARE

Così si presenta il ‘memorandum’: “Dichiarazione congiunta dei rappresentanti della società civile sui primi passi politici del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky – Centro stampa UCDM – 23.5.2019, ore 12.10”.

Ecco l’incipit: “Negli ultimi cinque anni, i sottoscritti, membri delle organizzazioni della società civile, hanno difeso attivamente la sovranità e gli interessi nazionali dell’Ucraina nello spazio dell’informazione globale e contrastato la guerra dell’informazione russa. Ciascuna delle nostre organizzazioni lavora in un campo specifico per rafforzare la società civile e contribuire a costruire istituzioni statali di alta qualità aperte alla comunicazione e al dialogo costanti con i nostri cittadini, responsabili della riforma del nostro Paese e del suo renderlo più stabile e sicuro di fronte a forti minacce e sfide. I nostri principi e posizioni rimangono invariati. La nostra missione è proteggere i valori per i quali gli ucraini hanno combattuto durante la  Rivoluzione: libertà e dignità, indipendenza dell’Ucraina e protezione della statualità ucraina, un sistema di governo democratico, patriottismo, coraggio, responsabilità e onestà come qualità fondamentali per tutti i cittadini ucraini”.

Fin qui liscio come l’olio, e non c’è chi non possa condividere tali ‘valori’ sotto ogni latitudine.

Ma il bello viene adesso. Leggete come prosegue – cambiando totalmente tono – la ‘Dichiarazione’ (dei diritti dell’uomo?).

Viktor Yanukovych

“Rimaniamo politicamente neutrali, ma siamo fortemente preoccupati per le prime decisioni esecutive prese dal neoeletto Presidente. Sfortunatamente, dimostrano una totale mancanza di comprensione delle minacce e delle sfide che il nostro Paese deve affrontare. Siamo fortemente in disaccordo con l’intenzione del Presidente di nominare membri del regime dell’ex presidente Viktor Yanukovych a posizioni chiave del governo, così come persone senza competenze e individui che condividono interessi economici con il presidente Zelensky. Dato il dolore e le difficoltà che il nostro Paese ha sofferto negli ultimi anni, misure così miopi sono destinate ad avere effetti negativi sulla società. E le conseguenze potrebbero essere devastanti. Come attivisti della società civile, presentiamo un elenco di ‘linee rosse da non oltrepassare’. Se il Presidente oltrepasserà queste linee rosse, tali azioni porteranno inevitabilmente all’instabilità politica nel nostro Paese e al deterioramento delle relazioni internazionali”.

Più chiari di così realmente non si può. E non si poteva, a tre giorni dall’insediamento di Zelensky sulla poltrona numero 1 dell’Ucraina.

La lunga ‘Dichiarazione’ – che potete leggere integralmente cliccando sul link in basso – è suddivisa in apposite sezioni: ‘Problemi di sicurezza’ – ‘Questioni di politica estera’ – ‘Problemi economici’ – ‘Identità nazionale’ – ‘Funzionamento del governo’

E si conclude in modo perentorio, senza lasciare alcuno spazio ad equivoci: “Se il Presidente supera queste linee rosse, indicherà che non cerca un vero cambiamento democratico e non desidera stabilire un governo più onesto e responsabile, anche se durante il periodo elettorale ha promesso di farlo”.

Patti chiari e amicizia lunga. Con il sigillo di George Soros.

In calce alla ‘Dichiarazione’ – come potete facilmente osservare scorrendo le pagine del link – vi sono i nomi di decine e decine di sigle, associazioni, organizzazioni, in prevalenza ruotanti nell’orbita sorosiana, ma anche di una vasta area che più filo-occidentale non si può.

Cosa regolano i ‘comandamenti’ impartiti dall’Ucraine Crisis Media Center? Vediamo.

I 10 COMANDAMENTI 

Primo. Non bisogna mai consultare il popolo per decidere come negoziare con la Russia;

Secondo – Non bisogna mai fare negoziati diretti con la Russia, senza la presenza dei partner occidentali;

Terzo – Non bisogna mai cedere, anche su un solo punto, nei negoziati futuri con la Russia: né sull’adesione alla NATO, né sul Donbass, né sulla Crimea, né sulle intese e gli accordi internazionali;

Quarto – Non bisogna cedere neanche un centimetro di territorio alla Russia;

Quinto – Non bisogna cedere di un centimetro neanche sul fronte delle sanzioni che l’Occidente ha stabilito contro la Russia per l’illegale invasione della Crimea;

Sesto – Non bisogna né sabotare e nemmeno ritardare il corso strategico per l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea e alla NATO;

Settimo – Non bisogna fare nemmeno un passo indietro per quanto riguarda l’identità nazionale: non si possono rivedere le leggi in materia di lingua, istruzione e cultura;

Ottavo – Non bisogna interrompere l’ostracismo a media e social russi, né si può stabilire alcun dialogo con i partiti di opposizione filo-russi;

Nono – Non bisogna venire a patti politici con figure coinvolte nell’ex governo Janukovich (quello eletto democraticamente e fatto cadere con un golpe nel 2014, ndr);

Decimo – Non bisogna lanciare operazioni giudiziarie contro il precedente governo Poroshenko.

Non trovate che (tranne un paio) siano proprio i nodi bollenti del conflitto, considerati da Zelensky come punti sui quali l’Ucraina non può transigere? Uno Zelensky che – fin da quel festoso 23 maggio 2019 – li conosce ormai a memoria…

LINK
https://uacrisis-org.translate.goog/en/71966-joint-appeal-of-civil-society-representatives?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=op,sc
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Realismo apocalittico

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SECONDO LA RUSSIA

di Aleksandr Dugin

Tre opzioni sono ora in discussione al vertice:

  1. DNR+LNR+Kherson (e a questo si aggiungono Zaporizhzhya, Kharkiv, Mykolayiv, Dnipropetrovsk, che devono ancora essere liberati con necessità) – per quanto riguarda Odessa, c’è esitazione;
  2. Novorossiya tutta (con Odessa) e lo status incerto dell’Ucraina centrale e Kiev (con la liquidazione provvisoria dei capi della giunta criminale)
  3. Controllo completo.

Naturalmente, molto dipenderà da come andrà la distruzione del calderone di Donetsk, ma vale la pena distogliere lo sguardo dalla pianificazione immediata e guardarla da una prospettiva più alta.

Il modo in cui l’Operazione Speciale Militare è iniziata e come si è svolta per i primi 2 mesi rende impossibile che il resto dell’Ucraina rimanga sotto il dominio dei nazisti e dei globalisti. Non c’è nessun massimalismo imperiale in questo, almeno per questa volta. Il massimalismo imperiale avrebbe potuto finire in Novorossia, e l’altra metà dell’ex Ucraina lasciata vivere come vuole, ma ora le cose sono andate troppo oltre. Un fattore importante è stato l’attacco diretto alla Chiesa ortodossa russa in Ucraina. Fermati alla prima (generalmente imperfetta) o alla seconda opzione e stiamo gettando una miriade di credenti ortodossi verso la morte, la tortura e forse il genocidio. Non resterà nulla di loro. Per tale ragione ora siamo pienamente responsabili dell’Ucraina occidentale.

