Libertà d’informazione e geopolitica si scontrano con i diktat delle élite

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EDITORIALE 

di Matteo Castagna pubblicato su https://www.marcotosatti.com/2023/09/11/liberta-dinformazione-e-geopolitica-si-scontrano-con-i-diktat-delle-elite/

su https://www.2dipicche.news/liberta-dinformazione-e-geopolitica-si-scontrano-con-i-diktat-delle-elite/

su https://www.informazionecattolica.it/2023/09/11/liberta-dinformazione-e-geopolitica-si-scontrano-con-i-diktat-delle-elite/

Tradotto, come ogni settimana, in spagnolo dai giornalisti dell’America Latina. Stavolta su https://vocesdelperiodista.mx/voces-del-periodista/internacional/la-libertad-de-informacion-y-la-geopolitica-chocan-con-los-dictados-de-las-elites/

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Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra questo commento di Matteo Castagna, che ringraziamo di cuore. Buona lettura e condivisione (Paolo Tosatti, vaticanista)

Libertà d’informazione e geopolitica si scontrano con i diktat delle élite

di Matteo Castagna

In Occidente, la geopolitica viene trattata con superficialità. I media trattano le notizie senza un serio ed approfondito approccio, preferendo soffermarsi su tematiche di minor spessore ma anche di minore importanza. Il risultato è che chi non trova riviste specializzate o fonti personali, non ci capisce niente ed è costretto a fidarsi dei flash dei telegiornali o dei trafiletti dei giornali.
Recentemente ho saputo che alcune redazioni italiane non hanno neppure giornalisti che si occupano di geopolitica. La mia personale opinione è che nel terzo millennio se non si approfondisce questo argomento, si rischi di rimanere vittima della propaganda e di credere ad ogni boutade nei talk show.

Esempio eclatante, oltre al professor Michael Hudson, è il Prof. Jeffrey Sachs, ordinario ad Harvard, di cui si occupa ampiamente il blog del giornalista vicentino Marco Milioni. Sachs è di origini ebraiche, politicamente schierato coi Democratici, progressista moderato, consulente alle Nazioni Unite. Il suo profilo avrebbe tutte le caratteristiche per essere un divo politically correct, eppure non lo è, e pur essendo considerato un luminare in America, non è quasi mai presente nei salotti televisivi, perché preferisce la diplomazia alla guerra e perché sulla Russia e sulla Cina non la pensa come Hillary Clinton. Se può dar consolazione, non sembrerebbe essere l’unico dem americano…

In Italia è pressoché sconosciuto. Scrive, a tal proposito, Marco Milioni sul suo blog:«…il grosso della stampa cosiddetta mainstream del nostro Paese è talmente schierata con i diktat che arrivano da un certo mondo atlantista, da porsi limiti addirittura più stringenti di quelli che giungono da Oltreoceano…». L’ultimo articolo di Sachs è illuminante per come affronta e racconta le relazioni commerciali tra USA e Cina. Si trova in inglese, imboscato, nonostante l’importanza della persona, solo sul suo sito internet del 22 agosto. Viene tradotto in italiano e riportato quasi per intero su Il Fatto quotidiano del 9 settembre, a pag. 17, ovvero venti giorni dopo. Milioni conclude:«…nel circuito dell’informazione italiana di quella analisi autorevole, però di fatto non c’è traccia. Ovvero non c’è traccia di un dibattito sull’argomento degno di questo nome: che si concordi o meno col docente americano». Il dramma è questo, assieme alle prese di posizione manichee ed ideologiche.

Stiamo attraversando un’era di cambiamenti epocali, ove sembrerebbe che ad esser messa in gioco sia la libertà. Il nuovo Sistema si fonda sul controllo sociale, cercando in ogni modo di integrare l’umanità nel nichilismo, attraverso una versione “light” di totalitarismo, differente dai regimi del XX secolo, perché subdolo, distopico, a-morale, irragionevole, profondamente maligno e scaltro, al punto che molti non si accorgono di quanto la dipendenza dalle élite stia cambiando gli stili di vita, annullando ogni visione del mondo, carcerando le idee e riducendo la religione ad un’ inutile e antiquato modello, che non serve all’economia globale.

Cornelio Fabro, a proposito della libertà, scrisse che «la libertà è la lingua universale dello spirito umano, è quella lingua che parla dal fondo del suo silenzio nella richiesta radicale: la libertà è ciò che più ci accomuna, e l’esercizio della libertà è ciò che più ci differenzia e ci distingue…»

San Tommaso d’Aquino scrisse che «la libertà è la capacità che l’uomo ha di essere arbitro, cioè padrone delle proprie azioni, scegliendo tra varie possibilità e alternative: di agire oppure di non agire, di fare una cosa piuttosto che un’altra. Se l’uomo fosse portato al suo destino senza libertà, non potrebbe essere felice, non sarebbe una felicità sua, non sarebbe il suo destino. E’ attraverso la sua libertà che il destino, il fine, lo scopo, l’oggetto ultimo può diventare risposta per lui. Il destino è qualcosa di fronte al quale l’uomo è responsabile, è frutto della libertà. La libertà dunque ha a che fare non solo con l’essere protesi a Dio come coerenza di vita ma anche con la scoperta di Dio».

Ridotto all’essenziale, la nuova società wok d’importazione statunitense vorrebbe toglierci tutto questo per renderci amebe o automi, senza ideali, senza religione, senza una morale comune, distruggendo ogni comunità di destino, appiattendoci sul tecnicismo, surclassati dalle macchine e imbottiti di pensiero unico liberale, globalista, buonista, ateo o pieno di idoli, fanaticamente green e genderista, mentre il fine è sempre il Vitello d’Oro, di biblica memoria. Nel racconto del Vecchio Testamento, il lettore ricorderà che non finì bene per coloro che si misero ad adorarlo.

“Basta dittatura delle minoranze. Paola Egonu…”. Bufera sul libro del generale

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di Matteo Milanesi

 

La chiama una “provocazione”, parla del politicamente corretto, del femminismo, dell’ambientalismo di un “mondo al contrario” che forse non ti aspetti da un generale dell’Esercito ancora in servizio, al secolo Roberto Vannacci. Su Amazon il tomo uscito lo scorso 10 agosto è già in cima alle liste delle vendite tra la saggistica. Sono tesi forti, sostenute con frasi ad effetto e che hanno costretto l’Esercito a prendere le distanze dal suo ufficiale riservandosi “l’adozione di ogni eventuale provvedimento utile a tutelare la propria immagine”.

Il generale di Divisione Vannacci

Vannacci ha un curriculum di tutto rispetto: comandante degli Incursori del 9° reggimento Col Moschin e della Brigata Paracadutisti della Folgore, ha guidato i suoi uomini delle forze speciali e dei comandi operativi in Somalia, Ruanda, Yemen, Afghanistan, Libia, Russia. Mica roba da poco, sebbene oggi sia oggi alla guida dell’Istituto geografico militare. Stavolta, però, anziché occuparsi di strategie militari, ha posato gli scarponi e la penna in abito letterario. O meglio: ha scritto un libro autoprodotto in cui si definisce erede di Giulio Cesare, in cui denuncia la dittatura delle minoranze (gay, migranti, animalisti) e si scaglia contro quel “lavaggio del cervello di chi vorrebbe favorire l’eliminazione di ogni differenza compresa quella tra etnie, per non chiamarle razze”.

Dal clima ai migranti

Non solo: attacca gli attivisti di Ultima Generazione che “imbrattano muri e monumenti”, se la prende con quella “minoranza che, per lottare contro una vaticinata apocalisse climatica” blocca il traffico e crea disagi ai cittadini. “I dibattiti non parlano che di diritti, soprattutto delle minoranze: di chi asserisce di non trovare lavoro, e deve essere mantenuto dalla moltitudine che il lavoro si è data da fare per trovarlo; di chi non può biologicamente avere figli, ma li pretende; di chi non ha una casa, e allora la occupa abusivamente; di chi ruba nella metropolitana, ma rivendica il diritto alla privacy”.

La quarta di copertina la dice lunga. Il libro è dedicato a tutti quelli che non si ritrovano nella nuova società, dove “gli occupanti abusivi delle abitazioni prevalgono sui loro legittimi proprietari”. Una società dove “si spende più per un immigrato irregolare che per una pensione minima di un connazionale”; dove “l‘estrema difesa contro il delinquente che ti entra in casa viene messa sotto processo”; dove “veniamo obbligati ad adottare le più stringenti e costosissime misure antinquinamento, ma i produttori della quasi totalità dei gas climalteranti se ne fregano e prosperano”. Un mondo al contrario, appunto, dove “definirsi padre e madre diventa discriminatorio, scomodo ed inclusivo perché urta con chi padre o madre non è” e dove “non sai più come chiamare una persona di colore perché qualsiasi aggettivo riferito all’evidentissima e palese tinta delle sua pelle viene considerata un’offesa”.

L’esercito prende le distanze

Ci sono poi le frasi che hanno destato scandalo. Come quando l’autore scrive che “Paola Enogu è italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità”. Oppure quando aggiunge l’invito ai “cari omosessuali” a farsi una ragione perché “normali non lo siete”. E infatti l’Esercito ha preso le distanze “dalle considerazioni del tutto personali (come precisato nel testo) espresse dall’Ufficiale”. Le Forze Armate fanno sapere di non essere mai stati “a conoscenza dei contenuti espressi in esso e che gli stessi non erano mai stati sottoposti ad alcuna autorizzazione e valutazione da parte dei vertici militari”.

 

Articolo completo: “Basta dittatura delle minoranze. Paola Egonu…”. Bufera sul libro del generale (nicolaporro.it)

 

 

La grande trasformazione. L’uomo massa non pensante

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di Roberto Pecchioli tramite Arianna Editrice

Fonte: EreticaMente

Fine agosto; potere della televisione e della comunicazione predittiva. Stampa e media sono categorici: “bollino nero” su strade, autostrade, stazioni per un numero impressionante di vacanzieri – la qualifica stagionale dei consumatori compulsivi di ferie e risparmi – di ritorno a casa con traghetti, treni, automobili, aerei. Numeri impressionanti, come impressionante è la capacità di sopportare disagi, calura, spese iperboliche, ritardi, folla , code persino per il gelato , in cambio di pochi giorni di vacanza, parolina magica che significa assenza, mancanza.

L’uomo massa accorre, disciplinato, sottomesso al gradito obbligo sociale, con un sorriso sciocco stampato sul volto, carte di credito alla mano e l’ app per mostrare biglietti e prenotazioni, consultare orari, sapere tutto. App-crazia soddisfatta. E’ convinto di essere felice: si è “divertito”, qualsiasi cosa significhi. Soprattutto, è persuaso di avere scelto liberamente . Altro scenario, stesso giorno. Una piazza solitamente affollata di un popoloso quartiere di città in cui convivono varie classi sociali. Deserto sconcertante: non sono le vacanze ad averla svuotata, ma le previsioni meteorologiche. Allerta arancione, piogge copiose in arrivo. Non piove, ma la gente è già chiusa in casa. La potenza predittiva in cui crediamo ciecamente convince a rinserrarsi tra quattro mura per paura di un temporale estivo, probabilmente simile a quelli che abbiamo sempre vissuto. In agosto, la pioggia rinfresca il “costo”, la verdura in dialetto.

Niente di nuovo: nuova è la paura, la convinzione diramata a reti unificate che il nubifragio sarà terribile, inusitato.  Asserragliato sul divano, l’uomo-massa attende l’ora del fortunale, annunciata con ammirata precisione dall’informazione meteorologica. Ancora un volta è serenamente certo di avere deciso tutto da sé e considera l’adesione pressoché generale alla sua condotta la prova migliore della bontà della sua “scelta”. Qualche chilometro più in là, al porto, una folla sterminata di ex vacanzieri prende la via del ritorno, assaltando stazione marittima e ferroviaria, in colonna, molti dopo aver affrontato la prima coda per raggiungere l’auto con famiglia e bagagli sul traghetto, la seconda per sbarcare, e a seguire la tangenziale, l’autostrada e via sino al meritato premio del ritorno a casa incolonnati, un esercito disciplinato che risale le valli che aveva disceso, qualche settimana prima, con orgogliosa sicurezza e uguale affollamento.

L’uomo massa ha le tasche – o meglio le carte di credito – svuotate , una stanchezza profonda ( è finita la vacanza, tornano le consuete code cittadine, la ressa da pendolari, non più da vacanzieri) e un rancore sordo nei confronti di tutti gli altri, la cui colpa è avere avuto i suoi stessi pensieri e gusti, prendendo le medesime decisioni eterodirette. Come si permettono di essere tutti qui, e tornare a casa nello stesso momento in cui lo faccio io? Nei giorni precedenti aveva avuto pensieri simili sulla spiaggia affollata, sul sentiero montano che sembrava il corso cittadino al sabato pomeriggio, nella vana ricerca del parcheggio, nella coda per tutto, anche per i servizi igienici.

Tuttavia, nulla lo ha indotto a rinunciare al suo sacrosanto “diritto” di consumare ferie di massa in luoghi di massa in mezzo alla massa. Si potrebbero riempire manuali di sociologia descrivendo il suo comportamento nelle spiagge, nelle località di montagna più conosciute e l’adesione acritica, la conformità alle prescrizioni, previsioni, condotte calate dall’alto dall’ultima trinità ammessa e creduta, scienza, tecnica, propaganda. Ogni pagina, tuttavia, potrebbe ridursi a poche osservazioni banali: la riduzione a massa docile , sottomessa, scioccamente felice, dell’uomo massa – il tronfio titolare di diritti ridotto a consumatore compulsivo – nonché la sorprendente assenza di pensiero della maggioranza.

E’ terribilmente facile , per il potere che possiede tutto, fare del suddito-consumatore ciò che vuole, una massa plastica capace di credere e fare qualsiasi cosa, dipendente da ogni moda. Convince in un attimo – per potenza comunicativa, coazione a ripetere, imitazione – ad adottare idee, comportamenti, stili di vita voluti dal ceto dominante. L’uomo moderno è un essere gregario quanto e più dei suoi antenati, persuaso dal mito del progresso: più di ieri, meno di domani. Meglio dimenticare il buio passato e sguazzare nel presente, rimuovendo memoria, confronti, giudizi. La nuova verità scende dall’alto, ma sembra avvolgere, pervadere, sgorgare da ogni lato. E’ la suprema, sopraffina abilità di chi ci ha resi uomini massa, docili greggi , servi volontari certi di non avere altro padrone che il nostro io.
Sappiamo di offendere l’amor proprio della maggioranza, certa di essere consapevole, libera, riflessiva. Ma è il contrario, “ dai fatti occorre trarre significazione”. Qualcuno deve pur gridare, come il bimbo della fiaba di Andersen, che il re è nudo. Scrivevamo che il mondo è invertito prima del generale Vannacci. Benvenuto, generale. Le sue parole vengono fatte passare obliquamente per discorso di odio dal presidente della repubblica italiana, che parla alla suocera affinché intenda la nuora.

La Costituzione non ammette l’odio, ha detto, riferendosi per allusioni al pensiero di Vannacci. Ma no – si indigna a comando l’ uomo massa non pensante – il presidente parla in termini generali, il suo è un monito illuminato, salutare. Intanto apre la via a vietare ciò che non piace alla gente che piace, bollando come odio pensieri, convincimenti, principi sgraditi alla dittatura dei padroni del presente. La cosa più triste è che, al netto delle polemiche da curve contrapposte nello stadio mediatico, alla maggioranza non importa nulla di nulla: contano le vacanze, il consumo, l’interesse immediato. Il problema non è che cosa si pensa, ma che non si pensa. Niente di più estraneo all’uomo-massa, che ama parlare di ciò che non sa, ricoprendo della sua logorrea le reti sociali in cerca di seguaci ( mi piace, pollice alzato) almeno quanto detesta ragionare, distinguere. Del resto, distinguere – gli hanno detto e ci ha creduto – equivale a discriminare, uno dei peccati capitali della postmodernità. Il mondo capovolto è per definizione civiltà e progresso, luoghi comuni ammantati da un alone di sacralità al tempo dell’abolizione del sacro. Civiltà e progresso fanno sempre più a meno della libertà, principio ridotto al diritto universale di fare ciò che più aggrada senza limiti.

Stanno smontando la libertà pezzo per pezzo: dal 25 agosto è operativo un occhiuto controllo censorio promosso dall’ UE ( ce lo chiede l’Europa!) con tanto di blocco dei contenuti e dei contributi economici privati a siti, media, pensieri sgraditi a chi comanda. Ne avete sentito parlare, uomini-massa , vacanzieri in coda, cittadini orgogliosi dei vostri diritti, sulla “libera “ stampa, proprietà – come tutto il resto – dei padroni del vapore? Certo che no, tutt’al più vi hanno rassicurato: è un benefico filtro contro le falsità e l’odio. Messaggio ricevuto, come si usa dire nelle serie televisive. Così è detto, così è; la folla obbediente alla voce del padrone annuisce, inserisce l’informazione nella memoria a breve termine, in attesa della menzogna, pardon news, successiva. Del merito se ne stropiccia: l’uomo massa si limita ad appropriarsi di parole d’ordine altrui facendole proprie con ridicola convinzione. Già la grancassa progressista lancia la nuova crociata: non tutte le idee possono circolare, perbacco. Solo quelle con il bollino arcobaleno. Il resto, vietato, censurato, catalogato come falso o discorso di odio. Il cerchio si chiude. Tu che ragioni diversamente, tu che ti ostini a pensare, non hai nemmeno più torto: sei cattivo, animato dal peggiore dei sentimenti. Sia tolta la parola, la cittadinanza, il lavoro, la libertà ai malvagi: il mondo è dei Buoni. Che producono, consumano, rivendicano diritti e poi silenziosamente crepano allo schiocco delle dita del padrone. Perché pensare ? Ecco quel che resta del pensiero occidentale. Presto sarà anche peggio, al dilagare dell’intelligenza artificiale. Il dislivello tra la macchina e l’uomo sarà tale che riflettere, obiettare, diventerà peccato di lesa maestà della tecnologia. Consumeremo dati, cose, persone, noi stessi senza pensare, finendo per odiare la nostra singolarità, che considereremo miserabile: consumatori compulsivi eterodiretti, non più persone. Il servo arbitrio.

La trappola in cui siamo caduti è credere che la battaglia sia tra libertà di espressione e censura. L’avversario ha condotto le sue campagne invocando libertà di parola. Affermavano di essere i difensori della libertà , ma lo facevano per distruggere i vecchi standard, le norme, i tabù, i meccanismi di autodifesa di una società “normale”, giacché tutti gli stati e le società hanno necessariamente regole, limiti, interdetti. La guerra che stiamo perdendo è la sfida mortale tra sistemi di valori incompatibili. Ad esempio, nel passato si poteva insegnare la Bibbia nelle scuole, ma non la pornografia. Oggi puoi diffondere nelle scuole la pornografia, la teoria gender , la sessualità queer, far credere che non esiste la natura, ma il costrutto sociale.
E’ un’estensione o una restrizione della libertà di espressione? Nessuno dei due, è “solo” il cambio di paradigma secondo l’ideologia di chi dirige la società. Ci siamo preoccupati delle regole, di difendere un’impossibile neutralità delle procedure e delle istituzioni, cadendo nella trappola liberale. Abbiamo perduto da ogni lato: le regole sono stabilite da un nuovo autoritarismo simil moralistico ammantato di “ diritti”, in procinto di trasformarsi in totalitarismo. Democratura, la forma della democrazia nell’involucro della dittatura. In cambio, possiamo sposarci tra congeneri, affittare l’utero, uccidere nel ventre materno, sopprimere noi stessi, i malati, i poveri, i depressi, osservare e praticare violenza e oscenità con un semplice clic e un conveniente piano tariffario.

Sono i “diritti”; hanno sostituito l’onore, la famiglia, la dignità, Dio, la patria, la giustizia sociale. Abbiamo perduto su tutta la linea perché il nemico ha capito prima di noi che la libertà di espressione non significa nulla per chi non ha niente da pensare. Il gregge non deve neppure più pascolare: ci pensa il padrone. Al calduccio nello stabbio, a ore stabilite è distribuito il pasto. Con il muso nella greppia, soddisfatti nelle pulsioni e nei bisogni elementari, a che servono il libero pensiero, la parola dissidente? Tanto più che qualcuno – c’è sempre un ribelle, un bastian contrario, un piantagrane – potrebbe insinuare alla maggioranza addomesticata che il pastore tiene il gregge ben nutrito soltanto per venderlo a miglior prezzo al mattatoio.

Pensieri in libertà, sfoghi impotenti, il fastidio di chi non capisce e non si adegua. L’illusione che qualcosa o qualcuno sveglierà il gregge che sbadiglia e digerisce. Come è potuto accadere che la civiltà con più possibilità, più mezzi materiali, più conoscenza di ogni tempo, diventasse la schiava ubbidiente di una libertà falsa come l’oro di Bologna? La mistica dei diritti, il mito del progresso , l’aridità spirituale spiegano molto, non tutto. La Grande Macchina della trasformazione che ha generato il mondo al contrario lavora instancabilmente da alcuni secoli.

Vale la pena, nella seconda parte, analizzare modi, idee, tappe, meccanismi e protagonisti della grande trasformazione della “scimmia nuda” in macchina desiderante non pensante. Diventato fluido, liquido, l’uomo nuovo prende la forma del recipiente in cui è versato: gli importa solo che il design del contenitore sia accattivante, alla moda, a prova di pollice alzato. Homo consumens ex sapiens.