Naturalmente, questa escalation ci viene imposta da Kiev e dall’Occidente che fa pressione. Zelensky è pronto a sacrificare tutto nella speranza di trascinare l’umanità in un conflitto nucleare. Non si considera più come presidente dell’Ucraina, l’Ucraina è sconfitta. Credo che si consideri l’”anti-Cristo”. E sta sempre più venendo a patti con quest’ultimo ruolo. È l’apice della carriera del clown, poiché molti studiosi hanno sostenuto che fin dal Medioevo una figura diabolica si nasconde sotto la maschera di un buffone, ma ogni nuovo passo che facciamo è anche carico di responsabilità per tutta una catena di quelli successivi. Finora, il livello di scontro si è solo intensificato.

Forse contavamo su una reazione più contenuta sia da Kiev che dall’Occidente. L’Occidente imporrebbe sanzioni e si limiterebbe a questo, mentre Kiev, rendendosi conto di perdere, getterebbe via la bandiera bianca. Questo avrebbe dovuto essere il caso nel contesto del freddo realismo politico, ma è andata male. L’Occidente sta agendo più aggressivamente di quanto potrebbe, e Zelensky è in uno strano stato estatico che non può essere spiegato dalle droghe. Si vede come “il nuovo Davide” che combatte contro Golia e, non avendo alcuna possibilità di vincere, chiama tutta la potenza della NATO per dare un colpo mortale all’umanità. Questa non è più politica, sono trame apocalittiche che si trasformano in realtà.

Oggi sembra alle nostre autorità che ci sia ancora una scelta tra gli scenari 1, 2 e 3. Ma non è più così.

Così come non possiamo – con tutta la volontà (se qualcuno ne avesse) – tornare alla situazione pre-22 02 2022, ora non possiamo più fermarci alle opzioni 1 o 2. La posta in gioco è aumentata in linea di principio. Per noi, la vittoria può essere solo l’opzione 3 d’ora in poi.

Lasciatemi sottolineare ancora una volta: questa non è la buona volontà dei sognatori imperiali, questa è la dura prosa del realismo militare-politico, militare-apocalittico. La fredda analisi del tempo di guerra si trasforma impercettibilmente in uno scenario apocalittico, non solo uno scontro di civiltà.

Anche qui, fattori come l’ortodossia, l’uniatismo, lo scisma, il cattolicesimo e persino il satanismo, che sembravano essere stati spostati alla lontana periferia della società molto tempo fa, vengono alla ribalta. Non semplici ideologie (tra l’altro, che tipo di ideologie si scontrano tra loro non è chiaro e non è pienamente compreso da tutti), ma realtà puramente spirituali, e invadono senza tante cerimonie la misurata vita quotidiana, demoliscono città, rovinano miliardari, distruggono migliaia di persone – compresi i civili, risvegliano la bestialità che dorme nelle profondità dell’uomo (o, al contrario, la santità), cambiando bruscamente l’equilibrio di potere su scala planetaria.

Prima la pandemia, in secondo luogo la guerra. Siamo diventati non solo testimoni, ma partecipanti attivi dell’Apocalisse.

Non solo il destino dell’Heartland, ma anche quello dello Spirito, dipende da chi controlla l’Ucraina: o questa zona del mondo passerà sotto l’omophorion di Cristo e della Sua Madre Immacolata, o rimarrà sotto il potere di Satana, che rafforzerà immensamente il suo dominio su quella che è in realtà la culla della nostra statualità russa, della Chiesa e della cultura, e del nostro popolo.

La lotta per il Donbass, per Odessa, per Kiev e anche per Lviv fa parte della grande battaglia escatologica.

Alcuni sospettavano che sarebbe successo, ma noi stessi non abbiamo creduto fino alla fine, posticipando sempre la considerazione di questa possibilità.

La realtà precede i sogni – compresi i sogni escatologici imperiali. L’era del materialismo, dell’economia, dell’analisi razionale, degli esperti, dei tecnocrati, dei manager è finita.

Le idee stanno tornando nel nostro mondo.

E la battaglia principale d’ora in poi si svolge di nuovo tra di loro. Tra l’Idea Russa, il Catechon, la Civiltà Ortodossa, e il mondo dell’Anticristo occidentale che ci viene incontro.

L’Ucraina non serve a noi russi. È Cristo che ne ha bisogno. Ed è per questo che siamo lì.

Ed è per questo che non andiamo da nessuna parte.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Foto: Idee&Azione

19 aprile 2022

https://www.ideeazione.com/realismo-apocalittico/

Moskva è affondato

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di Alfio Krancic

Al di là del colpo al prestigio militare russo, l’affondamento dell’incrociatore a mio parere pone alcuni interrogativi. Sapevo che un’unità come il Moskva era dotata di difese antiaeree e antimissilistiche estremamente efficaci e di un sistema di controllo elettronico e radaristico molto efficiente, ma non è bastato per fermare due missili Neptune di fabbricazione ucraina. Ora noi tutti sappiamo che il know how ucraino in fatto di elettronica applicata agli armamenti non è propriamente il massimo che ci sia in circolazione o perlomeno non è all’altezza di quello russo. Quindi sorge spontanea una domanda. Boris Bojo Johnson nel suo viaggio a Kiev aveva promesso fra gli altri aiuti “umanitari”, quello di inviare i temibili missili anti-nave Harpoon:  “nel tentativo di rompere l’assedio della marina russa ai porti del Mar Nero”. Guarda caso l’assedio momentaneamente si è interrotto. Non solo, ma l’attacco missilistico contro il Moskva avviene all’indomani della resa in massa di militari ucraini a Mariupol. Occorreva risollevare il morale della Nato e delle forze fedeli al dittatore Zelensky. Ci hanno pensato gli “istruttori” inglesi facendo partire due Neptune-Harpoon. Ma i sospetti non finiscono qui. Vogliamo scommettere che l’operazione è stata supportata, come dicono alcuni, dalla Nato-Usa che ha mandato il tilt grazie a interferenze elettroniche la capacità di difesa del Moskva ? Vedremo cosa diranno i russi nei prossimi giorni.

Fonte: https://alfiokrancic.com/2022/04/14/moskva-e-affondato/

Lettera di 10 ex corrispondenti di guerra contro la propaganda dei mezzi di comunicazione

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di Massimo Alberizzi, Remigio Benni, Toni Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano Laruffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, Amedeo Ricucci, Claudia Svampa, Vanna Vannuccini e Angela Virdò