 

La disperazione di Zelens’kyj

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di Fulvio Scaglione

Fonte: lettere da Mosca

Non so se si tratti di una sensazione solo mia ma nell’ultima mossa del presidente Zelens’kyj si avverte un senso di disperazione che dovrebbe preoccupare tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’Ucraina. Ricapitoliamo: Zelens’kyj ha annunciato l’intenzione di licenziare tutti i funzionari regionali preposti al reclutamento militare per sostituirli con militari veri e propri. L’accusa del Presidente è: corruzione. Un sistema di arricchimento illecito, realizzato soprattutto con la vendita di false esenzioni dalla leva, che, come dice giustamente Zelens’kyj, in un Paese in guerra “equivale al tradimento”.
Il problema, però, è che questa storia della corruzione (e del tradimento) va avanti da più di un anno, cioè da quando la struttura presidenziale ha avviato una serie di epurazioni che, nel luglio del 2022, presero il via con il licenziamento di Igor Bakanov, l’amico d’infanzia che Zelens’kyj aveva nominato capo dei servizi segreti (SBU) e di Irina Venediktova, l’ex responsabile della sua campagna elettorale nominata Procuratrice generale dell’Ucraina. Anche allora le accuse oscillavano tra corruzione e tradimento. Lo stesso Zelensk’yj disse che tra i dipendenti della Procura erano stati aperti 650 procedimenti penali. In senso politico e amministrativo, una strage.
Già allora si poteva intuire un certo tasso di disperazione: Zelens’kyj, fin dai primi giorni della sua presidenza, ha applicato uno spoil system implacabile. Che rinunciasse a due membri così importanti del suo cerchio magico, per di più distruggendoli con accuse  pesantissime, dava da pensare. Ne ho scritto e raccontato più volte per Limes, in tempi affatto sospetti, e non sto quindi a dilungarmi. Resta il fatto che da allora le purghe non si sono mai fermate e hanno investito tutti i settori decisivi: i dirigenti dell’industria della Difesa, lo stesso ministero della Difesa con lo scandalo delle forniture all’esercito a prezzi gonfiati  costato dimissioni “cosmetiche” al viceministro, gli alti gradi dell’esercito e quelli medi dei servizi segreti, i dirigenti regionali e comunali e così via. Da un certo punto in poi, all’intelligence militare diretta dall’astro nascente Kyrylo Budanov sono stati persino affidati i compiti della ollizia giudiziaria.
Per un po’, tutto è stato giustificato con le dure necessità di un Paese invaso, devastato dai bombardamenti e, di fatto, rimasto in vita per il valore dei suoi combattenti e per i massicci aiuti finanziari e militari ricevuti dall’estero.  E anche, almeno dal mio punto di vista, con il desiderio di Zelens’yj di garantirsi quadri di sua scelta e di presumibile maggiore fedeltà per qualunque evenienza futura. Non bisogna infatti dimenticare che Zelensk’yj aveva trionfato nelle presidenziali del 2019 e, nello stesso anno, aveva portato al trionfo e alla maggiora Enza assoluta dei seggi parlamentari il suo partito Servo del Popolo. Ma nelle elezioni amministrative del 2020 aveva perso ovunque: in ogni centro ucraino di un qualche importanza Servo del Popolo era stato sconfitto. Nella capitale Kiev la candidata di Zelens’kyj, l’attuale vicepremier Vershchuk, era arrivata addirittura quinta. In sostanza: Zelensk’yj aveva un dominio assoluto sul centro e poco o punto controllo sulla periferia. Logico che volesse approfittare della legge marziale per cambiare la situazione.
Adesso, però, il tasso di disperazione è salito ancora. Il licenziamento dei funzionari preposti alla mobilitazione per la leva arriva dopo mesi di voci sul siluramento del ministro della Difesa Reznikov, che avrebbe dovuto lasciare (in agguato, per sostituirlo, il solito Budanov) con il primo scandalo corruzione, e che viene dato per prossimo ambasciatore ucraino nel Regno Unito, ma che è stato salvato dalle faide interne a Servo del Popolo. E, soprattutto, arriva mentre la controffensiva ucraina sembra non produrre risultati e le truppe russe in qualche settore, per esempio quello di Kupiansk, tentano addirittura non di difendersi ma di avanzare.
In ogni caso, il provvedimento deciso da Zelensk’yj come minimo significa due cose. La prima è che, al di là di ogni retorica, il sistema ucraino di reclutamento funziona male e che i giovani cercano di sottrarsi al servizio militare al fronte. La seconda è che, a quattro anni dall’insediamento e con le leggi d’emergenza e poi la legge marziale dalla sua parte, Zelens’kyj controlla sempre meno il Paese. Ha dalla sua le forze armate e gli alti gradi dell’esercito, a partire dal comandante in capo Zaluzhny, e ancor più i servizi segreti, cosa decisiva in un Paese in guerra. Ma il resto, dopo un anno abbondante di purghe, sembra smottargli sotto i piedi. Tutto è tranne che una buona notizia. Per Zelens’kyj e per gli ucraini, ovviamente. Di sicuro per tutti gli ingenui che da due anni scrivono che basta riempire l’Ucraina di armi per risolvere il problema. Ma infine anche per tutti coloro che vogliono veder finire al più presto questa follia: per affrontare le sfide di una tregua e, si spera, di una pacificazione, l’Ucraina ha bisogno non di disperazione ma di una guida salda. Almeno quanto lo è stata quella che l’ha guidata in questo anni e mezzo di guerra.

In treno verso il nulla, stranieri a casa propria

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di Marcello Veneziani

Fonte: Marcello Veneziani

L’altra sera ho preso un treno locale tra Foggia e Bari. Ero nella mia terra, dovevo raggiungere il mio paese natale, ho preso l’ultimo regionale della sera. Non ero in prima classe, non leggevo Proust, non ero tra lanzichenecchi, come era capitato ad Alain Elkann ed ero curioso di chi mi stava intorno. Ero l’unico anziano in un treno zeppo di ragazzi, pendolari della movida, che si spostavano per andare a fare nottata in paesi vicini. Ero su una tratta che un tempo mi era famigliare, ma mi sono sentito straniero a casa mia. No, non c’erano stranieri sul treno, come spesso capita nei locali. Ricordo una volta su un locale, ero l’unico italiano tra extracomunitari, in prevalenza neri, con forte disagio perché ero pure l’unico ad avere il biglietto. Stavolta invece ero tra ragazzi dei paesi della mia infanzia e prima giovinezza, eppure mi sentivo più straniero che in altre occasioni.
Li osservavo quei ragazzi e soprattutto quelle ragazze, erano sciami urlanti che agitavano il loro oggetto sacro, la loro lampada d’Aladino e il loro totem, lo smartphone. Si chiamavano in continuazione, la parola chiave per comunicare era “Amò”, ed era un continuo chiedersi dove siete, dove ci vediamo. Era come parlare tra navigatori che si dicevano la posizione.
Le ragazze erano vestite, anzi svestite, scosciatissime, come se fossero cubiste o giù di lì, con corpi inadeguati. Era il loro dì di festa, il loro sabato del villaggio, ma in epoca assai diversa da quella in cui Leopardi raccontava l’animazione paesana che precede la domenica. Dei loro antenati forse avevano solo la stessa pacchianeria prefestiva, ma nel tempo in cui ciascuno si sente un po’ ferragnez e un po’ rockstar. Parlavano tra loro un linguaggio basic, frasi fatte e modi di dire sincopati. Mai una frase compiuta, solo un petulante chiamarsi, interrotto da qualche selfie, si mandavano la posizione e si apprestavano a incontrarsi e poi a stordirsi di musica, frastuono, qualche beverone, fumo, e non so che altro. Li ho visti in faccia quei ragazzi, erano seriali, intercambiabili, dicevano tutti le stesse cose, ciascuno in contatto col branco di riferimento. Cercavo di trovare in ciascuno di loro una differenza, un’origine, un qualcosa di diverso dal branco; ma forse erano i miei occhi estranei, la mia età ormai remota dalla loro, però non ravvisavo nulla che li distinguesse, che li rendesse veri, non dico genuini. Eppure parlavano solo di sé, si specchiavano nei loro video, si selfavano, un continuo viversi addosso senza minimamente preoccuparsi di chi era a fianco, insieme o di fronte. Sconnessi.
Magari è una fase della loro vita, poi cambieranno; magari in mucchio danno il peggio di sé, da soli sono migliori. Però non c’era nulla che facesse vagamente pensare al loro futuro e al loro piccolo passato, alle loro famiglie, ai loro paesi, al mondo circostante; tantomeno alla storia, figuriamoci ai pensieri, alla vita interiore, alle convinzioni. Traspariva la loro ignoranza abissale, cosmica; di tutto, salvo che dell’uso dello smartphone. Anche i loro antenati, mi sono detto, erano ignoranti; ma quella era ignoranza contadina, arcaica e proletaria, carica di umiltà e di fatica, di miseria e di stupore; la loro no, è un’ignoranza supponente e accessoriata, non dovuta a necessità, con una smodata voglia di piacere e vivere al massimo il piacere, totalmente immersi nel momento. Salvo poi cadere negli abissi della depressione, perché sono fragilissimi.
Mi sono detto che i vecchi si lamentano sempre e da sempre dei più giovani, li vedono sempre peggiori di loro e dei loro nonni. Però, credetemi, la sensazione più forte rispetto a loro, era un’estraneità assoluta, marziana: nulla in comune se non il generico essere mortali, bipedi, parlanti. In comune non avevamo più nulla, eccetto i telefonini. Per confortarmi mi sono ricordato di quei rari ragazzi che mi è capitato di conoscere e che smentiscono il cliché: sono riflessivi, pensanti, leggono, studiano con serietà, sanno distinguere il tempo del divertimento dal tempo della conoscenza, hanno curiosità di vita, capiscono l’esistenza di altri mondi e altre generazioni, capaci di intavolare perfino una discussione con chi non appartiene alla loro anagrafe. Però ho il forte timore che siano davvero eccezioni. E mille prove personali e altrui confermano questa impressione. Raccontava un amico che fa incontri nelle scuole che davanti a una platea di trecento ragazzi, chiese loro se leggessero giornali, o addirittura libri, se vedessero qualche telegiornale, se sapessero di alcuni personaggi, non dico storici o i grandi del passato, ma almeno importanti nella nostra epoca. Uno su cento, e poi il silenzio. Hanno perso la loro ultima piazza, il video, ognuno si vede il suo film e la sua serie su netflix o piattaforme equivalenti, segue il suo idolo, ha vita solo social.
Qualunque cosa in chiave politica e sociale, storica o culturale, non li sfiora, non li tocca, non desta il loro minimo interesse. Certo, sono sempre le minoranze a seguire attivamente la realtà o a coltivare una visione del mondo e condividerla con un popolo, un movimento, una comunità. In ogni caso non è “colpa loro”, se sono così. E’ anche colpa nostra; anzi non è questione di colpe. E l’impossibilità di comunicare con loro dipende pure da noi. Però, mi chiedo: cosa sarà tra pochi decenni di tutto il mondo che si è pazientemente e faticosamente costruito lungo i secoli, attraverso scontri, guerre, sacrifici, fede, conoscenza, lavoro, lavoro, lavoro? Nulla, il Nulla. Sono questi i cittadini, gli italiani, di domani? Sono forse diversi, e più nostrani, rispetto agli stranieri extracomunitari che sbarcano da noi a fiumi? Tabula rasa, zero assoluto, il postumano si realizza anche senza manipolazioni genetiche, robot sostitutivi, intelligenze artificiali e mostri prodotti in laboratorio. Quel treno della notte non portava da un paese a un altro, portava solo nella notte.

Saviano in Rai, il sondaggio affonda lo scrittore

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Gli ultimi dati politici prima della pausa estiva. E poi sondaggio sul clima, sul siluramento di Roberto Saviano dalla Rai e sull’uso delle bombe a grappolo da parte dell’Ucraina. I risultati che emergono dalla ricerca di Termometro Politico sono molto interessanti e meritano di essere osservati.

L’emergenza clima

I dati parlano chiaro. Dai sondaggi emerge una forte polarizzazione tra gli italiani riguardo alle cause dell’emergenza climatica che ha devastato diverse parti del paese con inondazioni, incendi e temperature estreme. Nello specifico, il 50,3% dei rispondenti ha associato questi eventi al cambiamento climatico, mentre il 47,7% non ha visto alcuna correlazione diretta.

I sondaggi politici

Nell’ambito degli aspetti politici, gli ultimi dati raccolti rivela una variazione nelle preferenze elettorali rispetto alla settimana precedente. FDI si conferma stabilmente primo partito del Paese con un incremento di +0,3%, raggiungendo il 29%. Al contrario, Lega e Forza Italia registrano un calo percentuale rispettivamente di 0,3 e 0,2 punti. Il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle vedono invece una lieve ascesa con una variazione positiva dello 0,2% per entrambi: i dem si fermano però al 19,7% e il Pd al 16,2%. Tutti gli altri vengono dietro: Azione 3,6%, Sinistra Italiana e Verdi 3%, Italia Viva di Matteo Renzi e +Europa ferme intorno 2,5%.