“Ecco perché sull’Ucraina il giornalismo sbaglia. E spinge i lettori verso la corsa al riarmo”: lo sfogo degli ex inviati in una lettera aperta. “Basta con buoni e cattivi, in guerra i dubbi sono preziosi”
Undici storici corrispondenti di grandi media lanciano l’allarme sui rischi della narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto: “Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin”. L’ex inviato del Corriere Massimo Alberizzi: “Questa non è più informazione, è propaganda. I fatti sono sommersi da un coro di opinioni”. Toni Capuozzo (ex TG5): “Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori. Trattare così il tema vuol dire non conoscere cos’è la guerra”
“Osservando le televisioni e leggendo i giornali che parlano della guerra in Ucraina ci siamo resi conto che qualcosa non funziona, che qualcosa si sta muovendo piuttosto male”. Inizia così l’appello pubblico di undici storici inviati di guerra di grandi media nazionali (Corriere, Rai, Ansa, Tg5, Repubblica, Panorama, Sole 24 Ore), che lanciano l’allarme sui rischi di una narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto nel giornalismo italiano (qui il testo integrale sul quotidiano online Africa ExPress). “Noi la guerra l’abbiamo vista davvero e dal di dentro: siamo stati sotto le bombe, alcuni dei nostri colleghi e amici sono caduti”, esordiscono Massimo Alberizzi, Remigio Benni, Toni Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano Laruffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, Amedeo Ricucci, Claudia Svampa, Vanna Vannuccini e Angela Virdò. “Proprio per questo – spiegano – non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell’era web avanzata. Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi“, notano i firmatari. “Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo”.
“L’opinione pubblica spinta verso la corsa al riarmo” – Gli inviati, come ormai d’obbligo, premettono ciò che è persino superfluo: “Qui nessuno sostiene che Vladimir Putin sia un agnellino mansueto. Lui è quello che ha scatenato la guerra e invaso brutalmente l’Ucraina. Lui è quello che ha lanciato missili provocando dolore e morte. Certo. Ma dobbiamo chiederci: è l’unico responsabile? Noi siamo solidali con l’Ucraina e il suo popolo, ma ci domandino perché e come è nata questa guerra. Non possiamo liquidare frettolosamente le motivazioni con una supposta pazzia di Putin“. Mentre, notano, “manca nella maggior parte dei media (soprattutto nei più grandi e diffusi) un’analisi profonda su quello che sta succedendo e, soprattutto, sul perché è successo”. Quegli stessi media che “ci continuano a proporre storie struggenti di dolore e morte che colpiscono in profondità l’opinione pubblica e la preparano a una pericolosissima corsa al riarmo. Per quel che riguarda l’Italia, a un aumento delle spese militari fino a raggiungere il due per cento del Pil. Un investimento di tale portata in costi militari comporterà inevitabilmente una contrazione delle spese destinate al welfare della popolazione. L’emergenza guerra – concludono – sembra ci abbia fatto accantonare i principi della tolleranza che dovrebbero informare le società liberaldemocratiche come le nostre”.
Alberizzi: “Non è più informazione, è propaganda” – Parole di assoluto buonsenso, che tuttavia nel clima attuale rischiano fortemente di essere considerate estremiste. “Dato che la penso così, in giro mi danno dell’amico di Putin”, dice al fattoquotidiano.it Massimo Alberizzi, per oltre vent’anni corrispondente del Corriere dall’Africa. “Ma a me non frega nulla di Putin: sono preoccupato da giornalista, perché questa guerra sta distruggendo il giornalismo. Nel 1993 raccontai la battaglia del pastificio di Mogadiscio, in cui tre militari italiani in missione furono uccisi dalle milizie somale: il giorno dopo sono andato a parlare con quei miliziani e mi sono fatto spiegare perché, cosa volevano ottenere. E il Corriere ha pubblicato quell’intervista. Oggi sarebbe impossibile“. La narrazione del conflitto sui media italiani, sostiene si fonda su “informazioni a senso unico fornite da fonti considerate “autorevoli” a prescindere. L’esempio più lampante è l’attacco russo al teatro di Mariupol, in cui la narrazione non verificata di una carneficina ha colpito allo stomaco l’opinione pubblica e indirizzandola verso un sostegno acritico al riarmo. Questa non è più informazione, è propaganda. I fatti sono sommersi da un coro di opinioni e nemmeno chi si informa leggendo più quotidiani al giorno riesce a capirci qualcosa”.
Negri: “Fare spettacolo interessa di più che informare” – “Questa guerra è l’occasione per molti giovani giornalisti di farsi conoscere, e alcuni di loro producono materiali davvero straordinari“, premette invece Alberto Negri, trentennale corrispondente del Sole da Medio Oriente, Africa, Asia e Balcani. “Poi ci sono i commentatori seduti sul sofà, che sentenziano su tutto lo scibile umano e non aiutano a capire nulla, ma confondono solo le acque. Quelli mi fanno un po’ pena. D’altronde la maggior parte dei media è molto più interessata a fare spettacolo che a informare”. La vede così anche Toni Capuozzo, iconico volto del Tg5, già vicedirettore e inviato di guerra – tra l’altro – in Somalia, ex Jugoslavia e Afghanistan: “L’influenza della politica da talk show è stata nefasta”, dice al fattoquotidiano.it. “I talk seguono una logica binaria: o sì o no. Le zone grigie, i dubbi, le sfumature annoiano. Nel raccontare le guerre questa logica è deleteria. Se ci facciamo la domanda banale e brutale “chi ha ragione?”, la risposta è semplice: Putin è l’aggressore, l’Ucraina aggredita. Ma una volta data questa risposta inevitabile servirebbe discutere come si è arrivati fin qui: lì verrebbero fuori altre mille questioni molto meno nette, su cui occorrerebbe esercitare l’intelligenza”.
Capuozzo: “In guerra i dubbi sono preziosi” – “Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori”, argomenta Capuozzo. “Invece è proprio in queste circostanze che i dubbi sono preziosi e l’unanimismo pericolosissimo. Credo che questo modo di trattare il tema derivi innanzitutto dalla non conoscenza di cos’è la guerra: la guerra schizza fango dappertutto e nessuno resta innocente, se non i bambini. E ogni guerra è in sè un crimine, come dimostrano la Bosnia, l’Iraq e l’Afghanistan, rassegne di crimini compiute da tutte le parti”. Certo, ci sono le esigenze mediatiche: “È ovvio che non si può fare un telegiornale soltanto con domande senza risposta. Però c’è un minimo sindacale di onestà dovuta agli spettatori: sapere che in guerra tutti fanno propaganda dalla propria parte, e metterlo in chiaro. In situazioni del genere è difficilissimo attenersi ai fatti, perché i fatti non sono quasi mai univoci. Così ad avere la meglio sono simpatie e interpretazioni ideologiche”. Una tendenza che annulla tutte le sfumature anche nel dibattito politico: “La mia sensazione è che una classe dirigente che sente di avere i mesi contati abbia colto l’occasione di scattare sull’attenti nell’ora fatale, tentando di nascondere la propria inadeguatezza. Sentire la parola “eroismo” in bocca a Draghi è straniante, non c’entra niente con il personaggio”, dice. “Siamo diventati tutti tifosi di una parte o dell’altra, mentre dovremmo essere solo tifosi della pace”.

I CONSIGLI DELL’IRAN ALLA RUSSIA PER SUPERARE LE SANZIONI

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QUINTA COLONNA

di Massimo Cascone

Ci sono Stati che da anni fronteggiano il bullismo occidentale, rispondendo colpo su colpo alle sanzioni e garantendo la sopravvivenza, tra alti e bassi, del proprio popolo. Tra questi rientra sicuramente l’Iran, da più di 40 anni soggetto alle restrizioni economiche a causa della sua ferrea volontà di non sottomettersi al potere globalizzante americano.