Le bombe a grappolo in Ucraina

Su un diverso fronte, i risultati del sondaggio mostrano una forte opposizione all’invio di bombe a grappolo agli ucraini da parte degli Stati Uniti, giudicato come un atto criminale che prolungherà la guerra dal 37,3% dei rispondenti. Per il 33,1% si tratta di una escalation che era meglio evitare.

Saviano, il sondaggio è una batosta

Riguardo al recente stop al programma Insider dello scrittore Roberto Saviano, un rispondente su due (50,3%) ha visto questa decisione con favore, considerando Saviano “di parte e fazioso, non autorevole né adatto alla TV pubblica”. A questi va aggiunto il 4,9% dei rispondenti secondo cui, benché la presenza di Saviano sia apprezzabile, è “legittima” la scelta aziendale di non mandare in onda Insider. D’altra parte, solo per il 28,2% degli intervistati, la cancellazione del programma è stata ingiusta, in quanto Saviano è visto come “scrittore di grande spessore e le voci non gradite al Governo vengono epurate”. Mentre per un altro 10,7% avrebbe comunque potuto avere un ruolo in Rai.

L’arte della guerra (di Sun Tzu)

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A cura di Luca Sadurny

L’arte della guerra è un incredibile caso letterario : concepito come trattato di strategia militare, questo piccolo libro ha conosciuto un incredibile successo che l’hanno portato attraverso i secoli a diventare non solo una lettura obbligata in ambito militare, ma in modo più sorprendente, un grande classico della crescita personale e nello specifico dell’imprenditoria e della strategia d’impresa.
Continuando a leggere questo riassunto in italiano scoprirai a cosa è dovuto il successo del libro di Sun Tzu e soprattutto quali sono gli insegnamenti principali che puoi trarne (per capire come usare l’arte della guerra nella vita quotidiana). E nella parte finale ti propongo la mia recensione de L’arte della guerra.

Sommario:

La scheda del libro “L’arte della guerra”

Titolo italiano: L’arte della guerra (in cinese 孫子兵法)
Titolo in inglese: The Art of War
Autore: 孫子兵法
Anno: VI-V secolo a.C.
Numero di pagine: 96
Categoria: Crescita personale, Strategia, Imprenditoria
Link per acquistare il libro in italiano: amzn.to/2JiVv0b
Link per acquistare il libro in inglese: amzn.to/2xmlBtC

La trama de “L’arte della guerra”: il libro in un paragrafo

L’arte della guerra è una sorta di manuale che vuole prepararci alle battaglie che la vita riserva a ciascuno di noi. Per prosperare in guerra, nello sport, negli affari e nella vita di tutti i giorni, dobbiamo essere in grado di scegliere le nostre battaglie (evitando quello perse in anticipo), identificare il momento più adatto per agirepianificare strategicamente decisioni ed azioni e circondarci di donne ed uomini di spessore.

Per chi è questo libro / riassunto

“L’arte della guerra” è una lettura particolarmente utile per

  • l’imprenditore (in essere o divenire) che vuole battere la concorrenza
  • lo sportivo desideroso di migliorarsi e vincere contro gli avversari
  • chiunque debba guidare un team di persone (dall’ufficiale dell’esercito al manager aziendale)

L’autore: Chi è Sun Tzu

Sun Tzu l'arte della guerra

Vissuto con molta probabilità tra il 600 e 500 a. C., Sun Tzu era un generale e filosofo cinese.
Molto scarse sono le note biografiche relative a questo personaggio storico, il cui nome indissolubilmente legato a L’arte della guerra, uno dei trattati di strategia militare (e non solo) più famoso di tutti i tempi. Con poco meno di 100 pagine, Sun Tzu ha attraversato i secoli ispirando generali del calibro di Napoleone Bonaparte ed imprenditori come Evan Spiegel (fondatore di SnapChat).

Le 7 idee principali di “L’arte della guerra”

“L’arte della guerra” si compone di 13 capitoli piuttosto densi che contengono delle riflessioni e dei consigli che ruotano attorno allo stesso tema. Alcuni passaggi sono di conseguenza un po’ ripetitivi o troppo legati al mondo della strategia militare. Ho quindi scelto di presentarti solo quegli insegnamenti che potrai applicare nella tua vita professionale e personale.

#1 – Inizia solo le battaglie che sai di poter vincere

Riassunto L'arte della guerra riassunto

Saper scegliere le proprie battaglie è uno dei segreti fondamentali di quelle persone che sembrano accumulare vittorie dopo vittorie e sembrano riuscire in tutto ciò che intraprendono.
Per vincere devi quindi imparare a capire quando combattere e quando non farlo. Dietro tante sconfitte ci sarebbe dunque una cattiva decisione perché certe battaglie sono perse già prima di cominciare.
Questo consiglio è molto utile nell’ambito degli affari ed in particolare dell’imprenditoria: pensiamo al lancio di una piccola start-up che decida di mettersi in concorrenza diretta con un gigante del calibro di Windows, Coca Cola o Amazon. Si tratta della tipica guerra persa in anticipo perché sembra impensabile poter attaccare questi colossi.
Discorso simile nello sport: iscriversi ad una competizione il cui livello è palesemente al di sopra delle nostra capacità non è per nulla una buona idea perché di sicuro le cose non andranno bene.

He will win who knows when to fight and when not to fight. (Vincerà colui che sa quando combattere e quando non combattere)

 

#2 – Il modo migliore di vincere è non battersi

Molto spesso una delle migliori strategie è non battersi. Ciò può avvenire in due modi : 1) scegliere con cura le proprie battaglie, evitando quelle troppo rischiose ; 2) trovare un modo di combattere indirettamente.
Il primo punto è già stato affrontato nel paragrafo precedente. Veniamo al secondo con un esempio storico molto interessante. In due occasioni, il popolo russo ha saputo applicare i principi de “L’arte della guerra” alla lettera : la campagna russa di Napoleone e l’attacco all’Unione Sovietica da parte dell’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale. In entrambe le occasioni, i russi hanno avuto l’intelligenza di evitare il conflitto diretto e lasciare che il “generale Inverno” stremasse le truppe nemiche. Infreddoliti e senza viveri (i russi giungevano fino a bruciare ed abbandonare delle intere città) i soldati di Napoleone e di Hitler/Mussolini persero queste battaglie senza neppure vedere l’esercito russo.
Se riprendiamo l’esempio legato al lancio di una start-up, il modo migliore di riuscire è trovare un settore dove la concorrenza sia debole oppure optare per un posizionamento strategico che ci permetta di differenziarci al punto da non entrare in conflitto con chi è già presente sul mercato.

In battle, there are not more than two methods of attack: the direct and indirect. (In battaglia, non ci sono più di due metodi di attacco: il metodo diretto e indiretto.)

#3 – Scegli con attenzione il momento più adatto per agire

sun tzu l'arte della guerra time

Saper scegliere il momento più adatto per agire è una delle capacità fondamentali di chi voglia vincere le proprie battaglie.
In guerra, nello sport, negli affari ma anche nella vita di tutti i giorni saper prendere la buona decisione al buon momento è assolutamente fondamentale.
Si tratta di un consiglio di grande utilità nel mondo de lavoro e degli affari. L’esempio che mi viene in mente è legato all’azienda di cui sono co-fondatore (MosaLingua). Il settore dell’apprendimento delle lingue straniere è altamente competitivo ma il nostro grande vantaggio è stato l’aver saputo lanciare al momento opportuno, quando imparare le lingue su smartphone e tablet era ancora una novità. Ciò ci ha permesso di posizionarci efficacemente sul mercato e costruire delle solide basi per il futuro. Lanciarsi oggi è ancora possibile ma molto più difficile, proprio per una questione di timing.
In realtà, questo è uno dei consigli più facilmente applicabili nella vita di tutti i giorni, al punto che sembra anche abbastanza palese ma è bene ricordarsi che spesso una buona decisione non basta. Bisogna saper prendere tale decisione al momento più opportuno.

#4 – Pianifica strategicamente le tue azioni

Sun Tzu insiste molto sull’importanza della preparazione e della strategia. Un buon generale prepara con attenzione e con largo anticipo la propria strategia. Una buona strategia sarà alla base di una vittoria e viceversa una cattiva strategia conterrà già i germi della sconfitta. L’autore arriva a scrivere che piuttosto che attaccare il nemico, bisognerà attaccare la sua strategie ed i suoi piani. Questo consiglio mi fa pensare alla famosa citazione di Abraham Lincoln :

Give me six hours to chop down a tree and I will spend the first four sharpening the axe. (Dammi sei ore per abbattere un albero e passerò le prime quattro ad affilare l’ascia.)

Ancora una volta, si tratta di un consiglio che possiamo applicare in vari ambiti:

  • business: avere una buona strategia è fondamentale per un azienda che voglia prosperare sul lungo termine
  • sport: un buon allenatore è colui che prepara strategicamente le sue partite
  • sfera personale: prima di prendere di une decisione importante, bisognerà riflettere a lungo, pesando i pro e contro ed analizzando le conseguenze. Mai essere impulsivi o affrettati.

The general who wins the battle makes many calculations in his temple before the battle is fought. The general who loses makes but few calculations beforehand. (Il generale che vince la battaglia fa molti calcoli nel suo tempio prima che la battaglia venga combattuta. Il generale che perde fa pochi calcoli in anticipo.)

#5 – Il cambiamento è fonte di opportunità

l'arte della guerra frasi

Uno dei 13 capitoli del libro è dedicato ai nove cambiamenti che possono intervenire nel corso della battaglia. Si tratta di consigli prettamente militari ma il grande messaggio che l’autore vuole trasmetterci è che nonostante la strategia e la preparazione siano fondamentali, bisogna anche sapersi adattare alle circostanze e saperle sfruttare a proprio favore.
Basti pensare a tutti i cambiamenti osservati nella nostra società ed in particolare nel mondo del lavoro: è chiaro il vantaggio detenuto da quelle persone che sanno adattarsi di più tali cambiamenti e trasformarli in opportunità.

#6 – Identifica le tue forze ed i tuoi punti deboli

Ecco un altro consiglio applicabile in vari ambiti della nostra vita: identificare con precisione i nostri punti deboli e punti forti.
Molto spesso sopravvalutiamo o sottostimiamo le nostre capacità: in entrambi i casi il fallimento è dietro l’angolo. Questo consiglio è legato ai primi due della mia selezione: è fondamentale saper scegliere le proprie battaglia e capire quando combattere e quando evitare il conflitto.
Naturalmente possiamo lavorare sui punti deboli e migliorarci ma battersi su un terreno in cui siamo palesemente meno forti è fonte di sconfitte e delusioni.

#7 – Scegli con cura i membri del tuo team e guidali verso il successo

l'arte della guerra libro

Chiudo con un consiglio applicabile soprattutto al mondo dello sport e degli affari. Avere una buona squadra è spesso la cosa più importante di tutte. Nel corso del libro Sun Tzu affronta varie volte l’argomento e sottolinea quanto sia importante per un generale scegliere con cura i suoi soldati e guidarli in modo efficace. Ecco qualche prezioso consiglio:

  • è importante memorizzare il nome di ogni soldato (come direbbe Dale Carnegie “chiama sempre le persone per nome”)
  • se conosci le capacità e debolezze dei membri del tuo team, potrai sfruttarle a tuo favore
  • identifica i momenti in cui i tuoi uomini sono ben predisposti per scegliere il momento più adatto per agire
  • il numero di persone che compongono un team non è tutto. Molto più importante e la qualità di queste persone
  • evita l’inattività: niente demotiva e indebolisce di più un team che la mancanza di azione
  • guida tutto il tuo team come se stessi tenendo per mano ciascuno dei suoi membri: anche se sei a capo di una grande squadra, non dimenticare mai l’interazione diretta con ogni persona
  • tratta i membri della tua squadra come membri della tua famiglia e otterrai rispetto e lealtà.

A skilled general leads his army, as if he was leading a single man by the hand. (Un generale esperto guida il suo esercito, come se stesse conducendo un solo uomo per mano.)

Conclusioni

L’avrai capito: nonostante il titolo, gli insegnamenti de “L’arte della guerra” sono applicabili in vari ambiti della vita. Basta sostituire la parola “nemico” con “concorrente” o “avversario” o la parola “soldato” con “collaboratore” o “compagno di squadra” ed ecco che i consigli di Sun Tsu possono applicarsi al mondo del lavoro, dello sport o ancora delle sfide che la sfera personale spesso si riserva.
Il messaggi principale di questo breve ma denso saggio è che per vincere le nostra battaglie dobbiamo dedicare il tempo necessario alla pianificazione ed alla strategiaAnche in ambiti in cui il nostro corpo è protagonista (penso allo sport), in realtà è la mente a poter fare tutta la differenza.

If the mind is willing, the flesh could go on and on without many things. (Se la mente vuole, la carne potrebbe andare avanti senza molte cose.)

L’arte della guerra nella vita quotidiana: come metterne in pratica i consigli

Concludo sempre i miei riassunti con una sezioncina più pratica per aiutarti a passare dalle parole all’azione. Ecco qualche spunto:

  • sfera personale: prendi un foglio di carta ed elenca i tuoi punti forti e deboli. In seguito, rifletti a come sfruttare gli uni e gli altri per migliorare un ambito della tua vita.
  • affari: rifletti al tuo posizionamento sul mercato per capire se non stai sbagliando qualcosa. Un concorrente ti sta dando troppo fastidio? Forse ti sei messo troppo in concorrenza diretta e puoi trovare modi più astuti per far prosperare la tua attività.
  • sport: non riesci a motivarti per fare più sport ed attività fisica? Forse hai bisogno di circondarti da persone motivate che hanno lo stesso obiettivo. Cerca di entrare in un gruppo di persone he fanno sport regolarmente oppure forma un tuo team con degli amici.

L’arte della guerra: frasi e citazioni

L’arte della guerra contiene tantissime frasi e citazioni interessanti che meritano un articolo a parte. Ti invito quindi a scoprire le migliori frasi e citazioni del libro di Sun Tzu.

Come approfondire “L’arte della guerra”

La recensione di “L’arte della guerra”

Non è un caso che “L’arte della guerra” abbia attraversato i secoli e sia diventato un classico dello sviluppo personale. Dietro tanto teoria militare ed esempi legati al mondo degli eserciti, si celano tanti utili insegnamenti da applicare in altri ambiti. Personalmente non condivido al 100% l’entusiasmo che circonda questo libro e non mi sento di consigliarlo a tutti. Molte pagine sono abbastanza pesanti (penso ad esempio a tutte quelle dedicate al campo di battaglia) e nonostante sia un lettore molto allenato devo dire che ho fatto fatica in vari momenti. Leggerne un riassunto (il mio magari?) sarà più utile ed efficace per la maggior parte delle persone: alla fine tutta la parte dedicata alla guerra lascia gli insegnamenti che ho selezionato.
Ecco i voti della mia recensione:

Utilità 4 / 5
Facilità di lettura 3 / 5
Rapporto tempo/benefici 3.5 / 5
Media 3.5 / 5

Fonte: https://lucasadurny.com/larte-della-guerra/

The sound of freedom: perché Hollywood non vuole che lo guardiate

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di Valerio Savioli

 

OCCORRE MANDARE UN SEGNALE ALL’ATTUALE INDUSTRIA DELLO SPETTACOLO, DISTRARSI DALLA MELMA DI GUANO IPER-POLITICAMENTE CORRETTA E INTRISA DI OGNI VENATURA CANGIANTE DI CANCEL CULTURE PROPINATA DA HOLLYWOOD & CO

Guardare The sound of freedom è cosa buona e giusta e lo è per mandare un segnale nei confronti dell’attuale industria dello spettacolo, ma anche per distrarsi dalla melma di guano iper-politicamente corretta e intrisa di ogni venatura cangiante di Cancel culture propinata da Hollywood & co.

È notizia di questi giorni che la pellicola, uscita in USA non casualmente il quattro luglio (Independence Day), con quasi quattro milioni di spettatori stia registrando incassi record, umiliando all’esordio, i blockbuster dai budget astronomici come Indiana Jones and the Dial of Destiny, Spider-Man: Across the Spider-Verse e Transformers: Rise of the Beasts e Elemental, quest’ultimo di Pixar e Disney.

Una soddisfazione nella soddisfazione.

Certo, ci vuole fegato per guardare un film del genere, una volta terminato desidererete fare di tutto per riportare la vostra coscienza all’ordinarietà della vostra quotidianità e convincervi che quello che avete visto sia tutto frutto di fantasia, in verità, The Sound of Freedom non porta sul grande schermo un episodio storico che, per la sua lontananza temporale potremmo considerare archiviato, ma sbatte in faccia allo spettatore la cruda realtà di quanto accade quotidianamente. Non sarete più quelli di prima.

La trama di una storia vera

La trama è, tutto sommato, semplice e lineare sebbene col passare dei minuti si stratifichi sempre più. Il film esordisce raccontando la storia di un padre onduregno che viene indotto da una prominente figura femminile, la quale si dice essere rappresentante di un’agenzia di giovani talenti capace di garantire ai piccoli un futuro radioso nel mondo dello spettacolo.

L’offerta sinistramente seducente – perché il male tenta lì dove si è più fragili – propinata da una donna, ben conscia del destino di quei piccoli, ferisce lo spettatore nel profondo delle sue (residue) certezze attuali.

Purtroppo, l’esca funziona alla perfezione, anche facendo leva sui due fratellini – spiccano, in particolar modo in questo film gli occhi e in questo frammento sono quelli della sorellina a sognarsi star – il genitore capirà troppo tardi di aver offerto su un piatto d’argento i suoi piccoli al peggiore dei destini possibili: l’agenzia, infatti, risulta essere una copertura per trafficanti di bambini.

Qui entra in gioco l’agente Tim Ballard, impersonato dall’eccellente Jim Caviezel, già noto per aver recitato ne La Passione di Mel Gibson (e vedrete quanti fili si ricongiungono man mano). È con Ballard, agente speciale del Department of Homeland Security, che la pellicola comincia a tratteggiare le varie sfumature di bene e male, di giusto e sbagliato.

Balza subito all’occhio quanto sia potenzialmente distruttivo per Ballard – e lo sarebbe per chiunque – combattere il traffico di piccoli innocenti e lo sforzo interiore è uno dei pilastri simbolici.

È visivamente eloquente una delle scene iniziali in cui all’agente viene chiesto di esaminare le VHS in cui sono registrati violenze perpetrate ai danni di bambini, di cui uno di appena tre anni.

“Hanno abusato dei ragazzi fino a quando i loro corpi non sono stati spezzati”, questo nelle parole e soprattutto negli occhi – resi brutalmente veri dalla recitazione di Caviezel – di Ballard, il quale distrutto da quelle scene avverte la necessità atavica di rientrare in contatto con qualcosa di sano: la sua numerosa famiglia (nella vita reale ha nove figli, di cui due cinesi adottati).

In quel contesto di compensazione riequilibratoria che tanto evoca la vestizione delle armi di omerica memoria, Ballard abbraccia (anche) simbolicamente i suoi figli per poi venire consolato dalla moglie Katherine, la cui sottile ma implacabile presenza simboleggia l’armatura imprescindibile che il protagonista deve indossare nei confronti del putridume che lo attende, la stessa Katherine che nella realtà sarà colei che incoraggerà Ballard a lasciare l’incarico di agente speciale e dedicarsi, anima e corpo, ma come privato a combattere il traffico di minori.

 

Contro il relativismo imperante: la necessità del ritorno delle categorie di male e di bene

Immergersi in tutto quell’orrore, fronteggiare il lato oscuro e incrociare lo sguardo del distillato più puro del male – un impatto paragonabile al PTSD, il disturbo da stress post-traumatico reperibile nei veterani di guerra – può provocare due reazioni contrapposte: o quella di desistere, ed è il caso del collega di Ballard, o farne una questione di principio e ripudiare indefessamente la complice indifferenza e questa, come immaginerete, è la storia di Ballard che trovandosi al cospetto di tutto quel che di più bieco ci si possa immaginare, affronta lo scontro senza che egli a sua volta si tramuti in malvagio.

Uno dei passaggi più potenti dell’intero film è racchiuso in un passaggio di rara intensità spirituale: alla domanda “Tim, perché fai tutto questo?” il protagonista risponde “Perché i figli di Dio non sono in vendita.”

L’elefante nella stanza

Il film è quindi basato sulla storia vera dell’agente Tim Ballard, i fatti, tra cui alcuni secondi di autentici rapimenti catturati dalle telecamere di sicurezza, ricostruiti nella pellicola non sono frutto dell’immaginazione ma è quanto accade ogni giorno, un brutale risveglio per chi si crogiola quotidianamente nel soporifero e indottrinante circo di consumi indotti e non si cura più di tanto dell’esistenza del male.

Il volto di Ballard, dopo aver lavorato sotto copertura per più di un decennio ed essendo ormai diventato noto a livello planetario, non è più spendibile per le delicate operazioni a cui si era prestato e, dopo aver lasciato il suo storico impiego, l’ex agente nel 2013 ha fondato O.U.R. (Operation Underground Railroad) che annovera tra i donatori maggiori anche Tony Robbins. L’organizzazione è stata coinvolta in ben 4.000 operazioni che hanno portato 6.500 arresti.

Tutta quell’attenzione ha attirato l’attore e produttore messicano Eduardo Verástegui, che ha voluto fortemente trasformare la storia eroica di Ballard in un film.

 

Uno sponsor d’eccezione e un elemento ancora più scomodo: Mel Gibson e la fede

Una delle voci che più si è spesa attraverso i social per la promozione di Sound of Freedom è quella del celebre attore Mel Gibson: “Uno dei problemi più disturbanti nel mondo di oggi è il traffico umano e nello specifico il traffico di bambini. I bambini sono il nostro futuro. Ora, il primo passo per eradicare questo crimine è la consapevolezza. Andate a vedere Sound of Freedom.

Mel Gibson cadde – o meglio fu gettato – nel dimenticatoio nel 2006 a causa di alcune note inveterate, con tutta probabilità alterate dai fumi dell’alcol, ma con assoluta certezza dell’evidenza in base alle conseguenze che ne sono seguite per l’attore, dirette contro il vero potere, ossia quello che non devi osare criticare.

 

 

Inoltre, in questi giorni è tornata popolare una clip del 1998 in cui lo stesso Gibson tocca i tasti evidentemente proibiti di quel mondo dello spettacolo su cui tanto si specula; l’attore esordisce sostenendo di avere avuto “strani sospetti paranoici su Hollywood quando è arrivato. Poi pensai, no, mi sbagliavo. È un pensiero folle. Sono solo paranoico. Ho immaginato quella roba. Non potrebbe essere questo il motivo per cui il tal dei tali si comportava così, vero? E poi scopri più tardi che eri esattamente sulla buona strada con molte di queste cose che alcuni dei tuoi peggiori incubi erano reali in quel momento, e pensi…”. La faccia dell’attore si esibisce in una smorfia di shock.