Saper sopravvivere nonostante le avversità è un’arte e adesso anche alla Russia tocca impararla. Per questo motivo, come riporta RIA Novosti, le autorità iraniane hanno consigliato al Cremlino una serie di misure per contrastare le sanzioni statunitensi e, allo stesso tempo cooperare maggiormente.

Ad affermarlo, Mohsen Karimi, vice capo della Banca centrale della Repubblica islamica per gli affari internazionali.

L’Iran, sulla base della sua ricca esperienza di essere sotto sanzioni negli ultimi anni, ha adottato le misure necessarie per uscire dall’influenza della dominazione americana e dei paesi ostili, che ha proposto alla parte russa.

Karimi, come anticipato, ha anche accennato nelle dichiarazioni rilasciate all’importanza di rinsaldare l’alleanza tra i due paesi, sottolineando la necessità di rafforzare gli scambi commerciali:

Ci sono sia accordi che opportunità. L’Iran vuole solo usarli per condurre operazioni commerciali con la Russia in rubli e rial.

Massimo A. Cascone, 02.04.2022

Fonte: https://ria.ru/20220401/sanktsii-1781315730.html

Fonte: https://comedonchisciotte.org/i-consigli-delliran-alla-russia-per-superare-le-sanzioni/

Ecco la nuova valuta di riserva globale basata sulle risorse

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Si sta formando una nuova realtà: il mondo unipolare sta irrevocabilmente diventando un ricordo del passato, al suo posto sta prendendo forma un mondo multipolare

di Pepe Escobar
strategic-culture.org

È stato qualcosa da vedere. Dmitri Medvedev, ex presidente russo, atlantista impenitente, attuale vice presidente del Consiglio di sicurezza russo, ha deciso di parlare fuori dai denti in uno sfogo che ha eguagliato l’esordio in combattimento del signor Khinzal, che aveva causato stupore e un palpabile shock in tutto il NATOstan.

Medvedev ha detto che le “infernali” sanzioni occidentali non solo non sono riuscite a paralizzare la Russia, ma si stanno invece “ritorcendo contro l’Occidente come un boomerang.” La fiducia nelle valute di riserva sta “svanendo come la nebbia del mattino” e abbandonare il dollaro USA e l’euro non è più irrealistico: “L’era delle valute regionali sta arrivando.”

Dopo tutto, ha aggiunto, “non importa se lo vogliono o no, dovranno negoziare un nuovo ordine finanziario (…) E allora l’ultima parola sarà di quei Paesi che hanno un’economia forte e avanzata, finanze pubbliche sane e un sistema monetario affidabile.”

Medvedev ha rilasciato la sua succinta analisi anche prima del D Day – questo giovedì, la data stabilita dal presidente Putin, dopo la quale i pagamenti per il gas russo da parte delle “nazioni ostili” saranno accettati solo se in rubli.

Il G7, prevedibilmente, ha assunto una posizione (collettiva): noi non pagheremo. “Noi” significa i 4 che non sono grandi importatori di gas russo. “Noi,” inoltre, significa l’Impero della Menzogna che detta le regole. Per quanto riguarda i rimanenti 3, che saranno in gravi difficoltà, non solo sono grandi importatori ma sono anche le nazioni sconfitte della Seconda Guerra Mondiale – Germania, Italia e Giappone, ancora, de facto, territori occupati. La storia ha l’abitudine di giocare scherzi perversi.

Il diniego non è durato a lungo. La Germania è stata la prima a cedere – anche prima che gli industriali, dalla Ruhr alla Baviera, inscenassero una rivolta di massa. Scholz, il patetico cancelliere, ha chiamato Putin, che ha dovuto spiegare l’ovvio: i pagamenti dovranno essere effettuati in rubli perché l’UE ha congelato le riserve in valuta estera della Russia – in una rozza violazione del diritto internazionale.

Con pazienza taoista, Putin ha anche espresso la speranza che questo non rappresenti un deterioramento dei termini contrattuali per gli importatori europei. Gli esperti russi e tedeschi dovrebbero riunirsi e discutere i nuovi termini.

Mosca sta lavorando ad una serie di documenti che definiscono il nuovo accordo. Essenzialmente, questo stabilisce che niente rubli, niente gas. I contratti diventano nulli una volta che si viola la fiducia. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno rotto accordi legalmente vincolanti con sanzioni unilaterali e, in più, hanno confiscato le riserve estere di una nazione – nucleare – del G20.

Le sanzioni unilaterali hanno reso dollari ed euro senza valore per la Russia. L’isteria non porta da nessuna parte, la questione sarà risolta – ma alle condizioni della Russia. Punto. Il Ministero degli Esteri aveva già avvertito che il rifiuto di pagare il gas in rubli avrebbe portato ad una grave crisi di mancati pagamenti e fallimenti a livello globale, una reazione a catena infernale di transazioni bloccate, congelamento di beni collaterali e chiusura di linee di credito.

Quello che accadrà dopo è parzialmente prevedibile. Le aziende dell’UE riceveranno la nuova serie di regole. Avranno tempo per esaminare i documenti e prendere una decisione. Quelle che diranno “no” saranno automaticamente escluse dal ricevere forniture dirette di gas russo – con tutte le conseguenze politico-economiche del caso.

Ci sarà qualche compromesso, naturalmente. Per esempio, parecchie nazioni dell’UE accetteranno di usare i rubli e aumenteranno le loro acquisizioni di gas in modo da poter rivendere il surplus ai loro vicini e ottenere un profitto. E alcune potrebbero anche decidere di comprare gas al momento sul mercato spot.

Quindi, la Russia non sta imponendo un ultimatum a nessuno. Il tutto richiederà tempo – è un processo in corso. Con anche qualche azione secondaria. La Duma sta contemplando l’estensione del pagamento in rubli ad altri prodotti essenziali – come petrolio, metalli, legname, cereali. Dipenderà dalla voracità collettiva dei chihuahua dell’UE. Tutti sanno che la loro incessante isteria può tradursi in una colossale rottura delle catene di approvvigionamento in tutto l’Occidente.

Ciao ciao oligarchi

Mentre le classi dirigenti atlantiste sono andate completamente fuori di testa, ma rimangono ancora concentrate sulla lotta fino all’ultimo Europeo per estrarre ogni residua, palpabile ricchezza dell’UE, la Russia sta mantenendo i nervi saldi. Mosca, infatti, è stata abbastanza indulgente, evocando lo spettro della mancanza di gas in primavera, invece che in inverno.

La Banca centrale russa ha nazionalizzato i guadagni in valuta estera di tutti i principali esportatori. Non c’è stato nessun default. Il rublo continua a salire – e ora è ritornato, più o meno, alle quotazioni antecedenti l’operazione Z. La Russia rimane autosufficiente dal punto di vista alimentare. L’isteria americana su una Russia “isolata” è ridicola. In tutta l’Eurasia ogni attore che conta – per non parlare degli altri 4 BRICS e praticamente tutto il Sud globale – non ha demonizzato e/o sanzionato la Russia.