A Mel Gibson è direttamente collegato Jim Caviezel che dopo aver recitato ne La Passione di Cristo, tornerà a recitare nei panni di Gesù Cristo ne La Resurrezione, la cui produzione è attesa per fine anno o al massimo per il 2024.

E qui c’è un altro aspetto interessante dei tre protagonisti della nostra storia: hanno tutti la fede e sono tutti cristiani; nello specifico Mel Gibson e Jim Caviezel, cattolici. L’afflato spirituale gioca un ruolo fondamentale e il protagonista non ne fa mistero nel film e anzi, ritiene che sia proprio la fede stessa a dargli la forza per perseverare e combattere il male attraverso gli strumenti del bene.

L’esatto opposto degli eroi hollywoodiani che per sconfiggere il male si sentono in diritto di avvalersi del lato oscuro. Una curiosa via d’uscita per giustificare l’essere malvagi.

 

Le porte chiuse di Disney & co. Business is Business non è una regola sempre valida 

Secondo The Blaze le riprese del film erano terminate nel 2018 ma la Disney (un tempo sembrava avesse a cuore i più piccoli), che aveva reperito il materiale dalla 20th Century Fox, decise di non distribuire e parcheggiare momentaneamente (shelved) la pellicola che fui poi acquistata dalla Angel Studios di Ohio.

Oltre alla Disney tante altre porte sono state chiuse alla pellicola, come ha ricordato in un’intervista l’attore e produttore Eduardo Verástegui: “Molte porte ci sono state chiuse in questi anni; Disney, Netflix, Amazon e altre case di distribuzione hanno detto ‘no, questo film non fa per noi, non è un buon affare, nessuno vedrà un film sul traffico di bambini”.

Ci sono comunque voluti anni per trovare chi si occupasse della distribuzione, ossia l’Angel Studio, a cui va anche il merito di aver pubblicato il film.

Per non farci mancare nulla, anche Verástegui ha quel curriculum perfetto a renderlo inviso, per usare un altro eufemismo, a Hollywood e all’intero sistema politicamente corretto, prodigandosi da anni, in America Latina, per conto dei movimenti pro-vita (pro-life), alla fine del 2019 ha girato tutto il Messico per promuovere la versione spagnola di Unplanned.

Ad oggi The Sound of Freedom è campione d’incassi al botteghino. Sicuramente non un buon affare, un ottimo affare, soprattutto se si considera che sia stato proiettato in sole 2.600 sale, riuscendo a superare Indiana Jones che invece è stato proiettato in 4.600 sale il giorno dell’esordio. Il primo giorno il film ha incassato 14 milioni di dollari, mentre il film Disney con Harrison Ford ne ha incassati 11.

Un successo clamoroso che ha appena cominciato il suo percorso: ci sarà infatti un sequel, in cui ritroveremo Tim Ballard impersonato da Jim Caviezel e sarà ambientato ad Haiti.

 

Che cos’è l’economia della pedofilia. Alcuni (impressionanti) dati: Stati Uniti in testa alla classifica

È interessante cominciare con le dichiarazioni di Ballard in merito al poroso, per usare un eufemismo, confine tra USA e Messico: “Ho trascorso 10 anni su 12 al confine meridionale e per sapere cosa sta succedendo, devi capire l’economia della pedofilia. Gli Stati Uniti sono il consumatore numero uno al mondo di video di stupri infantili. Ora siamo tra i primi uno o due per la produzione. Una volta era [un fenomeno] più diffuso all’estero.” Dichiarazioni a dir poco scottanti che devono aver infastidito qualcuno.

Gli atroci video che Ballard ha dovuto visionare come agente hanno avuto un incremento, solamente negli ultimi due anni, del 5000%. E ancora una volta fanno rabbrividire le parole di chi quell’orrore l’ha visto coi suoi occhi, ossia il nostro agente Ballard, il quale dopo aver enfatizzato sulla sorprendete quantità di pedofili e sul materiale (Ballard parla di milioni di pedofili, gran parte di questi dall’aspetto completamente insospettabile, un mercato di altrettante foto e video) che vengono sequestrati ha sostenuto: “la prima persona che vedete arrestare nel film è una persona vera, a lui sono state sequestrate due milioni [tra foto e video] a casa sua… essere messi di fronte a milioni di persone che si vogliono sbizzarrire a guardare bambini di cinque anni violentati sessualmente… guardare il corpo di quei bambini spezzarsi nell’atto della violenza sessuale, in situazioni che la tua mente non potrebbe mai evocare, nemmeno se ci provi ma è così vero da cambiare la tua vita per sempre. Dico spesso alle persone che mi sembra di avere un milione di buchi neri nel cervello, perché ho dovuto vedere migliaia di ore di quel materiale. Gli occhi di Jim Caviezel che vedete nella scena iniziale, sono stati i miei per dieci anni.”

Ma accenniamo ad alcune cifre: il giro d’affari della tratta minorile globale ammonterebbe a circa 150 miliardi di dollari e i bambini coinvolti sarebbero milioni di cui – ci teniamo a ribadirlo – il mercato con la domanda più elevata è quello americano, paese dal quale arriva anche la notizia, sollevata dai senatori repubblicani Marsha Blackburn e Josh Hawley della sparizione nel nulla di 85.000 immigrati minorenni solamente negli ultimi due anni.

Perché una dosa di cocaina la si può vendere una sola volta, mentre un bambino è vendibile dalle cinque alle dieci volte al giorno. Per dieci anni.

 

Una storia altrettanto vera: l’inquietante reazione dei media liberal

Se c’è una cosa che provoca sconcerto, di fronte al successo di The Sound of Freedom, è la reazione compatta del comparto mediatico liberal – progressista. Una viscida operazione di screditamento ed etichettatura che rappresenta la vera medaglia per tutti coloro che hanno reso possibile questo film.

Il progressista The Guardian ha definito il film “un thriller vicino a QAnon”, mentre Jezebel ha fatto anche di peggio etichettandolo come un “fantasy anti-tratta adatto a QAnon”.

La versione di Rolling Stone, rivista patinata e ultra-liberal passa direttamente all’offesa e parla di un “film di supereroi per papà con i vermi cerebrali”. Il giornalista Mike Rothschild (sic!) ha dichiarato alla CNN: “Questi tipi di film sono creati da panico morale… ‘Sound of Freedom’ in particolare sta esaminando i concetti QAnon di questi giri di traffico di bambini”.

La stessa Rolling Stone che, come si evince da uno sconcertante articolo di marzo scorso riportato da NPR, tramite la manina dell’editor in chief Noah Shachtman avrebbe depennato, da un articolo a firma di Tatiana Siegel, le vere motivazioni dietro un raid dell’FBI ai danni del celebre giornalista James Gordon Meek. La Siegel, infatti, si sarebbe vista rimuovere dal suo articolo la natura dell’investigazione ai danni del noto giornalista: pornografia minorile.

Di fronte a tutto questo la risposta di Ballard non si è fatta attendere e infastidito ha dovuto specificare: “Questo film non è stato progettato per essere politico. Sound of Freedom è un messaggio sulla protezione dei bambini dai cartelli del traffico di bambini”. E ancora: “Non posso spiegare, e nemmeno loro. In ogni spettacolo che ho visto, a loro piace solo buttare fuori la parola, ‘QAnon’. Non fanno alcun collegamento con la storia vera. È molto difficile stabilire questa connessione quando in realtà è basata su una storia vera.” E infine: “[…] Questa è solo un’altra agenda… chi vorrebbe interferire con pedofili e trafficanti di esseri umani? Questa è la domanda più importante in tutto questo. Perché mentire per promuovere un’agenda il cui obiettivo è tenere i bambini in cattività? È [una cosa] malata.”

Capito?! Una produzione cinematografica capace di mostrare il vero volto dell’oscena e immensa tratta dei minori, secondo i media politicamente corretti sarebbe frutto della paranoia tipicamente destrorsa (con tutto l’assortimento di aggettivi che vi viene in mente) la quale, in preda alla sua proverbiale ossessione e alla intrinseca e naturale propensione nei confronti del cosiddetto complottismo, avrebbe attinto a piene mani dalla narrazione di QAnon (e similare); il richiamo polemico allo scandalo Pizza Gate sembra evidente, mentre sullo scandalo Epstein e relativa isola privata frequentata dalla crème dell’intrattenimento e non solo, chissà se si saprà mai la verità.

 

Che dire poi dell’emittente televisiva CBS che nel 2014 applaudiva il lavoro di Tim Ballard e della U.O.R. (poi ripreso dal film) contro il traffico di bambini. A distanza di dieci anni gli stessi media definiscono “paranoico” il film ispirato al suo lavoro.

Altrettanto palese è il tentativo di quel processo già in atto da decenni, ossia la normalizzazione della pedofilia: se abbiamo avuto modo di scrivere tante volte in merito agli eventi Drag Queen nelle scuole americane e alla sessualizzazione dei minori: su quest’ultima pratica va menzionata la scena del film in cui i bambini adescati vengono truccati e imbellettati, impossibile non pensare a Cuties, pellicola al centro di un’aspra polemica sulla sessualizzazione dei più piccoli e indovinate da che parte stavano i professionisti dell’informazione?

 

 

Il tentativo di cambiare la percezione generale del pedofilo, termine considerato “eccessivamente stigmatizzante”, ha recentemente portato ad altre sconcertanti proposte di iniziative linguistico-cognitive come quelle di definirlo M.A.P, ossia persona attratta da minori, con lo scopo di desensibilizzare l’opinione pubblica rispetto all’odioso fenomeno. Va ad Allyn Walker il merito di aver diffuso il termine, grazie al suo testo A Long, Dark Shadow. Minor-attracted people and their Pursuit of Dignity.

Tutto questo, senza menzionare lo scontro sulle pratiche di transizione sessuale dei minori (chi voglia sprofondare nell’orrore di questa pratica cerchi, tra le tante, la storia di Chloe Cole), spesso incoraggiate dalle scuole e con l’ambiguo ruolo dello Stato, sempre e solo nel nome della santa inclusività.

Insomma, se tutto questo mondo non vuole che si guardi The Sound of Freedom, allora guardarlo è assolutamente doveroso.

Questi sono giorni in cui tutta la produzione del film è sotto la luce dei riflettori ma, tra le tante dichiarazioni, ce n’è una dello stesso Caviezel che aiuta a collegare i puntini: “Ovviamente, voi capirete il contenuto del film. Una volta che il mondo vedrà questo film, una volta che le persone vedranno le navi che trasportano i bambini avanti e indietro… non ci sono altri film come questo. La nostra industria [dell’intrattenimento] non può produrre un film del genere al momento, per la ragione che troppe persone sono coinvolte [nel traffico minorile] in tutto il mondo e molte di loro sono famosissime.”

Attori, comparse e finali già scritti: la verità ha sempre un prezzo

Siamo immersi nella Società dello Spettacolo, un presente ribaltato che pretende ci si batta contro quella schiavitù che ormai la storia ha definitivamente archiviato e che si chiudano gli occhi su quella schiavitù ancora vergognosamente in essere, un tempo svuotato nella sua proiezione, fissato nell’unica miseria possibile, quella del presente sostanzialmente repellente a qualsivoglia valore condiviso, una comoda vacuità in cui sono le star della dissoluzione in stile Kardashian e tutte le relative filiazioni mostruose ad essere idolatrati e seguite da milioni di persone (?), di cui il 99% non è e soprattutto non ha nessuna intenzione di venire a conoscenza di questa orrenda tratta e di personalità come Tim Ballard.