Come bonus extra, probabilmente l’ultimo oligarca in grado di influenzare Mosca, Anatoly Chubais, non c’è più. Chiamatelo un altro epocale trucco storico: l’isteria sanzionatoria occidentale ha, di fatto, smembrato l’oligarchia russa – il progetto preferito di Putin fin dal 2000. E questo implica il rafforzamento dello stato russo e il consolidamento della società russa.

Non conosciamo ancora tutti i fatti, ma possiamo affermare che, dopo anni di attenta valutazione, Putin ha deciso veramente di rischiare il tutto per tutto e rompere la schiena all’Occidente – usando quella triade (l’imminente guerra lampo nel Donbass, i laboratori statunitensi di armi biologiche, il progetto ucraino di armi nucleari) come casus belli.

Il congelamento delle riserve estere doveva essere previsto, soprattutto perché la Banca centrale russa aveva aumentato le proprie riserve di titoli del Tesoro USA fin dal novembre dello scorso anno. Poi c’è la seria possibilità che Mosca possa accedere a riserve estere “segrete” offshore – una matrice complessa costruita con l’aiuto di insider cinesi.

L’improvviso passaggio da dollari/euro a rubli è stata una vera e propria mossa di judo geoeconomico di livello olimpico. Putin ha invogliato l’Occidente collettivo a scatenare il suo demente attacco di isteria sanzionatoria – e lo ha rivoltato contro l’avversario con una sola, rapida mossa.

Ed eccoci qui, a cercare di assorbire tutti questi rivoluzionari e ben sincronizzati sviluppi che seguono la militarizzazione degli asset del dollaro: la rupia-rublo con l’India, il petroyuan saudita, le carte Mir-UnionPay co-badged emesse dalle banche russe, l’alternativa SWIFT Russia-Iran, il progetto EAEU-Cina di un sistema monetario/finanziario indipendente.

Per non parlare del colpo da maestro della Banca centrale russa, che ha fissato 1 grammo d’oro a 5.000 rubli – che è già intorno ai 60 dollari, e sta salendo.

Insieme a No Rubli No Gas, quello che abbiamo qui è che, di fatto, l’energia è stata ancorata all’oro. I chihuahua dell’UE e la colonia giapponese dovranno comprare molti rubli utilizzando l’oro o comprare molto oro per avere il loro gas. E c’è di meglio. La Russia, nel prossimo futuro, potrebbe nuovamente ri-ancorare il rublo all’oro. Potrebbero essere 2.000 rubli, 1.000 rubli, anche 500 rubli per un grammo d’oro.

Tempo di essere sovrani

Il Santo Graal nelle discussioni in corso su un mondo multipolare, fin dai vertici BRICS degli anni 2000 con Putin, Hu Jintao e Lula, è sempre stato come aggirare l’egemonia del dollaro. Ora la cosa è proprio di fronte a tutto il Sud globale, come un’apparizione benigna con un sorriso da gatto del Cheshire: il rublo d’oro o il rublo sostenuto da petrolio, gas, minerali, esportazioni di materie prime.

La Banca centrale russa, a differenza della Fed, non pratica il QE e non esporta inflazione tossica nel resto del pianeta. La Marina russa non solo garantisce la sicurezza di tutte le linee di comunicazione marittime russe, ma i sottomarini russi a propulsione nucleare sono in grado di spuntare in tutto il pianeta, senza preavviso.

La Russia è molto, molto avanti nel mettere in pratica il concetto di “potenza navale continentale.” Il game-changer strategico si era verificato nel dicembre 2015, nel teatro siriano. La quarta divisione sottomarina con base nel Mar Nero come star dello spettacolo.

Le flotte navali russe possono ora impiegare missili Kalibr in uno spazio che comprende l’Europa orientale, l’Asia occidentale e l’Asia centrale. Il Mar Caspio e il Mar Nero, collegati dal canale Don-Volga, offrono uno spazio di manovra paragonabile al Mediterraneo orientale e al Golfo Persico messi insieme. 6.000 km di lunghezza. E non c’è nemmeno bisogno di accedere alle acque calde.

Questo copre circa 30 nazioni: la tradizionale sfera d’influenza russa, i confini storici dell’impero russo e le attuali sfere di rivalità politica/energetica.

Non c’è da stupirsi che la Beltway sia impazzita.

La Russia garantisce la navigazione attraverso l’Asia, l’Artico e l’Europa, in tandem con la rete ferroviaria Eurasia-wide BRI.

E, ultimo ma non meno importante, non si scherza con un orso nucleare.

Essenzialmente, questo è ciò che caratterizza la vera politica di potere. Medvedev non si stava vantando quando aveva detto che l’era della moneta unica di riserva era finita. L’avvento di una valuta di riserva globale basata sulle risorse significa, in poche parole, che il 13% del pianeta non dominerà più l’altro 87%.

È il redux del NATOstan contro l’Eurasia. Guerra Fredda 2.0, 3.0, 4.0 e persino 5.0. Non ha importanza. Tutte le precedenti nazioni del Movimento dei Non Allineati (NAM) vedono da che parte soffiano i venti geopolitici e geoeconomici: il tempo di affermare la loro reale sovranità è a portata di mano, mentre l’”ordine internazionale basato sulle regole” morde la polvere.

Benvenuti alla nascita del nuovo sistema mondiale. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, in Cina, dopo aver incontrato diverse controparti da tutta l’Eurasia, non avrebbe potuto delinearlo meglio:

Si sta formando una nuova realtà: il mondo unipolare sta irrevocabilmente diventando un ricordo del passato, un mondo multipolare sta prendendo forma. È un processo oggettivo. È inarrestabile. In questa realtà, “governerà” più di una potenza – sarà necessario negoziare tra tutti gli stati chiave che oggi hanno un’influenza decisiva sull’economia e sulla politica mondiale. Allo stesso tempo, rendendosi conto della loro situazione speciale, questi Paesi assicureranno il rispetto dei principi di base della Carta delle Nazioni Unite, compreso quello fondamentale – l’uguaglianza sovrana degli stati. Nessuno su questa Terra dovrebbe essere considerato un attore minore. Tutti sono uguali e sovrani.”

Pepe Escobar

Fonte: strategic-culture.org
Link: https://www.strategic-culture.org/news/2022/03/31/meet-the-new-resource-based-global-reserve-currency/
31.03.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Fonte: https://comedonchisciotte.org/ecco-la-nuova-valuta-di-riserva-globale-basata-sulle-risorse/

Vittime della nostra propaganda

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di Stefano D’Andrea

Fonte: Stefano D’Andrea

Molti italiani si sono stupiti per aver scoperto che soltanto il 27% dei Russi è contrario alla guerra e per aver visto la folla oceanica di sostenitori della guerra allo stadio e fuori: la propaganda li aveva convinti che la guerra l’avesse voluta il pazzo, dittatore e criminale Putin, e che vi fosse dissenso sia tra i russi che nel gruppo di comando.
Questo stupore sta a significare che quegli italiani non capiscono che la propaganda russa è, come è ovvio, completamente opposta a quella ucraina, assorbita e diffusa acriticamente dai nostri quotidiani e dalle nostre TV nazionali.
In generale, pressoché tutti gli italiani non capiscono che la distanza dalla verità della propaganda russa, se in linea di principio non dovrebbe essere superiore o inferiore a quella ucraina, nel caso concreto contiene meno balle e meno esagerazioni, perché vi sono ragioni precise che spingono gli ucraini a inventare più balle e a esagerare di più.
Infatti la propaganda russa è rivolta esclusivamente al fronte interno, a far vedere ai russi: cosa fanno i banderisti (interviste a cittadini russofoni che si sentono “liberati”); come combattono con coraggio e sorriso i soldati russi e i miliziani russofoni e come si proteggono l’un l’altro; come i soldati russi trattano bene i soldati ucraini catturati e apprestano cure mediche a quelli feriti; che i banderisti bombardano il centro di Donesk; perché i russi sono costretti talvolta a bombardare il centro delle città (immagini che mostrano che gli ucraini sparano razzi dal centro delle città e immagini che riprendono gli scoppi provocati dal bombardamento di un deposito di armi creato all’interno di Kiev, in particolare in un centro commerciale).
Questa, e altra propaganda simile, non è tutta la verità e perciò è propaganda, ma almeno è una parte della verità.
Gli ucraini, invece, devono convincere i paesi europei ad entrare in guerra o, almeno, a inviare le armi; e perciò devono persuaderli che i russi sono dei mostri. Le balle ucraine perciò sono gigantesche: nel teatro di Mariupol sarebbero morte 1000 persone, quando invece non ne è morta nessuna; i civili che dalle zone dell’est vanno in Russia sarebbero “deportati”; i 20 morti di Donesk li avrebbero provocati i russi; 100 persone che sulla spiaggia di Odessa mettono sacchi dimostrerebbero che tutto il popolo ucraino o gran parte è pronto a combattere; l’esercito russo avanzerebbe lentamente, perché sarebbe stato respinto o avrebbe trovato una resistenza inattesa (perché l’esercito russo dovrebbe avere fretta nessuno lo dice mai: si dà per scontata una assurdità, senza nemmeno inventare una assurda motivazione).
Dopo 23 giorni di propaganda ucraino-italiana, ormai anche Caracciolo e Fabbri e Negri svolgono ragionamenti sulla base della unilaterale e comica (per chi sa riflettere) propaganda ucraina.
In questo modo, sono davvero rarissimi ormai, nel discorso pubblico, sprazzi di intelligenza e squarci di verità
Il Generale Mini osservò una decina di giorni fa: che la Russia aveva inviato pochi soldati e pochi mezzi e vecchi (tra i carri armati t-72 e qualche t-80, quindi mezzi progettati nel 1972: la Russia ha carri armati t-14 che sono rimasti in Russia); e che limitava estremamente il numero di bombardamenti, ricordando che la NATO in Libia e in Iraq faceva 2000 missioni aeree in 8 ore. Insomma la NATO in Iraq e Libia bombardava in 8 ore molto più di quanto abbia fatto la Russia in questi 23 giorni.
Ora, è evidente che se queste osservazioni sono vere, tutti i discorsi degli “esperti”, Fabbri e Caracciolo compresi, sono campati in aria.
Se si volesse conoscere la verità, bisognerebbe soltanto ragionare su queste affermazioni del generale Mini e verificare se sono vere. Bisognerebbe che ci si dedicasse una sola settimana a rispondere alla domanda: ha ragione il Generale Mini?
Se la risposta fosse positiva, poi bisognerebbe ridere di ogni esperto che svolge considerazioni, muove osservazioni e propone valutazioni incompatibili con la verità accertata.
Ma questo sarebbe giornalismo.
Invece, purtroppo, TV e quotidiani sono ormai organi di propaganda.
Cosa ci guadagniamo ad ingannare noi stessi e a diseducare il popolo e i ceti colto e semi-colto al ragionamento?

Vademecum: la disinformazione, che cos’è e come funziona

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di Roberto Buffagni

Fonte: Italia e il mondo

Premessa generale: il linguaggio umano si differenzia da tutti gli altri perché è capace di mentire.

In questo vademecum che mi accingo a scrivere, esporrò brevemente le caratteristiche principali della disinformazione. Il tema è vastissimo, io non sono uno specialista e questo non sarà un trattato: sarà un agile e breve manualetto, appunto un vademecum, che si propone il modesto scopo di aiutare il lettore a riconoscere la disinformazione e a evitarla, insomma a non abboccare. Saranno benvenuti critiche, obiezioni, aggiunte e suggerimenti dei lettori.

Cominciamo dal principio, con una classificazione elementare dei tipi di disinformazione.

I tipi fondamentali di disinformazione sono: lo stratagemma, l’intossicazione, la propaganda bianca, la propaganda nera, l’influenza.