Ed è nauseante nella sua tranquillizzante ridondanza la massima di Bertold Brecht “sventurata la terra che ha bisogno d’eroi, vero velo di Maya di un’epoca che ne avrebbe invece disperata necessità.

Con tutta probabilità, maneggiando con la massima cura possibile religione e psicologia, è solo guardando negli occhi il male e affrontandone il lacerante peso che si acquisisce il senso ultimo dell’esistenza e del suo scopo.

Scrollarsi di dosso il comodo torpore allucinatorio è quindi una questione di credo, coraggio e volontà, per tutto il resto The Show Must go On.

 

Articolo completo: “The Sound of Freedom”: Tutto sul film che Hollywood non vuole che guardiate – informazionecattolica.it

 

Beatrice Venezi sistema i miserabili

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di Raffaele Amato

 

Beatrice Venezi sistema i miserabili – L’Inquisizione antifascista è sempre attiva e non si lascia sfuggire occasione per tentare di mettere a tacere le voci libere.

Uno dei suoi nuovi obiettivi è Beatrice Venezi, direttore d’orchestra e pianista di altissimo livello oltre che, cosa gravissima, consigliere del Ministero della Cultura del governo Meloni.

Per di più la musicista ha rifilato un sonoro schiaffone agli sceriffi del politicamente corretto quando ha dichiarato di voler essere chiamata “direttore” piuttosto che “direttrice” d’orchestra. Era il 2021, ma pare che la Boldrini stia riprendendosi soltanto adesso.

I motivi abbondano

Insomma, i motivi per far schiumare di rabbia i neopartigiani in servizio permanente effettivo abbondano.

E così una decina di manifestanti l’ha contestata lo scorso aprile a Limoges, cantando Bella Ciao e Bandiera rossa – quest’ultimo, noto inno di tolleranza, di pace e di amore -.

In seguito alcune associazioni antifasciste hanno chiesto al sindaco di Nizza di annullare un suo concerto, previsto per il prossimo Capodanno.

Monumentale la replica della Venezi: “Il talento non si inchinerà mai davanti a dei miserabili”.

Potevano restare inattivi i compañeros di casa nostra, già inviperiti per il governo meloniano? Giammai!

Celebrazioni pucciniane

Ecco quindi scattare le bande – non musicali – dei partigiani del terzo millennio, direzione le celebrazioni pucciniane iniziate a Lucca, in piazza Napoleone, lo scorso 11 luglio, con un concerto dell’orchestra Carlo Felice di Genova diretta da Venezi.

Con eroismo degno di tal nobile causa, il sindaco di Viareggio, Giorgio Del Ghingaro, ha annunciato il proprio forfait, motivandolo con la presenza nel programma dell’Inno a Roma, evidentemente pericolosissimo per la democrazia.

L’inno fu scritto da Puccini nel 1919, quindi ben prima del regime mussoliniano, ma durante questo fu abbondantemente eseguito e divenne successivamente una delle colonne sonore delle manifestazioni del MSI.

Sacrilegio, quindi!

Per i benpensanti che hanno chiesto alla Venezi di non suonarlo, ecco la risposta:” L’ho sempre eseguito e continuerò a farlo. Stiamo facendo una guerra all’intenzione di Puccini. I tedeschi allora cosa dovrebbero fare con la musica di Wagner? Mi sembra che loro abbiano fatto pace con la loro memoria storica. Puccini lo scrive nel 1919, è un inno patriottico. Continuare a leggere queste cose sotto un profilo ideologico lo trovo vetusto e superato”.

Insuperabile Beatrice

Insomma, un’artista ma anche una donna straordinaria, che non si lascia intimidire e non le manda a dire. Ce ne vorrebbero tante di Beatrice Venezi.

E sarebbe il caso che tanti esponenti di questo centrodestra tremebondo, di questo centrodestra fatto di troppi don Abbondio, imparassero da lei come si risponde all’arroganza e al sopruso.  Ci piace particolarmente la risposta data ai miserabili di Nizza.

Ci piace l’uso di quel termine, “miserabili”, che identifica ottimamente e senza ipocrisie gli appartenenti a quel mondo, che pretende di essere il solo custode del bene e di annullare gli altri. Miserabili e ignoranti, incapaci di capire l’arte, la cultura, la bellezza, il pensiero. Capaci solo di odiare.

Miserabili.

Raffaele Amato

 

Articolo completo:Beatrice Venezi sistema i miserabili – (2dipicche.news)

Perché Kiev si rifiuta di indagare sul massacro di Maidan 2014?

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Fonte: Come Don Chisciotte

di Christina Sizova, reporter moscovita che si occupa di politica, sociologia e relazioni internazionali.

La fase attiva delle ostilità in Ucraina dura da più di 500 giorni. Durante questo periodo, sono morte decine, forse centinaia di migliaia di persone.

Nel frattempo, i governi occidentali hanno speso miliardi per sostenere la guerra e in Russia è iniziata una discussione concreta sulla possibilità di utilizzare armi nucleari.

Ivan Katchanovski, un ricercatore canadese di origine ucraina, ritiene che la prima tessera del domino sia caduta quasi dieci anni fa, quando le proteste di massa – oggi note come “EuroMaidan” – scoppiarono nella capitale ucraina.

In un giorno, a Kiev rimasero uccise più di 100 persone, tra manifestanti e polizia. La leadership ucraina, i politici occidentali e i media incolparono la forze speciali di polizia Berkut, ma molti fatti suggeriscono che i manifestanti potrebbero essere stati uccisi da altri “compagni oppositori”.

Nel suo articolo ‘Il processo e le rivelazioni dell’inchiesta sul massacro di Maidan: implicazioni per la guerra e le relazioni tra Ucraina e Russia‘, Katchanovski mostra come l’incapacità di indagare correttamente su crimini decennali abbia contribuito a portare le relazioni internazionali allo stato attuale.

Il massacro di Maidan: i risultati dell’indagine

Gli eventi in questione iniziarono il 21 novembre 2013, quando il governo ucraino sospese i preparativi per la conclusione di un accordo di associazione con l’Unione Europea. Intorno alle 22 dello stesso giorno, le prime proteste – sostenute dai principali leader dell’opposizione dell’epoca – scoppiarono nella piazza principale di Kiev.

Inizialmente, il raduno non attirò molte persone. Nel primo giorno, parteciparono tra i 1.000 e i 1.500 attivisti. Tuttavia, dopo alcuni giorni, quelli più estremisti  eressero una tendopoli in piazza Maidan. Alla fine si impadroniranno di diversi edifici amministrativi,  formato “forze di autodifesa” armate e sarebbero poi entrati in conflitto diretto con le forze dell’ordine.

Gli eventi raggiunsero il culmine tra il 18 e il 20 febbraio 2014, quando cecchini non identificati aprirono il fuoco sulla Maidan. Di conseguenza, furono uccise più di cento persone, tra cui manifestanti e agenti della forza speciale di polizia Berkut, parte del Ministero degli Affari Interni dell’Ucraina. Secondo l’Ufficio del Procuratore Generale, 2.442 persone rimasero ferite durante l’Euromaidan. Qualcuno doveva essere ritenuto responsabile del massacro e coloro che sono saliti poi al potere a seguito del colpo di stato hanno trovato rapidamente i presunti “colpevoli”.

Fu aperto un procedimento penale contro l’ex Presidente Viktor Yanukovych, che era fuggito dal Paese. Fu accusato di omicidio di massa di civili. Anche le forze speciali di polizia Berkut furono accusate dei crimini di Maidan, tra cui l’uso di armi contro i civili.

La grande bugia dell'Ucraina: perché Kiev si rifiuta di indagare sul massacro di Maidan 2014?Le persone depongono fiori e rendono omaggio al monumento ai manifestanti antigovernativi uccisi negli scontri con la polizia in Piazza Indipendenza il 23 febbraio 2014 a Kiev, Ucraina. © Brendan Hoffman / Getty Images

I capri espiatori

A febbraio 2015, i procuratori affermarono che 25 agenti del corpo Berkut e altri individui non identificati erano stati coinvolti nell’uccisione dei manifestanti. Due anni dopo, il capo del Dipartimento di Indagini Speciali dell’Ufficio del Procuratore Generale, Sergei Gorbatyuk disse che i membri del Berkut avevano ricevuto illegalmente dei bonus tra i 3.000 e i 5.000 grivna (337 e 562 dollari, all’epoca) per aver usato la forza contro i manifestanti.

I procedimenti giudiziari contro gli ex agenti di polizia iniziarono in tutto il Paese, spingendo molti agenti del Berkut a trasferirsi in Russia. La narrativa che implica che gli omicidi di Maidan del febbraio 2014 siano stati commessi dal Berkut non è mai stata messa in discussione dai funzionari ucraini, né dai loro sponsor occidentali.

Tuttavia, l’indagine continua ancora oggi. Nel febbraio dello scorso anno, il Procuratore Generale Irina Venediktova ha dichiarato che i tribunali ucraini avevano inflitto condanne a 50 persone per reati legati agli eventi di Maidan. Ha anche notato che su 518 accusati, 248 sono stati i rinvii a giudizio, mentre 372 persone sono state giudicate colpevoli.

Molte domande, tuttavia, rimangono senza risposta. Gli omicidi dei primi ‘attivisti’ di Maidan rimangono irrisolti. Anche il già citato “caso dei cecchini” rimane aperto – coloro che hanno sparato ai manifestanti e alle forze dell’ordine non sono stati toccati. I crimini contro la polizia non sono nemmeno oggetto di indagine, anche se secondo l’Ufficio del Procuratore Generale, 721 di loro sono stati feriti durante gli eventi di Euromaidan.

“La narrazione dominante in Ucraina e in Occidente attribuisce il massacro dei manifestanti di Maidan al governo di Yanukovych e per lo più ignora le uccisioni della polizia. Con alcune eccezioni, i media occidentali e ucraini non hanno riportato le rivelazioni del processo e dell’inchiesta sul massacro di Maidan, riguardanti i cecchini negli edifici controllati da Maidan”, afferma Ivan Katchanovski.

Cosa è successo veramente?

La versione degli eventi che accusano le forze di polizia Berkut è sempre stata priva di prove a sostegno. L’avvocato Alexander Goroshinsky ha dichiarato a RIA Novosti, nel 2019, che la mattina del 20 febbraio 2014, 39 poliziotti e militari sono stati feriti e quattro sono stati uccisi. Alla sera dello stesso giorno, 63 persone erano state ferite.

“Qualcuno ha sparato metodicamente contro gli ufficiali di Berkut e i soldati e gli ufficiali delle truppe interne”, ha affermato.

Nell’aprile 2014, l’emittente statale tedesca ARD/Das Erste TV ha condotto un’indagine giornalistica e ha concluso che la narrazione approvata dalla Procura ucraina era incoerente. Il giornalista Stephan Stuchlik ha presentato le prove che i manifestanti erano stati colpiti alle spalle dai loro stessi compagni.

Rimangono aperte diverse questioni importanti. Una di queste è se, quel 20 febbraio, gli oppositori sono stati davvero colpiti alle spalle.

Questo è importante perché proprio dietro di loro si trovava l’Hotel Ukraina, controllato dall’opposizione. Ciò significa che potrebbero essere stati colpiti dalla loro stessa gente. Abbiamo parlato con testimoni oculari, esperti di tiro e specialisti di balistica a questo proposito. Sostengono che sì, sicuramente [le persone] sono state colpite alla schiena”, ha detto il giornalista.