  1. Stratagemma. Esiste da sempre. Nel combattimento individuale è la finta: finti col sinistro, l’avversario si scopre per parare, colpisci col destro; nel combattimento tra formazioni è la diversione: attacchi con un reparto a est per attirare colà il nemico, colpisci con il grosso delle tue forze a ovest. I greci abbandonano l’assedio, si allontanano sulle navi (nascondendole dietro l’isolotto di Tenedo), lasciano sulla riva il cavallo di legno (farcito di armati), i troiani esultano, eccetera. Questo celebre stratagemma contiene anche un’intossicazione (v. 2) perché i greci fanno credere ai troiani che il cavallo sia un’offerta ad Atena, ciò che li persuade a trasportarlo in città.
  2. Intossicazione. Rifilare al nemico dei falsi segreti. Nella definizione lapidaria del colonnello André Brouillard (Pierre Nord, artista francese del controspionaggio) “consiste nel far credere all’avversario quel che dovrebbe credere per precipitare nella sconfitta, militare o politica”. Hitler fa credere a Stalin che nel corpo ufficiali sovietico si cospira con la Germania per rovesciare l’URSS: Stalin fa giustiziare metà del corpo ufficiali. Gli Alleati vogliono sbarcare in Sicilia, fanno trovare ai tedeschi, al largo delle coste spagnole, un cadavere di ufficiale inglese: nelle sue tasche, prove indiziarie di un prossimo sbarco in Grecia. Hitler sposta in Grecia una parte delle truppe e del naviglio stazionato in Sicilia. Il principio dell’intossicazione è: ingannare il nemico in merito alla fonte dell’informazione.
  3. Propaganda bianca. La propaganda bianca consiste nel ripetere, molte volte e con molte variazioni: “Noi siamo meglio di voi”[1]. Il limite intrinseco della propaganda bianca è che dichiara la sua fonte. Siccome il bersaglio della propaganda è il nemico o l’avversario politico, va dato per scontato che egli nutrirà un pregiudizio sfavorevole riguardo al suo contenuto, cioè che ne diffiderà. Il fatto che la propaganda bianca sia veritiera può essere utile, ma non sempre risolutivo (non scrivo “mai” perché il cinismo è pericoloso in questo campo, menoma l’immaginazione). Guerra fredda: la propaganda bianca del campo anticomunista dice che l’Occidente è più ricco e più libero del campo comunista povero e dispotico, la cosa è effettivamente vera ma non persuade i comunisti e i loro simpatizzanti del campo occidentale, compresi fior d’intellettuali che potrebbero sapere come stanno le cose, o addirittura concretamente lo sanno, ma riescono a convincersi che non stanno così. Ai cittadini sovietici la propaganda bianca non arriva, o arriva in dosaggi insufficienti. Sintesi: la forza di penetrazione psicologica della propaganda bianca è limitata; per essere efficace, la propaganda bianca deve affidarsi alla quantità e alla ripetizione incessante: in questo somiglia ai bombardamenti terroristici “a tappeto” impiegati dagli Alleati nella IIGM, non diretti a obiettivi militari ma a intere popolazioni civili. La propaganda bianca “a tappeto” ottiene risultati sia perché diventa impossibile sfuggirle, sia soprattutto perché produce effetti di siderazione nel bersaglio. “Siderazione” significa paralisi delle capacità volitive in seguito a choc; la siderazione induce spesso timore reverenziale di fronte alla potenza sovrumana che si dispiega e ci colpisce, come di fronte a un’epifania della divinità[2]. Esempio contemporaneo: l’effetto frastornante e suggestivo delle tempeste mediatiche che ci bersagliano quando l’emittente della propaganda bianca ha una posta rilevante in gioco. Esempio, una guerra da legittimare, una competizione elettorale importante di cui vuole teleguidare il risultato, etc.
  4. Propaganda nera. La propaganda nera si differenzia dalla propaganda bianca perché mente sulla sua origine. Non è identica all’intossicazione, perché mentre l’intossicazione mira a far credere all’avversario una singola informazione, la propaganda nera mira a diffondere sfiducia nel campo avversario, per abbatterne il morale. Esempio: l’inglese Sefton Delmer, nella IIGM, crea diverse stazioni radio che si presentano come radio tedesche, favorevoli al regime nazista. Quando la popolazione di Amburgo sfolla verso l’Est in seguito ai bombardamenti, una radio di Delmer trasmette questo comunicato: “Il dottor Conti, Ministro della Sanità del Reich, si congratula con gli ufficiali medici dei centri di raccolta per l’infanzia siti nel Gau Warteland [dove sfollano gli amburghesi] per la devozione esemplare con la quale curano l’epidemia di difterite che si è manifestata tra i bambini che hanno in cura. Esprime altresì l’auspicio di vederli trionfare sulla tragica penuria di medicinali, e di ridurre così il tasso di mortalità a una media di sessanta morti la settimana.” La propaganda nera ha una forza di penetrazione psicologica molto maggiore della propaganda bianca, appunto perché, mentendo sulla propria fonte, può contare (se eseguita a regola d’arte) sul pregiudizio favorevole del bersaglio, che si fida. A differenza della propaganda bianca, però, la propaganda nera non può e non deve essere diffusa in dosaggi massicci, “a tappeto”. Non punta sulla quantità e sulla siderazione della potenza, ma sulla qualità dell’inganno (adesione perfetta allo stile della falsa fonte e alla mentalità del bersaglio) e sulla diffusione lenta e capillare. La propaganda nera, insomma, ha bisogno di artisti dell’inganno e di tempo, tanto tempo, per produrre i suoi effetti. Un esempio contemporaneo di propaganda nera, iniziato nel corso della IIGM, è il diluvio di attributi disonoranti che i media rovesciano sul popolo italiano, al quale sono sistematicamente addebitati i difetti e le tare morali e civili più infamanti e ridicoli. Che gli italiani abbiano davvero tare e difetti è del tutto irrilevante, perché ne hanno tutti i popoli. La differenza è che agli altri popoli, tare e difetti non vengono sistematicamente addebitati, e l’effetto di comparazione è dunque profondamente debilitante e demoralizzante per il popolo italiano. Questo esempio riuscitissimo di propaganda nera sfuma nell’influenza (v. 5) perché è stato compiuto servendosi di agenti d’influenza e casse di risonanza (v. 5).
  5. Influenza. L’influenza ricorre, talvolta, alle tecniche dell’intossicazione e della propaganda nera, ma è infinitamente più raffinata. L’influenza non mira semplicemente a diffondere informazioni false o sfiducia, mira a destabilizzare l’intero campo avversario. Al campo che emette l’influenza non importa sapere se i primi effetti della sua azione andranno a suo proprio immediato vantaggio, a patto che gli effetti d’eco dell’azione d’influenza siano nocivi per il campo avverso. L’influenza è una tecnica raffinata, che non può fare ricorso agli strumenti grossolani della propaganda bianca: chiunque esprima aperta simpatia per il campo emittente l’influenza, diventa inservibile e va evitato con cura. L’influenza si opera per mezzo di agenti d’influenza e casse di risonanza. Gli agenti d’influenza sono persone interne al campo-bersaglio, situate in posizioni dirigenziali, soprattutto nei media, che operano consapevolmente a favore del campo emittente l’influenza: esempio, un direttore di giornale. Le casse di risonanza sono persone o gruppi di persone interne al campo-bersaglio, che per le più varie ragioni diffondono, inconsapevolmente, l’azione d’influenza: il giornalista che scrive quel che gli ordina il direttore-agente d’influenza, o il giornalista che condivide gli scopi apparenti dell’operazione d’influenza, per esempio la pace nel mondo o la sconfitta del fascismo; oppure, semplicemente il lettore di giornali, che ne diffonde le opinioni chiacchierando in casa, sul lavoro, al bar. Esempio storico: nel corso della guerra fredda, in Europa occidentale l’URSS appoggia a loro insaputa formazioni anticomuniste accesamente nazionaliste, perché sono anche antiamericane. Il partito degli emigrati russi Giovane Russia si dichiara monarchico e adotta uno stile parafascista, ma è infiltrato e manipolato dal KGB, che lo usa per far pensare che tutti gli oppositori dell’URSS siano così, reazionari, illusi, fascistoidi. Esempio contemporaneo: la diffamazione sistematica tuttora corrente del popolo italiano (v. 4, propaganda nera). Nel corso della guerra civile, e dopo la vittoria alleata nella IIGM, gli Alleati e in particolare i britannici insediano in Italia, in posti di responsabilità, diversi tecnici della guerra psicologica, tra i quali ad esempio Renato Mieli, primo direttore dell’ANSA e padre di Paolo Mieli[3]. I partiti italiani riuniti nel CLN hanno l’interesse immediato di addebitare tutta la colpa della guerra perduta al regime fascista, tutto il merito della vittoria alla Resistenza, cioè a se medesimi. I tecnici della guerra psicologica alleati appoggiano questa naturale inclinazione a dividere gli italiani in due categorie: i fascisti (cattivi, arretrati, reazionari, corrotti, pericolosi, perdenti) e gli antifascisti (buoni, moderni, onesti, pacifici, vittoriosi) e iniziano un’operazione di propaganda nera ai danni degli italiani fascisti, accentuandone tare e difetti: spesso reali, beninteso, basti ricordare l’8 settembre. Si tratta però di propaganda nera, che non dichiara la propria fonte (britannica, alleata) che si trasforma in influenza perché si serve di agenti d’influenza italiani (es., Renato Mieli) e di casse di risonanza (gli antifascisti). Gli agenti d’influenza impegnati in quest’ operazione scelgono, di preferenza, di posizionarsi tra i comunisti (come Renato Mieli che fu per nove anni direttore de “L’Unità”) e più tardi nella sinistra extraparlamentare, anche estremista. Comunisti e sinistra extraparlamentare sono fieramente, rumorosamente avversi al campo americano e britannico (perché anticomunista e capitalista) dunque la fonte ideale per un’operazione d’influenza, che non deve mai partire da chi esprima aperta simpatia per il campo emittente. L’operazione di propaganda nera si trasforma, nei decenni, in azione d’influenza coronata da larghissimo successo. Gli agenti d’influenza e le casse di risonanza tengono in vita l’antifascismo per decenni, anche dopo la totale sparizione del fascismo, e così possono affibbiare colpe e tare spregevoli ai loro avversari più scomodi, qualificati di “fascisti” in aeternum[4] Procede parallelamente, ormai sospinta dalla forza d’inerzia delle abitudini inveterate, la routinaria demoralizzazione sistematica degli italiani, che indebolisce e divide la nazione e lo Stato e concorre validamente a far raggiungere al campo emittente l’operazione d’influenza il suo obiettivo politico-militare principale: il controllo del Mediterraneo, difficile da ottenere se l’Italia è coesa nel perseguimento dello scopo geopolitico che le dettano posizione geografica e interesse nazionale.