La possibilità che il massacro sia iniziato quando i manifestanti hanno sparato alla polizia è stata sollevata anche in un’inchiesta della BBC. Un uomo di nome Sergey ha dichiarato all’emittente statale britannica che, insieme ad un altro uomo, ha sparato dei colpi contro la polizia da un edificio che era poi sotto il controllo dei manifestanti. Secondo lui, i colpi sparati contro gli agenti del Berkut hanno costretto la polizia a ritirarsi.

SITU Research ha anche osservato che “è chiaro dalle prove forensi che le persone sono state colpite alla schiena” e “qualcuno sparava dai tetti”.

Questi rapporti sono stati confermati dal militante Ivan Bubenchik. Nel 2016, parlando nel film documentario ‘Brantsi‘ (‘Prigionieri’), diretto da Vladimir Tikhy, ha ammesso di aver sparato agli agenti di polizia del Ministero degli Interni con una mitragliatrice. “Dicono che li ho uccisi colpendoli alla nuca, ed è vero. Erano in piedi con le spalle rivolte a me. Non ho avuto la possibilità di aspettare che si girassero. Ho sparato dalla finestra più lontana dal Maidan, dietro le colonne del terzo piano. Da lì, potevo vedere chiaramente la polizia con gli scudi, posizionata vicino alla Stele”, ha detto Bubenchik.

La grande bugia dell'Ucraina: perché Kiev si rifiuta di indagare sul massacro di Maidan 2014?Manifestanti antigovernativi trasportano i feriti durante i continui scontri con la polizia in Piazza dell’Indipendenza, nonostante la tregua concordata tra il Presidente ucraino e i leader dell’opposizione, il 20 febbraio 2014 a Kiev, Ucraina. © Jeff J Mitchell / Getty Images

1.000 ore di riprese video, decine di testimoni

Queste sono solo alcune delle testimonianze oculari disponibili pubblicamente nel caso degli omicidi di Maidan. Katchanovski ha basato la sua indagine su circa 1.000 ore di filmati ufficiali del processo per il massacro di Maidan, del processo per tradimento di Yanukovych e dell’indagine su questi eventi in oltre 2.500 sentenze giudiziarie disponibili nel database ufficiale online.

Katchanovski nota che il filmato che mostra le forze di polizia Berkut sparare ai manifestanti è stato presentato al processo.

Tuttavia, l’ora e la direzione degli spari nel video non coincidevano con il momento delle sparatorie a Maidan. Ritiene che i video e le altre prove presentate durante il processo abbiano confermato che tre manifestanti sono stati uccisi (in via Institutskaya) prima che la polizia arrivasse e aprisse il fuoco.

Allo stesso tempo, gli avvocati di Berkut hanno sottolineato che l’ora e la direzione del colpo sparato da un manifestante con un fucile da caccia (come si vede nel video e nella foto) coincidevano con l’ora e la direzione del colpo che ha ucciso un ufficiale delle forze speciali, come stabilito dagli esperti forensi dello Stato.

Katchanovski sostiene che il tiratore di Maidan è stato identificato ma non è stato accusato.

Al processo sono stati mostrati anche video inediti registrati dal canale televisivo belga VRT. Il filmato mostra un manifestante che avverte gli altri di non avanzare perché i cecchini posizionati all’interno dell’Hotel Ukraina stavano sparando ai manifestanti, e che aveva visto i lampi dei colpi sparati. Il video VRT mostra anche un proiettile che colpisce un albero in direzione di un gruppo di manifestanti. Questi si girano, indicano l’hotel e gridano ai cecchini, chiedendo loro di non sparare.

Circa 51 dei 72 manifestanti di Maidan feriti, che la polizia Berkut è accusata di aver attaccato il 20 febbraio, e la cui testimonianza è stata resa nota, hanno affermato durante le indagini e al processo di essere stati colpiti dai cecchini da luoghi e edifici controllati dagli attivisti di Maidan. Hanno testimoniato di aver visto personalmente i cecchini o di averne sentito parlare da altri manifestanti. Un totale di 31 manifestanti feriti hanno detto di essere stati attaccati dall’Hotel Ukraina, dalla banca Arkada, dal Palazzo Ottobre, dagli edifici di Museyny Lane e di Gorodetsky Street, tutti edifici e territori allora controllati dalle forze di opposizione.

Cecchini georgiani

Secondo una narrazione, coloro che hanno sparato ai manifestanti non erano cittadini ucraini, ma mercenari stranieri, anche dalla Georgia. Questo è stato dichiarato per la prima volta dall’ex comandante dell’unità d’élite dell’esercito georgiano “Avaza”, il generale Tristan Tsitelashvili, che ha affermato di sapere che i georgiani avevano partecipato agli eventi del Maidan.

La grande bugia dell'Ucraina: perché Kiev si rifiuta di indagare sul massacro di Maidan 2014?Manifestanti antigovernativi camminano tra detriti e fiamme vicino al perimetro di Piazza dell’Indipendenza, nota come “Piazza Maidan”, il 19 febbraio 2014 a Kiev, Ucraina. © Brendan Hoffman / Getty ImagesNel febbraio 2018, diversi cittadini georgiani hanno ammesso in un’intervista a RIA Novosti di aver sparato ai manifestanti. Koba Nergadze, un ex militare dell’esercito georgiano, ha detto che i cecchini erano venuti a Kiev con l’aiuto di Mamuka Mamulashvili, un ex consigliere dell’ex presidente georgiano Mikheil Saakashvili. Nergadze e il suo gruppo hanno ricevuto 10.000 dollari e hanno promesso altri 50.000 dollari dopo il ritorno da Kiev. Sono entrati in Ucraina con passaporti falsi. A Kiev, il gruppo aveva sede in via Ushinsky e ogni giorno partecipava agli eventi di Maidan.

Nella sua indagine, Katchanovski ha notato che, nelle interviste rilasciate ai media statunitensi, italiani, israeliani, macedoni e russi, i cecchini georgiani avevano affermato di aver ricevuto l’ordine, insieme a gruppi di cecchini degli Stati baltici e ucraini associati a movimenti di estrema destra, di sparare sia ai manifestanti che alla polizia, per impedire a Yanukovych e ai leader di Euromaidan di firmare un accordo di pace.

Nessun accusato

Nonostante i numerosi fatti, l’esame delle prove, le registrazioni video e le testimonianze oculari, Katchanovski è scioccato dal fatto che nessuno sia stato condannato o arrestato per l’omicidio e il ferimento degli agenti di polizia.

Ritiene che ciò sia dovuto al fatto che l’Ufficio del Procuratore Generale sia stato diretto da politici dei partiti di estrema destra Svoboda e Fronte Popolare, che hanno partecipato direttamente agli eventi del 2013-2014, o da stretti collaboratori dei successivi Presidenti Petr Poroshenko e Vladimir Zelensky.

“Il fatto che membri di spicco dei partiti Svoboda e Fronte Popolare siano stati scelti per dirigere l’Ufficio del Procuratore Generale, anche se questi partiti sono stati accusati da altri attivisti di Maidan e dalle confessioni dei membri georgiani dei gruppi di cecchini di Maidan, di essere stati direttamente coinvolti nel massacro, suggerisce un insabbiamento e un ostruzionismo”, afferma Katchanovski.

Ha anche sottolineato che il processo ha portato alla luce casi di manomissione delle prove. I proiettili dei manifestanti presumibilmente morti e feriti sono apparsi e scomparsi senza alcuna documentazione, oltre a cambiare dimensioni, forma e confezione. Ad esempio, il rapporto autoptico di Maxim Shymko elencava un frammento di proiettile giallo e tre grigi, ma negli esami balistici forensi, un frammento grigio è stato sostituito da un nuovo frammento di proiettile giallo di dimensioni molto più grandi. Poi questo nuovo frammento di proiettile è stato abbinato a un fucile Berkut Kalashnikov, ribaltando numerosi esami forensi precedenti senza fornire alcuna spiegazione.

La grande bugia dell'Ucraina: perché Kiev si rifiuta di indagare sul massacro di Maidan 2014?Un uomo reagisce accanto ai fiori lasciati per i dimostranti antigovernativi uccisi negli scontri con la polizia il 22 febbraio 2014 a Kiev, Ucraina. © Jeff J Mitchell / Getty Images

Cosa succede ora?

Secondo Katchanovski, queste conclusioni sono importanti per comprendere l’Euromaidan, le cause del conflitto in Ucraina, nonché i conflitti tra Russia e Ucraina e tra Russia e Occidente.

Egli sostiene che il massacro a false flag abbia portato al rovesciamento violento del governo ucraino, di fatto sostenuto dall’Occidente e all’adesione della Crimea alla Russia, al conflitto armato in Ucraina e all’offensiva russa del febbraio 2022.

“I processi e le rivelazioni investigative dimostrano che non le proteste popolari di ‘Euromaidan’, ma questa messa in scena di omicidi di massa e tentativi di assassinio contro Yanukovych sono stati decisivi per il suo rovesciamento. Dimostrano che, contrariamente alle narrazioni dominanti in Ucraina e in Occidente, la transizione politica durante l’Euromaidan non è stata democratica. Questa uccisione di massa dei manifestanti e della polizia è stata anche uno dei crimini politici e delle violazioni dei diritti umani più significativi nella storia dell’Ucraina indipendente”, scrive Katchanovski.

Egli ritiene che il fallimento delle forze dell’ordine ucraine e del sistema giudiziario nel garantire una risoluzione adeguata degli eventi di Euromaidan abbia minato lo Stato di diritto e la prospettiva di riconciliazione nella società ucraina, che si è trovata divisa in termini di sostegno alle proteste di Maidan, così come ad altre questioni politiche durante e dopo Euromaidan.

Nel frattempo, è improbabile che il verdetto del tribunale per il massacro di Maidan porti giustizia a causa della politicizzazione del caso e della mancanza di indipendenza del sistema giudiziario ucraino, soprattutto durante le ostilità in corso tra Russia e Ucraina.

Le varie narrazioni del massacro di Maidan hanno complicato qualsiasi soluzione pacifica della situazione in Crimea e Donbass, così come il conflitto tra l’Occidente e la Russia, e hanno avvelenato le relazioni tra Russia e Ucraina.

“Consegnare alla giustizia i veri responsabili del massacro di Maidan in Ucraina è un passo difficile, ma necessario, per risolvere questi pericolosi conflitti”, conclude l’autore.

Come molti altri, Katchanovski è pienamente consapevole che il sostegno de facto dell’Occidente al rovesciamento violento del governo democraticamente eletto in Ucraina – ottenuto con il massacro di Maidan – ha portato ai conflitti in Crimea e Donbass, al conflitto tra Russia e Ucraina e tra Russia e Occidente.

Come risultato di ‘Euromaidan’, l’Ucraina è diventata uno Stato cliente degli Stati Uniti, scrive Katchanovski. Egli osserva inoltre che questo ha portato alle ostilità tra l’Ucraina e la Russia e a una guerra per procura tra l’Occidente e la Russia in Ucraina.

Il massacro di Maidan e l’incapacità dell’Ucraina di garantire un’indagine equa hanno avuto conseguenze globali.

È persino possibile che alla fine possa sfociare in una guerra diretta tra la NATO e la Russia, che potrebbe diventare nucleare.

Fonte: https://www.rt.com/russia/579602-big-lie-behind-modern-ukraine/

Traduzione a cura della Redazione di ComeDonChisciotte.org

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