E’ appena il caso di aggiungere che le operazioni d’influenza, come questa anglosassone ai danni dell’Italia che ho appena sommariamente descritto, non creano dal nulla una mentalità o una cultura politica, ma fanno leva su opinioni e persuasioni già esistenti nel paese-bersaglio. I complotti, cioè i disegni segreti, esistono eccome, ma non creano la realtà: le danno una spintarella, a volte ininfluente, a volte decisiva.

Con questo importante caveat concludo il primo capitolo del vademecum. Nel secondo capitolo illustrerò la disinformazione nel senso esteso, o dezynformatsjia, come l’hanno creata nel 1959 i grandi artisti del Direttorato D del KGB, guidato dal Generale Agayantz (poi Direttorato A, capeggiato dal braccio destro di Agayantz, gen. Kondracev).

I servizi segreti sovietici, che si riallacciavano alla grande tradizione dell’Okhrana –  la polizia segreta zarista che cucinò e diffuse I protocolli dei Savi di Sion piratando il semisconosciuto libello satirico Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu – si avvalsero anche della prossimità geografica e culturale con l’Asia, in particolare studiando Sun Tzu, testo obbligatorio all’Accademia Frunze sin dagli anni Quaranta (oggi in tutte le accademie militari del mondo).

Come introduzione al prossimo capitolo del vademecum, ecco una serie di precetti tratti da L’arte della guerra di Sun Tzu.

  1. Screditate tutto ciò che è buono nel paese nemico
  2. Implicate i membri della classe dirigente del nemico in imprese criminali
  3. Distruggete la loro reputazione e al momento opportuno, consegnateli all’indignazione dei loro concittadini
  4. Servitevi della collaborazione degli esseri più vili e abominevoli
  5. Disorganizzate con ogni mezzo l’azione del loro governo
  6. Diffondete la discordia e le liti tra i loro cittadini
  7. Istigate i giovani contro i vecchi
  8. Ridicolizzate le tradizioni dei vostri nemici
  9. Intralciate con tutti i mezzi l’intendenza e i rifornimenti dell’esercito nemico [N.B.= danneggiate l’economia del nemico]
  10. Indebolite la volontà dei guerrieri nemici con musica e canzoni sensuali
  11. Inviategli delle prostitute per completare l’opera di distruzione
  12. Siate generosi nelle promesse e nei doni per procurarvi informazioni. Non lesinate, perché il denaro speso a questo fine vi frutterà un ricco interesse
  13. Infiltrate dappertutto le vostre spie

[1] O, a seconda dei casi e del contesto storico, “Non ci sono alternative a noi”.

[2] V. La dottrina militare USA proposta dai neoconservatori USA (e impiegata sul campo nell’operazione Desert Storm) intitolata “Shock and Awe”, “Siderazione e Timore Reverenziale”. https://it.wikipedia.org/wiki/Shock_and_awe

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Mieli

[4] Com’è come non è, spesso questi avversari politici “fascisti” manifestano, più o meno coraggiosamente, l’intenzione di difendere l’interesse nazionale italiano…

L’elmetto occidentale

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di Andrea Zoch

Fonte: Andrea Zhok

Che siano libri per bambini esclusi dalle fiere, cocktail ribattezzati, lezioni universitarie annullate, direttori d’orchestra banditi, musicisti esclusi dai concorsi, ecc. ecc. la russofobia si è scatenata con la stessa furia con cui nell’ultimo anno si era scatenata la “Novax-fobia”.
Niente unisce queste due tematiche nel merito, ma molto le unisce nel metodo.
Qui si vede in piena luce la degenerazione terminale e rapidissima della cultura liberale in occidente, che vive da sempre una intima contraddizione: essa si vende sul mercato politico come sostenitrice della libertà e del rispetto individuale, ma di fatto favorisce e rispetta solo quelle libertà e quelle individualità che non disturbano il manovratore economico (e che consentono la differenziazione dei mercati), mentre è assolutamente impietosa verso le libertà che toccano o vogliono cambiare la forma di vita mercificata che il liberalismo ha imposto.
La libertà liberale è la libertà dei beni posizionali (di status) e delle forme di svago, dei circenses (che a differenza di quelli romani sono però da acquistare sul mercato privato).
Se le circostanze scrostano via la verniciatura del “mondo ibero” sotto rimane una visione autoritaria e manichea della società e del mondo, una visione che non riesce neanche ad immaginare che altri possano vedere le cose altrimenti, che si possa cercare altro nella propria esistenza rispetto all’intrattenimento e alla competizione per accedere a paradisi artificiali con un cartellino del prezzo.
E d’altro canto le pressioni di un sistema che abitua alla sottomissione ipocrita e alla competizione senza limiti generano elevatissimi tassi di frustrazione, e con ciò un bisogno primario di intrattenimento e paradisi artificiali, senza la cui prospettiva l’esistenza apparirebbe intollerabile.
Perciò, verso chi minaccia questo fragile equilibrio tra stress insensato e riacquisizione delle forze per tollerare ulteriore stress, si può scatenare immediatamente e senza remore tutto l’odio rimosso, tutta la frustrazione repressa.
E questa frustrazione può esercitarsi verso le parti eterodosse della propria società demonizzando il “nemico interno” e creando capri espiatori, così come può esercitarsi all’esterno verso ogni forma di vita diversa dalla propria, percepita come assurda e impossibile, da ignorare se insignificante o sradicare se ingombrante.
E’ perciò che la situazione presente è così pericolosa: sotto la vernice buonista l’occidente è pervaso da un ribollire di frustrazione aggressiva che preme per sfogarsi, che brama di mettere l’elmetto o meglio, di farlo mettere a qualcun altro a nome suo, sfogando le proprie nevrosi per procura. (La guerra per procura è stata la grande soluzione del liberalismo occidentale, che lungi dall’aver vissuto 70 anni di pace, ha fomentato o condotto guerre ovunque nel mondo, ma con lo stile distaccato di un videogioco, qualcosa che si può mollare in ogni momento per ritornare al proprio ingranaggio produttivo.)

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